Di Francesca Picone per ComeDonChisciotte.org
Un morto e 22 feriti, nell’attacco al centro di distribuzione alimentare dell’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi (UNRWA).
Questo avviene a pochi giorni dalla visita alle porte del valico di Rafah da parte di una delegazione di associazioni, giornalisti e parlamentari italiani. Da questa visita ne è scaturita una forte testimonianza sulle orribili condizioni di vita (se si può chiamare tale) dei palestinesi: senza cibo, senza acqua, senza medicine, senza assorbenti per il mestruo, con le ragazzine che al posto degli assorbenti usano vecchie tende poi lavate in acqua sporca, con una diffusa epidemia di epatite A, con morti per fame che aumentano giorno per giorno. Si testimonia, per di più, il blocco di circa 1500 camion, che contengono non solo cibo, lasciato lì a marcire sotto il sole, ma anche generatori, pannelli solari, bombole di ossigeno, che stazionano da una decina di giorni e che non sono lasciati passare per cavilli che farebbero ridere se non ci fosse da piangere, come quello che vi sarebbero contenute anche merendine considerate bene di lusso.
L’intergruppo parlamentare per la pace in Palestina, tornato dalle porte di Rafah ora fa appello al Governo Meloni perché, intanto, torni a finanziare l’UNRWA e soprattutto faccia qualcosa per il cessate il fuoco (che non sia più complice del genocidio, verrebbe da dire). Dichiarano le parlamentari dell’intergruppo che questa agenzia è insostituibile, non solo per il cibo, ma anche per le scuole, per gli ospedali, per tutta una serie di servizi di base che offre agli abitanti di Gaza, costretti nel loro piccolo fazzoletto di terra rimasto, come una prigione a cielo aperto.
Ma la volontà che si adopera nel tentativo della sua sostituzione è in atto già da molto tempo, almeno dal 2018 e per il motivo, esplicitato che “perpetua la questione dei rifugiati palestinesi”.
Si è tentato lo scandalo con la falsa accusa che 12 tra i suoi operatori avrebbero fatto parte dell’azione di Hamas e visto che questa accusa, smentita come scusa non è più percorribile, ci si inventa che deve essere sostituita perché è pericoloso per loro essere lì.
L’UNRWA che, ora si sa, ha avuto estorte le sue confessioni con le stesse torture praticate già da anni sui prigionieri palestinesi, torture che hanno dovuto subire anche i medici dell’ospedale preso di mira dall’IDF, difatti vede ora tornare i finanziamenti di Canada, Svezia, Spagna e Australia, ma non dell’Italia.
Gli operatori dell’UNWRA non sono stranieri ma sono scelti fra i palestinesi, molti dei quali già cacciati dalle loro terre, rifugiati, aspirano a ritornare. Ed è proprio questo il punto. Serve un’organizzazione che sia straniera ai palestinesi. La vittoria che si vorrebbe ottenere con questo violento avvicendamento è quella di eliminare, de facto, dai diritti umani, quello dei profughi di tornare a casa.
Ed è molto sintomatico in questo contesto che il mezzo sostitutivo prescelto in questi giorni per portare cibo a Gaza sia la Open Arms, quella Ong conosciuta non solo per le indagini sui cosiddetti taxi del mare, ma anche per essere autrice, nella persona di Valentina Brinis, tra altre Ong del mare presenti, di una censura eseguita come un sabotaggio ignominioso, volgare e brutale (si veda ad un’ora esatta dal video: abbiamo tollerato il primo quarto d’ora di film però…) di un docufilm, l’Urlo, di Severgnini, che racconta per evidenze e testimonianze dirette ciò che accade in Libia, dove sia la democrazia e dove la dittatura.
Il regista, il 22 novembre 2023 era stato invitato a presentare la sua opera in un festival sui diritti umani a Napoli. Come il produttore di questo film non voleva che si parlasse del desiderio dei prigionieri libici di tornare a casa, così in questo festival sui diritti umani. Tagliato e spento, il docufilm, riempito di insulti. Non ha ammesso, la rappresentante di Open Arms, la realtà di detenzione, tortura e schiavitù in queste prigioni per i migranti; tanto meno poteva ammettere la realtà, vista con gli occhi del prigioniero disilluso, su queste Ong che di fatto agivano da pull factor, cioè da esche che attiravano giovani illusi che finivano invece poi in queste prigioni libiche con quasi nessuna speranza di imbarcarsi su una di queste navi per raggiungere l’Europa. Tutto falso, per la rappresentante di Open Arms, falso anche ciò che un suo collega poi non si sente di smentire, per quanto evidente.
Sintomatico, ora, che proprio la Open Arms che non ha ammesso la rappresentazione di questi libici come prigionieri e schiavi (mi domando se gli operatori della Open Arms abbiano mai parlato con i migranti che “salvavano”), sia stata chiamata a sostituire l’UNWRA a Gaza; sintomatico che il regista, Severgnini, per aver solo fatto il nome della Open Society, incontrata in Italia nel percorso di questa tratta che arriva fino in Libia, sia stato dichiarato antisemita.
La vedete già approcciarsi, in seguito al sangue sparso sul deposito alimentare, al termine di questo video. Una nave, abituata al trasporto di migranti, o prigionieri migranti. Una Ong benefattrice che levi il problema a Netanyahu di dove mettere tutto il carico di palestinesi che non è consentito sterminare del tutto?
Porta 200 tonnellate di cibo, dirette al nord affamato. È sbarcata. Ma insieme al cibo o prima ancora di esso è arrivata, ancora, tanta artiglieria. 21 morti e 155 feriti.
Di Francesca Picone per ComeDonChisciotte.org
16.03.2024