Con questo racconto dello scrittore e amico di CDC Massimo Ferrini, auguriamo Buon Natale a tutti i lettori di ComeDonChisciotte.org.
Buona lettura e tanti auguri a tutti dalla redazione.
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Il vecchio e il viandante
Di Massimo Ferrini (*)
Un vecchio sedeva all’ombra di un grosso albero davanti ad una grotta che da tempo immemorabile era la sua dimora.
Nonostante la solitudine, aveva conservato modi gentili nei confronti di chi di tanto in tanto transitava sulla polverosa strada che poco più sotto, lasciata alle spalle l’antica città, volgeva dritta verso oriente.
Un tempo, gli eserciti cristiani diretti in Terra Santa erano passati da li. Dopo di che, solo qualche piccola carovana, o qualche avventuriero in cerca di fortuna, aveva fatto la sua fugace comparsa. La vegetazione rigogliosa cercava anno dopo anno di rimarginare quella che dall’alto sarebbe apparsa come una vecchia cicatrice nel fianco della collina, riconquistando con caparbi arbusti gran parte della carreggiata.
Erano trascorsi molti giorni, se non mesi, dall’ultimo umano che era giunto sin li più morto che vivo,ed il vecchio, che da tempo godeva fama di saggio e guaritore, lo aveva probabilmente sottratto alla morte, quando ormai la febbre e i bubboni di una mortale malattia stavano per avere il sopravvento sul suo corpo.
Erano tempi in cui quelle contrade ormai deserte, erano state ulteriormente devastate da quella nuova piaga che aveva decimato la popolazione forse più di quanto avessero fatto le guerre. Senza curarsi di un possibile contagio, aveva guarito miracolosamente ciò che restava di quell’essere umano, e quella incredibile guarigione e il veloce ristabilirsi che ne seguì avrebbero potuto far correre grossi rischi al vecchio,se la notizia di quel prodigio fosse giunta alle orecchie sbagliate.
Tanti poveri innocenti, soprattutto donne, giovani e vecchie, erano saliti sul rogo con l’accusa di stregoneria, cercando di esorcizzare la malattia, immolando un capro espiatorio. Ma probabilmente, l’alone di mistero che circondava il saggio,oltre a suscitare venerazione in chi lo conosceva, incuteva rispetto e timore. E come succede in questi casi poi, la leggenda ne aveva fatto un essere soprannaturale contro cui era meglio non schierarsi.
Del resto, fosse vero o no, che come diceva qualcuno fosse in grado di volare, di scomparire o di lanciare maledizioni mortali, era sicuramente un essere singolare, ed anche il più stolto degli uomini, solamente guardandolo negli occhi,avrebbe intuito che quella luce particolare, brillava di un’intensità sconcertante che costringeva anche il più audace ad abbassare lo sguardo. Un rumore di passi strascicati ed incerti, interruppe lo stridulo canto delle cicale in quel primo pomeriggio d’estate.
L’uomo affannato e sudato che comparve, si rivolse al vecchio senza preliminari:“posso sedermi anch’io all’ombra del tuo albero?” chiese con voce incapace di dissimulare l’aridità della sua gola.
Il vecchio senza rispondere si alzò e sparì dentro la caverna, ricomparendo poco dopo con una brocca d’acqua fresca che porse al viandante. Poi, in risposta alla domanda, dopo un tempo che era parso interminabile, disse: “chi sono io per negarti l’ombra di un albero, né l’una, né l’altro mi appartengono.”
L’uomo bevve avidamente, sentendo ogni cellula del suo corpo pervasa di nuova energia, poi disse: “grazie per l’acqua e scusa se non mi sono presentato, io sono Simone, un viandante che cerca la verità. Mentre tu lo so, sei il vecchio saggio che abita nella grotta.
Già alcuni giorni fa, più di una persona che ho incontrato, a cui avevo chiesto indicazioni per il mio cammino, mi aveva parlato di te.
Anche in città tutti ti conoscono, ma ho l’impressione che la tua fama si sia spinta ben oltre, non è così?”
“Io abito nella grotta, e questo è vero, il resto l’hai detto tu . Dimmi piuttosto, dov’è che pensi di trovare la verità?”
L’uomo esitò un attimo, poi rispose:“già da tempo vado errando senza alcun successo, ma da qualche parte deve pur esserci, e se c’è io la troverò, dovessi anche vagare così per il resto dei miei giorni.”
Passarono lunghi minuti di silenzio, durante i quali il vecchio sembrò soppesare la risposta del suo interlocutore, poi chiese: “dunque attraverserai Paesi, vedrai genti con usanze e costumi diversi, conoscerai il freddo delle montagne innevate ed il torrido caldo dei deserti, respirerai la brezza del mare e ne affronterai le tempeste; pianure, colline, foreste, fiumi e poi mari, e poi ancora deserti, e quando infine, dopo anni, tornerai qui, pensi davvero di potermi dire che l’hai trovata?”
Il giovane perplesso, replicò chiedendo a sua volta: “ tu allora la cerchi qui la verità, senza mai muoverti da questa caverna?”
“Che bisogno ho di muovermi” disse il vecchio “ per cercare ciò che già posseggo?”
“E dov’è che l’hai trovata?” disse l’altro “ o è un segreto che non puoi svelarmi?”
“Io non ho segreti rispose, “avere, possedere poi, sono concetti che non fanno più parte della mia esistenza; non ho neppure un nome, un qualcosa in cui identificarmi, anche se a chi mi conosce piace chiamarmi il saggio, il vecchio saggio, o l’eremita; il poco o il tanto che ho posseduto è stato solo un peso nella mia vita e non è servito altro che a limitare le mie azioni e le mie scelte, e a rendere difficile discernere il vero dal falso. Ora l’unica cosa che mi è rimasta è questo corpo logoro a cui da tempo sono pronto a rinunciare. Tu non mi crederai, ma questi orecchi hanno udito abbastanza, questi occhi hanno visto abbastanza, e tutt’ora vedono ancora cose meravigliose, come il sole che accende i colori di questa nostra terra, o la luna e le stelle che magicamente rischiarano queste notti in cui i suoni della vita che scorre prendono il sopravvento e tutto sembra diverso e irreale, e pur sempre incredibilmente bello. La notte, seduto qui davanti alla mia vecchia dimora, ascolto e guardo, ed ogni volta, tutto ciò che mi circonda, mi fa sentire il bambino appena venuto al mondo che si sforza di capire, di interpretare gli innumerevoli suoni. Ogni mattina, ogni alba di questa mia vita, raggiungo il fiume pochi passi qui sotto, e la sua voce mi giunge come lo scorrere eterno del tempo a far sembrar vera questa nostra illusione di noi piccoli esseri, ed ogni volta cado nella sua trappola suadente come chi ascolta il canto delle sirene o delle ninfe delle acque. Con i miei occhi vecchi e stanchi vedo ancora lo scorrere della vita nei pesci argentati che guizzano nella corrente, negli uccelli padroni dell’aria che popolano questo spicchio di cielo. Con quello che ho visto ed ancora vedo, potrei parlare e meravigliarti, e forse tenerti qui per giorni, ma al momento di riprendere il cammino, troveresti inutile questa tua sosta. Allora io ti dico, non posso regalarti la mia verità, che come un vestito potrebbe sembrarti troppo stretto o abbondante e oltretutto ogni giorno diverso. Ma la sete che ti ha spinto a cercare faticosamente ciò che forse neppure in mille anni avresti potuto trovare, ti ha condotto infine qui. Forse da sempre era scritto,come da sempre nel destino di un uomo che cerca, di incontrare un vecchio che possa indicargli la via. Cerca dentro te stesso”. disse infine, e le parole rimasero un attimo sospese nell’aria, quasi a volersi materializzare, a voler lasciar segno in quella roccia vecchia come la terra. Poi, vedendo la perplessità e l’incredulità nella faccia del suo interlocutore, aggiunse: “ sono stato anch’io un viandante, in un certo senso”.
E quelle parole sembrarono trasportarlo lontano nel tempo.
“E non nego l’immensità delle esperienze che ho fatto nel mio vagabondare, né posso dire che non mi hanno aiutato nel mio intento, ma a niente tutto ciò sarebbe servito, se finalmente non avessi rivolto lo sguardo dentro di me, e quando poi l’ho fatto, un mondo ancora più misterioso è apparso ai miei occhi cechi ed increduli che tanto avevano cercato e scrutato nelle contrade più lontane, senza mai sospettare di essere sempre stato così vicino alla meta. Ma non vorrei deluderti o spaventarti, o peggio ancora condurti fuori strada, se ti dico che quello è stato il primo passo, perché la nostra è una via che ha inizio ma non ha una fine, e la verità che tu cerchi e che io stesso continuo a cercare, è come il fiume che scorre: quell’acqua che vedi passare non è mai la stessa”.
Seguì un lungo silenzio durante il quale il vecchio sembrò sprofondare nei suoi pensieri, come gravato dal peso di ciò che aveva appena detto. Mentre Simone, pur non avendo compreso appieno le parole del saggio, capì che dentro di se qualcosa era cambiato.
Quando il sole scomparve dietro le colline e a poco a poco il cielo si tinse di rosso fuoco, si accorse di essere stanco, ed il cammino percorso quel giorno, anche se più breve del solito, gli parve essere stato notevolmente più lungo.
Il vecchio, come ad interpretare i suoi pensieri, disse: “ puoi rimanere se vuoi questa notte o per tutto il tempo che vorrai. La tua presenza non mi dispiace, anche se ormai da tempo la solitudine non è più una cattiva compagna. La notte, come si dice, porta consiglio e domani conoscerai il da farsi.”
Nell’ampia caverna, i due divisero un duro pezzo di pane e poca carne salata. Il fuoco danzante rischiarava i due volti, e l’uno era il tempo e l’altro la speranza. E Simone sognò la furia della battaglia: uomini e cavalli cadevano ad uno ad uno fino a coprire il campo arrossando la dura terra, e ogni volta che stremato, credeva di poter assaporare la vittoria, nuovi nemici si materializzavano e la pugna divampava senza tregua. Così fu, finché il sole non dileguò la notte ed i raggi che rischiararono la profondità dell’antro, colpirono gli occhi ancora chiusi di Simone che di li a poco si svegliò. Accanto a lui il giaciglio del vecchio era vuoto, ma quando si domandò dove potesse essere andato, ricordando le parole a lui dette la sera ,non ebbe dubbi dove trovarlo.
Il rumore di una cascata lo guidò a passi sicuri sul sentiero che portava all’acqua. Il fiume che prima ripido, precipitava giù per alcuni metri bagnando costantemente di spruzzi la vegetazione circostante, si distendeva poi in un ampio e tranquillo laghetto, quasi a voler riprendere fiato, prima di continuare la sua corsa. Il vecchio sedeva davanti alla cascata dalla parte opposta,dove l’acqua si incanalava in una stretta fenditura tra le rocce. Sedeva su di un masso che la natura sembrava aver creato per lui, quale degno trono di un saggio. Pur non udendo il rumore dei passi, celato da quello dell’acqua, il vecchio aprì gli occhi, per nulla sorpreso dalla presenza del giovane.
E prima che questi potesse parlare, con un gesto gli indicò di sedersi accanto a lui. Non ci sono parole per descrivere ciò che accadde, quando la mano del vecchio si posò sulla spalla di Simone, come la spada nell’investitura di un cavaliere.
Tutto ciò che la natura rappresentava là intorno, nelle sue innumerevoli forme di vita, come un’unica grande anima, divenne un vortice impetuoso che lo risucchiò nel profondo, dove ogni resistenza, ogni volontà era vana, ogni spazio, ogni tempo senza confini.
In un istante ripercorse a ritroso tutta la sua esistenza e gioie e dolori più antichi e più nuovi divennero un’unica irreale sensazione di sogno. Quando la spirale di vita e di morte si dissolse e i suoi occhi pesanti rividero la luce, il vecchio era ancora li accanto a lui e sorrideva con un’espressione paterna.
Ed appena capì che Simone aveva ripreso possesso di se’, gli domandò: “che cosa vedi ora?”
La risposta non tardò ad arrivare, e le parole si confusero con il suono della natura che cantava la vita: “Vedo un fiume, vedo acqua che scorre, ma quell’acqua non è mai la stessa . Parte di quell’acqua, parte di quell’interminabile nastro fluido che è passato di qui quando io sono arrivato, è ormai lontano. Parte avrà dissetato piante, animali e umani, e parte ancora starà viaggiando verso il suo destino per ricongiungersi a padre e madre che è il mare.”
“Così altrettanto mutevole è la verità che oggi hai scoperto in te” disse il vecchio, “e come l’acqua docile accetta il suo destino di perenne corsa e di eterna mutazione, così noi dobbiamo accettare il nostro, che come nel tuo sogno è combattere, combattere per quella verità che oggi sembra appagarti e che domani forse rinnegherai quando ti accorgerai che mai ci è dato vedere la scura faccia della luna, combattere ogni qualvolta ti sembrerà di sapere e l’ombra strisciante del dubbio farà cadere i tuoi castelli di carta ed il disappunto fiaccherà le tue forze, combattere fino alla fine del nostro tempo, anche quelle battaglie e soprattutto quelle, che sin dall’inizio appaiono disperate.
I cerchi concentrici che nel punto di caduta sotto la cascata si allargavano verso il perimetro del lago, sembravano trasportare con se le sagge parole, mentre ora con occhi diversi il giovane osservava l’inarrestabile divenire, dove nascita e morte si avvicendano come alba e tramonto sul palcoscenico della vita. Ed era scesa la sera quando i due ripercorsero a ritroso il viottolo che dal fiume risaliva alla grotta. Il passo del vecchio era il passo leggero di chi non ostante l’età, compensa con la forza dell’animo quell’energia che la giovinezza dispensa in gran copia. Il passo di Simone era altrettanto agile e forte, ma all’occhio di un osservatore attento, forse non sarebbe sfuggito un qualcosa che appesantiva la sua andatura. Sicuramente non era da poco il fatto che tutto ciò che ora osservava, appariva a lui diverso come mai prima. Per quanto sentisse dentro di se di avere fatto più strada di quanta ne potesse aver fatto fino ad allora, era anche cosciente che le certezze che lo avevano sostenuto per tanto tempo, erano svanite come bolle di sapone.
Nemmeno a dirlo, il vecchio aveva percepito tutto ciò che agitava la mente di Simone, e quando si sedettero uno di fronte all’altro per consumare le poche cose che poteva offrire al suo ospite, così parlò:
“Domani partirai. Non sono io che lo voglio, perché la tua compagnia mi è gradita. Ogni giorno che passa si avvicina il tempo in cui potrei aver bisogno di qualcuno che mi aiuti a sopravvivere, ma è scritto nelle stelle quante lune ancora mi sono concesse e mai mi permetterei per una mia necessità di interferire nelle altrui esigenze. Dico queste cose perché ti sia più chiaro il mio animo, anche se a volte è sufficiente uno sguardo più di tante parole. Pur tuttavia troppo spesso siamo portati a travisare l’altrui pensiero, quando basterebbe assomigliare di più agli animali per aver chiari i nostri intenti. Ed io voglio che quando tu te ne andrai, sappia bene chi hai conosciuto e chi forse rivedrai se Dio vorrà”.
“Allora credi in Dio!”, chiese Simone.
“Ti ho detto così perché era il modo più semplice per concludere la frase. Non ne abbiamo parlato perché non c’è stata l’occasione o il tempo, o forse solo non era il momento più adatto. Ora è un’altra la tua priorità che come sai è come un seme che germoglia dentro di te. Se qualcosa nella vita ho imparato, penso che non mi contraddirai se ti dico che se anche ti è chiaro il mio messaggio, ti riuscirebbe difficile, se non impossibile rinunciare al tuo primo intento che ti spinge al peregrinare, anche se un giorno potresti concludere che non era necessario”.
Simone meditò a lungo su quelle parole ma non ebbe nulla da replicare. Dopo tanti giorni di duro cammino, per la prima volta sentiva di aver raggiunto una meta da cui a malincuore desiderava separarsi. Allo stesso tempo però, l’irrequietezza e l’esuberanza di quella giovinezza che ancora gli apparteneva, lo spronavano a proseguire. Se no lo avesse fatto, probabilmente, il rimpianto ed il dubbio avrebbero accompagnato per il resto dei giorni quella conquista che già sentiva non completamente sua. Il canto dei grilli, in quella notte calda e serena, appena rischiarata da una falce lunare che volgeva ad oriente, fu il valido alleato di Morfeo: Simone cadde in un sonno profondo.
Quando si risvegliò, il sole era già alto, ed ancora una volta trovò il giaciglio del suo ospite vuoto. Disceso al fiume, trovò il vecchio anziché seduto sul solito masso, completamente immerso nella fredda acqua. E quando questi uscì fuori, rimase colpito dalla freschezza e dal vigore che quelle membra, nonostante l’età, ancora conservavano.
Prima ancora di parlare, il saggio raggiunse il masso, e da una piccola sacca di cuoio consunto, estrasse un oggetto che consegnò nelle mani del giovane, poi disse: “Questo non è un amuleto che potrà proteggerti dalle vicissitudini e dagli agguati che durante il cammino potresti incontrare. L’uomo che me lo donò era un cavaliere che dopo tante battaglie aveva capito di combattere una guerra in nome di una fede che in realtà adombrava scopi più meschini. E’ comunque un oggetto molto antico e sicuramente impregnato di una grande energia che si trasmette a chi lo porta, e un giorno potrebbe tornarti utile, ma prima voglio che tu interpreti i simboli che su di esso sono incisi, spero che tu non mi deluda.”
Il medaglione era in bronzo ed inciso da un solo lato, mentre l’altra faccia era grezza. Per quanto consumato dal tempo, si poteva distinguere una coppa alla quale era appoggiato un libro, dalle cui pagine superiormente spuntava l’elsa di una corta spada, mentre la punta fuoriusciva dal lato inferiore del massiccio volume. Sul fronte del libro poi, era inciso un sole che sembrava sorgere o tramontare sul mare.
“Il libro e la coppa” disse Simone “non posso fare a meno di pensare che significhino l’uno la saggezza e l’altra la sapienza, mentre la spada non può che significare la forza. Quanto poi al mare, ogni volta che l’ho visto, mi ha ispirato la libertà, mentre il sole, simile nel sorgere e nel tramontare, mi ricorda il destino di tutto ciò che è terreno e che quindi ha un inizio ed una fine; allo stesso tempo quel sole, mi suggerisce la speranza e la fede, ben sapendo che all’indomani di quel tramonto, una nuova alba rischiarerà questa nostra terra e riscalderà il cuore e lo spirito di ogni essere vivente.” Poi aggiunse: “Sai, quando mi hai chiesto di interpretare quelle incisioni, non ero sicuro di esserne in grado, ma un attimo dopo ti ho dato la risposta e sentivo le parole venir fuori, quasi non fossero mie, che ne pensi?”
“Penso che ciò che hai detto è giusto e che ancora una volta, guardando dentro di te, hai trovato la risposta. Porta sempre con te figliuolo, questa reliquia, testimone di tante battaglie.” E così dicendo il vecchio, cinse il collo del giovane di quel triplice simbolo e salutò Simone con queste parole: “Va ora per la tua via. Fino a che siamo in vita, siamo costretti a dare una dimensione a ciò che noi chiamiamo tempo, e per ognuno di noi diversa è la quantità di sabbia contenuta nella nostra clessidra. Facile è da giovani credersi immortali, finché la cieca falce non colpisce chi ci è vicino. Solo allora capiamo che ogni giorno potrebbe essere l’ultimo, e pur tuttavia siamo sempre portati a rimandare ciò che, se veramente coscienti, faremmo senza indugio, prima che sia troppo tardi.”
“Spero di rivederti ancora.” Disse Simone, abbracciando il vecchio,che rispose: “Mi piacerebbe sentirti raccontare le tue future avventure, le tante meraviglie che vedrai, le genti diverse con cui talvolta condividerai il tuo cammino, allievo e maestro allo stesso tempo, ma quanta sabbia ancora mi rimane, chissà?”
“Quando raggiungerò il mare ne raccoglierò un sacco, così al mio ritorno potrai riempire la tua clessidra.” E risero insieme come vecchi amici. Poi senza aggiungere altro, prese la piccola bisaccia che conteneva le sue povere cose e senza più voltarsi, ripercorse il viottolo lasciando alle sue spalle il fragore della cascata. Passando davanti alla grotta, il groppo alla gola che provò gli fece capire quanto importante fosse stata la sua sosta, e desiderò con tutto il cuore di poter un giorno riabbracciare il vecchio nuovo amico che in così breve tempo aveva saputo donargli tanta saggezza.
A poco a poco, la forza e la determinazione che da sempre avevano guidato i suoi passi, animarono di nuovo il suo spirito, ed il sentiero ricominciò a scorrere sotto i suoi piedi, sentendosi pervaso di nuova energia. Un destino incerto e pieno di insidie, era il prezzo che forse avrebbe dovuto pagare, ma se la fortuna lo avesse assistito, un grande tesoro di nuove esperienze avrebbe ulteriormente arricchito il suo spirito, anche se come aveva previsto il vecchio saggio, nell’ostinata ricerca della verità sarebbe solo servito a confermare le conquiste che già aveva fatto in quel breve periodo.
Nessuno sa dire per quanto tempo Simone abbia vagato per le diverse contrade e quanto lontano si sia spinto, né quanto tempo era trascorso quando infine i suoi passi lo condussero di nuovo nei pressi della grotta. Con animo incerto andò in cerca dell’amico, ben sapendo che per la vegliarda età avrebbe potuto non essere più in vita. Ma varcato l’antro, alla debole luce del giorno che rischiarava a mala pena i profondi recessi della spelonca, Simone scorse una sagoma scura distesa sopra il vecchio giaciglio, ma prima ancora di rendersi conto di che cosa fosse, una debole voce lo riscosse dal lieve torpore dell’incertezza.
“Sei tornato finalmente. In cuor mio sapevo che sarei riuscito a rivederti, e forse questo mio desiderio ha fatto si che ritardasse il mio viaggio, anche se devo confessarti che in queste ultime ore la mia fede ha vacillato. Purtroppo questo è il più grosso difetto di noi umani, che messi alla prova, anche quando mille volte abbiamo avuto la ricompensa per non aver mai abbandonato il campo di battaglia, c’è sempre un giorno in cui la debolezza prende il sopravvento ed il dubbio viscido si insinua nella nostra mente, rischiando di rendere vano il cammino della nostra esistenza. E a questo proposito, se posso darti un ultimo consiglio, da vecchio padre che ha finito il suo tempo, non smettere mai di combattere per la tua verità, anche in quei momenti che lo sconforto potrebbe facilmente trovare una breccia. Sappi che al di là delle nuvole c’è sempre un sole che splende per chi ha la forza e la pazienza di aspettare. Sempre la fede immancabilmente ti ricompenserà, e questo principio, così poco comprensibile a chi non ha mai ricercato se stesso, deve muovere il tuo passo in ogni minuto della tua vita, lunga o corta che sia. Mi sarebbe piaciuto sentirti raccontare le tue esperienze, rivivere le mie confrontando le sensazioni che la vista e l’udito regalano all’uomo e che nei sogni e nella realtà riaffiorano talvolta in tutta la loro potenza. Ma la sabbia della clessidra è finita ed io devo accontentarmi della lunga vita che mi è stata concessa e di aver conosciuto un figlio che percorre la mia stessa via. Un giorno ti dissi che non avevo segreti, ma in realtà una cosa ti ho nascosto: quel cavaliere di cui ti parlai ero stato io una volta, e probabilmente fu la paura e l’imbarazzo di raccontare cose tristi che mi impedirono di dirti la verità. Del resto, di quel cavaliere non è rimasto più nulla se non quel medaglione che tu ora porti al collo. Quel cavaliere è morto il giorno in cui, in nome di quella croce che vestivamo, c’era si chi difendeva i deboli e gli oppressi, ma anche chi si macchiava di orrendi delitti, uccidendo inermi di ogni età per il solo fatto di essere nati in una terra dove si professava una diversa fede. Quel giorno giurai che non avrei più impugnato un’arma contro un essere umano, ansi, nessun essere vivente avrebbe dovuto ricevere da me alcun danno; e da allora così è stato, e gli animali che nel tempo hanno compreso il mio benevolo intento, hanno abbandonato ogni timore ed insieme, in questo piccolo fazzoletto di terra, incredibilmente risparmiato dall’uomo, siamo vissuti come un’unica grande famiglia, e forse è per questo che non mi sono mai sentito solo. C’è un’altra cosa che voglio lasciarti, non è il denaro che non posseggo dal giorno in cui ho fatto la mia scelta: solleva quel masso là in fondo e cerca appena un po’ sotto la terra”.
Il giovane ubbidì, spostò a fatica il pesante macigno e a mani nude scavò nella terra non troppo compatta e ben presto comparve un lungo fagotto di pelle scura.
Dalla forma Simone intuì subito quale fosse il contenuto, ed infatti,una grossa e vecchia spada rivide la luce dopo molti anni.
“Questa per molto tempo è stata la mia fedele compagna. Il giorno in cui l’ho abbandonata, sapevo che si sarebbe presentata l’occasione di impugnarla di nuovo anche se a buon fine. Ma disgustato dagli orrori ho trovato più giusta soluzione ritirarmi, e così ho vissuto fino ad oggi senza rimpianti, finalmente in pace con me stesso e con tutto ciò che mi circonda. Ma nel tuo peregrinare, se la tua giovane età ti spinge ancora a ricercare nuovi orizzonti, questa vecchia arma potrà tornarti utile, e se il suo peso non impaccerà troppo il tuo cammino, portala con te. Al di la dell’uso materiale per cui è forgiata, è anche il simbolo di quella forza che ci aiuta a superare i momenti più duri della vita e a non rinnegare mai gli ideali per cui abbiamo tanto combattuto”.
La voce, sempre più debole, fece sì che le parole giungessero all’orecchio del giovane come un sussurro, e forse fu un caso, ma quando una civetta cantò la fuori, sulla vetusta quercia che sorvegliava l’ingresso della grotta, il vecchio, come ad ubbidire ad un segno divino, chiuse gli occhi. Non ostante la debole luce, a Simone non sfuggi l’espressione di pace e di serenità che si dipinse su quel viso in quel preciso istante in cui quella grande anima abbandonò il suo ormai inutile involucro. E una profonda tristezza colmò il cuore di lui che avrebbe voluto parlare ed ascoltare ancora sagge parole, rimproverandosi di essersi attardato troppo nel suo vagabondare.
Mentre fuori il frinire dei grilli ed il fremito leggero delle foglie mosse da un vento gentile, erano gli unici suoni a far sembrare che il tempo possedesse una sua dimensione. Poi a poco a poco, l’ingresso della grotta divenne un semicerchio ben definito contro la luce che fuori acquistava vigore.
Era giunto il momento di riprendere il cammino.
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Di Massimo Ferrini (*) dal libro “GLI ANIMALI PARLANO storie di animali ed altri racconti“, Nicomp Laboratorio Editoriale, Firenze (2022)
Massimo Ferrini, scrittore. Il suo primo romanzo è “Una faccia una razza” Nicomp Laboratorio Editoriale, Firenze (2021)
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