DI PASCAL RICHE’
Le Monde
Negli ultimi mesi, i media francesi hanno avuto due sviste importanti. Le Nouvel Observateur, settimanale cartaceo, ha pubblicato un SMS in un primo momento erroneamente attribuito al presidente della Repubblica verso la sua ex-moglie, per poi scusarsi. Poi, Europa 1, medium radiofonico, ha annunciato la morte di Pascal Sevran [scrittore, autore di canzoni e animatore televisivo deceduto il 9 maggio 2008, ndt], ma quando era ancora vivente.
Ora, sappiate che le due cantonate sono da mettere in conto ad Internet. Lo scoop dell’SMS? E’ stato pubblicato sul sito Web del settimanale, il che evidentemente cambia tutto, hanno giurato i dirigenti del settimanale: “Su carta sarebbe stato presentato diversamente …” La falsa informazione di Europa 1? E’ dovuta all’”enorme pressione” che produce Internet sulla redazione. Anche Paris Match ha puntato il dito accusatore verso il colpevole: “Da dove si trova, Pascal Sevran ha trovato un motivo in più per fustigare le nuove tecnologie, l’informatica, i blogs e i siti internet, che detestava”. Si è quasi stupiti che nessuno abbia messo in carico al cattivo Web la pubblicazione su Le Monde, delle false foto di Hiroshima …
Se Internet è sempre vantato come una “opportunità”, nei fatti è vissuto come una abominevole minaccia per la professione. E questa non è mai stata così febbrile. I giornali potenziano le loro edizioni Web ma spesso con la morte nel cuore, recalcitrando, “perché bisogna passarci per forza”. I giornalisti si sentono assediati da questi barbari che hanno nome internauti, bloggers, e peggio, “commentatori”. Attaccati alla loro carta per scrivere, hanno l’impressione di “resistere”. Tuttavia, come ha recentemente osservato un blogger-giornalista americano, Joshua Micah Marshall, Internet minaccia i giornalisti ma non il giornalismo. Al contrario, è una strada del futuro.
Da qualche anno, si è visto spuntare lo slogan del “giornalismo cittadino”. Il concetto è che ormai, dato che tutti possono diffondere informazioni sul Web, i giornalisti non sono più necessari. Ognuno ha la vocazione del giornalista. Questa moda è durata poco: ci si è presto resi conto che se il signor Nessuno poteva pubblicare una foto o un commento sul Web, non aveva né la competenza, né la voglia di ritagliare un’informazione, verificarla, gerarchizzarla, metterla in prospettiva, renderla attraente. Questo lavoro è una professione.
Al contrario, in certe circostanze, gli internauti possono fornire ai media informazioni estremamente precise. Due giorni dopo il massacro di Virginia Tech, nella primavera 2007, su Wikipedia poteva essere consultata on-line una notizia molto completa che descriveva l’avvenimento, il suo contesto, la sociologia della cittadina nella quale si era prodotto, ecc. Circa 2000 collaboratori avevano partecipato alla sua elaborazione: nessun quotidiano avrebbe potuto rivaleggiare. E quando un gigantesco incendio abbraccia l’ovest degli Stati Uniti, chi è meglio attrezzato per coprirlo? Il giornale che manda sul posto il suo reporter con il taccuino e la macchina fotografica? O chi fa appello alle centinaia di testimonianze d’internauti della zona?
Il giornalismo non può voltare le spalle a Internet: sarebbe un passo suicida. Deve accettare la rivoluzione tecnologica in corso e ripensare interamente il proprio lavoro. Si apre un formidabile terreno di avventura e di esplorazione. A condizione di accettare un completo cambiamento di paradigma.
Per esempio, sarà sempre più difficile parlare di stampa scritta: testo, suono e video possono ormai sposarsi (anche su carta, quando sarà elettronica). Diventerà ugualmente sempre più difficile parlare di un “articolo”. Su un medium che utilizza in pieno le possibilità di Internet, l’articolo, come prodotto finito della stampa, tende in effetti a sparire in favore di un processo senza inizio né fine. Chiamiamolo un “articolo 2.0”. Può nascere, per esempio, da un’idea lanciata da un commento postato da un internauta; oppure da una discussione su un forum; il giornalista può dibatterne con i suoi lettori; alcuni internauti, esperti della materia, lo aiutano ad approfondire; [il giornalista] redige così un primo testo e lo pubblica nella versione Web – e a volte su carta – del suo medium.
Ma l’”articolo 2.0” non è per questo terminato. Perché i lettori lo commentano, lo criticano, lo correggono. L’autore risponde alle loro domande. Se necessario, completa il testo con le nuove informazioni di cui è venuto a conoscenza. Oppure, ne scrive un seguito. Il giornalismo non cala più dall’alto sul lettore, non gli concede più la sua informazione. E’ in una perenne conversazione con lui. Questo “giornalismo di conversazione” non è una chimera: è quanto già vivono numerosi professionisti dell’informazione, che hanno accettato di cambiare il loro modo di fare.
L’avvenire del giornalismo passa per una relazione molto diversa da quella prevalente prima dell’avvento del Web. Da una relazione verticale e chiusa, si passa ad uno scambio orizzontale, aperto, interattivo e iterativo. In caso di servizi complessi, questo giornalismo può essere molto efficace. Può permettere di moltiplicare le risorse e nutrire una inchiesta approfondita.
Può anche dare voce a molteplici esperti specializzati laddove i media tradizionali continuano ad attingere in tondo nel minuscolo vivaio degli esperti tuttologi. Non si tratta, in questa rivoluzione, della morte del giornalismo, al contrario: esso si arricchisce e, dopo anni di sfiducia, si avvicina ai cittadini.
Pascal Riché è redattore-capo di Rue89
Titolo originale: La presse, l’Internet et la citadelle assiégée
Fonte: Le Monde
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25.06.08
Tradotto per Comedonchisciotte.org da MATTEO BOVIS