FINANZA ARMATA

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PARTE I

Il bilancio di competenza della difesa per il 2007 sale a 18.134,5 milioni di euro rispetto ai 17.782,2 del 2006, quasi il doppio del bilancio di competenza dell’università e della ricerca. Ma ancora non basta. Il ministro della Difesa, Arturo Parisi, ha annunciato l’introduzione di alcuni «correttivi».

L’articolo 113 istituisce un «fondo per le esigenze di investimento della difesa», destinato a «programmi di investimento pluriennale, derivanti anche da accordi internazionali», con una dotazione di 1.700 milioni di euro per il 2007, 1.550 per il 2008 e 1.200 per il 2009: circa 4,5 miliardi in tre anni (questa è solo la punta dell’iceberg della spesa che l’Italia dovrà sostenere per partecipare a tali programmi).

Solo per il caccia statunitense F-35 Lightning, si è investito oltre un miliardo di dollari; per l’acquisto di 131 caccia ci vorranno come minimo altri 11 miliardi che si aggiungeranno ad almeno 7 miliardi di euro per l’acquisto di 121 Eurofighter Typhoon. L’articolo 187 istituisce un fondo di 400 milioni di euro per il 2007 e 500 per ciascuno degli anni 2008 e 2009, per «la tenuta in efficienza dello strumento militare, mediante interventi di sostituzione, ripristino e manutenzione di mezzi e materiali».In altre parole: poiché aerei, autoblindo e navi da guerra si usurano soprattutto in missioni tipo quelle in Afghanistan e Libano, occorrono ogni anno centinaia di milioni di euro per tenerli in efficienza o sostituirli. Tali fondi non vengono però prelevati dal bilancio di competenza della difesa ma aggiunti dalla finanziaria. E, poiché bisogna incentivare l’arruolamento di volontari, l’articolo 187 autorizza per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009 la spesa di 20 milioni di euro destinati alla «costruzione, acquisizione o manutenzione di alloggi per il personale volontario delle Forze Armate».

L’articolo 188 autorizza, per ciascuno degli anni 2007, 2008 e 2009, la spesa di 1 miliardo di euro per il finanziamento della partecipazione italiana alle «missioni internazionali di pace». Tali fondi sono però iscritti non nel bilancio di competenza della Difesa ma in quello del Ministero dell’Economia e delle Finanze. Se poi occorreranno più soldi di quelli previsti, «il Ministro dell’Economia e delle Finanze è autorizzato, con propri decreti, a disporre le relative variazioni di bilancio».

Con questi e altri «correttivi», la spesa militare italiana supera ampiamente nel 2007 i 21 miliardi di euro, equivalenti a oltre 27 miliardi di dollari: l’Italia si colloca così come spesa militare al settimo posto mondiale. Vi sono poi altre voci di carattere militare nascoste nelle pieghe del bilancio: tra queste, un esborso di circa mezzo miliardo di dollari per la manutenzione delle basi USA in Italia; un altro, non quantificabile, per i programmi previsti dall’accordo militare italo-israeliano (Legge n. 94/2005).

Così, mentre si effettua una manovra finanziaria che direttamente e indirettamente grava sulla maggioranza dei cittadini, si accresce la spesa militare e si pongono tutte le premesse per un suo ulteriore aumento. Il sacrificio vale però la pena: in tal modo – spiega il capo di stato maggiore della difesa – l’Italia può avere «capacità di intervento efficace e tempestivo» nelle aree di «interesse strategico», dai Balcani al Caucaso, dal Nord Africa al Golfo persico. Ciò è reso possibile da uno strumento militare coerente col «livello di ambizione nazionale». Ne fanno parte le forze speciali che, spiega il Ministero della Difesa, sono impiegate «in modalità occulta o clandestina» in «operazioni dirette a conseguire obiettivi di natura militare, politica, economica o informativa in aree di difficile accessibilità».

E pensare che nel programma dell’Unione erano previste iniziative innovative in sostegno alla riduzione delle spese militari, al rilancio della cooperazione internazionale, a politiche di disarmo e non-proliferazione, al rafforzamento dei meccanismi di controllo e monitoraggio del commercio di armi.

Fonti: Peacelink, Il Manifesto

EcPlanet
Fonte: http://www.ecplanet.com
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Novembre 2006

PARTE II

DICONO i numeri che in una Finanziaria che a tutti toglie, c’è una voce di spesa che sale. Quella militare. Cinque punti percentuali in più rispetto all’ultima legge di bilancio licenziata dal governo di centrodestra. 12 miliardi 437 milioni di euro per Esercito, Marina, Aeronautica. se è vero che il 72 per cento di questa somma andrà a coprire i “costi del personale” e dunque la spesa corrente per i salari e il mantenimento dei 193 mila uomini delle nostre forze armate (sono esclusi i costi delle missioni all’estero, per le quali è prevista un’ulteriore voce di spesa di 1 miliardo di euro).

È altrettanto vero che, spalmati nel prossimo triennio, altri 4 miliardi e rotti di euro andranno a finanziare un “Fondo per il sostegno dell’industria nazionale ad alto contenuto tecnologico”. Dove per alto contenuto tecnologico, si deve leggere “ricerca militare” e per “industria nazionale” Finmeccanica, azienda per un terzo di proprietà dello Stato, con un core business che, concentrato nel settore degli armamenti, è spinto e alimentato da un mercato domestico in cui opera in regime di sostanziale monopolio.

Nel suo ufficio di Corso Trieste, a Roma, Gianni Alioti, sindacalista della Fim-Cisl, consumato osservatore dell’industria militare italiana ed europea, sorride: “Nel paradosso di un governo di sinistra che investe in armamenti più di quanto non abbia fatto negli ultimi due anni il governo di destra, mi sembra di intravedere una forma di tardo keynesismo militare. Per altro non sostenuto dai fatti. Dire che aumentare gli investimenti in armamenti significa sostenere contemporaneamente i livelli di occupazione e la ricerca tecnologica significa dimenticare la lezione di Federico Caffè, che definiva questo tipo di scelta liberismo spurio”.

Un dato. Tra il 2000 e il 2005, Finmeccanica ha raddoppiato il proprio fatturato (da 6,7 a 11,4 miliardi di euro). Nello stesso periodo, gli occupati sono passati da 41 mila a 56 mila. “Non esiste alcun andamento proporzionale o quantomeno convergente tra crescita dei ricavi e aumento dell’occupazione – osserva Alioti – Esiste, al contrario, una verità comune all’intero mercato europeo e mondiale. L’industria della Difesa è tale che, inevitabilmente, lo sviluppo della tecnologia impone una riduzione della manodopera. Guardiamo quel che è accaduto a La Spezia, un distretto industriale storicamente dipendente dall’industria militare. In quindici anni, gli occupati nell’industria degli armamenti sono passati dal 40 al 19 per cento della forza lavoro totale”.

Sedici senatori dell’Unione hanno scritto una lettera a Prodi. Si legge: “Caro Presidente, l’Italia è al settimo posto nel mondo come spesa militare con ingiustificati acquisti di armamenti come la portaerei Cavour (quasi 1 miliardo di euro, sistema d’arma esclusi), dieci nuove fregate (3,5 miliardi di euro), 121 caccia eurofighter (oltre 6,5 miliardi di euro). Da soli rappresentano l’1 per cento del nostro Pil. Ti ricordiamo che nel programma di governo dell’Unione, ci sono tre riferimenti alla necessità di politiche di disarmo (pagine 90, 91, 109)”. Qui, evidentemente, il “keynesismo militare” non c’entra. Ma qui, la discussione politica interna al governo appare questione accantonata.

Giovanni Lorenzo Forcieri, 57 anni, diessino di La Spezia, senatore nelle ultime quattro legislature, è arrivato sei mesi fa a “Palazzo Marina” come sottosegretario alla Difesa. Dice: “Con questa Finanziaria non facciamo altro che riportare la spesa militare al livello del 2004. Prima ciò è che il governo di centrodestra tagliasse di fatto la spesa militare di 2 miliardi e mezzo di euro. Per altro, a fronte degli investimenti che abbiamo previsto e che servono né più e ne meno che a coprire impegni di spesa già assunti negli ultimi anni e dunque ad onorare dei debiti già contratti, la Difesa cederà al demanio beni per circa 4 miliardi di euro nei prossimi due anni. Come si vede, dunque, il saldo tra entrate e uscite è in equilibrio. Con il vantaggio di smobilizzare risorse necessarie a portare avanti un programma di ammodernamento delle nostre forze armate. E’ evidente infatti che non stiamo parlando soltanto di numeri. Se vogliamo che l’Italia possa efficacemente svolgere il ruolo internazionale che si è conquistata in questi anni, non possiamo rinunciare a investire su una forza armata efficiente e moderna”.

L’argomento di Forcieri riproduce come un calco recenti considerazioni di Pierfrancesco Guarguaglini, amministratore delegato di Finmeccanica: “Se un governo, indipendentemente dal proprio orientamento, vuole portare avanti una politica internazionale di un certo livello, ha bisogno di una componente della Difesa efficiente. E nel passato erano stati fatti tagli notevoli”.

Se il problema non è “se” o “quanto” investire in spesa militare, resta allora il “come”. La qualità delle commesse e la loro urgenza. Allo Stato Maggiore della Difesa non ne parlano volentieri. Frugando nella foresta di sigle e numeri che battezza pezzi di artiglieria, autoblindo, caccia, navi, se ne comprende il perché. Si scopre, ad esempio, che, nel maggio 2006, la Direzione Generale per gli Armamenti Terrestri del ministero ha chiuso con la Oto Melara (Finmeccanica) un accordo di congruità di 310 milioni di euro per la fornitura di 49 veicoli blindati su ruota (“Vbc”, la sigla tecnica. “Freccia” quella da combattimento) le cui torrette dovranno essere allestite per sistemi di lancio di missili anticarro di nuova generazione. Missili “Spike”, di fabbricazione israeliana. L’arnese – spiegano gli addetti – è un costosissimo gioiello tecnologico. Di tipo “intelligente”, “spara e dimentica”.

Centomila dollari il pezzo, cinque volte il costo del suo omologo di fabbricazione americana, il “Tow”. Missile attualmente in dotazione alle forze Nato e al nostro esercito, che ne ha pieni gli arsenali. Raccontano a palazzo Baracchini che le pressioni dell’Esercito sull’ex ministro Martino per ottenere questa “meraviglia” della tecnica considerata troppo costosa persino dall’esercito americano siano state robuste. Ma ammettono anche che il giochino costerà una tombola.

Per ovvie economie di scala (costi di manutenzione e pezzi di ricambio), i 49 veicoli blindati su ruota “Freccia” erano stati concepiti dalla “Oto Melara” per essere perfettamente fungibili con i loro “gemelli” cingolati, i “Dardo”. Stessi abitacoli, stessa strumentazione, stesse torrette. Stessi missili anticarro: i “tow”. Con la scelta del missile “spike”, addio risparmi. Fabio Mini, ex comandante della forza Nato in Kosovo, osserva: “Non riesco a capire che senso abbia dotare di armi anticarro diverse mezzi cingolati e su ruota, che dovrebbero integrarsi sul campo di battaglia. Così come non capisco che senso abbia dotare di una tecnologia più avanzata anticarro un mezzo su ruota che, a rigore di logica, non dovrebbe affrontare in campo aperto mezzi corazzati”. Alla “Oto Melara” concordano. Ma alla “Oto Melara” sanno anche quel che accadrà. Completata la fornitura dei “Freccia”, i “Dardo”, le cui consegne sono state appena ultimate, torneranno nei cantieri per modificare le loro torrette di lancio. I soldi non saranno un problema.

Come i 650 milioni di euro già impegnati a bilancio per consegnare ai nostri Stati maggiori, di qui ai prossimi anni, 72 obici semoventi fabbricati in Germania e assemblati da “Oto Melara” (Pzh, la sigla tecnica) con cui difendere le nostre frontiere. Cosa debba farsene il nostro esercito di un numero cos ì consistente di pezzi di artiglieria immaginati per conflitti di posizione, per scenari di difesa o offesa lungo linee di fronte profonde un centinaio di chilometri (questo il raggio di azione dell’obice), Dio solo lo sa. Meglio, solo l’Esercito lo sa. Ma – sebbene sollecitato – lo Stato maggiore non ha ritenuto di dover fornire risposte.

Risposte che invece, prima o poi, la Difesa e il governo saranno costretti a dare sulla nostra partecipazione al più faraonico dei progetti che la storia dell’aeronautica civile e militare abbia mai conosciuto. Un’avventura dall’acronimo inglese, JSF, “Joint Strike Fighter”, consorzio a guida statunitense per la costruzione del cacciabombardiere del futuro (le consegne del nuovo aereo, battezzato “F35-lightning II”, dovrebbero cominciare nel 2012). La partecipazione italiana al progetto (che ha quali ulteriori partner Inghilterra, Canada, Danimarca, Norvegia, Olanda, Australia e Turchia) fu una scelta del governo di centrosinistra (1998, premier D’Alema). Berlusconi, nei suoi cinque anni a Palazzo Chigi, ne decise i termini economici, fissando la quota del nostro investimento per la sola “fase di sviluppo” in 1 miliardo 359 milioni di euro.

Cifra a cui l’Italia dovrà ora sommare altri 11 miliardi di dollari per l’acquisto dei 131 caccia già ordinati da Aeronautica e Marina. Anche perché la nostra Difesa non ha scommesso e acquistato soltanto nel consorzio a guida americana, ma ha investito e comprato anche nel progetto concorrente europeo, “l’Eurofighter Typhoon” (dove l’Italia è partner di Gran Bretagna, Germania e Spagna). Ce ne verranno altri 121 caccia. Più o meno 7 miliardi di euro.

Ce n’è abbastanza per chiedersi se a decidere della qualità e dell’entità della nostra spesa militare siano i ministri e il parlamento. O non invece gli stati maggiori. O, ancora, se a portare per mano gli uni e gli altri non sia l’industria degli armamenti. Per dirla con le parole di un addetto del settore, “se in Italia il vero ministro della difesa sia Parisi o non l’amministratore delegato di Finmeccanica Guarguaglini”. Un fatto è certo. Negli anni, i capi di Stato maggiore delle nostre tre forze armate hanno tolto l’uniforme per entrare senza soluzione di continuità nel top management delle società di Finmeccanica. Una legge dello Stato lo vieterebbe. Aggirarla è diventata una prassi. È successo con il generale Mario Arpino (da capo di stato maggiore della Difesa alla “Vitrociset”), con l’ammiraglio Guido Venturoni (da capo di stato maggiore della Difesa alla “Marconi”), con il generale Giulio Fraticelli (da capo di stato maggiore dell’Esercito alla “Oto Melara”), con il generale Sandro Ferracuti (da capo di stato maggiore dell’Aeronautica alla Ams). Gli impegni di spesa con Finmeccanica che questa e le prossime finanziarie andranno ad onorare portano anche le loro firme. Da generali, naturalmente.

Fonte: Carlo Bonini su La Repubblica (14 novembre 2006)

EcPlanet
Fonte: http://www.ecplanet.com
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Dicembre 2006

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