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La Redazione

 

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INCHIESTA A WOODCOCK – MASSONI DA DIO

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A cura di God
Il 14 Giugno 2007
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La Voce della Campania

Alla fine dell’articolo, alcune lettere pervenute in redazione.

Il pubblico ministero di Potenza John Woodcock chiede a 103 prefetti italiani di acquisire gli elenchi degli “incappucciati”. Ma intanto già nelle carte dell’inchiesta che aveva travolto Vittorio Emanuele spuntano piste che aprono scenari finora inediti. Ordini dinastici o clericali in forte odor di massoneria popolati da strani personaggi inquisiti per attività sovversive ed oggi nuovamente all’opera sotto copertura religiosa.

L’ultima volta che la connection fra Vaticano, massoneria e mafia aveva sconquassato assetti istituzionali e cronache giudiziarie fu ai tempi del crack del Banco Ambrosiano con la “eliminazione” di Roberto Calvi sotto il ponte dei Frati neri, a Londra. Oggi a ficcare il naso in quel maleodorante intreccio fra poteri deviati ci riprova il cocciuto magistrato britannico-partenopeo Henry John Woodcock, l’unico sfuggito (finora) a quei subitanei provvedimenti di “avocazione” o alle rituali pratiche d’insabbiamento che avevano bloccato quasi sul nascere analoghe inchieste, dalla Phoney Money di David Monti ad Aosta (con il coraggioso inquirente trasferito in Toscana ad occuparsi di più tranquille vicende) o la vicenda Cheque to Cheque: un pentolone di malaffari tra alti prelati, traffico di armi e boss in odor di affiliazione scoperchiato qualche anno fa dalla Procura di Torre Annunziata e in poco tempo svaporato nel porto delle nebbie. Senza contare che il vero predecessore di Woodcock era stato proprio l’ex procuratore capo di Napoli Agostino Cordova, che fece acquisire elenchi di affiliati alle logge massoniche dalle procure di tutta italia: faldoni che ancora oggi ammuffiscono nei depositi del palazzo di giustizia romano, dopo l’archiviazione disposta all’epoca dal giudice della capitale Augusta Iannini, fra l’altro moglie del giornalista Rai Bruno Vespa.

Ma che cosa ha potuto far riaprire oggi quello scottante capitolo, al punto da indurre il pubblico ministero potentino a chiedere ai 103 prefetti italiani di acquisire gli elenchi degli insospettabili in grembiulino? E cosa riservano di nuovo i filoni sui rapporti fra massoni deviati e le segrete stanze d’oltre Tevere esistenti nei fascicoli all’attenzione di Woodcock? La Voce, che per prima nel 1992 aveva pubblicato gli elenchi dei massoni della Campania e, qualche anno dopo, quelli dei principali affiliati all’Opus Dei e alla Augustissima Arciconfraternita del Pellegrini, prova a partire proprio da acuni nomi presenti nell’inchiesta potentina per seguire le fila che conducono ad alcuni inediti scenari.

Cominciamo da monsignor Francesco Camaldo, controverso cerimoniere vaticano coinvolto nell’indagine che un anno fa aveva portato dietro le sbarre Vittorio Emanuele di Savoia. 55 anni, originario di Lagonegro così come l’ex arcivescovo di Napoli Michele Giordano, col quale ha avuto a lungo comunione d’intenti, secondo l’accusa formulata dalla procura potentina che lo ha iscritto nel registro degli indagati, Camaldo avrebbe chiesto al faccendiere Massimo Pizza di oscurare il sito internet www.pravdanews.com, che conteneva notizie sgradite ai Savoia, con i quali il monsignore ammette d’aver intrattenuto solidi rapporti d’amicizia. Dello stesso reato è accusato anche Emanuele Filiberto: le notizie indigeste a suo padre riguardavano l’Ordine dinastico di casa Savoia, quello dei Santi Maurizio e Lazzaro. Quel sito, di fatto, è sparito dal web e non ne esistono a tutt’oggi tracce.

Entrano così in scena i più ingombranti protagonisti del milieu massonico criminale su cui sta cercando di far luce la magistratura. Un parterre condito di altisonanti cerimonie, ridondanti titoli cavallereschi, oscure affiliazioni e, probabilmente, un sottobosco di affari illeciti. Il tutto con la copertura, non sempre involontaria, di esponenti delle alte sfere vaticane e, come vedremo, anche di qualche grossa personalità della cultura internazionale. Il nome di monsignor Camaldo risuonava nelle stanze della Procura di Potenza già diversi mesi prima dell’ordine di custodia cautelare per sua altezza. A rivelare il particolare è l’agenzia Adista in un articolo a firma di Luca Kocci: «allora il cerimoniere del papa era solamente stato interrogato dal pm Woodcock nell’ambito di un’indagine per una maxi-truffa ai danni di diversi imprenditori italiani architettata da Massimo Pizza. Era stato lo stesso Pizza a tirare in ballo monsignor Camaldo, sostenendo davanti agli inquirenti di avere con lui uno “scambio fruttuoso di notizie” e dichiarando che il prelato si sarebbe mosso “per distruggere” una loggia massonica avversaria». E proprio le indagini su Pizza avevano consentito ai magistrati potentini di avviare l’inchiesta che ha travolto i Savoia.

Decano dei cerimonieri pontifici, in prima fila alle esequie di Giovanni Paolo II e da sempre vicinissimo al suo successore Joseph Ratzinger (che qualche anno fa addirittura gli telefonò, in occasione del suo compleanno, durante i festeggiamenti a casa della madre Irma), Camaldo è finito nelle “grinfie” di Dagospia per le sue frequentazioni mondane, ad esempio in occasione della mega festa in maschera organizzata dallo stilista Gay Mattiolo, che passa per essere suo ottimo amico. «Ma soprattutto – ricostruisce Kocci – Camaldo è stato il “regista” della visita dei Savoia in Vaticano, il 23 dicembre 2002, appena decaduto il divieto di ingresso in Italia per i “reali”; ha aiutato Emanuele Filiberto ad organizzare il suo matrimonio con Clotilde Courau, celebrato dal cardinale Pio Laghi nella basilica di Santa Maria degli Angeli, a Roma, nel settembre 2003; ha concelebrato il battesimo della figlia di Emanuele Filiberto, Vittoria Chiara, nella basilica inferiore di san Francesco, ad Assisi, a maggio 2004; ed è grande amico di Vittorio Emanuele, come ha spiegato Pizza ai magistrati di Potenza: l’erede al trono “è stato ospite a casa sua nell’appartamento di San Giovanni Laterano”». Trait d’union fra le due alte sfere – il Vaticano e Casa Savoia – potrebbero essere i due ordini religiosi che vedono rispettivamente in campo monsignor Camaldo e Vittorio Emanuele.

ORDINE, GENTE…

La Gran Cancelleria dell’Ordine al Merito di San Giuseppe, che vede tra gli affiliati monsignor Francesco Camaldo nel ruolo di “cavaliere ufficiale”, vanta ascendenti nel granducato di Lorena Asburgo: Gran Maestro è infatti «S. A. I. & R. (sua altezza imperiale e reale, ndr) Arciduca Sigismondo d’Asburgo Lorena Toscana, Gran duca titolare di Toscana, Arciduca d’Austria, Principe reale di Ungheria e di Boemia». Poi, subito, la prima scoperta. Chi troviamo nella pomposa lista dei “commendatori”? Nientemeno che il «Gen. Dott. Amos Spiazzi di Corte Regia», al secolo, quello stesso neofascista definito dal giudice Felice Casson «un convinto e irriducibile cospiratore» ed arrestato nel 1974 per il golpe della “Rosa dei venti”, organizzato in ambienti militari di estrema destra, compresi Ordine Nuovo e i servizi segreti sia italiani che di alcuni paesi della Nato. Condannato a 5 anni di reclusione, nel 1984 fu assolto in appello. Analogo esito aveva subito la condanna all’ergastolo per la strage della questura di Milano. Non appena riabilitato, il camerata Spiazzi, che si proclama “vittima” della malagiustizia italiana, nel 2002 ha fondato i “Fasci del lavoro” in provincia di Mantova. E si dà da fare, oltre che nell’Ordine di San Giuseppe, anche nell’altra corazzata dai contorni massonici, le Guardie d’onore di Napoleone: un consesso “nobiliare” che rilascia titoli accademici, baronie e marchesati compresi, a coloro che si iscrivono ai corsi per body guard e mercenari organizzati dalle società di Giacomo Spartaco Bertoletti, uno dei formatori di Fabrizio Quattrocchi.

Ma ben altri vip popolano le auguste stanze dell’Ordine di San Giuseppe. Gran Cancelliere (praticamente il numero 2, dopo il sovrano d’Asburgo) è «Marchese Cav. Gr. Cr. Vittorio Pancrazi», ex vertice del Banco Ambrosiano (poi capo dell’ufficio fidi alla Comit di Firenze), da qualche anno riconvertito al ruolo di vinicultore nella sua tenuta di Bagnolo a Montemurlo, vicino Prato. Eccoci al notabile numero 3, il vice gran cancelliere «Marchese Gr. Cr. Dott. Don Domenico Serlupi Crescenzi Ottoboni», formidabile trait d’union fra l’Ordine di San Giuseppe e i confratelli del Sacro Militare Costantiniano Ordine di San Giorgio, armati di cappa e spada per difendere i “valori” delle crociate attraverso il loro Gran Maestro Carlo di Borbone.

Ai valori terreni provvedono altri confratelli di monsignor Camaldo, come il membro delle commissioni tributarie Francesco d’Ayala Valva, o il presidente della Cassa di Risparmio di Firenze Aureliano Benedetti, in questi giorni impegnato nella contrastata fusione del suo istituto di credito con Banca Intesa; si divide invece fra onorificenze e business umanitario il «Grande Ufficiale Comm. Cav. Lav. Flaminio Farnesi», governatore di quella Arciconfraternita della Misericordia e del Crocione di Pisa titolare di una convenzione con la locale Asl per il servizio di ambulanze.

Non mancano, nell’Ordine di San Giuseppe, nomi di spicco della politica (i presidenti della Regione Toscana Claudio Martini e del consiglio regionale Riccardo Nencini), e della cultura. Se nel primo caso potrebbe trattarsi d’una iscrizione rituale e, in qualche modo, dovuta, niente permette di escludere che sia più che convinta l’adesione di due intellettuali come il filosofo siciliano Francesco Adorno e soprattutto il medievalista Franco Cardini, ex membro del consiglio d’amministrazione Rai, entrambi nominati “Cavalieri” dell’Ordine. Un passato in politica vanta invece l’ex duro e puro della Lega Nord Alberto Lembo, Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine di San Giuseppe, eletto la prima volta al senato con la casacca di Umberto Bossi, poi un passaggio in An e infine, dopo lo schiaffo dell’esclusione dalle candidature 2006, fondatore di una sigla monarchica fai da te. Altri confratelli “eccellenti” di monsignor Camaldo nell’Ordine di San Giuseppe sono poi un prelato del calibro del cardinale tedesco Augusto Meyer, a lungo presidente del Pontificio Consiglio “Ecclesia Dei”, e monsignor Alberto Vallini, assistente ecclesiastico della “Primaria Associazione Cattolica”. Tra i civili di sangue blu, anche il cavaliere Giuseppe Pucci Cipriani, artefice ogni anno di un raduno a Civitella del Tronto durante il quale, vagheggiando il ritorno del papa re, si fa in quattro per favorire le nozze fra i leghisti di Mario Borghezio e i ruspanti neoborbonici partenopei. Ma di Pucci Cipriani si ricordano soprattutto l’amicizia con il commissario Luigi Calabresi, ucciso dalle Br, e le successive frequentazioni con l’omicida pentito Leonardo Marino.

ADDA VENI’ PELLICCIONI

Dulcis in fundo, fra cavalieri, croci e gran maestri dell’Ordine di San Giuseppe, fino a poco tempo fa si aggirava anche il massone conclamato Luciano Pelliccioni, il cui nome risulta ora scomparso dalle liste. Di Pelliccioni si era occupato per la prima volta a fine anni ottanta il magistrato torinese Lorenzo Poggi nell’ambito di un procedimento penale per associazione a delinquere finalizzata «alla confezione e distribuzione di diplomi di laurea privi di valore legale recanti timbri Cee contraffatti», che vedeva fra gli indagati anche il fondatore del Parlamento Mondiale di Palermo, “Sua Beatitudine Viktor Busà”, descritto come personaggio «in rapporti col massone di spicco della circoscrizione Sud Usa, il principe Alliata di Monreale». «Busà – si legge in una consulenza resa all’epoca da esperti della Procura piemontese – risulta essere collegato anche al Sovrano Militare Ospedaliero Ordine di San Giorgio in Carinzia attraverso il suo Gran Maestro, Luciano Pelliccioni. Di quest’ordine si era interessato il giudice Giovanni Tamburino all’epoca dell’inchiesta padovana sull’organizzazione eversiva “Rosa dei Venti”».

BARBACCIA CONTRO YASMIN

Che ci faceva l’incappucciato Pelliccioni nell’Ordine di San Giuseppe? Il suo nome, di sicuro, riporta a un’altra disputa dinastica dagli accentuati contorni massonici: quella in atto fra la autoproclamatasi «Yasmin Hohenstaufen, Sovrana Suprema del Supremo Consiglio del Mondo di tutti gli Ordini e Riti Massonici», e il presunto «Principe Paolo Francesco Barbaccia degli Hohenstaufen di Svevia». Fra i due “nobili”, da tempo, volano gli stracci. Stando al velenoso scambio di accuse, la prima altro non sarebbe che l’umile Aprile Gelsomina originaria di Vallo di Briano, un paesino in provincia di Caserta; il secondo proverrebbe invece dalla famiglia siciliana di quell’onorevole democristiano Francesco Barbaccia arrestato ad aprile 1993 per associazione mafiosa. «Buscetta – si legge negli atti del processo a Giulio Andreotti – ha riferito che la carriera politica del Barbaccia è stata costruita con l’appoggio di Cosa Nostra». Dall’alto delle sue esperienze “illuminate”, nel libro intitolato “I falsi re di Svevia” Pelliccioni aveva stroncato le velleità nobiliari di Barbaccia. E quest’ultimo tiene a spiegare il perchè: «nel 1981 tramite un personaggio di Poggibonsi conobbi il signor Luciano Pelliccioni che mi ha conferito il diploma di Cavaliere dell’Ordine di San Giorgio in Carinzia. Entrando negli dettagli e venendo a conoscenza delle informazioni compromettenti su Pelliccioni e sul suo “Ordine”, rifiutai la sua proposta di “nobilizzarmi” per 50 milioni di lire. Tutto questo ha fatto sì che Pelliccioni mi abbia inserito nel suo libro, vendicandosi a modo suo». Solo folklore? Le pruderie nobiliari di quattro buontemponi nostalgici? Oppure, come spesso è accaduto, attraverso queste farsesche disfide sono ancora una volta loro, i massoni (vaticani e non) a scrivere le pagine della storia? E’ molto probabilmente su una di queste piste che sta lavorando Woodcock, al quale il sedicente agente del Sismi Massimo Pizza, nome in codice “Polifemo”, aveva rivelato che Camaldo era l’uomo dal quale «i politici lucani andavano a lamentarsi terrorizzati da alcune inchieste che li coinvolgono». Il monsignore si sarebbe adoperato poi «per distruggere» una loggia massonica, «che può togliere seguaci e può distogliere soprattutto soldi e capitali da un’altra loggia massonica». Di sicuro la vendita di onorificenze, titoli nobiliari e diplomi – che per i magistrati puzza di truffa – resta ancora un buon affare. Un “pacco” al quale tanti non sanno resistere. Nell’elenco dei “Cavalieri di Federico II” nominati da Barbaccia figurerebbero tra gli altri il presunto “Presidente dell’Associazione Italiana Tabaccai” Salvatore Coco, “Duca di Caltabellotta”, il «Cav. Carmelo Brunetto», bolognese, di professione promotore pubblicitario, nonchè i neoborbonici napoletani «Cav. Salvatore Lanza e Comm. Dott. Pietro Funari», nominato sul campo «coordinatore Napoli I».

PER CHI SUONA LA CAMPANA (dei Savoia)

Mi trovavo in un paesino vicino a Como per consegnare una campana dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Si è avvicinato un tizio in jeans, mi ha mostrato una targhetta: “Sono della polizia. Deve seguirci, qui c’è pericolo per la sua sicurezza”. Quindi mi hanno caricato in una piccola Punto per un interminabile viaggio. Dodici ore e mille chilometri fino a Potenza. Non sapevo cosa stesse accadendo, non sapevo dove mi stavano portando…». Consegne a domicilio, per gadget ed altri oggetti nobiliari che si possono acquistare attraverso il piccolo market che sua altezza Vittorio Emanuele di Savoia, evidentemente provato dai business miliardari che lo avevano portato dietro le sbarre, ha messo su attraverso il sito www.disavoia.org. Pagamenti personalizzati per chiunque non sappia rinunciare ad avere in casa un prezioso “souvenir”. Per il Supremo Ordine della Santissima Annunziata si può scegliere fra collane, spille e medaglie di ogni dimensione, mentre un’ampia gamma di croci e crocette potrà decorare il petto dei fedelissimi all’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro.

«E’ una vergogna – tuona indignata Maria Gabriella di Savoia – che Vittorio Emanuele con la complicità di sua moglie, e di suo figlio Emanuele Filiberto abbia introdotto una quota associativa, attività come la vendita di oggetti con lo scudo sabaudo e la carta di credito dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro». Ma intanto è proprio su compagini come questa che si starebbero appuntando le ricerche della Procura potentina sui rapporti fra Vaticano e massonerie deviate. Quartier generale dell’Ordine – presieduto da Vittorio Emanuele, gran cancelliere suo figlio Emanuele Filiberto – è Chemin du Vieux Vésenaz, un villaggio per miliardari sul lago di Ginevra. Tra gli affiliati spiccano due personalità del Parlamento europeo. Il primo è l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini, eletto nelle fila di Forza Italia. Albertini, che a Strasburgo riveste l’incarico di vicepresidente della commissione trasporti e turismo ed è membro della commissione per i problemi economici e monetari, ha un debole per le onorificenze: risulta infatti anche «Croce d’argento al merito dell’Ordine equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme; Croce di Grand’Ufficiale dell’Ordine al Merito melitense; Commendatore al merito del Sacro militare Ordine costantiniano di San Giorgio». Con Alleanza Nazionale è stata eletta invece a Strasburgo Cristiana Muscardini, un’antica militanza nel Msi, che può vantare la carica di «Commendatore dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro». Vicepresidente della Commissione per il commercio internazionale, Muscardini rappresenta la repubblica italiana anche nella delegazione parlamentare UE-Kazakistan ed UE-Kirghizistan. Non scherza neanche il consigliere comunale di Bologna Niccolò Rocco di Torrepadula, per gli avversari politici “Rocco di mamma”, ma per il suo nume tutelare Vittorio Emanuele «Comm. Nob. Don Niccoló Rocco dei P.pi di Torrepadula» e, in quanto tale, proclamato delegato per l’Emilia Romagna dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Resosi famoso soprattutto per l’indefesso attivismo nel celebrare matrimoni, il “principe” Niccolò discende da quella stessa casata napoletana che ha dato i natali a numerosi avvocati del foro partenopeo, tutti, a quanto pare, assai devoti. E’ il caso dei penalisti Marco e Piero Rocco di Torrepadula, entrambi affiliati all’Augustissima Arciconfraternita dei Pellegrini, che vede uniti nel segno della stessa fede anche alti magistrati, elevate sfere ecclesiastiche, famosi medici e grossi calibri dell’esercito italiano. Amen.

DA PIZZA A SCARAMELLA

Il testimone chiave dell’inchiesta di Woodcock Massimo Pizza è amministratore unico di una srl romana, la Morris, letteralmente sparita dai registri della Camera di Commercio. Inesistente nelle ricerche sull’azionariato, risulta come «Posizione sospesa per revisione archivio (progetto 15/11/99)» quando si prova ad identificarne la sede, gli altri amministratori, il capitale o lo scopo sociale, come per qualsiasi altra impresa. Potenza di un uomo che si è autoproclamato generale del Sismi, plenipotenziario italiano per la Somalia, depositario di segreti di Stato come quelli su Ustica o sull’assassinio di Ilaria Alpi, ma che le cronache giudiziarie hanno definito un anno fa, al momento dell’arresto, come «autista di Vittorio Emanuele». Qualche stranezza, comunque, la presenta anche l’altra sigla che vede il cinquentenne salernitano Pizza come amministratore. Si tratta della snc denominata, senza troppa fantasia, New Pizza, fondata a Roma nel ‘91 e dedita ufficialmente al commercio di materiale cinematografico. Socio di Pizza è il quarantaseienne Maurizio Primavera, residente nella capitale ma originario di Sassano, provincia di Isernia. Uomo di multiformi interessi, da cineprese e pellicole Primavera passa con disinvoltura a coltivare il business delle crociere marittime a bordo della sua Marlin One, una srl fondata a Frosinone ma con sede a Roma ed attiva in quel di Chioggia, dove si propone per battute di pesca, escursioni, esplorazioni turistiche o subacquee lungo la laguna. Un personaggio mai balzato agli onori delle cronache e di cui risulta difficile capire, quindi, quali interessi possa tuttora avere in comune col socio faccendiere Massimo Pizza.

Nessun dubbio, invece, sull’idem sentire fra quest’ultimo e il contestatissimo leader dei musulmani filoisraeliani italiani Massimo Palazzi, arrestato nella retata dello scorso anno a Potenza così come Antonio D’Andrea. Tanto quest’ultimo quanto lo stesso Pizza erano infatti vicepresidenti dell’AMI, alla cui guida siede appunto il “Dott. Prof. Mawlana Shaykh Abdul Hadi Palazzi Abu Omar al-Shafi’i, Gran Cancelliere dell’Ordine e Gran Precettore per la lingua italiana del Supremo Ordine Salomonico dei Principi del Shekal”. Cioè proprio lui, il romano de Roma Massimo Palazzi, in forte allure di massoneria. Della AMI e di Palazzi (nella cui orbita rientrano i giornalisti Dimitri Buffa del Giornale e soprattutto Magdi Allam, vicedirettore del Corriere della Sera) la Voce si era occupata qualche mese fa in un’inchiesta sull’altro millantatore “di stato” Mario Scaramella. Ad un convegno organizzato a Capua nel 2002 dalla Ecpp, la sigla “ecologista” del presunto 007 partenopeo, fra personalità di primo piano della magistratura come il pm palermitano Lorenzo Matassa, il giudice di Cassazione Amedeo Castiglione e l’attuale superispettore di via Arenula Arcibaldo Miller (parente acquisito di Scaramella), spiccava anche la partecipazione di Dimitri Buffa per conto della sigla musulmana messa su da Palazzi. Ecco la nota d’agenzia sull’evento: «Nel periodo dal 5 al 9 novembre il prof. Mario Scaramella, segretario generale dell’Environmental Crime Prevention Program (Ecpp) ha invitato una delegazione dell’A.M.I. e dell’Istituto Culturale della Comunità Islamica Italiana formata dal presidente Ali Hussen (Massimo Palazzi, ndr), dal responsabile del dipartimento per l’Asia Farid Naimi Khan e dal giornalista Dimitri Buffa a partecipare al simposio internazionale su “Tecnologie spaziali e sicurezza dell’ambiente”, organizzato dalla Sezione Affari scientifici della Nato e dall’Ecpp presso il Centro Italiano di Ricerche Aerospaziali (Cira) di Capua. «Nell’inchiesta potentina – sottolineava la Voce a dicembre 2006 – sono documentati vorticosi giri milionari, a bordo di alcune sigle condivise con alcuni compagni di merende: oltre ad Achille De Luca, anche Massimo Pizza e Antonio D’Andrea, i quali si vantano di essere stati agenti dell’Ufficio K del Sismi. Ma cosa ha architettato il quartetto? Una truffa milionaria ai danni di migliaia di risparmiatori, vendendo sul mercato i soliti prodotti-bidone, tramite tre società civetta, Fave, Bezenet e Ivatt Industries. E dove “volavano” i proventi truffaldini? Nei paradisi fiscali, naturalmente, via sigle off shore, approdando vuoi a Montecarlo, vuoi a Miami. Appunto, nella ricca Florida dove spunta la Ecpp di Scaramella».

Alcune lettere pervenute dopo l’uscita dell’articolo.

Dopo una telefonata di irriferibili insulti in redazione da parte di una sedicente portavoce, la “principessa” Yasmine ritrova il suo aplomb e invia una richiesta di rettifica in merito all’inchiesta di giugno. Nel pezzo, che è sotto gli occhi dei lettori, ci siamo limitati a ricordare che il massone conclamato Luciano Pelliccioni si è occupato in un suo libro della assai poco regale disputa fra il “principe” Paolo Francesco Barbaccia e la stessa Yasmine (chi ne ha il coraggio può dare un’occhiata al blog http://obi-wan.kenobi.it/fun_news/archives/001119.html, ma anche al sito di sua altezza www.federicostupormundi.it), prendendo le parti di quest’ultima. Avremmo voluto risparmiare alla signorina Aprile la pubblicazione di questa sua missiva, ma insiste. Ecco allora la parte centrale.

“ll nome della prof dr. Yasmin Gelsomina Aprile di burey anjou ou Avril de Saint Genis von Hohenstaufen Puoti di Canmore e’ quello di una principessa in quanto diretta discendente del figlio di Federico II ed Isabella d’Inghilterra del ramo provenzale Avril de Burey Anjou Plantagenet de Saint Genis. La principessa e’ altresi una diretta discendente di Re Desiderio, in quanto pronipote del Principe Poto, figlio di Re Adelchi e Capostipite dei Puoti. E’ semplicemente Sovrana del Legittimo scozzesismo in virtu’ di un diritto agalmonico e genetico-dinastico. Non ha alcun rapporto con la Massoneria Italiana che non ha mai voluto riconoscere o legittimare. E’ giornalista, gia’ Presidente per 15 anni della multinazionale Reader’s Digest, docente di corsi post un. per 20 anni columnist alla stampa di Torino Rai , Nbc. Storico, scrittrice , autrice di saggi sul management, drammaturga, si occupa di diritti umani, ha fondato l’Ucle Ucert. E’ nato nel Palazzo del Principe marchese Francesco Puoti medico chirurgo, suo bisnonno.Rettifichiamo che non e’ nata a Valle di Briano ma a Villa di Briano. Per quanto riguarda le pretese dei cosidetti falsi re di Svevia, la fondazione ha preso le distanze, con diffida come si evince dal sito ww.federicostupormundi.it www.hohenstaufen.org.uk www.geocities.com/k_hohenstaufen Nulla ha da dividere con la realta’ italiana cui e’ assolutamente estranea. Non deve niente a nessuno e non ha mai chiesto nulla a nessuno!”.

In maniera molto più urbana ci scrive anche Massimo Pizza, inquisito numero uno nell’inchiesta di Potenza. Pizza parla però di “notizie false che mi riguardano”. Le notizie, come vedremo di qui ad un attimo, false non sono affatto. «L’autore dell’articolo, che firma Rita Pennarola – scrive testualmente Pizza – afferma che esiste un legame tra il sottoscritto e il Sig. Scaramella. A tale proposito, la Invito a prendere atto ed a pubblicare con le stesse modalita’ con le quali la notizia mendace e’ stata diffusa, da un lato, che il sottoscritto non conosce il Sig. Scaramella e che non ha mai partecipato a convegni organizzati dal fantomatico ECPP».

Qui finisce la lettera. Ancora una volta, signor Pizza, rilegga il pezzo: non abbiamo scritto che c’è un legame fra lei e Scaramella né che lei ha partecipato al convegno di Capua. Nel pezzo viene riportata la partecipazione a quel “summit” di esponenti dell’A.M.I., la sigla di cui lei è stato vicepresidente. Persone, quindi, a lei ben conosciute e vicine. Tutto qui. La notizia, fra l’altro, è ancora presente sul vostro sito http://www.amislam.com/capua.htm.

Ci ha telefonato infine l’altro vicepresidente dell’AMI, Antonio D’Andrea, stavolta senza spiegare il motivo della sua doglianza, ma solo per preannunciare una eventuale querela. Anche a lui rispondiamo che esistono – com’è ovvio e doveroso – documenti a supporto delle cose che scriviamo. Per tutto il resto, il compito è della magistratura. Alla quale – com’è altrettanto doveroso – trasmettiamo di regola il contenuto del nostro lavoro giornalistico.

Rita Pennarola
Fonte: http://www.lavocedellacampania.it
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Giugno 2007

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