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La Redazione

 

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LA CLASSE DIRIGENTE DEGLI USA PUO' AMMETTERE LA SCONFITTA IN IRAQ?

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A cura di God
Il 11 Dicembre 2006
81 Views

blankDI SAUL KANOWITZ
Socialism and Liberation

Nelle settimane che hanno preceduto le elezioni di medio termine del novembre 2006, la guerra in Iraq incombeva sulle elezioni e nella cronaca dei media. Ma, nonostante il fatto che una chiara maggioranza del popolo degli Stati Uniti sia contro la guerra, non vi era nessuna possibilità di scegliere un candidato dell’uno o l’altro dei partiti della grande impresa che riflettesse quel sentimento.

La leadership di entrambi i partiti, democratico e repubblicano, è in completo accordo sul proprio desiderio di ricolonizzare l’Iraq, nonostante divergenze tattiche. Sfortunatamente per loro, il radicato desiderio del popolo iracheno di riprendere il controllo della sua sovranità ha sconvolto i loro piani. Il movimento di resistenza indigeno sta infliggendo perdite sempre più insostenibili alle forze di occupazione Usa. Il Pentagono controlla a mala pena Baghdad, con una “zona verde” tipo fortezza che è il solo settore sicuro nella città.L’occupazione Usa causa morte e distruzione

Per il popolo iracheno l’occupazione è stata brutalmente dura. Secondo un rapporto dell’11 ottobre della rivista britannica Lancet, 655.000 iracheni — il 2,3% della popolazione — sono stati uccisi come conseguenza della guerra di “liberazione” Usa. In proporzione alla popolazione, la scala delle uccisioni ammonterebbe a 7 milioni di persone negli Stati Uniti.

Tutti gli indicatori della qualità della vita dimostrano che l’occupazione Usa ha aumentato le sofferenze e la miseria del popolo iracheno, oltre a 13 anni di sanzioni imposte dagli Usa prima dell’invasione del 2003.

Durante il periodo in cui furono imposte all’Iraq dure sanzioni economiche, dal 1990 all’invasione nel 2003, secondo uno studio del 2 novembre del Brookings Institute, le abitazioni di Baghdad ricevevano da 16 a 24 ore di elettricità al giorno. Oggi, più di tre anni dopo l’invasione, le abitazioni di Baghdad al di fuori della zona verde ricevono giornalmente 5,6 ore di elettricità.

Prima dell’invasione il trattamento delle acque era di 3 milioni di metri cubici al giorno. Nel marzo del 2006, il tasso era caduto di più della metà, a 1,3 milioni di metri cubici al giorno.

Un rapporto del 2 maggio rilasciato dall’UNICEF mostrava che il 25% dei bambini iracheni tra i sei mesi ed i cinque anni di età soffre di malnutrizione cronica o acuta e che dall’invasione Usa dell’Iraq la situazione è peggiorata.

Le stime della disoccupazione variano dal 25% al 40%.

La resistenza irachena si allarga

Dalla prospettiva del Pentagono, l’occupazione diventa sempre di più un pantano. Ottobre del 2006 è stato il quarto mese più mortale per i militari Usa dall’invasione, con 103 morti riconosciuti.

I soldati semplici si stanno ribellando in modo crescente ai loro incarichi. Un sondaggio Zogby International del febbraio 2006 mostrava che il 72% delle truppe in servizio in Iraq pensa che gli Stati Uniti dovrebbero andar via dal paese entro il prossimo anno. Più di uno su quattro dice che le truppe dovrebbero andarsene immediatamente.

Allo stesso tempo, la resistenza irachena si aggira su una media oltre 100 attacchi al giorno contro le forze di occupazione. Con un segno di accresciuta forza e coordinamento politico, le forze della resistenza irachena hanno allestito alla fine di ottobre delle parate militari pubbliche nelle città di Ramadi, Haditha, Bani Daher, Rawah e Haqlaniyah. Alcune di queste parate si sono svolte a meno di un miglio dalle basi militari statunitensi.

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Le truppe Usa non sono state in grado di istituire uno stabile governo clientelare in Iraq. Foto: Wissam Al-Okaili/AFP/Getty Image

Ricaduta tra i predoni della classe dominante

Mentre la guerra e l’occupazione sono state un mortale incubo per il popolo iracheno, vengono anche viste sempre più come un vero e proprio fallimento per l’imperialismo Usa. L’amministrazione Bush, inizialmente, aveva promesso che la guerra sarebbe finita in poche settimane. Sognavano che le risorse umane e materiali dell’Iraq potessero essere depredate per il profitto imperialista.

Portavoci dell’imperialismo come Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz e Richard Perle avevano anche sperato che l’Iraq sarebbe stato un esempio per il resto del mondo nel caso in cui una nazione osasse resistere all’impero Usa. Dopo la caduta di Baghdad nell’aprile del 2003, l’ambasciatore Usa alle Nazioni Unite John Bolton disse che Iran, Siria e Corea del Nord dovevano “trarre la giusta lezione dall’Iraq”.

Il piano era di entrare a Baghdad ed installare un docile regime fantoccio che avrebbe concorso al saccheggio e soppresso il desiderio di autodeterminazione del popolo iracheno. Qualsiasi risorsa spesa per ricostruire l’Iraq sarebbe stata allo scopo di riparare le infrastrutture distrutte dalla guerra e da anni di sanzioni per agevolare l’estrazione, la lavorazione e l’esportazione del petrolio verso i mercati internazionali.

Ma dopo tre anni e quasi 400 miliardi di dollari spesi per l’occupazione, questa visione è a brandelli. Di fronte a questa sconfitta potenziale, le istituzioni politiche della classe dirigente si stanno sempre più rivoltando contro i più prominenti architetti della strategia del Pentagono in Iraq.

Naturalmente, gli appelli per una nuova strategia in Iraq non hanno nulla a che fare con la sventura inflitta al popolo iracheno, con gli orrori di Abu Ghraib o con i massacri commessi dalle truppe Usaa Fallujah, al-Haditha o Hamandiyah. E questo perché non sono ancora stati realizzati né i disegni geopolitici imperialisti, né gli obiettivi economici.

Un ‘anno perduto’?

Un documentario trasmesso in ottobre della serie Frontline della TV PBS, “L’anno perduto”, disputa che la situazione attuale possa essere fatta risalire agli errori fatti dalle amministrazioni civili e militari durante il primo anno dell’occupazione. Il programma incolpa la mediocre pianificazione, una mancanza di coordinamento tra il Pentagono e l’Autorità Civile Provvisoria guidata da L. Paul Bremer e da una marea di agenti neoconservatori inesperti e scarsamente controllati, responsabili della ricostruzione dell’Iraq secondo la loro visione coloniale.

Per esempio, il reportage indica il gruppo di pianificatori nominati per riorganizzare l’intero sistema carcerario iracheno. La squadra non aveva praticamente nessuna esperienza di pianificazione. Infatti, tutto ciò che avevano in comune era essere membri di una confraternita che si erano recentemente laureati assieme nello stesso istituto.

Naturalmente, questo genere di corruzione e di clientelismo non è solo in Iraq. E’ la tipica ricompensa per essere dalla parte dei “vincitori” di una guerra imperialista. Ma la denuncia della PBS non sarebbe stata fatta se fossero stati raggiunti gli obiettivi dell’occupazione ed i profitti del petrolio stessero scorrendo verso le banche imperialiste.

In una serie di interviste, “L’anno perduto”, volendolo o non volendolo, mostra l’atteggiamento razzista del personale Usa che ha amministrato l’occupazione su base giornaliera.

In un’intervista, per esempio, Barbara Bodine, ambasciatrice presso l’Ufficio per l’assistenza umanitaria, cerca di screditare il movimento di resistenza dicendo che le sue origini potevano essere trovate nel disordine e nel caos che avvennero a Baghdad dopo il crollo dello stato iracheno. Eguaglia la crescita del movimento di resistenza ad una malattia con la sua origine biologica in quegli eventi.

L’analogia razzista per l’eroico popolo iracheno che resiste all’occupazione, proveniente da un ambasciatore “umanitario” presumibilmente più esperto nell’arte della diplomazia, fornisce un’utile comprensione su come i pianificatori militari e politici dell’imperialismo Usa considerino un popolo occupato.

Potenza militare contro resistenza popolare

L’amministrazione Bush prese la decisione di invadere l’Iraq i primi giorni dopo le elezioni del 2000. Tale fatto ora è stato documentato da numerose fonti, come le memorie dell’ex segretario al tesoro Paul O’Neill.

L’imperialismo Usa ha concentrato il suo incomparabile arsenale di risorse tecnologiche, economiche, politiche e militari nella ricerca del dominio globale: satelliti che vedono tutto, le più potenti forze armate al mondo, egemonia politica alle Nazioni Unite e controllo delle istituzioni finanziarie internazionali come il Fondo Monetario Internazionale.

Il Pentagono mise all’opera migliaia di pianificatori per preparare l’invasione e l’occupazione. Esperti di istituti di ricerca prepararono centinaia di scenari ed opzioni. I media delle grandi aziende hanno speso migliaia di ore in trasmissioni ed infinite pagine di giornali e siti web per preparare l’opinione pubblica degli Usa alla guerra — persino prima degli attentati dell’11 settembre. I diplomatici hanno blandito alleati disposti e riluttanti nelle capitali di tutto il mondo.

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Residenti di Baghdad inneggiano mentre le forze Usa rimuovono dei checkpoint, 31 ottobre 2006. Foto: Reuters/Kareen Raheem

Il 19 marzo 2003 il culmine di questi sforzi ha portato all’invasione dell’Iraq.

Ma, come per tutti gli imperi precedenti, i pianificatori imperialisti hanno sottostimato il potere di resistere delle masse. Tutti i pianificatori hanno trascurato il desiderio del popolo iracheno per la sovranità ed il controllo sul loro paese e le sue risorse.

I militari Usa non possono essere sconfitti in senso militare formale — sul campo di battaglia con carri armati, aerei e navi. Ma la guerra non è solamente un progetto militare. Un esercito di soldati con nessun interesse materiale nella vittoria — in questo caso, l’assoggettamento di un intero popolo per i profitti del petrolio — non è forte quanto una resistenza profondamente radicata nella popolazione ed infusa dell’energia per la liberazione nazionale.

E’ stata una lezione che le forze di liberazione vietnamite re-insegnarono ai generali del Pentagono ed ai politici imperialisti. E’ stato il sogno della banda Bush dimostrare falsa quella lezione.

Il popolo iracheno vuole la fine dell’occupazione. Ciò è tanto evidente nelle azioni quotidiane di resistenza quanto nei sondaggi condotti dallo stesso regime occupante.

Allo stesso tempo, l’opinione pubblica Usa si è sempre più rivoltata contro la guerra. Migliaia di soldati sono morti e decine di migliaia sono stati gravemente feriti. Mentre vengono spesi miliardi di dollari per la guerra, i servizi sociali sono tagliati ed eliminati.

Il problema che l’amministrazione Bush ed il nuovo Congresso controllato dai democratici fronteggiano è che il Pentagono non può sconfiggere militarmente la resistenza o l’insurrezione in Iraq e nemmeno può ritirarsi facilmente senza accendere potenzialmente altre insurrezioni anti-Usa in Egitto, Giordania ed Arabia Saudita. Evitare la percezione di una sconfitta militare è diventato di conseguenza un obiettivo centrale per i responsabili politici del Pentagono e per l’establishment imperialista nel complesso. Questo è qualcosa come una replica della situazione imbarazzante che si trovò di fronte l’amministrazione Nixon quando assunse la carica nel 1969.

Per la fine del 1969 Nixon ed il militari si erano resi conto che la vittoria in Vietnam, nel senso militare, era impossibile. Il loro nuovo obiettivo era sottrarsi ad una sconfitta catastrofica. Trentamila soldati Usa in più e centinaia di migliaia di vietnamiti morirono tra il 1969 ed il 1973 prima che l’establishment politico degli Usa riconoscesse che la sconfitta era davvero impossibile da evitare.

Versione originale:

Saul Kanowitz
Fonte: http://socialismandliberation.org/
Link: http://socialismandliberation.org/mag/index.php?aid=721
Dicembre 2006

Versione italiana:

Fonte: ttp://freebooter.interfree.it/
Link: http://freebooter.interfree.it/usrcdit.htm

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