Il bushismo alla prova della complessa realtà del mondo
DI HICHEM BEN YAICHE
Lo si sarà capito: George W.Bush e la sua squadra non modificheranno le loro analisi sulla situazione in Irak ed in Israele-Palestina. Non lasciamoci ingannare da questa illusione ottica: essi non sono prigionieri di una “bolla” che gli impedirebbe di vedere in faccia la realtà. Al contrario, essi sanno tutto di tutto. Ma quel che si può dire, è che gli scenari geopolitici per il Medio-Oriente, immaginati al Pentagono ed al Dipartimento di Stato in questi ultimi anni, sono confermati dalla prima sequenza dell’era Bush II e questo malgrado le sferzanti smentite della realtà sul terreno.
E’ un processo di produzione a lungo termine, il quale mobilita dei mezzi – militari, d’informazione, ecc. – vertiginosi! In questa ebbrezza di potere, si fa di tutto per dare l’impressione di dominare la situazione e di essere capaci di invertire il corso degli avvenimenti. Questo modo di fare proseguirà perché così lo si è deciso nel primo cerchio del potere a Washington DC.
Da questo punto di vista, é essenziale, per comprendere le istanze profonde di queste scelte geopolitiche che comandano il presente e l’avvenire, di allargare lo sguardo, al fine di comprendere tutti i pezzi del puzzle. In un libro estremamente documentato: “Quando l’America rifece il mondo (1)”, l’universitario Ghassan Salamé svela, con una rara padronanza, l’America, le sue élite dirigenti ed il suo dogma in materia di politica estera. Questo lavoro di coerente collocamento nel puzzle, utile ed illuminante, ha il merito di mettere in rilievo le poste maggiori della dottrina U.S.A. e le sue attuali traduzioni geopolitiche.
Cosciente della sua assoluta forza planetaria, questo paese ricerca, costi quel che costi, di prolungare, per l’eternità, questo grande “periodo unipolare”, attraverso un “progetto neo-imperiale”. Tutto quello che noi vediamo oggi deriva da questo sistema di pensiero: “L’unilateralismo, scrive il politologo Ghassan Salamé, non è stato inventato dagli zelanti collaboratori di Bush: è il risultato, logico e combinato, della fede di una nazione nel suo eccezionale destino che la incoraggia a giocare da “sola contro tutti”, di un solido nazionalismo che la spinge a definire in tutta indipendenza il suo “interesse nazionale” ed a mantenere intatto il suo margine di manovra nel mondo, di enormi capacità insite che l’autorizzano ad intraprendere delle operazioni solitarie e, infine, di una tradizione di intervento autonomo negli affari del proprio emisfero che ha la tendenza ad allargarsi al mondo intero”.
Ecco lo zoccolo duro sul quale poggia l’impresa che, col passare del tempo, non cessa di affermare le sue prerogative e di accelerare le condizioni per la sua realizzazione.
L’ho già scritto, ma é bene ricordarlo qui: il Grande Medio-Oriente che è al cuore, secondo il punto di vista U.S.A., di questa “sistemica perturbazione” che si suppone produrrà cambiamenti “rivoluzionari” nella mentalità e nei comportamenti degli arabi, resta un modello intellettuale aleatorio. Perché gli architetti a capo di questa politica coltivano una visione incompleta della realtà, applicando degli schemi di pensiero totalmente inadatti in rapporto alla complessità della regione.
In Medio-Oriente – senza parlare del resto – i militari U.S.A. hanno realmente preso il potere. Ormai, sono loro che impongono le scelte agli uomini politici. E’ quello che spiega anche, secondo Salamé, la “militarizzazione” della politica estera americana.
Ad ogni modo, il complesso militare-industriale U.S.A. si frega le mani dalla felicità, approfittando della manna dei 416 miliardi di dollari che alimentano il bilancio della Difesa (2004). Un vero business della guerra sta installandosi e diffondendosi, generando delle fortune colossali.
Senza per questo giocare alle Cassandre per annunciare cattive notizie, l’Iraq, scassato e “disfatto” sul piano comunitario, è ben lontano dal risolvere i suoi problemi. Questo “laboratorio dell’orrore” – ove si intrecciano jiad, resistenza, lotta armata, ecc. — continuerà a diffondere le sue onde negative nella regione e nel resto del mondo. E’ qui che la dottrina di Bush conosce i suoi limiti e si scontra sul principio della realtà. Lo choc è lontano dall’essere finito.
Proviamo a proiettarci sui tre anni a venire, ciò che corrisponderà, pressappoco, alla fine del secondo mandato di Bush. Senza pretendere di essere esaurienti, consideriamo questi punti che peseranno molto sugli USA ed il mondo nei mesi a venire, se niente sarà fatto da qui ad allora.
Israele-Palestina, ancora e sempre. Lasciando l’iniziativa ad Ariel Sharon di agire liberamente, imponendo la sua agenda e le sue priorità, il presidente Bush commette un errore fatale. L’assenza di soluzioni rilancerà incontestabilmente le violenze. E si entrerà in un nuovo ciclo infernale. Bisogna leggere i propositi di Saeb Erekat «Non lasciate la luce spegnersi» (Nouvel Observateur, 30 Giugno – 6 Luglio 2005), per misurare il grado di disperazione dei Palestinesi e l’impasse nel quale si trovano.
Il GMO (Grande Medio-Oriente): una conchiglia vuota. Gli Stati Uniti d’America non riescono a fare emergere un modello sul quale il GMO si appoggerà. A causa, spesso, dell’incapacità e dell’ignoranza delle psicologie dei popoli, si stanno gonfiando le ali di un antiamericanismo che non ha mai prosperato così tanto. Questa avversione devia le energie positive e rinforza le reazioni identitarie. Tutti coloro che attraversano la regione palpano questo malessere. Malgrado la battaglia dei cuori e degli spiriti condotta dal Pentagono, il GMO sarà svuotato sempre più della sua sostanza, perché la realpolitik sta prendendo il sopravvento sulla moralpolitik.
Dei deficit sempre più insopportabili: la guerra in Irak costerà 300 miliardi di dollari. E’ solo una cifra provvisoria. Le spese militari statunitensi stanno pesando sempre più sulla politica dell’impero. Le fragilità stanno emergendo. Ad oggi, si osserva solo una fuga in avanti dell’Amministrazione Bush, la quale impedisce di giudicare e di valutare la situazione. Il risveglio rischia di essere doloroso. In ogni caso, il presidente Bush raccoglierà quel che ha seminato, e la storia ci dirà se egli sarà recuperato o meno da lei.
Hichem Ben Yaiche BEN
Fonte:www.mondialisation.ca
Link:www.mondialisation.ca/index.php?context=viewArticle&code=BEN20060121&articleId=1765
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di FLAVIO ROTA
Note:
(1) Edizioni Fayard, 2005.