DI YUPA
Mag Mell
Cominciamo col disclaimer di rito: copincollo qua sotto un post ricuperato da un altro blog, il blog Demopazzia; questo ovviamente non significa che io convidiva lo spirito del blog né tutto quello che vi si trova scritto. Disclaimer necessario per evitare che gli occhî meno attenti vadano a classificarmi (cosa che non gradirei per nulla) in una delle due tifoserie politiche in cui attualmente l’Italia sembra dividersi…
Si parla di uno di quei casi che sanno tener banco incontrastati e incontrastabili, per mesi e mesi, e con dettaglio inesauribile su giornali e tiggí. Il fattaccio di sangue, l’orrendo delitto, il macabro crimine, di cui si vuole sapere bulimicamente ogni minimo risvolto. Gli spettatori dello spettacolo si possono divertire tutti insieme, a litigare tra “colpevolisti” e “innocentisti” (esercizio paradossale, tenendo conto che quasi nessuno ha mai conosciuto gli eventi in prima persona!), e poi usare con comodo l’evento trucido del mese per recriminare contro la squadra politica avversaria, per deprecare il collasso della società, e per individuarne le cause in ciò che non piace: c’è chi accuserà il materialismo capitalista, chi il lassismo postsessantottino, chi l’odio razziale e chi le orde di immigrati, chi l’intolleranza dilagante e chi la troppa tolleranza e il buonismo nauseante, chi la soffocante educazione religiosa e chi l’ateismo dilagante, e cosí via. Quasi nessuno si chiederà se, in realtà, le cose non siano completamente diverse da come ce le raccontiamo; se, in realtà, non si stia discutendo sul nulla.È molto facile parlarsi addosso sulla criminalità dilagante (o su qualsiasi allarme sociale che vada di moda al momento) sfruttando l’occasione per prendersela coi proprî nemici (reali o immaginarî) politici, sociali, religiosi, economici, e riconfermare cosí le proprie certezze, dov’è il Bene e dov’è il Male. Sembra invece che costi uno sforzo sovrumano dirsi che, forse, la criminalità non sta affattando dilagando. Che l’allarme sicurezza, magari, è meno ovvio e lineare di quanto si possa pensare. Che nelle scuole il bullismo non è esploso solo dopo che hanno inventato YouTube. Che dietro l’angolo di ogni strada non c’è un pitbull pronto a sbranare “i nostri figli”. Eccetera eccetera eccetera. Bene, l’autore di Demopazzia queste domande se le pone, e sa che, se salta fuori un delitto cruento tra giovani universitarî, non significa necessariamente il tramonto dell’Occidente, e che forse si tratta (ma dai!) di un caso isolato, statisticamente inevitabile, e per il quale non serve andare a cercare chissà quali oscure spiegazioni metastoriche.
E a questo punto la domanda può rovesciarsi: invece di chiedersi come mai accadano questi crimini infami, ci chiediamo come mai questi casi isolati sollevino tanto interesse, quasi ossessivo e febbrile, e vengano eretti a simbolo (fasullo?) del momento presente. Non ci chiediamo piú perché le streghe rapiscano i nostri bambini per sacrificarli al Demonio, ma ci chiediamo perché è cosí facile credere alle streghe e invocarne la distruzione, magari coi mezzi piú efferati.
Nel pezzo che copincollo (i passaggi in grassetto li ho evidenziati io) ci sono alcuni indizî per abbozzare una risposta che necessariamente rimane incompleta, perché non si tratta certo di questioni semplici. L’autore accenna alla criminalizzazione preventiva di comportamenti poco conformisti, ma non solo: c’è anche la criminalizzazione preventiva di determinate fasce d’età che, percepite come minacciose, vengono consegnate a politiche di controllo che da una parte tentano un’uniformazione coatta in nome dell’”educazione” e dall’altra andrebbero per reazione a incentivare i piú giovani al conflitto contro la società.
C’è da riflettere su quanto attualmente sia alta la tensione tra il mondo adulto e le fasce d’età inferiori (infanzia e adolescenza in primis); una tensione sotterranea, irta di nodi irrisolti e di cui si fatica molto a parlare se non in termini emergenziali e catastrofisti. I tremendi vespaî che si sollevano ogni volta che esplode un fattaccio dove i protagonisti sono sotto i 20/25 anni o giú di lí non ne sarebbe che un sintomo…
Imperfezioni
A quasi un anno dall’omicidio di Meredith Kercher l’inizio del processo ai tre presunti colpevoli Amanda Knox, Raffaele Sollecito, Rudy Guede fornisce l’occasione per tornare a parlare di ciò che accadde a Perugia nel Novembre del 2007.
Un mio collega, chiedendosi di chi fosse vittima la 22enne inglese, alla fine di un breve articolo conclude dicendo che in realtà sarebbe vittima di un rito iniziatico di crescita mancato.
Se è ovviamente da rifiutare, come lui sottolinea, la criminalizzazione di un’intera città, anche il cercare di trovare la spiegazione della mutazione di ragazzi perbene in “belve” di ragazzi in qualche falla del loro processo di crescita non credo sia meno rischioso. Il rischio è infatti quello di considerare potenzialmente pericolosi tutti coloro che abbiano avuto processi di socializzazione non del tutto lineari e di fornire ad una politica e ad una opinione pubblica ipersensibili il pretesto per politiche di controllo che rischiano di stroncare del tutto quei processi. Basti ricordare l’approvazione dell’ Antisocial Behaviour Act nel Regno Unito dopo l’assassinio, nel 1993, di un bambino di due anni da parte di due undicenni e tutti i danni prodotti da quelle leggi.
La vita non è una semplice scelta tra l’impegno o la trasgressione, tra la fatica e la sregolatezza, tra il conformismo e la trasgressione e sappiamo che il divenire adulti non comporta il totale abbandono di comportamenti contraddittori. Sappiamo che il carattere sperimentale di alcune condotte di comportamento tipicamente giovanili è appunto sperimentale e in quanto tale temporaneo.
Gli affreschi dei giornalisti, che si concentrano spesso sulla parte più voyeuristica e trasgressiva per ragioni non certo di analisi, dimenticano come gli anni dell’università, quelli dove non si è più ragazzi ma non si è ancora uomini, sono spesso quelli in cui tutti noi ci siamo fatti delle amicizie che dureranno tutta la vita, quelli in cui molti incontrano la persona con cui creeranno una famiglia, gli anni in cui decideranno cosa fare da grandi. Viene il sospetto che oltre al voyeurismo ci sia della nostalgia per un periodo che non torna più in questo insistere su degli aspetti che certo non sono certo marginali, ma che non definiscono da soli la condizione giovanile.
E mi verrebbe da ricordare, a coloro che oggi ne scrivono in proposito, o siedono nei salotti televisivi discutendo di come sia potuto accadere che i giovani siano oggi posseduti dal male nella totale assenza di valori: ma non è sempre stato cosi? Non siete stati accusati pure voi di vivere nel vuoto culturale e valoriale? Non ne viene accusata regolarmente ogni generazione che si affaccia sulla scena del mondo degli adulti? Non è forse che un gruppo sociale con certi valori non riesce a riconoscere l’esistenza di gruppi con valori diversi o contraddittori o non ancora definiti?
Quel che è peggio è che lo sguardo deformante degli osservatori adulti (siano essi i genitori, gli educatori, le forse dell’ordine, i servizi sociali, i media) e i processi di etichettamento ad esso associato, rischiano di “cronicizzare” quei comportamenti definiti dagli osservatori come “devianti” e di consegnare sempre di più al sistema penale la gestione di quella fase delicata della vita che è il passaggio all’età adulta, contribuendo ad aggravare il problema deresponsabilizzando ancora di più chi invece se ne dovrebbe occupare in prima persona. La polizia nelle scuole, i coprifuoco, il carcere per chi scrive sui muri, per chi fa uso di stupefacenti, ne sono esempi.
La foto di Meredith, sempre la stessa su ogni giornale, che ti guarda, da un anno a questa parte, ricorda il corpo senza vita di Laura Palmer, la protagonista attorno alla quale si sviluppa la vita di una piccola comunità osservabile nei suoi dettagli, nelle contraddizioni e nelle piccole e grandi miserie proprio grazie alla sua morte.
Cosi abbiamo potuto vedere giornalisti che pubblicavano la foto del suo corpo insanguinato in prima pagina, abbiamo potuto vedere come si può incolpare più facilmente una persona di pelle nera, abbiamo potuto vedere le telecamere dei negozi inseguire due ragazzi per esaminarne i baci e gli sguardi, abbiamo potuto vedere crescere la paura dei giovani e per i giovani, abbiamo potuto vedere l’accusato nero con le manette e gli accusati bianchi senza, abbiamo visto l’identificazione isterica nella vittima o negli aggressori, e a guardare bene si possono scoprire molte altre cose.
Ma continuo a pensare che la ricerca del male, del seme della follia, della mutazione da uomo a bestia, sia un affare che interessi molto di più gli psicologi, gli scrittori e i giornalisti ma che ci dica poco sullo stato della società. Continuo ancora a pensare che quell’omicidio ci dica molto di più sul mondo dei già iniziati, degli adulti, piuttosto che su quello dei giovani.Se qualcosa di relativamente nuovo può essere trovato in questa storia, è proprio il corto circuito che si crea tra rottura del rapporto educativo, rappresentazione mediatica del mondo giovanile, gestione penale dei processi sociali e deresponsabilizzazione della cittadinanza attiva.
Cos’altro ci sarebbe di nuovo nell’omicidio di una giovane donna di 22 anni? Per quanto ne so si è sempre ucciso per sentimenti come l’amore, l’invidia, la gelosia, il risentimento, l’onore. È davvero qualcosa di mai visto l’omicidio di Perugia? Oppure quello che è cambiato è che non uccidendo più per il furto di un coniglio o per quello di un pezzo di pane (eccezion fatta per chi non ha la pelle dello stesso nostro colore) fatti come questi restano a sottolineare l’imperfezione delle relazioni umani? È forse il fatto che non riusciamo ad accettare questa imperfezione che ci costringe a continuare ad interrogarci su di essa. È il non riuscire ad accettare l’imperfezione delle relazioni umane che ci spinge a chiedere sempre più sicurezza in società che sono le più sicure della storia, a cercare sempre nuovi colpevoli per un delitto senza autore: l’imperfezione.
Yupa
Fonte: http://magmell.splinder.com/
Link: http://magmell.splinder.com/post/18519182/Le+belve+nell%E2%80%99ombra
26.09.2008