L’animale è un cittadino come gli altri?

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DI BENOIT BREVILLE

L’epoca dei salumai vegetariani

Karen Knorr – “Ledoux’s Reception (Salon Ledoux) Musée Carnavalet (Paris) – Della serie “Favolette” , 2003/2008

Presto le mucche francesi potranno morire felici: grazie a una legge approvata lo scorso Maggio, ogni macello sarà dotato di un responsabile del benessere degli animali, che veglierà affinché gli animali siano ben storditi – vale a dire trattati con elettroshock o gassati – prima della loro esecuzione. Non è sicuro che questo sia sufficiente alla Francia per ottenere un miglior indice di protezione degli animali -qualifica attribuita da organizzazioni non governative in funzione della legislazione. Con un mediocre “C”, la Francia occupa il ventre molle dei circa 50 paesi studiati, davanti alla Bielorussia, all’Azerbaijan e all’Iran, dove ci si disinteressa totalmente dell’argomento, ma largamente in ritardo rispetto all’Austria, che vieta, citando alla rinfusa, l’allevamento dei polli in batteria, il commercio di pellicce, gli esperimenti medici sulle scimmie, la castrazione da vivi dei maialini, l’alimentazione forzata delle oche…

La questione della sofferenza degli animali non viene soltanto sollevata nei parlamenti. Occupa un posto sempre più grande nel dibattito pubblico e tra gli attivisti, in particolare gli ecologisti. Su internet alcuni video virali svelano l’orrore dei macelli e dell’allevamento industriale. Sotto la pressione delle associazioni, numerose grandi compagnie di circo equestre(Joseph Bouglione in Francia, Barnum negli Stati Uniti…) hanno recentemente smesso di utilizzare degli animali nei loro spettacoli, e alcune catene di supermercati hanno ritirato dai loro scaffali le uova delle galline allevate in gabbia. Quanto alle librerie, i loro espositori si coprono di libri che vantano i meriti di un regime senza carne.

In Francia e ancor più in Germania, nei paesi scandinavi, nel Canada o in Israele (Tel Aviv rivendica il titolo di capitale vegetariana del mondo), il numero di vegetariani continua ad aumentare. La loro percentuale nella Francia metropolitana varia, secondo gli studi, dal 3 al 6% della popolazione (a fronte di un 8/10 % oltre il Reno- in Germania) e da questi si potrebbe enucleare circa l’ 1% di vegani, che hanno escluso dal loro modo di vivere qualunque forma di sfruttamento degli animali: mangiare miele e indossare indumenti di lana. Inoltre si potrebbe contare un quarto di flexitariani, una nozione incerta che designa le persone che vorrebbero o che cercano di ridurre la loro alimentazione a base di carne senza però abolirla. Se la sensibilità per la sofferenza animale non è l’unica motivazione per cambiare regime alimentare, cambio che può essere indotto anche da ragioni dietetiche o ambientali, l’idea che si possa fare a meno della carne guadagna terreno.

I recenti progressi delle ragioni animaliste si devono evidentemente attribuire ai loro attivisti. Associando degli obiettivi di breve termine (la chiusura di un macello o di un delfinario) e un progetto più generale (la liberazione animale) essi esercitano una frenetica pressione sui rappresentanti politici. Il deputato Gilles Le Gendre (1) constatava recentemente: ” Tutti noi deputati della République en Marche (il partito di Macron) riceviamo ogni giorno ininterrottamente 50 mail sul problema delle violenze sugli animali”. Gli attivisti si introducono clandestinamente nelle centrali dell’agrobusiness per filmare i retroscena e sensibilizzare l’opinione pubblica a colpi di immagini scioccanti. Alcuni convertiti spiegano anche di aver preso la decisione dopo aver visto alcuni di questi video: mucche che vengono dissanguate ancora vive per fare più in fretta; pulcini maschi triturati a migliaia…(2)

Per assicurarsi un’ampia risonanza mediatica, la causa animale può anche contare sul contributo di un bel numero di personaggi famosi nazionali (in Francia, i giornalisti Franz Olivier Giesbert, e Aymeric Caron, la cantante Mylène Farmer, il monaco buddista Matthieu Ricard…) e personaggi internazionali. Da un lato Leonardo Di Caprio sovvenziona la protezione degli elefanti, dall’altro Angelina Jolie e Brad Pitt si dedicano alla natura selvaggia in Namibia. Quanto agli attori Penelope Cruz, Pamela Anderson, Natalie Portman e ai cantanti Justin Bieber, Morissey, Paul McCartney, Brian Adams, Moby, tutti loro partecipano alle crociate dell’associazione PETA (People for Ethical Treatment of Animals) per un trattamento etico degli animali, uno dei movimenti più potenti in difesa degli animali, che ama le campagne pubblicitarie dove delle donne nude appaiono in posizioni suggestive.

Il fatto che Hollywood sia diventato in questo modo uno dei centri nevralgici della causa animale non manca di ironia. Quando si è imposto nel Regno Unito degli anni 1970, il movimento di liberazione animale si ispirava all’estetica punk e si identificava come una controcultura. I suoi militanti spesso soprannominati “ecoguerrieri”, dei quali alcuni sono finiti in prigione, praticavano l’azione diretta, il saccheggio degli edifici dell’industria alimentare e dei gruppi farmaceutici. I loro primi obiettivi erano le manifestazioni evidenti di sfruttamento degli animali da parte dei Borghesi, come la caccia a cavallo o al cervo, o le corse dei levrieri; pratiche che secondo loro testimoniavano l’interconnessione tra la sopraffazione sociale e quella specista (3).

Forgiato sul modello delle parole razzismo e sessismo il neologismo “specista” fece la sua comparsa all’inizio degli anni 70 e divenne rapidamente la base ideologica del movimento di Liberazione animale. Secondo i “Quaderni antispecisti”, una rivista francese fondata nel 1991, “lo specismo sta alla specie come il razzismo sta alla razza, e come il sessismo sta al sesso: una discriminazione basata sulla specie quasi sempre a favore dei membri della specie umana”. Si dovrebbero pertanto liberare gli animali come si sono un tempo emancipati gli schiavi e le donne, con la notevole differenza che i principali interessati non rischiano affatto di partecipare alla lotta.

Nel passato vi sono state numerose voci che peroravano il vegetarianesimo e rifiutavano di uccidere gli animali. Nel sesto secolo prima di Cristo, per ideologia non violenta e poiché credevano nella trasmigrazione delle anime, il matematico Pitagora e i suoi discepoli si astenevano dal mangiare carne. Più di due millenni dopo, alcune sette evangeliche e puritane continuavano a bandire i prodotti a base di carne, sperando in tal modo di “vincere la carne e fare trionfare lo spirito” (4) “. A partire dagli anni 60/70 nello scorso secolo, si giustifica il vegetarianesimo come uguaglianza tra le specie, che sarebbero tutte composte di esseri sensibili al dolore, capaci di riflettere e di comunicare (si legga Evelyne Pieiller, “Ritorno al giardino dell’Eden”).

A poco a poco, il vessillo della lotta animalista si è spostato dalla caccia al cervo e dalla pelliccia all’industria della carne. L’argomento in effetti ha capacità di mobilitazione. Ogni settimana, secondo l’organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO), più di un miliardo di animali terrestri sono uccisi per riempire gli stomaci umani, senza contare circa 20 miliardi di pesci e di crostacei (5). Per soddisfare una domanda sempre in crescita, in particolare nei paesi del Sud del mondo, bisogna produrre ed uccidere il più in fretta possibile, al costo più basso. La zootecnia, la scienza delle produzioni animali, ha dunque modellato le bestie secondo i bisogni dell’allevamento, perché crescano più in fretta, perché le mammelle delle mucche si adattino meglio alle mungitrici, eccetera. “Gli animali d’allevamento sono così diventati delle macchine animali al servizio di un progetto industriale di sfruttamento del materiale animale”, secondo l’analisi della sociologa ed agronoma Jocelyne Porcher (6).

Da un certo punto di vista, l’animale costituisce un ostacolo per l’industria agroalimentare, (bisogna tenerlo in stalla, nutrirlo, curarlo… ) e questa non avrà nessuno scrupolo a lasciarlo perdere se troverà una materia prima più redditizia.

Con gli investimenti dei fondi pensione e le startup della tecnologia del cibo, il settore della pseudo-carne è in pieno sviluppo. Con i soldi di Google, alcuni scienziati americani stanno studiando di coltivare -partendo dalle cellule embrionali- un progetto salutato con entusiasmo da PETA. Mentre si sviluppa la tendenza ad un’alimentazione vegetariana, appaiono nei negozi dei nuovi prodotti: salsicce a base di piselli, prosciutti “senza carne ma ricchi di proteine”… Queste misture che hanno l’apparenza, la consistenza e vorrebbero avere il gusto della carne sono spesso preparate dalle multinazionali della macelleria o della salumeria, come Fleury-Michon, che ha creato nel 2016 la linea “Il lato vegetale”, Herta ( Il buon vegetale), Aosta (Il vegetariano) o Le Gaulois (Le Gaulois Végétal). Questi prodotti non hanno granché di naturale. Per preparare il suo prodotto più raffinato, “vegetale”, distribuito da un grande marchio a un prezzo del 67% più caro del suo equivalente di carne, la ditta di polleria Le Gaulois deve per esempio mescolare non meno di 40 ingredienti, tra i quali la maltodestrina (che migliora l’aroma e in quanto agente di riempimento permette anche di aumentare il volume del prodotto),

Il porro e il bianco d’uovo in polvere, la gomma di xanthane (gelificante), la carragenina (ispessente e stabilizzante), le proteine di soia reidratate, il citrato di sodio come conservante regolatore di acidità e aromatizzante, eccetera. La mania vegetariana può paradossalmente generare degli alimenti sempre più artificiali, e rinforzare in tal modo il dominio dell’agroindustria sulla catena alimentare.

Dopo essere stata per secoli appannaggio delle classi superiori, la carne ha cambiato campo sociologico: gli operai e le persone senza titolo di studio ne consumano ormai più dei quadri e dei diplomati, sottolinea Terra Nova, una fondazione che si propone di contribuire al rinnovo intellettuale della sinistra progressista invitando a cogliere le opportunità di un’alimentazione meno carnivora, appoggiandosi ai settori più promettenti della tecnologia del cibo (7). Ormai i più benestanti si distinguono rinunciando alla carne, sia perché sensibili alla causa animale, sia perché preoccupati della loro salute. Il vegetarianesimo si trasforma in bandiera. Si tratterebbe di un nuovo regime alla moda secondo la rivista Le Point del 13 giugno 2015. Mangiar bene evitando l’animale non è mai stato così popolare “, aggiunge la rivista “Elle”, il primo giugno 2016. Per quanto riguarda la stilista Lolita Lempicka, specializzata nei tessuti costosi ma vegetali al 100% , lei esalta il suo “business glamour e vegano (8)”. La battaglia contro la carne aprirà un nuovo episodio della lotta di classe ?

I ristoranti vegetariani sono già diventati il simbolo dell’imborghesimento dei vecchi quartieri popolari. Risvegliando le coscienze i video dell’associazione L214 contribuiscono a demonizzare gli operai dei macelli, dei quali i commentatori si compiacciono di far notare la mancanza di empatia. Ma ci si può veramente aspettare, da un individuo che si vede passare tra le mani in 25 anni di carriera da 6 a 9 milioni di bestie, che tratti ognuna di queste con delicatezza (9)? Introdurre la videosorveglianza nei macelli, non farebbe che rinforzare il controllo esercitato su dei lavoratori già sottoposti a ritmi infernali. Il benessere degli animali di allevamento dipende da quello dei lavoratori della filiera, e tutti e due dipendono dallo stesso imperativo: rallentare la catena.

 

Benoit Bréville

Fonte: https://www.monde-diplomatique.fr

Link: https://www.monde-diplomatique.fr/2018/07/BREVILLE/58808

luglio 2019

 

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di GIAKKI49

(1) – Conferenza stampa all’Assemblea Nazionale -23 Maggio 2018
(2) – Il film “Earthlings” (“Terrestri”), realizzato da Shaun Monson nel 2005 e narrato da Joaquin Phoenix, mostra immagini del genere, così come varie grandi piattaforme di video in rete.
(3) – Marianne Celka, Vegan Order .”Des éco-warriors au business de la radicalité” (Eco-guerrieri nel business dell’estremismo ) Arkhé, Parigi 2018
(4) – Secondo le parole di un teorico vegetariano del XVII secolo, citato da Arouna P. Ouédraogo “Dalla Setta religiosa all’utopia filantropica. Genesi sociale del vegetarianesimo occidentale”, Annales Vol.55, n°4, Parigi luglio agosto 2000.
(5) – “Livestock primary” , www.fao.org
(6) Jocelyne Porcher, “Non liberate gli animali! Perorazione contro un conformismo <analfabeta> “. La Revue du Mauss, n° 29, Parigi , primo semestre 2007
(7) – “La carne nel menu della transizione alimentare” 23 novembre 2017
(8) – Citato da Patrik Piro, “Un nuovo REV per l’ecologia “ Politis, Parigi, 17 Maggio 2018 [REV:  Rassemblement des écologistes pour le vivant – Unione ecologista per la Vita]
(9) – Secondo un calcolo fatto da Jocelyne Porcher. Si veda “Vivere con gli animali. Un’utopia per il XXI secolo”, La Découverte, Parigi, 2014

 

Nota del traduttore: Flexitariani : Non sono vegetariani, né vegani. I flexitariani – il cui nome deriva dalle parole inglesi flexible (flessibile) e vegetarian (vegetariano) – sono coloro che seguono per la maggior parte del tempo una dieta “plant based” ma che non rinunciano anche al consumo di proteine animali di tanto in tanto. (da “Il Giornale del Cibo”) (20/06/2018 – Laura Girolami)

 

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