DI ERIC TOUSSANT
Mondialisation.ca
Su scala internazionale sono in azione due grandi tendenze opposte
La tendenza attualmente dominante, in atto da circa 25–30 anni, consiste nell’offensiva capitalista neoliberista e imperialista. Negli ultimi anni, tale tendenza si è espressa con il ricorso, sempre più frequente, a guerre imperialiste, specialmente per la conquista di aree petrolifere, con l’aumento degli armamenti delle grandi potenze, con il rafforzamento dell’apertura commerciale nei paesi sottomessi, con la generalizzazione delle privatizzazioni, con un attacco sistematico ai salari e ai meccanismi di solidarietà collettiva conquistati dai lavoratori. Tutto ciò fa parte del Washington Consensus*. Queste politiche si applicano tanto ai paesi più industrializzati che a quelli in via di sviluppo.
Una controtendenza, certo molto debole su scala mondiale, si sviluppa dalla fine degli anni ’90. Essa si è espressa in molti modi: l’elezione di presidenti che predicano una rottura con il neoliberismo (questo ciclo è cominciato con l’elezione di Hugo Chavez nel 1998) o perlomeno un suo alleggerimento; la sospensione del pagamento del debito pubblico a creditori privati da parte dell’Argentina a partire dalla fine del dicembre 2001 fino al marzo 2005; l’adozione di nuove costituzioni democratiche da parte delle Assemblee costituenti in Venezuela, Bolivia, e Ecuador; il rafforzamento delle libertà civili e politiche e un avanzamento nella protezione dei diritti economici, sociali e culturali; l’inizio di un recupero nel controllo da parte dello Stato su grandi imprese pubbliche (il petrolio venezuelano – PDVSA [1]), su risorse naturali (l’acqua, il petrolio e il gas naturale in Bolivia) e su servizi essenziali (produzione/distribuzione dell’elettricità e delle telecomunicazioni in Venezuela); la riduzione dell’isolamento di Cuba; lo scacco dell’ALCA (il trattato di libero commercio che Washington voleva imporre a tutte le Americhe); il debutto dell’ALBA (l’alternativa bolivariana) e lo sviluppo di accordi commerciali e di scambio tra Venezuela, Cuba e Bolivia; il rafforzamento di Petrocaribe che permette a paesi dei Caraibi non esportatori di petrolio di acquistare il petrolio venezuelano con una riduzione del 40% rispetto al prezzo del mercato mondiale; l’uscita della Bolivia dal CIRDI (il tribunale della Banca Mondiale sugli investimenti); l’espulsione del rappresentante della Banca Mondiale dall’Ecuador; l’annuncio dello smantellamento della base statunitense di Manta in Ecuador previsto per il 2009; il lancio della Banca del Sud.
Questa controtendenza sarebbe inconcepibile senza le potenti mobilitazioni popolari che si sono opposte all’offensiva neoliberista degli anni ’80 in America Latina (aprile 1985 a Santo Domingo, febbraio 1989 a Caracas) e in diverse parti del mondo e che da allora sono esplose in maniera periodica. La sopravvivenza di Cuba, nonostante l’embargo e le aggressioni da parte di Washington, ha anch’essa contribuito alla nascita di questa controtendenza in quanto esempio vivente della possibilità di tenere testa alla prima potenza economica e militare del mondo.
La resistenza che incontra l’imperialismo in Iraq, in Palestina e in Afghanistan gioca ugualmente un ruolo fondamentale perché è difficile per gli Stati Uniti realizzare un intervento militare diretto in America Latina [2] mentre devono mantenere un così importante corpo di spedizione in Medio Oriente e in Asia centrale.
Siamo alla vigilia del 2015, anno nel quale devono essere raggiunti i timidi Obiettivi per lo Sviluppo del Millennio (OMD), fissati dalle Nazioni Unite nel settembre 2000 [3]: solo una manciata di anni ce ne separano e il panorama che si presenta è molto inquietante.
E’ palese che le condizioni di vita di una parte significativa della popolazione si degradano, tanto nei paesi più industrializzati che nelle altre parti del mondo. Questa degradazione si riflette sulle rendite, l’impiego, la salute, l’alimentazione, l’ambiente, l’educazione, l’accesso alla cultura. Essa ha a che fare con l’applicazione dei diritti fondamentali delle persone, sia in quanto individui che come collettività. Le degradazioni sono evidenti a livello degli equilibri ecologici, nelle relazioni tra gli Stati e le popolazioni, con il ricorso da parte delle grandi potenze all’aggressione militare. Gli Stati Uniti non sono gli unici aggressori, hanno alleati in Europa dove molti paesi hanno partecipato – o partecipano tuttora attivamente – all’aggressione verso l’Iraq e l’Afghanistan. Senza dimenticare il terrorismo di Stato esercitato dal governo di Israele specialmente verso il popolo palestinese e l’intervento delle autorità russe contro il popolo ceceno.
Esempi di barbarie si manifestano ogni giorno sotto i nostri occhi
Le merci, i servizi, i capitali e le informazioni circolano senza intralci su scala planetaria mentre viene impedito agli esseri umani dei paesi poveri di recarsi nei paesi ricchi. Accordare ai capitali e alle merci totale libertà di circolazione e negarla agli esseri umani costituisce un’espressione della barbarie contemporanea.
In Europa occidentale e negli Stati Uniti quello che è particolarmente ripugnante è la negazione di giustizia nei confronti di chi chiede asilo.
E’ rivoltante sentire un gran numero di dirigenti politici, anche a sinistra, accreditare l’idea secondo la quale non si può accogliere tutta la miseria del mondo e pertanto in questa ottica è in fin dei conti legittimo rifiutare massicciamente il diritto d’asilo nei paesi del Nord, espellere in massa le persone a cui tale diritto viene rifiutato o impedire loro di entrare nei territori in questione. Pensiamo alle migliaia di persone uccise dalle pallottole quando volevano oltrepassare le barriere dell’Unione Europea nelle “enclaves” spagnole del Marocco nel 2005. Pensiamo alle migliaia di persone che perdono la vita cercando di attraversare lo stretto di Gibilterra o di raggiungere le isole Canarie. Questo fenomeno non è evidentemente specifico dell’Europa. Sappiamo quello che succede alla frontiera meridionale degli Stati Uniti sul Rio Grande.
Nel frattempo, la concentrazione della ricchezza a beneficio di un’infima minoranza della popolazione mondiale raggiunge vette mai uguagliate nella storia dell’umanità. Qualche migliaio di capitalisti americani, europei, cinesi, indiani, africani concentrano una fortuna superiore al reddito annuale della metà degli abitanti della terra. E’ anche questa una barbarie.
Il fossato tra paesi ricchi e paesi poveri si approfondisce senza sosta. E’ inaccettabile.
Queste forme di degradazione e di ingiustizia non potranno essere cancellate se non viene invertito il corso della politica.
Il 2015 è la data limite per gli obiettivi del millennio che sono fin troppo modesti e nessuno dei quali va alla radice dei problemi: l’ineguaglianza nella distribuzione della ricchezza e la logica del profitto privato.
In numerosi paesi, non solo non ci si avvicina agli obiettivi del millennio, ma ci se ne allontana. La constatazione è davvero inquietante ed allora bisogna domandarsi se esistono forze sufficientemente potenti per contrastare la tendenza storica in atto.
Questa tendenza storica risale a più di trenta anni fa, ossia una generazione umana. Il colpo di Stato militare di Pinochet in Cile, nel 1973, è servito da laboratorio per la messa a punto di politiche neoliberiste che si sono progressivamente generalizzate all’Europa occidentale – con Margaret Thatcher nel 1979 – agli Stati Uniti – durante la presidenza di Ronald Reagan dal 1981 al 1988 – e al resto del pianeta specialmente con la restaurazione del capitalismo in Russia e in Cina.
L’avvento di forze storiche d’opposizione
Ci sono forze storiche capaci di contrastare questa progressiva influenza del neoliberismo? La risposta è si. Anche se alcuni ne vedono l’origine nel 1999 con la battaglia di Seattle contro il WTO, sembra più appropriato considerare diverse date precedenti come altrettante pietre miliari sul cammino della resistenza alla globalizzazione neoliberista. L’anno 1989 è importante al riguardo: in un primo tempo, è stato percepito solamente come l’anno della caduta del muro di Berlino il che, naturalmente, riveste un’importanza storica. La caduta del muro corrisponde alla fine della caricatura del socialismo burocratico staliniano, una versione totalmente sviata del socialismo che è, invece, un progetto di emancipazione. Ma il 1989 è anche l’anno dell’enorme sollevazione popolare del 27 febbraio in Venezuela, contro l’applicazione del piano di risanamento elaborato dal FMI e contro il regime in carica. I cambiamenti in corso in Venezuela negli ultimi dieci anni non possono essere compresi senza tenere conto di questa data. L’anno 1989 è anche la commemorazione del bicentenario della Rivoluzione francese e l’impressionante mobilitazione contro il G7, riunito quell’anno a Parigi, sotto il segno della lotta per l’annullamento del debito del terzo mondo [4].
Seconda pietra miliare nell’ascesa della resistenza al capitalismo neoliberista: 1994.
Tre avvenimenti importanti hanno avuto luogo in quell’anno:
1 – Il primo gennaio 1994, esplode la ribellione zapatista nel Chiapas. Agisce là un attore che lottava da secoli contro l’occupante spagnolo e i regimi di oppressione ad esso succedutisi. Il popolo indigeno (i Maya) ha avanzato delle rivendicazioni fondamentali. Con un linguaggio universale, si è indirizzato all’insieme del pianeta specialmente attraverso la voce del sub-comandante Marcos. Ciò va al di là della sua persona e delle sue caratteristiche personali. E’ diventato l’espressione di un movimento più profondo perché gli indios del Chiapas non erano soli nel condurre la loro lotta: quelli dell’Ecuador si erano riuniti in seno alla Confederazione delle nazioni indigene dell’Ecuador (la CONAIE). E, nel 2005, Evo Morales, indigeno aymara, dirigente politico e sindacale, è il primo leader indio ad essere eletto presidente di un paese dell’America latina [5].
L’anno 1994 segna dunque l’esplosione della lotta di un popolo nativo che rimette in discussione il trattato di libero commercio tra gli Stati Uniti, il Canada e il Messico così come la controriforma agraria imposta dal presidente neoliberista Carlos Salinas de Gortari [6]. L’esercito zapatista di liberazione nazionale (EZLN) dichiara guerra al governo messicano in modo pacifico, senza spargimento di sangue. In sostanza, l’EZLN afferma: “Ci solleviamo e prendiamo le armi ma speriamo di non dovercene servire”. Non è l’ultima esperienza di guerriglia del XX secolo, ma piuttosto la prima esperienza di un nuovo tipo di guerriglia del XXI secolo.
2 – E’ ancora nel 1994 che si “celebra” il 50° anniversario della fondazione della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale (FMI). L’avvenimento è commemorato da un’enorme manifestazione di protesta a Madrid. Questa manifestazione, intitolata “Le Altre Voci del Pianeta” ha successivamente ispirato i movimenti sociali francesi che, nella mobilitazione contro il G7 a Lyon nel 1996, hanno formato dei collettivi con il medesimo nome [7]. L’iniziativa spagnola riuniva ONG, movimenti come “la piattaforma 0,7”, dove dei giovani lottavano perché i loro paesi consacrassero lo 0,7 del PIL a pubblici aiuti allo sviluppo, il CADM [8] e anche movimenti sindacali, femministi, ecologisti. Già in occasione di questo contro-vertice si alleavano tutta una serie di movimenti che, più tardi, si sarebbero ritrovati a Seattle nel 1999 e poi a Porto Alegre nel 2001, ecc.
3 –Terzo momento forte del 1994: lo scoppio della crisi “Tequila”, ancora in Messico. Bisogna ricordare che nel 1993-94 si parlava del miracolo asiatico, del miracolo messicano, del miracolo ceco per i paesi dell’Est. Si parlava dei paesi emergenti e dei loro grandi successi. La crisi “Tequila” ha scosso tutta l’America Latina. E’ l’inizio di una grande crisi finanziaria che ha colpito successivamente il sud-est asiatico nel 1997-98, la Russia nel 1998, il Brasile nel 1999, l’Argentina e la Turchia nel 2000-01.
Se l’anno 1989 segna l’inizio di una resistenza massiccia e tenace in America Latina contro le politiche neoliberiste, il 1994 costituisce una svolta rispetto all’espressione di nuove forme di resistenza, di nuove alleanze e della crisi del modello neoliberista, e il 1999 rende visibile su scala mondiale e in tempo reale la possibilità di lottare vittoriosamente contro il WTO, un organismo planetario che simbolizza la volontà di trasformare tutte le relazioni umane in merce. Queste tappe si inseriscono in un insieme più ampio di resistenze e di ricomposizione sociale e politica.
Nuove resistenze un po’ dappertutto
Nel corso degli anni ’90, dopo un primo periodo condotto da Pinochet, Thatcher, Reagan e simili, appaiono nuove forme di resistenza, in diversi luoghi del pianeta. Grazie ai diversi attori che così si esprimono, si comincia a riempire il vuoto lasciato dalla crisi del movimento operaio tradizionale.
Costituitosi nel XIX secolo e consolidatosi poco a poco, il movimento operaio ha dominato la scena delle lotte di emancipazione nel corso del XX secolo nella maggior parte dei paesi del mondo. Le lotte della Resistenza in Europa durante la Seconda Guerra mondiale e la Liberazione, le conquiste che hanno fatto seguito alla vittoria sul nazismo e il fascismo, sono state in gran parte condotte dal movimento operaio fondato sui bastioni della classe operaia industriale. Indebolito dall’offensiva neoliberista degli anni 1970 e 1980, questo movimento operaio entra in crisi. Quasi tutte le direzioni delle grandi organizzazioni sindacali sono talmente burocratizzate e adattate al sistema capitalistico e agiscono essenzialmente come un freno alle lotte e alla radicalizzazione. Dalla scissione delle grandi organizzazioni tradizionali nascono nuovi sindacati che giocano il ruolo di ago della bilancia ma stentano a rafforzarsi perché queste burocrazie oppongono loro forti ostacoli. All’interno dei grandi sindacati, alcuni settori più a sinistra della burocrazia centrale giocano anch’essi un ruolo salutare. Benché indeboliti e anestetizzati, i salariati del settore pubblico e privato si lanciano periodicamente in lotte di grande ampiezza. E’ il caso dell’Europa occidentale dove si vedono grandi mobilitazioni sociali alle quali il sindacato partecipa attivamente (Italia, Francia, Germania, Grecia, Portogallo, Spagna…). E’ il caso dell’autunno 1995 in Francia: i salariati entrano in agitazione e si sbarazzano del Primo ministro, Alain Juppé e, sullo slancio, portano Lionel Jospin a ritirare la Francia dai negoziati, fino a quel momento segreti, sull’Accordo multilaterale degli investimenti (AMI), mandando così all’aria un importante pilastro dell’offensiva neoliberale. E’ anche il caso di molti paesi in America Latina, in Asia, in Africa e in America del Nord.
Negli anni ’90 vengono anche alla ribalta attori che erano in precedenza nell’ombra. Su scala planetaria si impongono i movimenti contadini: creazione del Movimento dei Senza Terra nel 1984 in Brasile, creazione dell’organizzazione contadina Via Campesina nel 1992, emergere della figura emblematica di Josè Bové a partire da Seattle, rafforzamento del movimento sindacale dei produttori di foglie di coca diretto da Evo Morales in Bolivia, numerose lotte del movimento contadino in India, in Corea del Sud ed altri parti del pianeta.
Chi, nei paesi industrializzati, avrebbe mai immaginato negli anni ’60 che i contadini avrebbero giocato un ruolo chiave nelle nuove lotte antiglobalizzazione? Questo movimento è diventato un attore estremamente importante nella resistenza all’offensiva neoliberista e alla mercificazione del mondo, ai brevetti sugli esseri viventi.
Ha portato avanti rivendicazioni soprattutto riguardo i beni comuni: l’acqua, la terra, le sementi… Queste rivendicazioni o questi valori non sono una novità in sé ma lo sono nel modo di essere presentati perché, classicamente, le acquisizioni della Liberazione, il rafforzamento dei servizi pubblici, non presentavano il problema dei beni comuni come un obiettivo da raggiungere. Se alcuni beni comuni erano stati rafforzati dopo la Seconda Guerra mondiale, con l’offensiva neoliberista essi si sono del tutto indeboliti e si riscopre la necessità di difenderli o di riconquistarli.
Bisogna, inoltre, considerare i movimenti indigeni perché si vedono anche popoli indigeni ripartire all’offensiva. In Bolivia, ad esempio, dagli anni 1940 agli anni 1960, l’avanguardia del popolo boliviano sono i minatori indigeni e i loro sindacati. Poiché una gran parte delle miniere è stata chiusa negli anni 1980, sono gli Indios, soprattutto i coltivatori di coca, che costituiscono il movimento nel contempo contadino e indigeno. Si sono visti i minatori, in pensione o disoccupati, fare fronte comune con il movimento indigeno e contadino: si è creata una nuova alleanza.
Si potrebbe anche parlare del movimento femminista rilanciato dalla marcia mondiale delle donne nel 2000; di diversi movimenti giovanili che hanno conosciuto una grande ampiezza all’inizio degli anni 2000 (Perù [9], Messico [10], Stati Uniti [11], Italia [12], Spagna [13], Francia [14], Grecia [15], Cile [16] …)
Tra le nuove forze ci sono poi i “nuovi proletari” o i nuovi esclusi. La rivolta delle banlieues in Francia nel novembre 2005 (che ha avuto leggere ripercussioni in Belgio e in Germania) e, più in piccolo, alla fine del novembre 2007, è la rivolta dei nuovi proletari. Non si tratta tanto di quelli che vengono sfruttati in fabbrica in un contesto industriale, anche se una parte di essi vi appartengono. I giovani delle banlieues che si sono sollevati nell’autunno 2005 sono proletari nel pieno senso del termine: non sono proprietari dei loro mezzi di lavoro, devono cercare di affittare le loro braccia e il loro cervello per vivere e mantenere la loro famiglia. Vivono in condizioni precarie e sono spesso vittime del razzismo.
Una sfida: la saldatura con i ribelli
I giovani delle banlieues sono una sorta di nuovo proletariato che cerca e trova strade per esprimersi con modalità d’azione adeguate. Ci si può dispiacere per la forma che ha preso questa rivolta (centinaia o migliaia di automobili private incendiate), ma si tratta di una sfida fondamentale per i movimenti di cittadini organizzati, per i movimenti sindacali, di poter creare una saldatura con questo tipo di ribellione. Non è facile ma, nel frammentato quadro in cui viviamo, se questa saldatura non si realizza, non si vede come gli attori che nei paesi del Nord si oppongono all’offensiva neoliberista possano avere reali possibilità di vincere. Nei paesi dell’Europa occidentale o dell’America del Nord, coloro che hanno la fortuna di avere un impiego o una pensione garantita e l’energia per battersi, in quanto ancora in buona salute (le persone che raggiungevano l’età della pensione 40 o 50 anni fa non avevano le stesse possibilità), devono dare impulso a una nuova alleanza sociale. Se i salariati dai 20 ai 60 anni e i pensionati nei settori organizzati non trovano il modo di congiungersi insieme ai senza voce, ai nuovi proletari, per un forte movimento di contestazione che rimetta in discussione i fondamenti della società, sarà difficile, nei paesi più industrializzati, realizzare cambiamenti radicali. In effetti, ogni cambiamento è sempre dipeso in larga misura dalla nuova generazione, quella che va a scuola, all’università, quella che è disoccupata o che già lavora. La gioventù si è espressa vittoriosamente in Francia nell’ambito del movimento contro il CPE (contratto di primo impiego) nella primavera 2006, ma si esprime anche nelle banlieues.
Molte scosse rivoluzionarie hanno fatto tremare il mondo dopo il XVIII secolo
Nei secoli XVIII e XIX in varie parti del mondo hanno avuto luogo grandi sconvolgimenti rivoluzionari. Le rivoluzioni della fine del XVIII secolo in Francia, negli Stati Uniti e ad Haiti hanno avuto ripercussioni internazionali considerevoli e durature, soprattutto in America Latina dove si sono sviluppate, nel corso del XIX secolo, le guerre d’indipendenza. Nel 1848 scoppiano in molti paesi europei esplosioni rivoluzionarie. Tre anni più tardi è la volta della Cina. Nel 1851 inizia la rivolta dei Taiping contro la dinastia Qing. “Fin dai primi giorni, si procede ad una redistribuzione della terra, emancipando le donne e predicando forme di comunitarismo nel quale certi commentatori hanno voluto vedere una forma di socialismo autoctono”, sottolinea lo storico Christopher Bayly [17]. Qualche anno dopo scoppia, nel 1857 in India, la rivolta contro l’occupazione britannica. Iniziata dall’ammutinamento dei Cypayes, i soldati indigeni in seno all’esercito del Bengala e della Compagnia delle Indie orientali, dura due anni ed assume forme radicali. Quando i governi europei si accordano per reprimere l’ondata rivoluzionaria in Europa, quando Londra schiaccia la rivolta in India e, insieme a Washington propone al potere cinese di aiutarlo a venire a capo della rivolta dei Taiping, sul versante dei popoli non esiste ancora alcuna organizzazione internazionale capace di mettere in relazione queste lotte allo scopo di rafforzarle.
Poco prima della primavera del 1848, nel corso della quale si sviluppa una vera dinamica europea di rivoluzione, Karl Marx aveva dichiarato “uno spettro si aggira per l’Europa”, parlava del comunismo. Insieme a Friedrich Engels e diverse forze politiche, si getta nella creazione dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori. Quattro Internazionali sono state create tra la seconda metà del XIX secolo e la prima metà del XX [18].
Nel XX secolo le rivoluzioni scuotono la Russia nel 1905 e nel 1917, il Messico dal 1910 al 1917, la Germania (1918-1923), l’Italia (1918-1919), la Spagna (1936-1939), la Cina (1949), Cuba (1959), l’Algeria (1954-1962), il Nicaragua (1979), ecc. L’offensiva neoliberista e la restaurazione del capitalismo nell’ex blocco sovietico e in Cina hanno fortemente ridotta la prospettiva rivoluzionaria. Ma i focolai di resistenza al neoliberismo e al capitalismo non sono scomparsi. A partire dagli anni ’90 emerge un movimento di resistenza che riesce ad internazionalizzarsi.
Il processo del Forum Sociale mondiale
La nuova alleanza che emerge si esprime in parte attraverso il processo del Forum Sociale mondiale che ha caratteristiche nuove in confronto alle organizzazioni internazionali di sinistra dei precedenti periodi storici. E’ nettamente meno radicale delle quattro internazionali che si sono succedute nel corso del XIX e XX secolo. Il trauma lasciato dalla degenerazione burocratica delle esperienze socialiste del XX secolo, dal gulag alla restaurazione del capitalismo nel blocco del “socialismo reale”, è molto profondo. Anche la forza dell’offensiva capitalista va presa in considerazione.
Il Forum Sociale mondiale è una pietra miliare nella costituzione di un vasto movimento di resistenza internazionale che è in piena evoluzione. Questo movimento è eterogeneo e non ha un epicentro. Non tutte le multiformi componenti della resistenza si riconoscono necessariamente nel Forum Sociale mondiale.
Il Forum Sociale mondiale (FSM) non ha nulla di miracoloso
Detto questo, non bisogna analizzare il Forum Sociale mondiale unicamente sotto i suoi aspetti innovativi e positivi, perché esso ha dei limiti sempre più evidenti. Prima di tutto, come già accennato, non rappresenta l’insieme dei movimenti di resistenza globale. Due esempi: gli zapatisti del Messico non ne fanno parte, le lotte di resistenza in Cina non hanno legami con il FSM. Inoltre, l’idea di strategia alternativa non è che ai suoi inizi e il vecchio dibattito tra riformisti e rivoluzionari non è chiuso. Bisogna rompere con il sistema o semplicemente emendarlo e trovare dei meccanismi di regolazione con un capitalismo più civilizzato? Questo dibattito è sempre ben presente e sta riprendendo vigore. Può dividere il movimento, che è attualmente l’espressione di una alleanza tra diversi movimenti più o meno radicali sulla base di una carta di principi [19]. In generale, questi movimenti sono d’accordo su una serie di rivendicazioni di base che vanno dalla Tobin tax all’annullamento del debito del terzo mondo, passando per la lotta contro i paradisi fiscali, il rifiuto del patriarcato, la volontà di pace e di disarmo, il diritto alla diversità sessuale … Ma anche se c’è accordo per battersi insieme su queste rivendicazioni, come raggiungere tali obiettivi, senza parlare di obiettivi più fondamentali e radicali? Questo altro mondo possibile che noi auspichiamo e che vorremmo velocemente vedere realizzato affinché le giovani generazioni possano viverlo realmente ( e non solamente sognarlo o desiderarlo), quale è? E’ necessario condurre dibattiti strategici su questi argomenti. Bisogna contemporaneamente discutere dell’alternativa e dei mezzi per raggiungerla. Non se ne può fare a meno.
Una evoluzione negativa sta ipotecando il futuro del FSM. Il successo incontrato dalle diverse riunioni mondiali, che hanno riunito ogni volta decine di migliaia di partecipanti e delegati (e in certi casi più di 100.000 partecipanti come a Mumbai nel 2004 e a Porto Alegre nel 2005), ha trasformato una parte dei suoi protagonisti in organizzatori di eventi e in raccoglitori di fondi. La loro visione dell’alternativa è decisamente limitata a rendere più umana la globalizzazione. I movimenti sociali e le stesse campagne internazionali, attraversate dai dibattiti tra radicali e moderati, non riescono a pesare sufficientemente sul futuro del FSM. La montagna rischia di partorire un topolino e il Forum Sociale mondiale rischia di impantanarsi nell’organizzazione di una successione di riunioni.
Da dove può venire il cambiamento?
Tra le forze che agiscono verso il cambiamento, i movimenti si esprimono in tutti i settori geografici del pianeta, anche in un paese che, per il momento, si trova del tutto ai margini del processo dei forum sociali: la Cina. Questo paese è alla vigilia di conoscere lotte sociali estremamente importanti che richiamano alla memoria la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Di fronte a un capitalismo selvaggio, vi emergono forme di resistenza operaia o cittadina che evocano quello che abbiamo conosciuto in Europa e nelle Americhe un secolo fa. Una differenza fondamentale renderà forse difficile la nascita di un progetto rivoluzionario in Cina: il socialismo e il comunismo sono vittime di un terribile discredito perché è in loro nome che le autorità cinesi hanno diretto il paese fino ad oggi. Il discredito che grava sul socialismo è terribile, è evidente la perdita di punti di riferimento e il disgusto per la politica rischia di essere duraturo.
In effetti, il cambiamento tanto auspicato può arrivare da qualsiasi parte del pianeta.
Il Venezuela, la Bolivia e l’Ecuador: attori del cambiamento
Se si parla di cambiamenti di tipo rivoluzionario, il Sud sembra essere attualmente una cornice più propizia del Nord. Quello che al giorno d’oggi è maggiormente innovativo e potrebbe portare grandi cambiamenti, sono le esperienze venezuelane, boliviane e, più di recente, ecuadoregne. Beninteso, non bisogna idealizzarle ed è bene conservare uno spirito critico. Le derive sono possibili, il rischio di non andare verso una vera redistribuzione della ricchezza minaccia queste esperienze che sono sottoposte a forti resistenze da parte dei capitalisti interni ed esterni, senza parlare delle pressioni dei governi dei paesi più industrializzati e dei loro alleati nella regione (i regimi di Alvaro Uribe in Colombia e di Alan Garcia in Perù). Queste tre esperienze non si riducono al ruolo di Hugo Chavez, di Evo Morales o di Rafael Correa, anche se queste tre figure sono estremamente importanti. Esse giocano fin qui un ruolo positivo nel processo e sono l’espressione di potenti movimenti in corso nei rispettivi paesi. Ma Evo Morales non sarebbe là senza le grandi mobilitazioni di Cochabamba nell’aprile del 2000 contro la privatizzazione dell’acqua e il movimento ancora più vasto di gennaio e febbraio 2003 contro la privatizzazione del gas naturale. Chavez non sarebbe salito alla presidenza nel 1998 se non ci fosse stata l’enorme sommossa anti-FMI del 1989 e la forte resistenza dei Venezuelani. Rafael Correa non sarebbe stato eletto senza i dieci anni di lotta che hanno preceduto e che hanno portato alla caduta di quattro presidenti di destra [20].
Questi tre paesi danno l’esempio perché il movimento vi ha trovato espressione sul versante governativo. I tre governi hanno ripreso l’iniziativa dal punto di vista dei beni comuni: la Bolivia ha ripreso il controllo sul gas, il petrolio e l’acqua, il Venezuela ha assicurato il controllo pubblico sulla produzione petrolifera e ha messo le rendite del petrolio al servizio di un nuovo progetto sociale nel quadro di una redistribuzione su scala regionale. Il Venezuela ha firmato accordi con i paesi della regione non esportatori di petrolio e vende loro il petrolio a un prezzo inferiore a quello del mercato mondiale. In più Cuba, di cui 20.000 medici lavorano volontariamente in Venezuela per fornire cure gratuite alla popolazione, ha sviluppato con questo paese e la Bolivia relazioni di cooperazione molto interessanti. Si tratta di una certa forma di scambio tra paesi dotati di capacità, di storia e di modelli politici differenti. L’Ecuador è in piena riforma costituzionale e ciò può sfociare in una significativa avanzata della democrazia politica nel paese. Peraltro, il presidente ecuadoregno ha affermato a più riprese la volontà di rimettere in discussione il pagamento di debiti illegittimi e ha costituito una commissione per la revisione integrale del debito pubblico interno e estero.
L’attuale esperienza vissuta in questi tre paesi andini non manca davvero di interesse. Il riferimento alla lotta di Simon Bolivar [21] segna la volontà di legare l’esperienza attuale alle precedenti esperienze rivoluzionarie e di radicarla nella realtà latinoamericana. Si nota anche una marcata volontà di rivendicare le lotte di emancipazione condotte dai popoli indigeni, particolarmente la rivolta guidata da Tupac Amaru [22] così come quella comandata da Tupac Katari []. Infine, viene sempre più sottolineato l’apporto dato dagli Africani alla ricchezza culturale di paesi come il Venezuela, la Bolivia [24] e l’Ecuador.
Spingere il corso della storia in favore dell’emancipazione degli oppressi
Dunque da dove possono venire le forze capaci di invertire il corso degli ultimi trenta anni? Esperienze esemplari come quelle del Venezuela, della Bolivia e dell’Ecuador possono combinarsi con le mobilitazioni in America del Nord, in Europa, in Africa e in Asia. Questa saldatura di forze del vecchio mondo con quelle del nuovo mondo potrebbe produrre una vera svolta nel corso della storia. Ma nulla è garantito. Da ciò l’importanza per ciascuno di noi di fare la propria parte nell’azione cittadina.
Verso il socialismo del XXI secolo
Non è necessario credere nella distruzione del capitalismo o nella vittoria di un progetto rivoluzionario per agire nel quotidiano e resistere di fronte all’ingiustizia. Nella Storia non c’è nulla di ineluttabile. Il capitalismo non crollerà da solo. Anche se una grande esperienza rivoluzionaria non è forse dietro l’angolo, è ragionevole pensare che si possa ripartire verso esperienze di tipo socialista che sappiano coniugare libertà e uguaglianza. Questa idea non è unanime in seno al movimento, nel Forum Sociale mondiale, ma sono numerosi quelli che pensano che si debba reinventare il socialismo nel XXI secolo.
Al di là delle traumatiche esperienze del XX secolo, al di là dell’orribile figura dello stalinismo, di quello che è successo in Cina o in Cambogia con Pol Pot, bisogna rinnovare il progetto socialista emancipatore del XIX secolo e i valori rivoluzionari del XVIII e al di là, perché le lotte per l’emancipazione degli oppressi costellano la storia dell’umanità, da Spartaco alle lotte odierne passando per Tupac Amaru e i ribelli di origine africana guidati da Zumbi. Bisogna tenere conto dell’apporto di nuovi attori e di nuove rivendicazioni e inserire il tutto nella realtà del XXI secolo. Il socialismo del XXI secolo è la libera unione dei produttori, è l’uguaglianza uomo/donna, è un progetto internazionale, una federazione di paesi e di regioni nel quadro di grandi entità continentali e nel rispetto dei testi più importanti, dei patti internazionali come la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, il Patto internazionale relativo ai diritti sociali, economici e culturali del 1966, una serie di strumenti per la definizione dei diritti nel quadro internazionale e universale che erano stati scritti e acquisiti con le precedenti rivoluzioni. La realizzazione di tali diritti fondamentali non potrà avvenire che con la creativa messa in pratica di un nuovo modello di socialismo del XXI secolo. Il XXI secolo ha ancora più di nove decenni da vivere …
*[Washington Consensus è un’espressione, coniata nel 1989 dall’economista John Williamson per descrivere un insieme di 10 direttive di politica economica destinate ai paesi che si trovino in stato di crisi economica, e che costituiscono un pacchetto di riforme “standard” indicato da organizzazioni internazionali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (BMI), entrambi aventi sede a Washington. L’espressione ha poi assunto anche un significato informale, identificando (quasi sempre in senso dispregiativo) un insieme di politiche volte ad esaltare il ruolo del libero mercato a discapito dell’intervento dei governi nell’economia di un paese, secondo i dettami dell’orientamento neoliberista, ndT, fonte: Wikipedia]
Note
[1] La direzione dell’impresa pubblica Petrolio del Venezuela SA-PDVSA, creata all’epoca della nazionalizzazione del petrolio venezuelano negli anni 1970, aveva progressivamente favorito gli interessi privati e Washington (nella misura in cui gran parte dei benefici finivano negli Stati Uniti attraverso le filiali di PDVSA presenti in questo paese) fino al momento in cui il governo di Hugo Chavez ha ripreso la situazione in mano a partire dal 2001-2002.
[2] Ciò non impedisce a Washington e a numerosi governi europei di cercare di destabilizzare i governi boliviano, venezuelano ed ecuadoregno, soprattutto sostenendo i settori capitalisti che in questi paesi cercano di provocare la scissione di territori ricchi: la borghesia bianca di Santa Cruz in Bolivia, di Guayaquil in Ecuador, di Zulia in Venezuela. Questa strategia della tensione va seguita molto attentamente perché potrebbe crescere. La maggior parte dei media tende a presentare la volontà di secessione di tali ricchissimi territori come l’esercizio di un diritto democratico del popolo quando invece l’azione è condotta da settori minoritari che si oppongono alle riforme sociali perché minacciano i loro privilegi e il loro controllo sul potere e il denaro.
[3] Per una presentazione critica degli OMD, si veda: Damien Millet e Eric Toussaint, 60 domande e 60 risposte sul debito, il FMI e la Banca mondiale, CADTM-Sylleps, pubblicazione prevista per l’estate 2008.
[4] Le mobilitazioni contro il G7 a Parigi per l’annullamento del debito sono state fatte nell’ambito della campagna “basta così” – alla base della nascita del Comitato per l’annullamento del debito del Terzo Mondo (CADTM).
[5] A dire il vero Evo Morales ha un predecessore: Benito Juarez, presidente messicano negli anni 1860, che ha ripudiato il debito pubblico estero, il che gli è valso l’intervento degli eserciti europei che hanno portato al potere l’imperatore Massimiliano d’Austria.
[6] Appoggiato dalla Banca Mondiale e dal FMI, egli aveva ottenuto dal congresso messicano di riformare la costituzione al fine di privatizzare i beni comuni (chiamati in spagnolo “el ejido”).
[7] Ciò ha ispirato al Comitato per l’annullamento del debito del Terzo Mondo (CADTM) il nome della sua rivista Les Autres Voix de la Planète.
[8] Si veda il dossier del CADTM dedicato al contro-vertice in CADTM-GRESEA, Banca Mondiale, FMI, Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO): adesso basta! Periodico trimestrale del CADTM, 3° trimestre 1995, pp 42-74.
[9] Le lotte studentesche in Perù hanno portato alla caduta del dittatore Alberto Fujimori nel novembre 2000.
[10] Sciopero all’università UNAM in Messico a partire dall’aprile 1999 per una durata di dieci mesi.
[11] Lotte studentesche nei campus su temi sociali e forte partecipazione alle mobilitazioni antiglobalizzazione e antiguerra.
[12] Partecipazione massiccia di giovani alle mobilitazioni antiglobalizzazione e antiguerra dal 2000 al 2004.
[13] Partecipazione massiccia di giovani alle mobilitazioni antiglobalizzazione e antiguerra dal 2000 al 2004.
[14] Lotte studentesche contro il contratto di primo impiego e diverse riforme universitarie. Lotte dei giovani delle banlieues.
[15] Lotte studentesche nel 2006-2007 contro la privatizzazione dell’università.
[16] Lotte dei liceali, soprannominati i pinguini, contro il progetto di riforma del governo socialista di M. Bachelet nel 2006.
[17] Bayly, C.A. (2004), La nascita del mondo moderno (1780-1914), Les Editions de l’Atelier/Editions Ouvrières, Parigi, 2007, 862 pagg., p. 245. La rivolta dei Taiping e la repressione provocarono, secondo Bayly, 20 milioni di morti. La Cina, nel 1850, contava 450 milioni di abitanti.
[18] L’ Associazione internazionale dei lavoratori (AIL), conosciuta come 1a Internazionale, è stata fondata nel 1864, soprattutto ad opera di Karl Marx e Friedrich Engels. Ci si ritrovano collettivisti detti “antiautoritari” (la corrente internazionale di Michail Bakunin), collettivisti (marxisti), mutualisti (seguaci di P.J. Proudhon), … Collaborano insieme militanti politici, sindacalisti e cooperativisti. La 1a Internazionale finisce dopo la scacco della Comune di Parigi del 1871. Nel suo statuto del 1864 (redatto da Karl Marx), l’AIL afferma che “l’emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi”. La 2° Internazionale fu fondata per iniziativa soprattutto di F. Engels nel 1889. Influenzata all’inizio dalle idee marxiste, si evolve progressivamente verso posizioni moderate. Un punto di non ritorno è raggiunto quando i partiti della 2° Internazionale prendono posizioni contrapposte, nell’agosto 1914, al momento dello scoppio della Prima Guerra mondiale. La 2° Internazionale esiste ancora oggi sotto il nome di Internazionale Socialista, raduna i principali partiti socialisti che vanno dalla SPD tedesca al PSOE spagnolo passando per il partito del presidente tunisino Ben Ali, il Partito dei lavoratori d’Israele, L’unione Civica Radicale in Argentina o il FSLN in Nicaragua, il Partito Socialista francese. La 3° Internazionale, fondata da Lenin nel 1919, diventa progressivamente uno strumento della politica estera del regime stalinista ed è sciolta da Joseph Stalin nel 1943. La 4° Internazionale è stata fondata nel 1938 da Lev Trotsky in seguito alla degenerazione burocratica dittatoriale del regime sovietico e all’incapacità della 3° Internazionale di lottare efficacemente contro il fascismo e il franchismo. Attive nella resistenza alla globalizzazione capitalista, molte organizzazioni e movimenti internazionali si ricollegano alla 4° Internazionale.
[19] Si veda www.forumsocialmundial.org.br/main.php?cd_language=3&id_menu=4
[20] Abdalà Bucaram nel febbraio 1997, Jamil Mahuad nel gennaio 2000, Gustavo Noboa nel gennaio 2003, Lucio Gutierrez nell’aprile 2005.
[21] Simòn Bolivar (1783-1830) è stato uno dei primi a tentare di unificare i paesi dell’America Latina per farne un’unica nazione indipendente. Dopo lunghe lotte, riuscì a liberare il Venezuela, la Colombia, l’Ecuador, il Perù e la Bolivia dalla dominazione spagnola. Considerato un vero eroe, il suo nome è legato a numerosi luoghi dell’America Latina.
[22] Nel XVI secolo, Tùpac Amaru, inca quechua, e i suoi seguaci combatterono senza tregua i conquistadores. Catturato dall’esercito spagnolo e condannato a morte, fu squartato nella piazza grande di Cuzco, il 24 settembre 1572.
[23] Tùpac Katari, indio aymara, (1750-1781) radunò un esercito di 40.000 guerrieri che marciò su La Paz nel 1781. Le autorità coloniali impiegarono due anni per venire a capo della sollevazione che beneficiava di un largo sostegno tra la popolazione indigena. Gli occupanti spagnoli lo giustiziarono per squartamento. Prima di morire, avrebbe detto: “a mi solo me mataréis, pero mañana volveré y seré miliones” (mi uccidete, ma domani tornerò e saremo milioni). La sua figura ha ispirato le lotte sociali boliviane degli ultimi anni.
[24] Si veda la proposta di costituzione adottata dall’assemblea costituente nel dicembre 2007.
Eric Toussaint è presidente del du Comitato per l’annullamento del debito del terzo mondeo (CADTM, Belgio)
Titolo originale: “Des résistances aux alternatives. Mise en perspective historique de l’altermondialisme “
Fonte: http://www.mondialisation.ca/
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12.02.2008
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da MATTEO BOVIS