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LA CHERNOBYL AMERICANA

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A cura di Davide
Il 13 Maggio 2010
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DI DMITRY ORLOV
energybulletin.net

Tracciare analogie tra incidenti industriali è uno sport da poltrona di dubbia utilità, ma qui le analogie si stanno accumulando e cominciano ad essere difficili da ignorare:

– un’esplosione alla centrale nucleare di Chernobyl nel 1986 ha sparso scarti radioattivi per l’Europa;

– una recente esplosione e affondamento di una piattaforma di trivellazione petrolifera della BP’s Deepwater Horizon sta vomitando petrolio nel Golfo del Messico.

Questi incidenti sono stati entrambi alquanto spettacolari. A Chernobyl, la potenza dell’esplosione, causata dal vapore surriscaldato all’interno del reattore, sparò in aria a 10-14 metri di altezza le 2500 tonnellate del coperchio del reattore, esso volteggiò come una monetina e poi si schiantò sui resti del reattore. La nuvola di vapore surriscaldato si separò poi in una grande massa di gas d’idrogeno, il quale esplose, demolendo la struttura del reattore e quelle adiacenti. La Deepwater Horizon, lo scoppio di un pozzo di petrolio recentemente completato, ha lanciato una raffica incontrollata di petrolio e gas, pressurizzata oltre i 10.000 psi [libbre per pollice quadrato, ndt] dai 25.000 piedi [circa 8.000 metri, ndt] di profondità del pozzo, fino alla piattaforma di trivellazione, dove è esplosa, causando un incendio.

A seguito, “L’arma di distruzione di massa chiamata BP (Lucio Manisco, luciomanisco.com);Poi l’impianto è affondato, e si è ridotto ad un cumulo di macerie in cima al pozzo di petrolio, che continua a sputare almeno 200.000 galloni di petrolio al giorno. Tale quantità potrebbe essere sufficiente ad uccidere o contaminare tutta la vita marina all’interno del Golfo del Messico, inquinandone il litorale, a causa della Corrente del Golfo, per gran parte delle coste orientali, almeno fino a Cape Hatteras in North Carolina e forse anche oltre. Qualche macchia probabilmente si spingerà a nord fino alla Groenlandia.

Il disastro di Chernobyl fu causato in maniera più o meno diretta dalla politica: i responsabili della sala di controllo del reattore non avevano alcuna esperienza precedente in materia di operazioni di un reattore o di chimica nucleare, avendo ottenuto il loro lavoro tramite il Partito Comunista. Tentarono un esperimento pericoloso, lo eseguirono senza competenza ed il risultato fu un’esplosione ed una fusione. Il disastro della Deepwater Horizon potrebbe avere delle cause simili. La BP – British Petroleum, proprietaria della Deepwater Horizon, è presieduta da un certo Carl-Henric Svanberg – un uomo senza esperienze nell’industria petrolifera. Le persone che lavorano nel consiglio di amministrazione delle grandi compagnie tendono a considerare la gestione come una sorta di abilità eterea, estranea a qualsiasi ambito specifico o industria, piuttosto simile al modo in cui il Partito Comunista Sovietico pensava del talento dei suoi quadri che provò ad usare. La BP è già accusata per aver trivellato ad una profondità di 25.000 piedi mentre le è concesso arrivare fino a 18.000, per aver eluso gli aggiornamenti di sicurezza della documentazione tecnica, per la mancata installazione dei pezzi chiave dell’equipaggiamento di sicurezza in modo da contenere i costi.

In maniera ancora più importante, i due disastri sono analoghi nelle sfide senza precedenti a livello politico, tecnico ed amministrativo create dalle loro bonifiche. Nel caso di Chernobyl, la difficoltà tecnica era derivata dal bisogno di trattare scorie ad alto livello di radioattività. Pezzi di combustibile per il reattore rimasero sparsi attorno ai resti della struttura e gli operai che li raccoglievano con le pale e li deponevano nei barili furono contaminati in modo letale in pochissimi minuti. Per spegnere il fuoco ancora vivo nel nucleo fuso del reattore, vennero gettati sacchi di sabbia e boro dagli elicotteri, con conseguenze letali per gli equipaggi. Infine, fu costruito un vero e proprio sarcofago attorno al reattore demolito per sigillarlo dal resto dell’ambiente. Nel caso Deepwater Horizon, la difficoltà tecnica consiste nell’arrestare una fuoriuscita di petrolio ad alta pressione, probabilmente misto a gas naturale, che sgorga dal rottame aggrovigliato e bruciato della piattaforma di trivellazione a 50.000 piedi di profondità. E’ in corso un tentativo di sigillare la perdita facendo calare da una gru galleggiante un “aggeggio” di cemento e acciaio del peso di 100 tonnellate per poter catturare e pompare il petrolio in fuoriuscita. Credo che “sarcofago” suoni meglio.
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La sfida amministrativa, per quanto riguarda Chernobyl, consisteva nell’evacuazione ed il re-insediamento di grandi popolazioni urbane e rurali dalle zone che erano state contaminate dalle radiazioni, nel prevenire la vendita di generi alimentari contaminati e nell’affrontare le conseguenze mediche dell’incidente, compreso un alto tasso di casi di cancro, leucemia infantile e difetti alla nascita. L’effetto della massiccia perdita di petrolio dalla Deepwater Horizon provocherà probabilmente una notevole dislocazione delle comunità costiere, privandole del loro sostentamento dalla pesca, il turismo e le attrazioni. A meno che gli sforzi per soccorrere questa gente non siano insolitamente rapidi e completi, i loro problemi insanguineranno e avveleneranno la politica.

Le sfide politiche, in entrambe i casi, si sono concentrate sull’incapacità dell’establishment politico di accettare il fatto che una fonte primaria di energia (il nucleare o il petrolio) era nelle mani di una tecnologia malsicura ed incline ad un fallimento di proporzioni catastrofiche. Il disastro di Chernobyl ha provocato un danno irreparabile alla reputazione dell’industria nucleare ed ha precluso qualsiasi ulteriore sviluppo nel settore. Il caso della Deepwater Horizon farà lo stesso rispetto all’industria petrolifera, provocando la limitazione di qualsiasi possibile potenziamento in materia di trivellazione in mare, dove si può trovare ancora molto petrolio, e forse anche l’arresto dei progetti già iniziati. A sua volta, questo potrebbe affrettare l’inizio della scarsità di petrolio a livello globale, che il Pentagono ed il Dipartimento di Energia degli Stati Uniti hanno previsto per il 2012.

Basta tradurre “incidente industriale” in russo e poi di nuovo in inglese per ottenere “catastrofe tecnogenica”. Questo termine è stato usato parecchio in riferimento al disastro di Chernobyl. Ed è molto più descrittivo della alquanto flaccida espressione inglese, in quanto dà la colpa a quella che in definitiva è responsabile in ogni caso: la tecnologia, come anche i tecnici ed i politici che la sfruttano. Una tecnologia che può fallire, alle volte in modo catastrofico, provocando devastazione a livelli inaccettabili, e che non è buona, indipendentemente da quanto possa risultare necessaria sul piano economico. Deve essere fermata. In seguito al disastro della Deepwater Horizon, si comincia a sentir parlare dello sviluppo della trivellazione come “clinicamente morto”. Questo potrebbe essere l’inizio della fine dell’enorme bestia moribonda che è l’industria petrolchimica, o magari ci sarà bisogno di altri incidenti simili affinchè ci si renda veramente conto e si senta gridare “Fermateli!”.

L’industria energetica ha esaurito le risorse convenienti e di alta qualità da sfruttare ed ora è costretta a ripiegare su quelle che prima aveva ignorato: sporche, miserabili, difficili, costose risorse come la sabbia da catrame, l’olio pesante, lo scisto e le risorse offshore. Sotto la pressione implacabile del fare di più avendo meno, la gente cerca sempre di trovare scorciatoie dove possibile e l’ambiente ne può soffrire. Prima che si schianti definitivamente al suolo, l’enorme sforzo finale di spremere le poche ultime gocce di energia da un pianeta impoverito continuerà a favorire disastri sempre più grandi. Forse le macabre conseguenze di questo ultimo incidente spingeranno un numero sufficiente di persone a proclamare “Basta! Fermate tutto!”. Altrimenti, c’è sempre il prossimo.

Dmitry Orlov
Fonte: www.energybulletin.net
Link: http://www.energybulletin.net/node/52716
6.05.2010

Traduzione per www.comeonchisciotte.org a cura di ROBERTA PAPALEO

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