DI GEORGE MONBIOT
monbiot.com
Come una rete spietata di ideologi super-ricchi ha ucciso il potere di scelta e distrutto la fede della gente nella politica
La serie di eventi che ha portato all’elezione di Donald Trump è iniziata in Inghilterra nel 1975. Durante un incontro pochi mesi dopo che Margaret Thatcher era diventata leader del partito conservatore, uno dei suoi colleghi stava esponendo quelli che secondo lui erano i valori fondanti del conservativismo, o almeno questo è ciò che si dice. Lei aprì di scatto la sua borsetta, tirò fuori un libro consumato, e lo sbatté sul tavolo. “Questo è ciò che noi crediamo”, disse. Era appena iniziata una rivoluzione politica che sarebbe dilagata in tutto il mondo.
Il libro era The Constitution of Liberty di Frederick Hayek. La sua pubblicazione nel 1960 segnò la transizione da una filosofia rispettabile, anche se estrema, ad un caos totale. La filosofia era chiamata neoliberalismo. Esso considerava la competizione come la caratteristica distintiva delle relazioni umane. Il mercato avrebbe trovato la sua naturale gerarchia di vincitori e perdenti, e ne sarebbe risultato un sistema più efficiente di quanto sarebbe stato possibile attraverso la programmazione o la progettazione. Qualsiasi cosa impedisse tale processo, come tasse sostanziose, regole, attività sindacali o incentivi statali, era controproducente. L’imprenditorialità senza restrizioni avrebbe prodotto una ricchezza con effetti positivi a cascata su tutti.
Questo, almeno, è il modo in cui venne originariamente concepito. Quando Hayek iniziò a scrivere The Constitution of Liberty, la rete di lobbisti e pensatori che aveva creato stava ricevendo generosi finanziamenti da parte di multi-milionari che vedevano questa dottrina come un modo per difendere se stessi dalla democrazia. Non tutti gli aspetti del programma neoliberale incontravano il loro interesse. Hayek, a quanto pare, si proponeva di colmare il gap.
Egli inizia il libro suggerendo la concezione più semplice possibile di libertà: l’assenza di coercizione. Rifiuta nozioni come libertà politica, diritti universali, uguaglianza degli esseri umani e distribuzione equa della ricchezza, tutti concetti che, limitando il campo d’azione di ricchi e potenti, si interpongono tra loro e l’assoluta libertà dai vincoli a cui ambiscono. La democrazia, al contrario, “non è un valore supremo o gradito a tutti”. Infatti, la libertà consiste nell’impedire che la maggioranza abbia potere decisionale sulla direzione che la politica e la società decidono di prendere.
Hayek giustifica questa visione delineando una narrativa epica di estrema prosperità. Egli identifica l’elite economica con un gruppo di pionieri della filosofia e della scienza che spenderanno il loro denaro in modi nuovi. Come il filosofo politico dovrebbe essere libero di pensare l’impensabile, così chi è molto ricco dovrebbe essere libero di tentare l’infattibile, senza vincoli posti dall’interesse collettivo o dall’opinione pubblica.
I super ricchi sono “esploratori” che “sperimentano nuovi stili di vita”, tracciando la strada che il resto della società seguirà. Il progresso della società dipende dalla libertà di questi “indipendenti” di guadagnare tutto il denaro che vogliono e di spenderlo come meglio credono. Tutto ciò che è buono e utile, quindi, deriva dall’ineguaglianza. Non ci dovrebbe essere connessione tra merito e ricompensa, nessuna distinzione tra guadagni giusti e immeritati e alcun limite agli affitti che possono far pagare.
La ricchezza ereditata è socialmente più utile di quella guadagnata: “il ricco indolente”, che non deve lavorare per denaro, può dedicarsi a influenzare “aree di pensiero e opinione, gusti e idee”. Anche quando sembra che spenda soldi solo per uno “sfoggio senza senso”, sta in realtà agendo da avanguardia della società. Tutto ciò che il ricco fa è, per definizione, positivo.
Hayek ammorbidì l’opposizione ai monopoli e irrigidì quella verso i sindacati. Criticò la tassazione progressiva e ogni tentativo da parte dello stato di elevare il benessere generale dei cittadini. Insistette che ci fossero “argomentazioni schiaccianti contro la sanità pubblica gratuita per tutti” e respinse l’idea della salvaguardia delle risorse naturali. Non dovrebbe sorprendere coloro che condividono questa visione che gli fu conferito il Premio Nobel per l’economia.
Quando la signora Thatcher sbatté il suo libro sul tavolo, si era già formata su entrambe le rive dell’Atlantico una vivace rete di think tank, lobbisti e accademici che promuovevano la dottrina di Hayek, abbondantemente finanziata da alcune delle persone e compagnie più ricche del pianeta, compresi DuPont, General Electric, la società di birrificazione Coors, Charles Koch, Richard Mellon Scaife, Lawrence Fertig, il William Volcker Fund e la Earhart Foundation.
Usando in modo geniale la psicologia e la linguistica, i pensatori sponsorizzati da queste persone trovarono le parole e le argomentazioni necessarie per trasformare l’inno all’elite di Hayek in un programma politico plausibile.
Il Thatcherismo e il Reaganismo non furono ideologie a sé stanti; furono semplicemente due facce del neoliberismo. L’imponente taglio alle tasse per i ricchi, l’attacco ai sindacati, la riduzione degli alloggi popolari, la liberalizzazione, privatizzazione, delocalizzazione e la concorrenza nei servizi pubblici erano già stati teorizzati da Hayek e dai suoi discepoli. Ma il vero trionfo di questo network non fu la sua innovativa concezione del diritto, bensì la conquista di partiti che un tempo erano schierati a favore di tutto ciò che Hayek detestava.
Bill Clinton e Tony Blair non possedevano una loro narrativa propria. Invece di sviluppare una nuova storia politica, pensarono che fosse sufficiente escogitare una triangolazione. In altre parole, estrapolarono alcuni elementi di ciò che un tempo i loro partiti avevano creduto, lo combinarono con idee prese in prestito dai loro oppositori, e da questa improbabile combinazione diedero vita alla “terza via”.
Era inevitabile che lo sfavillante e rivoluzionario entusiasmo del neoliberalismo avrebbe esercitato una forza di attrazione più potente della stella morente della democrazia sociale. Dovunque si poteva assistere al trionfo di Hayek, dall’ampliamento della Private Finance Initiative di Blair alla revoca da parte di Clinton del Glass-Steagal Act, che regolava il settore finanziario. Nonostante le sue lodevoli intenzioni, nemmeno Barack Obama aveva una narrativa politica ben definita (eccetto la “speranza”) e lentamente è stato cooptato da coloro che detenevano migliori mezzi di persuasione.
Vi ho già avvertiti lo scorso aprile: il risultato di tutto ciò è prima l’indebolimento del potere e poi la privazione dei diritti civili. Se l’ideologia dominante frena i governi dal modificare gli esiti dei comportamenti della società e dal garantire la giustizia sociale, essi non possono più rispondere ai bisogni dell’elettorato. La politica diventa irrilevante per le vite dei cittadini e il dibattito si riduce allo sproloquio di un’elite distante. Colui che viene privato dei diritti civili invece si rivolge verso un’astiosa anti-politica, dove fatti e ragionamenti vengono sostituiti da slogan, simbologie e percezioni. L’uomo che ha affondato la candidatura di Hillary Clinton alla presidenza non è stato Donald Trump. È stato suo marito.
Il risultato paradossale è che la reazione negativa all’assottigliamento delle scelte politiche provocato dal neoliberismo ha portato al successo proprio quel tipo di uomo che Hayek mitizzava. Trump, che non ha una visione politica coerente, non è un neoliberale classico. Ma è la perfetta rappresentazione dell’“indipendente” di Hayek: è il beneficiario di una fortuna ereditata, non assoggettato ai comuni limiti della moralità, le cui rozze inclinazioni aprono nuove strade che altri potrebbero seguire. I pensatori neoliberali adesso brulicano intorno a questo uomo vacuo, a questo vaso vuoto che aspetta di essere riempito da coloro che sanno bene cosa vogliono. Il probabile risultato sarà la demolizione di tutto ciò che ancora ci fa onore, a cominciare dall’accordo sulla limitazione del riscaldamento globale.
Coloro che raccontano storie governano il mondo. La politica è fallita a causa della mancanza di narrative valide. La sfida principale adesso è raccontare una storia nuova, quella di cosa significhi “umanità” nel ventunesimo secolo. Questo racconto deve essere tanto seducente per coloro che hanno votato Trump e lo UKIP, quanto per i sostenitori di Hillary Clinton, Bernie Sanders o Jeremy Corbyn.
Qualcuno di noi ci sta lavorando e può già vedere l’inizio di questa storia che va delineandosi. È ancora troppo presto per svelare i particolari, ma in sintesi riconosce –come è già stato chiarito dalla moderna psicologia e dalle neuroscienze – che gli esseri umani, rispetto ad altri animali, sono al tempo stesso fortemente sociali e fortemente altruisti. L’atomizzazione e il comportamento cinico che il neoliberalismo promuove va contro quasi tutto ciò che caratterizza la natura umana.
Hayek ci ha detto chi siamo, e si sbagliava. Il primo passo da compiere è riappropriarci della nostra umanità.
George Monbiot
Fonte: www.monbiot.com
Link: http://www.monbiot.com/2016/11/15/the-deep-history-behind-trumps-rise/
15.11.2016
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ELEONORA FORNARA