LA DIGNITA’ NEGATA NEI TERRITORI PALESTINESI OCCUPATI

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OCCUPATI

Essere palestinesi vuol dire scontrarsi con i limiti che ci impongono in ogni momento della vita. Ci ostacolano in tutti gli ambiti: perdiamo il lavoro, non possiamo viaggiare liberamente, siamo separati dalle nostre famiglie. Essere palestinese vuol dire essere privato di molte cose che per gli altri sono assolutamente normali
Mohammed, Gerusalemme

Nell’insieme dei territori palestinesi occupati, sia nella striscia di Gaza che in Cisgiordania, i palestinesi lottano ogni giorno semplicemente per vivere: a loro è vietato fare ciò che costituisce la trama quotidiana dell’esistenza della maggior parte delle persone. Da un punto di vista umanitario i territori palestinesi soffrono di una grave crisi, perché milioni di persone si vedono private della loro dignità. Non di tanto in tanto, ma ogni giorno.

Per i Palestinesi non è possibile prevedere nulla. Le regole possono cambiare da un giorno all’altro senza preavviso né spiegazioni. Questo popolo vive in un ambiente arbitrario, adattandosi a circostanze sulle quali non ha nessuna influenza e che riducono sempre più le sue possibilità.

(Nel 2006 il muro della Cisgiordania divise in due parti il villaggio di Abu Dis, abitato da 30000 persone, separando così intere famiglie e contadini dalla propria terra. Abu Dis in passato era stato un villaggio ricco situato sulla strada che collegava Gerusalemme Est a Gerico. La chiusura della strada ha dimezzato il numero degli esercizi commerciali nati lungo quella via di comunicazione)

INTRAPPOLATI NELLA STRISCIA DI GAZA

Anche dopo il loro ritiro da Gaza, non ci hanno voluto lasciare tranquilli; ritornano di quando in quando per radere al suolo le nostre terre e distruggere le nostre case. È solo quando ti sparano addosso che puoi capire che sei nella zona cuscinetto
Saleh, contadino di Gaza

Il conflitto tra militanti palestinesi e Israele continua inesorabilmente anche dopo l’isolamento della striscia di Gaza. I primi lanciano razzi quasi ogni giorni su Israele, e a sua volta l’esercito israeliano organizza incursioni fin nel cuore della striscia di Gaza e attacchi sia aerei, sia dalla costa. La popolazione civile è intrappolata, senza nessuna via d’uscita e, come se non bastasse, subisce gli effetti degli scontri continui tra i palestinesi.

Dopo i violenti conflitti che hanno opposto Hamas alle forze affiliate a Fatah e la presa di potere di Hamas nel giugno di quest’estate, le vie d’uscita rimangono chiuse per la maggior parte degli abitanti di Gaza. È diventato quasi impossibile andare a studiare o curarsi in Cisgiordania, a Gerusalemme Est, in Israele, o all’estero, fatta eccezione per coloro che hanno bisogno di cure urgenti. Ma a volte neppure questi sono autorizzati ad uscire dalla striscia di Gaza.

Dopo il ritiro unilaterale del 2005, Israele ha progressivamente istituito una zona cuscinetto lungo il muro che circonda Gaza, zona che sconfina sul territorio già esiguo e sovrappopolato della striscia, con pesanti conseguenze per la popolazione. L’estensione non ben definita di questa zona cuscinetto riduce la superficie dei territori coltivabili e mette in pericolo coloro che se ne avvicinano troppo. Effettivamente succede molto spesso che gli abitanti di Gaza siano uccisi, feriti o arrestati quando si trovano in prossimità del muro.

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(Alcuni volontari della Croce Rossa attraversano a piedi il ponte di Erez per evacuare un civile ferito dalla striscia di Gaza verso Israele dove li aspetta un’ambulanza. Luglio 2007.)

ABBASTANZA PER SOPRAVVIVERE, NON ABBASTANZA PER VIVERE

È difficile trovare alcune medicine, come ad esempio gli antibiotici. Non abbiamo più cereali e, in questi giorni, non è facile procurasi il latte in polvere per i neonati. Quando lo si trova, per la maggior parte delle persone è troppo caro perché i prezzi sono aumentati enormemente
D’Salah, farmacista di Gaza

I timori degli abitanti di Gaza crescono mano a mano che i negozi di alimentari si svuotano a causa dell’isolamento. I prezzi sono aumentati vertiginosamente e i rari prodotti che riescono ad arrivare a Gaza sono praticamente inavvicinabili. I prezzi di molti generi alimentari, come il pollo, in questi ultimi quattro mesi sono almeno raddoppiati, perché le scorte diminuiscono e non possono essere rifornite.

Secondo il Programma alimentare mondiale circa 80000 abitanti di Gaza hanno perso il proprio lavoro dal giugno 2007, facendo aumentare un tasso di disoccupazione che era già elevato: circa il 44% della popolazione attiva è attualmente senza un lavoro. Molte industrie locali sono state costrette a chiudere e licenziare il personale, visto che il 95% della produzione locale dipende dalle importazioni delle materie prime provenienti da Israele. E proprio Israele ha limitato le importazioni a ciò che è stato definito come “beni essenziali” – per la maggior parte si tratta di generi alimentari di base – mentre altri articoli indispensabili al funzionamento dell’industria o alla riparazione delle infrastrutture non possono arrivare nella striscia di Gaza.

DIMINUZIONE DELLA PRODUZIONE AGRICOLA

In principio hanno preso del terreno per la strada, poi ne hanno preso dell’altro per la zona cuscinetto attorno alla strada, poi hanno distrutto la mia casa perché era troppo vicina alla zona cuscinetto. Ora hanno raso al suolo tutto. Non mi resta nulla
Abdul, Gaza.

I contadini di Gaza si ricordano che in un passato recente le loro terre erano verdi e fertili. Gli abbondanti raccolti di olive e agrumi erano esportati in Cisgiordania e in Israele. Oggi la maggior parte di quelle terre sono improduttive e gli alberi sono stati sradicati dalle moltissime incursioni militari.

Circa 5000 produttori agricoli che vivevano delle esportazioni di pomodori, fragole e garofani hanno visto crollare le vendite – con una perdita pari al 100%. La raccolta di questi prodotti è cominciata a giugno, ma a causa dell’embargo sulle esportazioni, i prodotti marciscono davanti ai chek-point.


(Una donna che cerca effetti personali nelle macerie della sua casa, distrutta nel corso di un’operazione militare israeliana nella striscia di Gaza nel settembre 2007.)

DETERIORAMENTO DELLE INFRASTRUTTURE

Non sappiamo come tutto questo finirà. Gli ospedali lottano per avere riserve sufficienti di combustibile, se quest’ultimo viene a mancare le lavanderie degli ospedali saranno le prime a subirne le conseguenze. Poi sarà il turno delle apparecchiature mediche. E questo sarà solo l’inizio di una fine terribile
Abu Hassan, Gaza.

Le infrastrutture della striscia di Gaza sono in uno stato precario. Da circa otto mesi le dighe di un bacino che contiene centinaia di migliaia di litri di acque scure si sono rotte a nord di Gaza. L’acqua ha inondato un villaggio di beduini uccidendo cinque persone, ferendone sedici e distruggendo moltissime case. Non è stato possibile effettuare nessuna riparazione importante sia a causa della mancanza di fondi, sia a causa delle restrizioni permanenti imposte da Israele sulle importazioni dei pezzi di ricambio.

Il funzionamento dei servizi di base come gli ospedali e le infrastrutture di approvvigionamento di acqua corrente e di smaltimento delle acque scure dipende dal loro collegamento alla rete elettrica. Se la rete non riesce a fornire l‘energia necessaria, tutti questi servizi indispensabili per una vita dignitosa ne risentiranno.

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(A Bet Lahia, nella striscia di Gaza, cinque persone sono state uccise e 250 case sono state distrutte dalla rottura delle dighe di un bacino contenente gli scarichi di una fogna)

Dopo che nel giugno del 2006 la centrale elettrica di Gaza è stata distrutta dagli attacchi aerei dell’esercito israeliano, il suo funzionamento è stato dimezzato.
L’approvvigionamento elettrico della striscia di Gaza è precario, inaffidabile e dipendente dalle sorgenti esterne e attualmente è incapace di soddisfare i bisogni della popolazione.

Quindi infrastrutture di primaria importanza come ospedali e i sistemi di approvvigionamento di acqua o di risanamento sono obbligati ad utilizzare generatori di soccorso. Il fatto di dover contare su dei generatori è rischioso e genera a sua volta nuove dipendenze dal carburante e dai pezzi di ricambio, oltre ad un aumento del costo operativo. Le attuali restrizioni alle importazioni impediscono l’arrivo del carburante e dei pezzi di ricambio, ne consegue che i servizi vitali rischiano di crollare definitivamente.

UNA VITA DI RESTRIZIONI

Prima lavoravo nel mercato di Nablus. Ma dal 2002, a causa dell’accerchiamento della città, mi sono dovuto trasferire al mercato di Beita, a 12 chilometri dalla mia casa. Impiegavo due ore per andare al lavoro visto che dovevo attraversare il check-point. Allora sono dovuto andare a vivere a Beita. Vedo la mia famiglia solo il mercoledì, quando il mercato non c’è. I miei figli mi mancano“.
Murad, distretto di Nablus.

(Un contadino palestinese aspetta di fronte alla barriera della Cisgiordania oltre la quale c’è il suo uliveto, nella zona di Ariel)

L’ACCESSO ALLE TERRE

Fummo svegliati dalla luce delle fiamme. Corremmo fuori e vedemmo i nostri alberi d’ulivo circondati dal fuoco. I pompieri non riuscirono a raggiungere i campi perché gli accessi erano chiusi. Le nostre terre erano dietro la barriera di West Bank, non potevamo arrivarci ogni giorno e per questo non avevamo potuto pulire completamente il terreno. Quella sera non potemmo fare nulla, restammo a guardare i nostri alberi bruciare perché il chek-point era chiuso
Contadini di Petunia, distretto di Ramallah

Anche in Cisgiordania la situazione sul piano umanitario peggiora sempre più. I Palestinesi assistono impotenti alla confisca delle loro terre. Nel corso degli anni le colonie e le strade israeliane si sono ingrandite, invadendo sempre più le terre che erano coltivate dalle stesse famiglie palestinesi ormai da generazioni.

Dopo la costruzione della barriera della Cisgiordania, che penetra profondamente nel territorio palestinese, grandi distese di terra coltivata sono diventate inaccessibili ai contadini perché la barriera divideva molti villaggi dai rispettivi campi. L’estate scorsa alcuni contadini hanno assistito, impotenti, al rogo dei loro uliveti. Non potevano accedere a quella zona perché in quel momento il check-point era chiuso o perché non avevano il permesso. Alcuni alberi avevano cinquanta anni, due generazioni di lavoro e cure andati in fumo in una notte.

Per avere un permesso che gli dia la possibilità di accedere alle sue terre, un contadino deve farsi strada in un labirinto burocratico in cui dovrà presentare tutta una serie di documenti che attestino la sua residenza e il fatto che è il proprietario di quelle terre. La maggior parte dei contadini passano ore negli uffici dell’amministrazione civile israeliana per cercare di ottenere quel permesso. Molte domande sono rifiutate per motivi di sicurezza, per esempio perché in un periodo un membro della famiglia ha soggiornato in una prigione israeliana.

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(Palestinesi in coda al check-point di Huwara, uno dei due punti di passaggio lungo la via principale che collega Nablus al resto della Cisgiordania. Le automobili private non possono attraversare il check-point, a meno che il proprietario non abbia un permesso speciale).

ACCESSO ALLE STRADE

In Cisgiordania molte strade che prima legavano i villaggi palestinesi alle città vicine ora sono ostruite da blocchi di calcestruzzo, fossati, reti metalliche, rinterri. Questi ostacoli separano i Palestinesi dai loro campi, dalle loro sorgenti d’acqua e anche dalle loro discariche. Oggi c’è una netta separazione tra i villaggi e le città, tra le comunità e tra i distretti.

Gli abitanti della Cisgiordania guardano dalle loro case gli israeliani usare strade catramate, costruite su campi palestinesi, strade che collegano le colonie e su cui è facile arrivare a Gerusalemme e Tel Aviv. I palestinesi invece viaggiano su strade in terra battuta e sono costretti fare lunghe deviazioni per raggiungere le loro scuole, il posto di lavoro, gli ospedali, i luoghi di culto, o semplicemente per andare a trovare i loro parenti e amici.

I 177 000 abitanti di Nablus, che in altri tempi è stata una città ricca, hanno solo due strade per poter uscire dalla città. Non possono guidare le loro auto in direzione Sud e perciò sono obbligati a prendere dei taxi, cosa che grava sulle loro già limitate risorse economiche.

L’ASSILLO DEI COLONI

Alcuni coloni avevano preso l’abitudine di lanciare pietre sui miei figli quando giocavano in giardino. Per questo ho dovuto costruire un recinto attorno alla mia casa. Ci lanciano pietre semplicemente perché continuiamo a vivere sulla nostra terra e non vogliamo andarcene.
Anwar, Hebron.

I palestinesi che vivono in prossimità delle colonie israeliane non solo hanno dovuto cedere la loro terra ad Israele, ma sono continuamente perseguitati dai coloni. In Cisgiordania il numero delle aggressioni nei confronti dei civili continua ad aumentare. Le informazioni che la Croce Rossa ha raccolto indicano che il numero dei delitti in questi ultimi cinque anni è almeno triplicato; allo stesso tempo raramente la polizia conduce un’inchiesta fino alla fine e nella maggior parte dei casi conclude che “il colpevole è ignoto”.

(Ulivi abbattuti dai alcuni coloni a Wadi al-Hussein/Hebron nel 2005. A tutt’oggi i coloni continuano a entrare senza autorizzazione in queste terre di proprietà di famiglie palestinesi)

APPELLO PER UNA VITA DIGNITOSA

Giorno dopo giorno, la dignità dei palestinesi è continuamente calpestata in Cisgiordania come a Gaza.

Le misure di sicurezza prese da Israele hanno un costo enorme in termini umanitari: coloro che vivono sotto l’occupazione hanno i mezzi per sopravvivere, ma non possono vivere normalmente e dignitosamente.

Israele ha il diritto di difendere la propria popolazione. Ciò nonostante ci dovrebbe essere sempre un giusto equilibrio tra le legittime preoccupazioni di sicurezza di Israele e il rispetto della libertà e dei diritti dei palestinesi che vivono sotto l’occupazione. Sino ad ora quest’equilibrio non è stato raggiunto.

Gli 1,4 milioni di palestinesi che vivono nella striscia di Gaza continuano a pagare con la loro salute e i loro mezzi di sostentamento il prezzo del conflitto e delle restrizioni economiche. Tagliare gli approvvigionamenti di elettricità e combustibile non fa che aggravare ancora di più la loro sofferenza, e tutto questo è contrario ai diritti umanitari fondamentali.

In Cisgiordania la presenza delle colonie israeliane influisce su tutti gli aspetti della vita dei palestinesi e provoca la perdita di vaste distese di terra e di guadagni importanti, senza contare la violenza ricorrente dei coloni. Estenuanti restrizioni della circolazione rendono difficile l’arrivo al lavoro, cosa che crea tassi di disoccupazione e di povertà senza precedenti.

Solo un’azione politica rapida, innovativa e coraggiosa potrà cambiare la dura realtà di questa lunga occupazione, assicurando al popolo palestinese il ritorno ad una vita economica e sociale normale. Queste sono le condizioni necessarie perché i palestinesi possano vivere nella dignità.

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(Un’anziana di Boudrous, nella regione di Ramallah, aspetta l’apertura di un check-point per poter raggiungere il suo campo di ulivi. Ha perso quasi tutti gli alberi in alcuni incendi che si sono propagati grazie all’erba secca che la donna non ha potuto estirpare a causa della chiusura dei punti di passaggio. La sua famiglia ha quindi perso la principale fonte di guadagno).


(Una famiglia palestinese attraversa un chek-point lungo la via principale che collega Nablus al resto della Cisgiordania. Le auto private non possono attraversare il chek-point a meno che il proprietario abbia un permesso speciale)

Titolo originale: Déni de dignité dans les territoires palestiniens occupés
Fonte: www.icrc.org
Link: http://www.icrc.org/Web/fre/sitefre0.nsf/htmlall/palestine-report-131207
13.12.07

Traduzione per www.comedonchisciotte.org di NUNZIA DE PALMA

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