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La Redazione

 

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L'ASCESA E ASCESA DELLA RUSSIA

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A cura di God
Il 6 Agosto 2006
85 Views

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Asia Times

Fin dalla famosa “discussione del focolare” allo Chateau de Ramouillet fuori Parigi, nel 1975, dove il club, correntemente chiamato il Gruppo degli Otto, prese vita, il mondo ha cominciato ad aspettarsi una certa prevedibilità nei risultati dei suoi incontri annuali.

I vertici erano di natura fortemente simbolica – avevano il fine di formalizzare le bozze minuziosamente elaborate dagli “sherpa”, che scalano la cima della montagna nelle settimane e nei mesi precedenti, sotto gli occhi del pubblico. Non ci si doveva aspettare nessuna decisione improvvisa. Nonostante ciò, il mondo ha continuato a guardare al G8 con l’idea che esso potesse far intravedere gli schieramenti politici internazionali.

Il vertice di quest’anno, a San Pietroburgo, non ha fatto eccezione. Tre cose sono state chiare. Primo, la Russia è inequivocabilmente riemersa come uno dei poli geopolitici del mondo. Poco importano gli scoraggianti problemi che assediano la Russia – povertà diffusa, infrastrutture abbandonate, settore sociale trascurato, squilibri regionali, istituzioni politiche nascenti – Mosca è determinata a giocare un ruolo preminente negli affari internazionali.

Tutto ciò è completamente evidente in un articolo del Ministro della Difesa russo Sergei Ivanov, intitolato, “La triade dei valori nazionali”, pubblicato su Izvestia di Venerdì (14.07.2006, ndt), in coincidenza con l’arrivo del presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, a San Pietroburgo.

Con parole incisive, Ivanov ha dichiarato che i giorni in cui alla Russia venivano impartiti ordini sono finiti e che il Cremlino è stanco del doppio standard di democrazia dell’occidente, a causa del quale “venivano creati artificialmente un’atmosfera isterica e un ambiente politico favorevole all’avvio di un processo di ribaltamento dei governi legalmente costituiti”.

La cosa straordinaria è stata che Ivanov non ha dato nessuna spiegazione per ciò che la Russia ha in mente – nessuna scusa, nessuna giustificazione verbosa. E’ andato dritto al punto: “La pratica delle relazioni tra stati, a causa della quale la Russia è incorsa in perdite economiche sostanziali, come quid pro quo per la conquista dell’amicizia dei leader di certi paesi stranieri, è una cosa del passato”.

Ivanov ha continuato, “Oggi noi, non solo abbiamo i mezzi per difenderci, ma abbiamo anche – e questo è di gran lunga più importante – qualcosa da difendere. Gradualmente stiamo iniziando a capire che la Russia non può essere altro che una democrazia sovrana; in caso contrario non ci resterà nè la democrazia nè la Russia”.

E’ stato significativo che il Cremlino riemergesse sulla scena fino a pronunciare parole così schiette alla vigilia della riunione del G8. E’ stato un atto deliberato. Già nelle settimane precedenti era percepibile un certo inasprirsi della posizione del Cremlino, che ha certamente soppesato con accuratezza i fattori in gioco, mentre decideva il tono da impartire al vertice del G8.

La campagna degli Usa contro “l’autoritarismo” del Presidente Putin aveva raggiunto proporzioni tali da non lasciare al Cremlino altra scelta se non il bluff. Guardando retrospettivamente, Washington si è spinta troppo oltre quando i diplomatici statunitensi hanno preso parte allo spettacolo teatrale “Un’altra Russia”, che parodiava la leadership di Putin.

Putin ha affermato, alla TV canadese CTV, “Queste dichiarazioni di democrazia vengono usate come strumento di intervento nella nostra politica interna ed estera, per poterla influenzare… Solo chi ha una storia senza macchia in fatto di diritti umani può puntare il dito contro gli altri.

Alla televisione statunitense NBC, Putin ha affermato che Washington ha manipolato i media Usa “solo in maniera più sottile”. Se l’intenzione, che si nasconde dietro il calibrato fuoco di sbarramento della propaganda statunitense contro Mosca, era di far pressione su quest’ultima per spingerla a fare concessioni su altre questioni, in particolare di ordine economico (un trucchetto statunitense spesso usato ai danni della Russia), questa volta è fallita.

Le posizioni russe, infatti, si sono irrigidite sulla questione del nucleare in Iran e su quella della sicurezza energetica. Putin ha anche reiterato le dure critiche all’invasione dell’Iraq.

Ospitando il presidente della Georgia Mikheil SaAkashvili – ed esprimendogli solidarietà in un momento di crescente tensione in merito alla questione dell’Ossetia del sud e appoggiando la domanda della Georgia di entrare a far parte della NATO (North Atlantic Treaty Organization) – Washington ha sbagliato i suoi calcoli. E’ stata una cruda intromissione, realizzata nel momento sbagliato.

Il risultato è stato un palese irrigidimento delle posizioni russe sulle questioni dei “conflitti congelati”. Mosca ha suggerito che all’Abkhasia, una regione separatista della Georgia, venisse concessa la parola al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per presentare il suo caso contro Tbilisi. L’Abkhasia ha messo in guardia Tbilisi contro ogni tentativo di risolvere il problema dell’Ossetia del sud attraverso la forza. La regione separatista moldava del Transdnistria ha annunciato un referendum per il 17 settembre, per decidere se l’enclave pro-Mosca si debba unire liberamente alla Russia. L’Abkhasia ha cominciato a rimuginare su un referendum simile.

Allo stesso tempo, Mosca ha valutato attentamente i fattori a suo vantaggio. La crisi politica in Ucraina e il collasso finale della “alleanza arancio” hanno seriamente messo in difficoltà le strategie russe.

Altri fattori che hanno giocato a favore di Mosca sono stati: il cambiamento drammatico del livello di sicurezza in Cecenia dopo l’uccisione di Shamil Bsayuev; il successo dell’avvio dell’offerta pubblica iniziale di Rosneft e il boom generale dell’economia russa – che si evince dalle decisioni di estinguere tutti i debiti nei confronti del club di Parigi entro il 21 agosto, introdurre la piena convertibilità del rublo e, di conseguenza, commerciare energia e altri beni strategici in rubli. Ancora più importante è il fatto che Putin stesse cavalcando una eccezionale ondata di popolarità, che va oltre un sostegno del 70% (contro il tasso di popolarità di Bush del 30%).

Così la prima cosa sorprendente dell’incontro del G8 è stata che il Cremlino ha mostrato l’indubbio e rapido rafforzamento dell’indipendenza della Russia e il suo ritorno sulla scena internazionale e nell’economia globale. Coloro che furono sprezzanti nei confronti dei punti deboli, dei peccatucci e delle stranezze della Russia di Putin sono stati lasciati senza parole.

Il settimanale L’Economist, un critico costante della Russia di Putin, ha pungentemente chiesto: “Dunque, cosa può fare l’occidente? La risposta succinta è stata, non molto. Negli anni ’90 del secolo scorso, una Russia economicamente indebolita aveva bisogno di aiuto esterno. Ora, a meno che il prezzo del petrolio non cada inaspettatamente, una tale influenza non sarà disponibile nell’immediato futuro.

Anche dal punto di vista politico, l’influenza esterna potrebbe ritorcersi indietro. Con il Cremlino ancora una volta stabilmente sottocontrollo, la Russia, quasi certamente, cambierà solo dall’interno o non lo farà affatto. La migliore politica oggi non è il contenimento, ma un “cauto impegno”.

Bush ha infatti dato voce allo stesso pensiero, nonostante la lingua colloquiale, nella cittadina di Stralsud, nella Germania del nord, sulla via per San Pietroburgo: “La mia idea del trattare con il Presidente Putin segue il principio che a nessuno piace molto ricevere lezioni e se si vuole essere una persona che raggiunge dei risultati, quello che non si deve fare è redarguire in continuazione qualcuno, pubblicamente. Gli si deve ricordare in quali casi potrebbe avere un’opinione diversa, ma lo si fa in maniera rispettosa, così da potersi poi sedere e avere un dialogo costruttivo. Questo è esattamente il modo in cui io intendo portare avanti le mie relazioni con il Presidente Putin.

Nonostante il “cauto impegno” della Russia nel G8 di Washington, esiste una contraddizione di natura culturale, politica e strategica, che sarà difficile superare nell’immediato futuro. Il compito di soffermarsi su questo paradigma è stato curiosamente affidato e uno studioso cinese.

Il People’s Daily di lunedì ha riportato in prima pagina un articolo di Ruan Zogze dell’Istituto Cinese per gli Studi Internazionali in cui si cercava di dare una risposta all’interrogativo su come la Cina debba relazionarsi con il G8.

Ruan ha concluso: “A giudicare dalle condizioni attuali, è nell’interesse della Cina mantenersi a debita distanza dal G8. È quasi impossibile che la Cina si unisca al gruppo nel breve periodo. La Cina è un paese in via di sviluppo per la quale il G8, come club di ricchi, sembrerebbe non aver riservato nessuna poltrona comoda. In più il G8 ha i suoi standard politici ed economici, che la Cina non trova accettabili, almeno nella fase presente.

La Russia, per esempio, non si amalgama bene con il gruppo. Si è unita al circolo nel 1998 spinta da necessità politiche, ma è stata ridotta a cittadino di serie B e non ha avuto la parola sulle questioni economiche. Per questo la Russia è ansiosa di diventare un membro paritario del gruppo facendosi carico del ruolo di ospite [1]”.

Del vertice di San Pietroburgo non rimane che un enigma irrisolto. Dal canto suo la Russia sembrerebbe anticipare il problema e segnalare che anche esso ha una certa priorità. Non appena il summit fu finito, Putin ha significativamente invitato i capi di stato del Commonwealth degli Stati Indipendenti [2] per un “incontro informale” a Mosca nei prossimi venerdì e sabato.

Tuttavia, in ogni discussione sull’unione della Russia con l’occidente, potrebbe essere improprio unire tutte le nazioni occidentali sotto la stessa idea. In realtà, questa sembra essere una seconda cospicua tendenza che emerge dal vertice di San Pietroburgo. Il suo significato non è meno importante della riapparizione della Russia sulle scene mondiali. Mentre l’attenzione è comprensibilmente concentrata sulla rinascita della Russia e il raffreddamento dei rapporti tra gli Usa da una parte e la Russia dall’altra, la ragione primaria per cui gli Usa hanno trattato da una posizione svantaggiosa a San Pietroburgo, è stata la divisione interna alla coalizione transatlantica.

All’Europa non manca l’ambizione, ma è nello scompiglio, addirittura incapace di darsi una costituzione. Di certo le manca una politica estera comune. Con l’eccezione della Gran Bretagna, l’Europa guarda con nervosismo al tentativo statunitense di stabilire un dominio su Medio Oriente e Asia Centrale. E nonostante la recente diplomazia incantatrice che Washington ha usato nelle capitali europee, il pubblico europeo osserva la politica americana con disgusto. In più, con il tentativo di Bush di far rivivere l’asse Usa-Germania, la Francia sta di nuovo volgendosi verso un’opinione indipendente.

Per finire, gli Usa hanno fallito nello stabilire una comunione di interessi con i propri partner occidentali (incluso il Giappone) nella politica di “amore estremo” nei confronti della Russia di Putin. Molti paesi europei sono preoccupati del pallone di aria calda in continua espansione che la NATO sembra essere diventata.

L’Europa è sgomenta per la destabilizzazione dell’Ucraina a causa della “rivoluzione colorata” di Bush. Un’economia che solo due anni fa registrava il tasso di crescita più alto dell’area post-sovietica, oggi è ridotta in ginocchio.

Sulla questione vitale della sicurezza energetica, gli interessi europei non possono essere armonizzati con le strategie statunitensi nei confronti della Russia. La Russia ha recentemente segnato un punto, stipulando importanti accordi sull’energia sia con il Giappone che con la Germania, poco prima dell’incontro del G8.

Il 12 luglio Sakhalin Energy, che opera nell’ambito del progetto energetico Sakhalin II e che sta sviluppando due vaste aree di riserve rinnovabili nell’estremo oriente della Russia, che si stima racchiudano intorno ai 150 milioni di tonnellate di petrolio e 500 miliardi di metri cubi di gas, ha firmato un accordo per la fornitura di mezzo milione di tonnellate di gas liquido naturale all’anno al Giappone, per un periodo di 15 anni.

Lo scorso giovedì la russa Gazprom e la tedesca E.ON AG hanno sottoscritto un accordo di fondo per scambiare gli assetti di produzione, commercializzazione e vendita di gas naturale (e per quanto riguarda la produzione industriale). Gazprom acquisirà i pacchetti che la compagnia tedesca detiene nelle società elettriche e di gas ungheresi e in quelle regionali, in cambio della possibilità di accesso, a favore della E.ON AG, ai depositi russi Yuzhno-Russkoye nella regione del Tyumen, dove si trovano più di mille miliardi di metri cubi di gas naturale e che sarà la fonte per il progetto da dieci miliardi e mezzo di dollari, chiamato North European Gas Pipeline (gasdotto del Nord Europa).

Putin ha tutte le ragioni di esprimere soddisfazione sulla dichiarazione finale del G8 riguardante la sicurezza energetica. Egli ha affermato: “Fino a poco tempo fa sicurezza energetica significava fornitura stabile di energia. Ora, abbiamo convinto i nostri partner che la sicurezza energetica è una nozione molto più ampia, che include le fasi di produzione, trasporto e commercializzazione”. La dichiarazione del G8 mostra che il gioco statunitense, mirante a stabilire la leadership degli Usa nel dialogo con la Russia, è ridotto a brandelli.

Un terzo aspetto del vertice di San Pietroburgo ha a che fare con il suo peso sulla scena internazionale. Da questo punto di vista l’Iran e il Medio Oriente, gli hanno rubato la scena. Tutte i discorsi precedentemente fatti girare riguardo a solidi argomenti di pressione ai danni della Russia a San Pietroburgo – democrazia e “conflitti freddi” nell’area post-sovietica, la politica Russa nei confronti dei suoi vicini – sono passati in secondo piano.

E’ interessante notare come la Russia non è stata l‘unica potenza del G8 a trovare difficoltà nell’andar d’accordo con Bush – quando ha dato l’intera colpa delle tensioni in Libano agli Hezbollah – e con la Siria e l’Iran. Altri leader, pur condannando il rapimento dei soldati israeliani, hanno comunque criticato la risposta sproporzionata di Israele.

Putin ha indirettamente attirato l’attenzione sull’isolamento degli Usa, affermando che il vantaggio della Russia risiedeva nel non chiudere le porte a nessuna delle parti coinvolte nel conflitto in Medio Oriente. Egli ha affermato che i “regolari contatti” con Hamas e gli Hezbollah, in realtà sono stati utili nell’elaborazione, da parte del G8, della risoluzione riguardante il Medio Oriente.

Come se questa dichiarazione, di per sé, non fosse già così straordinaria, Putin ha continuato insistendo: “L’Iran è di certo un paese influente nella regione e i suoi interessi devono essere rispettati così da spingerlo ad usare la sua influenza per far volgere al meglio la situazione in Libano.

Putin ha anche affermato che le operazioni militari di Israele stavano perseguendo fini più ampi dell’ottenimento del rilascio dei soldati rapiti e che la fiducia di Israele nelle sue “capacità militari” sarebbe mal riposta.

L’argomento più efficace usato da Putin è stato quello secondo cui l’impiego di qualsiasi forza internazionale in Libano deve essere eseguito sulla base di un mandato del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e che la Russia prenderebbe parte ad una simile operazione, “ma abbiamo bisogno di accordarci in anticipo, con tutte le parti coinvolte nel conflitto”.

Ancora una volta il G8 ha aiutato a chiarire le alchimie operanti all’interno del così detto “Iran Six” [3]. La dichiarazione del G8 ha dato forza alla decisione dell’Iran Six di chiedere l’arresto delle attività di approvvigionamento nucleare di Teheran, in cambio di un pacchetto di incentivi; alla conferenza stampa che ha seguito il vertice, Putin ha tuttavia messo in guardia: “E’ troppo presto per parlare di sanzioni ai danni dell’Iran. Noi non abbiamo ancora raggiunto questa fase… Non vorrei parlare di questo perché un simile argomento potrebbe creare condizioni sfavorevoli per la conferenza”.

In definitiva il G8 ha rivelato l’erosione della capacità degli Stati Uniti di piegare il mondo alla loro volontà. Gli Usa si sono mostrati incapaci di esercitare un’influenza forte in Medio Oriente. Sembravano un’ombra di ciò che erano una volta in quella regione altamente strategica. Hanno fallito nell’allineare il G8 alle proprie posizioni in fatto di sicurezza energetica e nucleare.

In ultima analisi, che tipo di intuizione del mondo di domani nasce dal vertice di San Pietroburgo? Quello che balza agli occhi è un accadimento narrato dal passato Presiedente dell’Unione Sovietica Mikhail Gorbachev, durante un’intervista, lo scorso venerdì (14.07.06, ndt), in merito al summit. Ha detto che in passato il Presidente Bill Clinton, in visita a Mosca per la prima volta, gli chiese che consiglio poteva dargli.

Gorbachev rispose che gli avrebbe dato un consiglio importante, cioè, trattare la Russia con rispetto perché i Russi non amavano ricevere pacche sulle spalle. Gorbachev afferma di aver detto a Clinton: “Oggi siamo in questo tipo di situazione e domani potrebbe essere completamente diverso. Ma noi risorgeremo certamente, come abbiamo fatto molte volte in passato. Noi teniamo tutto ben stampato nella memoria russa.

Note:

1. Il G8 e formato dal G7 più la Russia. I membri del G7 sono Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti, che insieme producono i due terzi della ricchezza mondiale. La Russia diventò ufficialmente l’ottavo membro del gruppo nel 1997 al “Summit degli Otto” tenutosi a Denver in Colorado. Ma mentre la Russia è un membro del G8, non prende parte alle discussioni di ordine economico e finanziario, che continuano ad essere condotte dal G7. La Russia possiede l’economia più debole tra i paesi del G8.

2. Il Commonwealth degli Stati Indipendenti (CIS) fu creato nel dicembre del 1991. Nella dichiarazione adottata, i partecipanti al Commonwealth hanno accettato l’interazione sulla base del principio di sovranità paritaria. Attualmente, il CIS comprende: Azerbaijan, Armenia, Bielorussia, Georgia, Kazakhstan, Kyrgyzstan, Moldova, Russia, Tajikistan, Turkmenistan, Uzbekistan e Ucraina.

3.”Iran Six” comprende i cinque membri permanenti del Consiglio dell’ONU: Stati Uniti, Russia, Cina, Regno Unito Francia e Germania.

M. K. Bhadrakumar ha servito come diplomatico di carriera nel Servizio Estero Indiano per oltre 29 anni, lavorando anche in Uzbekistan (1995-98) e in Turchia (1998-2001).

M. K. Bhadrakumar
Fonte: http://www.atimes.com
Link: http://www.atimes.com/atimes/Central_Asia/HG20Ag01.html
20.07.2006

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CLAUDIA FILIPPI

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