IL GRANDE MURO DELLA SEGREGAZIONE

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blankDI RIVERBDEND
Baghdad Burning

… E’ il muro che sta costruendo l’attuale governo iracheno (sotto la guida e gli auspici degli Americani). E’ un muro avente lo scopo di separare e isolare quella che viene considerata la più grande zona “sunnita” di Baghdad. Alla faccia di chi dice che gli Americani non stanno costruendo nulla. Secondo i progetti elaborati dagli Americani e dai loro fantocci iracheni, dovrebbe servire a “proteggere” il quartiere di A’adhamiya, una zona mercantile/residenziale che l’attuale governo iracheno e i suoi squadroni della morte non sono riusciti a liberare dai sunniti.

Il muro, ovviamente, non proteggerà nessuno. A volte mi chiedo se è così che abbiano avuto inizio i campi di concentramento in Europa. Forse un giorno il governo nazista ha detto: “Guardate! Stiamo costruendo questo muro per proteggere gli ebrei. Sarà difficile per chiunque entrare nella loro zona protetta per fargli del male”. Già, il problema è che è anche difficile uscire.Il muro è l’ultimo arrivato tra i tentativi di spaccare a metà la società irachena. A quanto pare, promuovere e sostenere la guerra civile non è stato sufficiente. Gli Iracheni, in generale, si sono dimostrati più tenaci e tolleranti dei loro mullah, ayatollah e governi di Vichy. Per l’America è tempo di dividere e conquistare, come nella Berlino di prima del crollo del muro o nella Palestina di oggi. In questo modo, potranno continuare a scacciare i sunniti dalle “zone sciite” e gli sciiti dalle “zone sunnite”.

Sento in continuazione gli Iracheni favorevoli alla guerra intervistati dalle televisioni di capitali straniere (hanno il coraggio di comparire alla televisione soltanto quando sono al sicuro nelle capitali estere, perché sfido chiunque, in Iraq, a dichiararsi pubblicamente favorevole alla guerra). Rifiutano di credere che i loro partiti politici, settari e di stampo religioso, abbiano alimentato intenzionalmente questo conflitto tra sunniti e sciiti. Si rifiutano di ammettere che questa situazione è il risultato diretto della guerra e dell’occupazione. Continuano a parlare della storia irachena e di come sunniti e sciiti siano sempre stati in lotta tra loro e io odio sentire queste cose. Odio che un manipolo di espatriati, che non mette piede in questo paese da decenni, pretenda di conoscerlo meglio delle persone che ci vivono davvero.

Ricordo che a Baghdad prima della guerra si poteva abitare in qualsiasi posto. Non sapevamo di che religione fossero i nostri vicini e non ci importava. Nessuno ti faceva domande sulla tua religione o sulla tua setta. Nessuno si curava di quella che era considerata solo una domanda stupida: sei sunnita o sciita? Solo un troglodita o un cafone poteva fare una domanda del genere. Oggi le nostre vite ruotano intorno ad essa. Le nostre stesse esistenze dipendono dal nascondere o dal sottolineare cosa siamo, a seconda del gruppo di uomini mascherati che ti ferma per strada o ti piomba in casa nel cuore della notte.

Per aggiungere una nota personale, alla fine abbiamo deciso di andarcene via. Penso di aver saputo che ce ne saremmo andati ormai da un bel po’ di tempo. Ne abbiamo parlato in famiglia dozzine di volte. Dapprima lo si suggeriva come una cosa buttata lì, come un’idea troppo remota: lasciare la propria casa, i propri parenti, il proprio paese… per che cosa? E per andare dove?

Dalla scorsa estate abbiamo iniziato a parlarne sempre più spesso. Era solo questione di tempo prima che ciò che era partito come semplice suggerimento – come prospettiva estrema – acquisisse solidità e si sviluppasse in un piano. Negli ultimi due mesi è stato solo un problema di carattere logistico. Aereo o automobile? Siria o Giordania? Partiamo tutti insieme, tutta la famiglia? O è meglio che io e mio fratello si vada avanti per primi?

E poi, una volta arrivati in Siria o Giordania, da lì dove andiamo? Ovviamente questi paesi saranno solo un luogo di transito verso qualcos’altro. Entrambi straripano di rifugiati iracheni e qualunque iracheno che viva in questi paesi si lamenta che il lavoro è difficile da trovare e ottenere una residenza è anche più difficile. C’è anche il rischio di essere riportati indietro al confine. A migliaia di iracheni non viene consentito di entrare in Siria o Giordania e non ci sono criteri specifici per ottenere l’ingresso, la decisione è rimessa all’arbitrio delle guardie di confine che ti controllano il passaporto.

L’aereo non è necessariamente più sicuro, il viaggio verso l’Aeroporto Internazionale di Baghdad è esso stesso pericoloso e non è improbabile che anche ai viaggiatori che arrivano in Siria e Giordania in aereo il permesso venga rifiutato. Se vi state chiedendo perché siamo fissati proprio con Siria e Giordania, il motivo è che sono gli unici due paesi che lasciano entrare gli iracheni senza visto. Fare le pratiche del visto presso i pochi consolati o ambasciate ancora funzionanti a Baghdad è praticamente impossibile.

Perciò siamo stati occupati. Occupati a decidere quale parte delle nostre vite ci lasceremo dietro. Quali ricordi sono sacrificabili? Noi, come molti iracheni, non siamo i classici rifugiati con addosso soltanto i vestiti e senza altra scelta. Abbiamo scelto di andarcene perché l’unica altra opzione è continuare quello che è stato un lungo incubo: rimani, aspetta e cerca di sopravvivere.

Da un lato, so bene che lasciare il paese e iniziare una nuova vita in qualche altro luogo, ancora sconosciuto, è una cosa così enorme da far scomparire ogni preoccupazione di poco conto. Ma la cosa buffa è che sono proprio le questioni di poco conto che sembrano occupare le nostre vite. Discutiamo se portare con noi un album di fotografie o lasciarlo qui. Posso portare con me un animale di pezza che ho da quando avevo quattro anni? C’è spazio per la chitarra di E.? Che vestiti ci portiamo? Vestiti estivi? O anche quelli invernali? E i miei libri? E i CD, e le nostre foto da bambini?

Il problema è che non sappiamo se rivedremo più tutte queste cose. Non sappiamo se ciò che lasciamo, casa compresa, esisterà ancora quando e se torneremo. Ci sono momenti in cui l’ingiustizia di dover lasciare il tuo paese solo perché un imbecille si è messo in testa di invaderlo è impossibile da sopportare. E’ ingiusto che per poter sopravvivere e vivere una vita normale si debba abbandonare la nostra casa e ciò che resta della nostra famiglia e dei nostri amici… e per andare verso cosa?

E’ difficile decidere che cosa faccia più paura, le autobombe e le milizie o il dover lasciare tutto ciò che conosci e ami per un posto non identificato e un futuro in cui non c’è nulla di certo.

Foto: Artista iracheno, A.Al Bashir.

Versione originale:

Riverbend
Fonte: http://riverbendblog.blogspot.com/
Link
26.04.2007

Versione italiana:

Fonte: http://www.ffparadise.net/
Link: http://www.ffparadise.net/public/blog/?p=68

Traduzione di Gianluca Freda

IN BALIA DEI VENTI

DI LAYLA ANWAR
An Arab Woman Blues – Reflections in a sealed bottle…

Vi è capitato qualche volta di sentirvi perduti?

Come se, tentando di camminare verso una direzione, potreste finire solo in un’altra?

Vi siete mai ritrovati senza cartina, cercando dei segnali indicatori? Degli assoluti estranei in un posto dove le vie, i visi, le strade rappresentavano per voi l’ignoto?

Vi è capitato qualche volta di camminare e continuare a camminare, pensando tra voi e voi: “Ci siamo, la meta è quasi raggiunta”, solo per scoprire che il vostro traguardo si era spostato?

Avete mai chiesto indicazioni sul percorso, e vi è stata data la direzione sbagliata?

Avete mai cercato disperatamente qualcuno che vi aiutasse, senza trovare nessuno?

Avete viaggiato a piedi per miglia e miglia, smarrendo la strada, vagando e pensando tra voi “deve essere questa la rotta”… un tragitto che sembrava lineare, ma in realtà non era altro che una via senza uscita?

Deambulando intorno a voi stessi, avete qualche volta accarezzato la porta di una casa che somigliava tanto alla vostra?

Vi hanno mai sbattuto la porta in faccia? Avete mai oltrepassato cartelli di divieto d’accesso? Vi hanno mai fatto sentire solamente di peso? Ingombranti? Indesiderati? Rifiutati? Disprezzati? O, al massimo, pietosamente tollerati?

Vi siete mai sentiti come un mendicante, pur serbando dentro di voi tutti i tesori del mondo? Avete mai supplicato una convalida, un riconoscimento, una voce in prestito, una mano su cui poter contare?

Siete mai stati classificati, etichettati, incasellati, marchiati con numeri di serie?

Avete mai odiato voi stessi durante questo procedimento? Questo processo in cui diventi una non persona, un non essere, un non cittadino del nulla?

No? Allora, consideratevi molto fortunati. Disgraziatamente, i due milioni di iracheni e centinaia di palestinesi in esodo, in esilio, non condividono la vostra buona sorte.

Aggiungetevi altri due milioni di sfollati interni che vivono in tende, rifugiati nel proprio paese.

Un paese che né li vuole, né li tollera più. La maggior parte è fuggita a causa della violenza settaria, molti di loro hanno subito il calvario della tortura, la maggioranza per mano dell’esercito del Mahdi di Muqtada al Sadr e degli altri squadroni della morte legati al governo fantoccio iracheno.

Chiamiamo Umm Fadhil una donna di circa 60 anni, di Falluja. Ha perso un occhio dopo che un settario figlio di puttana vi conficcò un cacciavite. Dovette rimanere parecchio tempo per strada, urlando, con l’occhio sanguinante. Ha anche un “buco” nel cuore, problemi polmonari, asma e, soprattutto, non ha nessuno.

Sono sicura che ora siete molto turbati. Lasciate che alleggerisca i vostri problemi di coscienza, può darsi che poi vi sentiate meglio.

Umm Fadhil sta ora a Damasco, dorme sopra un materasso su un pavimento un po’ umido e, grazie alla buona volontà di una donna siriana, riceve alimenti una volta la settimana, ogni martedì, per essere più precisi.

Abu Alì, di Najaf, lavora un giorno su dieci al mercato nero. Ha una famiglia da mantenere. A Damasco tutti dormono sul pavimento di qualcosa chiamato appartamento ammobiliato. L’affitto costa 245 dollari al mese. Ogni tanto, lo sciita Hawza gli da 58 dollari per aiutarlo con le medicine. Abu Alì ha tutte le malattie fisiche del mondo.

Haytham giura che, se fa colazione, non riesce pranzare o cenare. Un altro “rifugiato” a Damasco. Vive raccogliendo rottami. La sua vita è diventata un rottame, come quelli che raccatta cercando di sopravvivere.

Yasmin, una dentista, lavora per 100 dollari al mese come igienista dentale ad Amman. Con quei 100 dollari bada ai suoi genitori e nonni e paga l’affitto. Insegna anche al suo capo, il dentista giordano, a fare gli impasti…

Sobhi, laureato in scienze informatiche, passa le giornate bruciando la sua vita, percorrendo le strade di Amman alla ricerca di un lavoro al mercato nero, dove otterrà la paga d’uno schiavo. A nessun iracheno è ufficialmente permesso lavorare, né in Siria né in Giordania.

Latif, dottore in ingegneria, bada al giardino di qualche nuovo ricco giordano, che ha fatto fortuna a spese del sangue iracheno.

Sarab, vedova, passa le notti in qualche sordido bar da quattro soldi, aspettando i clienti. Indossa lo stesso vestito da tre mesi e ha tre bambini da sfamare.

Per quanto riguarda i palestinesi, ancora una volta sono arenati alle frontiere, dentro a delle tende… Mille e mille volte ancora. Nessuno dei paesi vicini li autorizzerebbe ad entrare.

Ecco un breve scorcio sui rifugiati dell’Iraq. La vostra amata nuova democrazia.

Osteggiati, respinti, non voluti e molto, molto soli.

In Giordania, a coloro che sono in possesso di un valido permesso di soggiorno si nega il rinnovo. Non importa da quanto tempo vivano lì. Semplicemente i permessi di residenza non vengono più rinnovati.

L’ACNUR ha promesso milioni ai governi interessati. Si possono fare montagne di soldi denominandoli rifugiati.

Mariam, 54 anni, dottoressa in ingegneria industriale, venne convocata da tale “rispettabile” agenzia.

Ci compili questo modulo. Lei è baathista, sostenitrice di Saddam? Qual’è il nome di suo padre e la sua professione? Quelli di sua madre? Di suo fratello? Di suo zio e delle sue zie? Di suo nonno, del suo bisnonno, della sua bisnonna?

Sono tutti morti.

Non importa, abbiamo lo stesso bisogno di conoscere il loro nome e professione.

Quali diplomi ha?

Una laurea in Ingegneria.

Perché è andata via dall’Iraq?

Vivevo da sola e ho ricevuto varie minacce di morte dall’esercito del Mahdi di Muqtada al Sadr.

Quale è il suo paese preferito? Irlanda, Australia, Inghilterra, Svezia? E perché?

Nessuno.

Chi conosce là?

Nessuno.

Le daremo 30 dinari giordani al mese fino a quando sarà “collocata”. Ne ha realmente bisogno?

(Mariam si era alzata alle 5 del mattino per mettersi in coda all’ufficio dell’ACNUR ad Amman e riempire quest’intelligente modulo di domanda. Centinaia di persone avevano fatto la coda prima di lei. La stessa scena si ripete a Damasco).

Non voglio andare in Australia. Non ho nessuno in Australia.

Non ha altra scelta.

Ma ho avuto il permesso durante gli ultimi due anni. Non sto chiedendo niente, né a voi né al governo. Sono perfino disposta a firmare un documento con la promessa che non lavorerò qui. Soltanto, non mandatemi in Australia.

Lei non capisce, lei è una rifugiata.

Questo significa che non potrò più tornare? Significa che non rivedrò di nuovo la mia casa?

Se ritorna non è più una rifugiata. Non potrà più avere i 30 dinari mensili. E il suo passaporto non è valido.

(La questione del passaporto è già di per sé tutt’una storia, che affronterò in qualche prossimo scritto).

Le code si vanno facendo sempre più lunghe… Alcuni sono in coda da settimane e altri da mesi…

Alcuni non hanno più risparmi, altri non hanno più nulla…

La maggioranza “vive”, come Umm Fadhil, della buona volontà di chiunque gli dia cibo una volta la settimana. La maggior parte vive in condizioni miserabili, senza acqua corrente e a volte senza elettricità.

Quando vengono interpellati, i giordani incolpano “loro” per l’alto indice d’inflazione e l’aumento dei prezzi degli immobili, dei servizi e dei prodotti di base.

Naturalmente non biasimano il governo, che sta ottenendo tassi preferenziali per le forniture di petrolio. Non accusano i loro impresari, che hanno fatto milioni sulla pelle degli iracheni. Non denunciano le agenzie immobiliari, che hanno gonfiato i prezzi per ottenere rapidi profitti. Non accusano gli Stati Uniti. Essi danno la colpa agli iracheni nullatenenti.

In Siria le lagnanze sono le stesse, ma le parole sono più forti. “Loro” (gli Iracheni), sono insultati per il fatto di essere lì a “subentrare nel paese”.

L’esistenza diventa un peccato, la sopravvivenza il peggiore dei crimini. Gli Iracheni, le vittime, sono diventati il capro espiatorio. Avrebbero dovuto piuttosto morire tutti, per non disturbare nessuno.

Tanto i Siriani quanto i Giordani devono aver dimenticato l’ospitalità del precedente governo iracheno, attraverso il quale venivano sistemati in quartieri ed edifici speciali, grazie al quale ottenevano borse di studio e trattamento preferenziale e, se studenti, educazione e alloggio gratuiti. Sì, la memoria è davvero corta.
Lo crediate o no, i pochi Iracheni che sono arrivati in Mauritania lamentano lo stesso trattamento. Sembra che anche i Mauritani soffrano di amnesia.

Il mondo intero soffre di amnesia. E gli Iracheni fanno la coda allo spuntar dell’alba.

Eliminati dalla collettività. Privati di qualunque status. Cancellati da qualunque appartenenza. Cancellati dall’esistenza.

Un numero di serie su qualche modulo di domanda, un’ombra per la strada, un “volgo” senza carta geografica, senza guida, senza accoglienza… Senza niente.

Lo stesso niente che ha pervaso ogni aspetto delle nostre vite.

Un prolungamento del vostro nichilismo, un prolungamento del vostro assenteismo, un prolungamento del vostro silenzio.

Gli Iracheni del nulla. Gli Iracheni del vuoto. Gli Iracheni dei vostri crimini…

I rifugiati iracheni e palestinesi. Foglie che cadono da un ramo. Un ramo strappato a forza da un tronco. Un albero estirpato violentemente dalle sue radici.

Improvvisamente sento freddo. Un repentino vento gelido soffia attraverso il vuoto delle mie vertebre, attraverso le mie radici divelte… Anch’io, come qualche rifugiato, devo essere dannatamente perduta.

Poscritto:

Ecco le ultime dalla riunione di Ginevra sulla crisi dei Rifugiati in Iraq.

50.000 iracheni stanno abbandonando mensilmente il paese.
Attualmente vi sono 4 milioni di rifugiati iracheni.
2 milioni di profughi interni. Altri 2 milioni fuori dall’Iraq.
1 milione in Siria, 750.000 in Giordania, i rimanenti disseminati nei paesi confinanti.

Citando la Commissione:

“Esortiamo i paesi vicini a non chiudere i loro confini. Esortiamo l’Unione Europea ed altri a partecipare attivamente per risolvere questa crisi. Il Medio Oriente si sta avviando verso un disastro di proporzioni senza precedenti nella storia moderna. La crisi dei rifugiati sta disegnando una NUOVA MAPPA DEMOGRAFICA, in cui l’Iraq è ripercorso lungo linee ETNICHE”

Iran e Israele ora devono essere contenti e appagati.

Foto: Quadro dell’artista iracheno Naman Hadi, “The Uprooted”

Versione originale:

Layla Anwar
Fonte: http://arabwomanblues.blogspot.com/
Link: http://arabwomanblues.blogspot.com/2007/04/blown-to-winds.html
16.04.2007

Traduzione a cura di Adelina Bottero

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