DI ANTONIO ROMERO
Kaos en la Red
La casa di proprietà
della quale la Spagna è leader in Europa ha molta influenza sulla
risposta della cittadinanza alla crisi .
Esiste un fattore che
si sta lasciando da parte – almeno già non lo si incontra in nessun
articolo – quando si studia la crisi economica che ci colpisce e soprattutto
quando si cercano i motivi per cui la cittadinanza non sta rispondendo
nella maniera che ci si aspetterebbe, data l’ampiezza e la portata che
ha raggiunto. Bisognerebbe anche spiegare alcuni dei motivi che portano
molti lavoratori a votare per il Partito Popolare, quando tutti i lavoratori,
poco informati che siano conoscono la sua ideologia e il ceto sociale
a cui fa riferimento.
Si tratta di esaminare
le conseguenze sulla società spagnola della tendenza ’ad acquistare
una casa di proprietà. Vedremo prima l’unicità di questo fenomeno
nel quadro dell’UE prendendo in considerazione i dati Eurostat:
La Spagna è uno
dei paesi europei con la più alta percentuale di proprietà di
abitazioni, pari al 83% , ben al di sopra della media UE del 65%, secondo
i dati 2007 e pubblicati oggi da Eurostat, l’ufficio di statistica dell’Unione
Europea.
Il resto delle famiglie
spagnole è in affitto in una casa a prezzo di mercato (8%), con
aiuto economico (3%) e alloggio gratuito (circa il 7%).
Le case sono abitate
da famiglie, persone singole o gruppi che condividono alloggio e spese,
dice Eurostat.
La percentuale di case
spagnole abitata dai proprietari supera la media europea, 65% ed è
superata solo dalla Romania (96%), Lituania, Slovacchia (89%), Ungheria
(87%) e Lettonia (84%).
All’altro estremo ci
sono Germania, Austria, Danimarca, Francia, Olanda e Polonia, con meno
del 60% di case di proprietà.
Germania, Olanda e
Danimarca sono i paesi con più affitti a prezzo di mercato, con il
46%, 43% e 42%, rispettivamente, percentuali che sono il doppio della
media europea del 21%.
La casa di proprietà fu una delle misure adottate dal regime franchista
per integrare il lavoratore nella società borghese. Si doveva smettere
di essere proletario (colui che possiede solo la propria prole) per
raggiungere lo status di proprietario e niente di meno che della propria
casa, il bene più importante.
Penso che sia stato
intorno al 1960 quando il governo, attraverso un decreto legge, aprì
la strada per l’acquisto e la vendita di case e appartamenti. Così,
il proprietario di un condominio poteva vendere liberamente, ma con
uno sconto agli inquilini. Così ebbe inizio la febbre del comprare
casa, sotto lo slogan: “Pagherò
ogni mese, forse più del canone di locazione, ma una volta finito di
pagare la casa sarà mia.” In generale, la casa di una famiglia
operaia dai 40 ai 50 metri quadri veniva pagata tra i 5 e i 7 anni.
Sono passato oltre
mezzo secolo. Alcuni milioni di appartamenti sono stati venduti. Anche
se via via sono aumentati il prezzo, la dimensione delle case e il tempo
necessario per pagare; si può concludere che oggi ci sono già
diversi milioni di appartamenti pagati e abitabili.
Si deduce che possiamo
dividere la classe operaia tra quelli che hanno già pagato e quelli
che stanno pagando la propria casa. Naturalmente, coloro che hanno già
pagato avranno circa 55 o 60 anni di età. Quelli che perdono il lavoro
oggi non vengono sopraffatti come coloro che non hanno ancora finito
di pagare la propria casa. E se sono in pensione, possono ancora dare
una mano ai figli , se sono in difficoltà. È sempre possibile aggiungere
alcuni piatti in più a tavola , o se lo permette l’alloggio, lasciare
una stanza libera.
La casa già pagata
fa la funzione di un materasso e può attutire gli effetti della
crisi in molte famiglie operaie. Aggiungiamo a questo l’ignoranza diffusa
della natura del capitalismo – e delle crisi che scatena, come quella
che stiamo vivendo – che attribuisce la colpa al governo di turno: è
forse questa la fonte dei voti che hanno portato al governo il Partito
Popolare. Perché senza il voto della classe operaia è impossibile
raggiungere un tale risultato.
C’è anche da
tenere di conto che la generazione operaia successiva a quella dei primi
acquirenti di case sentiva di avere uno status diverso da quello
dei propri genitori, ritenendo di far parte della “classe media”
e per questo non era soddisfatta da un’abitazione di 50 o 60 metri,
ma ha puntato ai 100 metri o anche più, e questo ha fatto accettare
con spensieratezza mutui a lunghissimo termine. Questo potrebbe essere
un altro fattore che spiega l’assenza di risposte agli abusi perpetrati
dai datori di lavoro e la loro paura di manifestare, così come la passività
dei sindacati di maggioranza, timorosi che i lavoratori non sostenessero
una politica di difesa a oltranza dei propri interessi.
Ma questa sarebbe ancora
la volontà dei sindacati di base, come ho visto molte volte nelle
fabbriche dove ho lavorato, che sono influenzati dal contatto quotidiano
con i lavoratori. Ma la cupola del sindacato è felice di questo stato
di cose perché, pur avendo anche altre ragioni per essersi fossilizzata
negli anni con la sua politica contrattuale, ciò le serve come alibi
per mettere a tacere le posizioni critiche all’interno del sindacato.
Riassumendo: Tra una
cosa e l’altra, il popolo spagnolo il 20 di novembre (niente meno che
il 20 di novembre!) (ndr: è la data della fine del franchismo,
in seguito alla morte di Francisco Franco) ha ripetuto lo slogan che
non invecchia mai: “Viva le catene!”
Fonte: Sobre las consecuencias sociales de la vivienda en propiedad
23.11.2011
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di VINCENZO LAPORTA
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