Il capitalismo della cannabis: chi è che guadagna nell’industria della marijuana?

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ALEX HALPERIN

theguardian.com

A due ore di viaggio a nord di San Francisco, nella contea di Mendocino, gli ordinati vigneti a lato della strada lasciano spazio ai fitti boschi e alla costa nebbiosa dell’Emerald Triangle, la più famosa regione americana per la coltivazione della marijuana. Nel mese di giugno, più di 300 membri dell’industria della cannabis si erano riuniti laggiù per un fine-settimana a base di falò, camminate sotto le stelle e nuotate nel fiume.

Era un’ambientazione meravigliosa, dove discutere il motivo per cui nessuno di loro sembrava guadagnare qualcosa.

Gli Americani spendono circa 40 miliardi di dollari l’anno in marijuana, legale ed illegale. Il loro appetito è certamente destinato ad aumentare, dal momento che diventa sempre più facile avere accesso alla droga e che l’industria continua a presentare l’erba come compatibile con una normale vita da persona adulta.

Nella sola California, decine di migliaia di aziene agricole coltivano la pianta, che viene lavorata e commercializzata in sigarette elettroniche splendidamente impacchettate e in forme commestibili, destinate a consumatori che esulano dal mercato consolidato degli adolescenti. Oggi, negli Stati Uniti, gli anziani sono la categoria dei consumatori di marijuana che cresce più rapidamente.

Il futuro sembra davvero molto verde. Ma, fin dal primo gennaio del 2014, quando il Colorado aveva inaugurato il primo mercato mondiale regolamentato per la marijuana ricreativa, il contesto economico delle aziende del settore della cannabis si è rivelato estremamente ostico, per tutta una serie di ragioni: tassazione elevata, regole che cambiano di continuo e un sempre robusto mercato clandestino.

Oltre alle sfide imprenditoriali, l’industria americana della marijuana legale deve fare i conti anche con un inevitabile aspetto morale. Gli Stati Uniti sono coinvolti in una “guerra alla droga,” iniziata nel 1971 da Richard Nixon. Mentre gli Americani bianchi fanno uso di marijuana e di altre droghe più o meno nella stessa proporzione, sotto tutti gli aspetti, degli Afro-Americani e dei Latini, le minoranze etniche vengono incarcerate in misura nettamente superiore e, in ogni caso, punite per il loro coinvolgimento con le droghe, vendita di marijuana compresa.

In più, i gruppi emarginati, pazienti sofferenti di Aids, disabili, veterani di guerra, che si erano battuti per la legalizzazione quando era molto più pericoloso farlo, ora si trovano impreparati a competere contro ex-manager di grosse aziende, ben forniti di fondi, che vogliono saltare sullo stesso treno.

Una società, la Acreage Holdings, che questa estate ha raccolto 119 milioni di dollari in capitali di investimento, ha arruolato l’ex portavoce repubblicano della Camera, John Boenher, per essere aiutata a muoversi in questo mercato. Boenher non ha mai fumato erba, “non ne aveva la necessità o l’inclinazione,” secondo un portavoce [dell’azienda], e , mentre era in carica, si era dichiarato “fermamente contrario” alla sua legalizzazione.

Con la marijuana legalizzata, diventata ora una delle industrie nazionali in più rapida crescita, chi ci guadagna è una domanda altrettanto legittima del chiedersi chi possa essere punito.

La sfida morale di questa industria è quella di far sì che i gruppi che hanno sofferto maggiormente durante la guerra alla droga possano partecipare alla corsa all’oro verde e aggiudicarsi le spoglie della legalizzazione.

Una classica storia di gentrificazione

La storia di Amber Senter, una donna in affari ed attivista, che aveva partecipato al campeggio del fine-settimana, ribattezzato Meadows Land, ci chiarisce, in qualche modo, come mai l’equità razziale sarà difficile da raggiungere nel settore della cannabis, così come lo è nel resto della vita americana.

La Senter si era trasferita ad Oakland, California, nel 2014. Veterana della guardia costiera, con esperienza di marketing aziendale e progettazione grafica, aveva lavorato come dirigente per Magnolia, un dispensario, ed era diventata la paladina delle donne di colore che, come lei, operano in questo genere di attività.

Oakland, la patria del partito delle Pantere Nere, è nota per la politica estremista e le tensioni razziali. E’ stata la prima delle giurisdizioni americane a vedere nella legalizzazione un’opportunità economica e aveva autorizzato l’apertura dei dispensari fin dal 2014. Più di recente, è stata una delle prime municipalità a creare un “programma di partecipazione” per sostenere imprenditori della marijuana detenuti per reati connessi alla droga o provenienti da quartieri considerati troppo coinvolti nella “guerra alla droga.”

La Senter non era riuscita ad entrare nel programma di partecipazione. Ma, nel novembre del 2017, il suo socio in affari aveva stipulato un accordo di intesa per aprire un dispensario con Marshall Crosby, un personal trainer di una cinquantina d’anni, che era riuscito a qualificarsi.

Nato nella zona povera di Oakland, l’East Side, Crosby aveva avuto una vita dura. Primo di otto figli, diceva di portare in corpo ancora diverse pallottole e aveva anche trascorso alcuni periodi in prigione. “Sono diventato una statistica in una vita di droga, già da molto tempo,” aveva detto.

Il 31 gennaio, Crosby aveva avuto un colpo di fortuna. Oakland aveva deciso di estrarre a sorte, fra alcune decine di candidati al programma di equità, i nomi di chi avrebbe potuto ottenere la licenza per un dispensario. Crosby si era ritrovato fra i quattro vincitori.

Alcune settimane dopo, aveva scritto al socio di Senter: “Ho deciso di non lavorare con lei. Ho preso un’altra strada.” Piuttosto che impegnarsi con i suoi partners locali, Crosby aveva deciso di associarsi con Have a Hearth, una catena di dispensari, con sede a Seattle, a 1220 km. di distanza, che cercava di espandersi nella zona di Oakland.

In un’intervista, Crosby aveva detto di essersi sentito abbandonato dopo la firma del memorandum con il socio della Senter. E di provare un senso di affinità per il Direttore Operativo della Have a Heart, Ed Mitchell, che era cresciuto in un’altra zona difficile di San Francisco, la Bay Area.

Mitchell aveva detto a Crosby che, in Have a Heart, avrebbe ricevuto, una volta acquisita la licenza, una cifra di importo non precisato.

Il programma di partecipazione della città di Oakland è stato laboriosamente sviluppato nel corso degli anni per favorire non solo la creazione di posti di lavoro per i cittadini, ma anche per le aziende locali di marijuana. Ma la politica non ha impedito a Crosby di associarsi con una società esterna.

E’ una classica storia di gentrificazione,” aveva detto la Senter, subito dopo Meadows Lands. La catena dei dispensari si era “avvantaggiata tramite opportunità che non erano state create per lei.” Oltre ad estrometterla, la nuova attività commerciale entrerà in concorrenza, probabilmente con prezzi anche più bassi, con i dispensari gestiti localmente.

Have a Heart ha affermato che assumerà abitanti di Oakland per il 90% dei posti di lavoro in città e investirà nella riqualificazione della zona di Chinatown, dove spera di aprire. “Crediamo che Oakland sia il posto dove possiamo veramente fare del bene,” ha detto Mitchell.

Anche se ciò fosse vero, questa situazione anticipa altri accordi del genere, che potranno anche andare a beneficio di qualche autoctono, ma che creeranno profitti per le grosse corporations, a spese della cittadinanza.

Qualcuno è riuscito ad intromettersi e a sabotare dei leali rapporti d’affari; tutto questo è sbagliato,” ha detto Anne Kelson, una avvocatessa di Oakland specialista della cannabis, che non è professionalmente coinvolta nel caso.

La Kelson ha aggiunto che l’incidente ha sconvolto la comunità della cannabis di Oakland. “Più di un operatore economico è venuto da me e mi ha detto: ‘Se non ci riesce Amber Senter, chi può farlo?’”

Al di là della Baia di San Francisco, un’altra ambiziosa catena di dispensari, MedMen, sta cercando di associarsi con i candidati al programma di partecipazione. A differenza di operatori meno sofisticati, MedMen fornisce “una garanzia certa di funzionamento,” come ha affermato il suo portavoce, Daniel Yi. “In definitiva, un’attività che non ha successo non è di aiuto per nessuno.”

La coltivazione della marijuana in California

Molti partecipanti al campeggio di giugno provenivano dal settore artigianale. Parecchi avevano interessi professionali nella canapa ormai da decenni.

La coltivazione della marijuana in california non è mai stata facile. Quelli che ci sono riusciti sono abili, furbi e conoscono molto bene la legge.

Oggi hanno messo in pratica il loro acume per risolvere le infinite complicazioni del mercato californiano. Si conforma e nello stesso tempo si discosta dallo sterotipo del drogato il fatto che la maggior parte delle conversazioni a Meadows Land abbiano approfondito argomenti come le variazioni al piano regolatore, i materiali da costruzione e le normative sull’utilizzo delle acque.

Fra gli esperimenti statali di legalizzazione, quello della California è di gran lunga il più importante e il più complesso. Per quei coltivatori che operano sui mercati illegali e semi-illegali della California e che vogliono entrare nel mercato legale, i costi possono essere brutali. Nel mercato clandestino, un coltivatore dell’Emerald Triangle può vendere una libbra [453 g.] a 3000 dollari, esentasse. Attualmente il prezzo [alla libbra, sul mercato regolare] è di circa 600 dollari, più tasse e costi di conformità.

Non ho mai visto un marchio artigianale di cannabis avere successo, perché non c’è convenienza economica,” ha affermato Hilary Bricken, un’ avvocatessa di Los Angeles che si occupa di cannabis nello studio di Harris Bricken.

“Attualmente, nessuno, nel settore della marijuana legale, si sta arricchendo,” ha detto Steve Schain, un legale esperto dell’Hoban Law Group, che tratta quasi esclusivamente le problematiche legate alla cannabis.

Secondo il punto di vista di Schain, anche le aziende più grandi e meglio amministrate sono destinate ad essere acquisite nel momento in cui le multinazionali dell’agroalimentare, degli alcolici e del farmaceceutico decidono che la cosa è redditizia. Già si possono trovare in Internet progetti per coltivazioni immense, centinaia di migliaia di metri quadri, nelle zone desertiche ad est di Los Angeles e in Canada.

Le difficoltà che avrebbero dovuto affrontare i piccoli produttori erano già state anticipate. Nel periodo antecedente la legalizzazione, i produttori artigianali della California avevano previsto, fino al 2013, una clausola che avrebbe proibito le coltivazioni di più un acro [0, 404 ettari], questo per dare ai piccoli coltivatori il tempo di adattarsi [alla nuova situazione].

Ma, quando lo scorso novembre, erano state approvate le nuove regole, una scappatoia aveva immediatamente consentito l’ingresso delle mega-aziende. L’Associazione dei Coltivatori Californiani (California Growers Association), che conta circa 1000 membri, ha intentato causa allo stato.

A Meadows Land, un produttore francese di hashish, noto come Frechy Cannoli aveva sostenuto che la cannabis artigianale avrebbe dovuto seguire il modello enologico francese e crearsi una “gerarchia qualitativa” basata sul concetto di territorio, secondo il principio che i fattori ambientali, come il tipo di suolo e il clima, sono quelli che contribuiscono alla resa finale di una coltivazione. Oggi, aveva detto, molti paesi producono del buon vino, ma, siccome la Francia aveva introdotto questo standard nel 19° secolo, “sarà sempre al centro dell’industria vinicola.”

Quella notte, Frenchy, che, a 62 anni, ha una fronte spaziosa e un sorriso da Arlecchino, era salito su un tavolo da pic-nic e, ridacchiando, si era messo a trafficare con narghilè a più derivazioni.

 

Iniziative per creare una “denominazione” alla francese per la cannabis della California settentrionale sono attualmente in corso, ma potrebbero anche non servire a molto, se i coltivatori si troveranno subito a dover competere con le grandi aziende industriali.

Anche se i piccoli coltivatori della California stanno lottando, hanno sempre comunque un certo peso. Questo spiega perché uno dei visitatori a Meadows Land, quel fine settimana, fosse il senatore dello stato della California, Kevin de Leòn, un candidato di basso profilo al Senato degli Stati Uniti, di tendenze politiche più di sinistra della sua collega Democratica, la senatrice Dianne Feinstein.

Mentre alcuni Democratici, come la Feinstein, si sono rassegnati alla legalizzazione, De Leòn la appoggia con tutte le sue forze. “Per molti lavoratori sottoccupati e per i disoccupati, la cannabis rappresenta il futuro,” aveva detto De Leòn, parlando una mattina nel campeggio [di Meadows Land]. Vestito con pantaloni stirati e con una camicia bianca e pulita, aveva scherzato: “non sono della narcotici.”

Il pubblico aveva riso. Dopo una notte di campeggio, erano le 8,30 del mattino e la gente si faceva le canne.

Spazio cannabis

Il Canada, come al solito, ha provveduto a legalizzare la marijuana in modo molto più ordinato degli Stati Uniti, con il giorno per la legalizzazione fissato al 17 ottobre. L’industria locale può forse dare alla sua controparte americana una visione del futuro.

In Canada, il mercato della cannabis è controllato attualmente da una manciata di società. E, poche settimane dopo Meadows Land, un’assemblea dell’industria della cannabis, molto diversa [da quella americana], si era svolta in un Grand Hotel, tutto vetrato, nel centro di Vancouver.

La cerimonia di apertura si era tenuta in una sala da ballo dove era vietato fumare. L’oratore principale era stato Henry Rollins, il leggendario cantante punk, conosciuto anche per le sue idee salutiste e che, personalmente, non fa uso di cannabis. Il suo messaggio alla International Cannabis Business Conference era stato che l’industria non dovrebbe essere troppo avida. Ma non aveva convinto nessuno.

Sono i manager che prenderanno il comando,” aveva detto Carolyn Cudmore, la fondatrice dell’azienda artigianale di Vancouver  The Preroll Factory.

Gli addetti ai lavori nel settore della marijuana parlano spesso di “spazio cannabis,” un termine abbastanza generico che comprende movimenti per la giustizia sociale e capitalismo impenitente, e non vedono nessuna contraddizione fra i due.

Con una competitività da vasca degli squali, quattro imprese start-up avevano presentato i loro progetti davanti ai rappresentanti della Canopy Rivers, il braccio finanziario della Canopy Growth, una delle maggiori aziende canadesi per la marijuana, quotata alla Borsa di New York. Si era parlato di un premio che poteva arrivare al milione di dollari canadesi (763.000 dollari americani) in fondi di avviamento, anche se il vincitore non aveva ricevuto nessuna garanzia.

Tramite l’utilizzo di un laboratorio analisi e di sofisticate apparecchiature per determinare la qualità della cannabis coltivata in serra, i giudici avevano assegnato il premio per la miglior dimostrazione a quella che sembrava la scelta migliore, la Bella Vista Cannabis, un’azienda che produce cannabis in modo biologico, gestita da un barbuto contadino da cinque generazioni. Uno dei giudici aveva detto che la Bella Vista aveva vinto la gara per la sua dedizione all’ambiente e per la sua missione sociale.

Alcune settimane dopo la conferenza, la Canopy aveva annunciato di aver ricevuto una richiesta di collaborazione dalla Constellation Brands, l’azienda di bevande americana che possiede il marchio della birra Corona, per un investimento di 4 miliardi di dollari.

Per quanto riguarda Bella Vista, l’azienda si trova a dover affrontare le stesse pressioni che stanno schiacciando i piccoli coltivatori della California. Canopy non ha ancora fatto conoscere le sue intenzioni.

 

Alex Halperin

Fonte: theguardian.com
Link: https://www.theguardian.com/society/2018/oct/03/cannabis-industry-legalization-who-is-making-money
03.10.2018

Tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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