DI MIGUEL MARTINEZ
Kelebek
CUORI NERI E PROBLEMI DI IDENTITA’ (IX)
Da alcuni anni, ci si guarda attorno meravigliati, notando come tanti tendano ad esprimersi attraverso metafore religiose, “da Bush a Osama bin Laden”, per citare un luogo comune. E diciamo, giustamente, che la religione spesso esprime esigenze politiche.
Ma forse è il contrario: noi siamo usciti da un’epoca in cui i movimenti di massa sapevano esprimersi solo attraverso parole politiche, e anche questo comportava le proprie rimozioni e falsificazioni, come possiamo cogliere dalla domanda – posta, credo, da Michele Serra – se la pasta asciutta sia di destra o di sinistra.
Nel Novecento tutto è stato espresso in politica, il fascismo fu un fenomeno del Novecento. Quindi, per fedeltà, anche i vari movimenti neofascisti si esprimono politicamente. Fallendo sempre, in maniera a volte comica, a volte tragica, a volte schifosa.
Se il vero piano è quello mitico, quello contingente della politica viene curato dal neofascismo in una maniera assolutamente cialtrona. Anzi, siccome siamo tutti una strana combinazione di angeli e diavoli, la parte angelica viene riservata tutta per il piano mitico; e quindi, sul piano politico, si esprime il peggio dei neofascisti.
In fondo, “noi” aspettiamo l’età dell’oro, e il resto dell’umanità è composta da venduti e “italioti“, un termine spesso usato dai neofascisti per descrivere i loro concittadini. In attesa della redenzione, nulla quindi vieta di fare politica per ottenere piccoli vantaggi, spesso a livello clientelare o personale; oppure, nel migliore dei casi, semplicemente per avere un palcoscenico su cui recitare il proprio psicodramma.
Tutti sono opportunisti, ma pochi lo sono in maniera palese come certi capi neofascisti. E il fatto che quell’opportunismo possa essere palese, vuol dire che se lo possono permettere, che costa poco in termini di consenso nello stesso “Ambiente”.
Pensiamo a come i vari capi del neofascismo extraparlamentare abbiano in questi anni cambiato posizione, a favore o contro Berlusconi; e quanti neofascisti stanno dentro Alleanza Nazionale e quindi sostengono Berlusconi ormai da dodici anni.
Politicamente, sostenere o rifiutare Berlusconi non è questione da poco, perché significa sostenere o rifiutare la sudditanza all’impero statunitense, il liberismo, le privatizzazioni e anche il governo che ha legalizzato l’ingresso del maggior numero di immigrati della storia italiana.
Questo è possibile a causa del rapporto ambiguo con la stessa politica.
Carlo Terracciano è stato un esponente colto e coerente dell’ambiente neofascista, che non ha mai avuto nulla a che fare con le giravolte che abbiamo appena descritto. Però possiamo cogliere nelle sue parole proprio l’ambiguità che poi, in casi umani più pietosi, permette simili giravolte:
Solo chi ha una Fede profonda può fare Politica rivoluzionaria, essere un antimondialista coerente.
Ho “Fede” ? Certo che ce l’ho ! Non la fede cieca degli stolti, ma quella con gli occhi ben spalancati e la spada in pugno (beh! A dire il vero ho solo la penna…neanche….solo i tasti di un computer, che tuttavia cerco di usare come una spada).
E solo chi si sa sacrificare tutta la propria vita alla propria Fede, qualunque essa sia, può parlare con cognizione di causa: per la mia Fede, per le mie Idee, per la mia Visione del Mondo sono pronto a sacrificare tutto me stesso, i miei interessi privati, la mia “reputazione” per quel che me ne importa, la mia libertà (come già successe) e anche la mia vita.
Sarei fiero di morire ammazzato per Essa.
Senza tutto ciò, quel che si dice e si scrive non sarebbe mai Parola di uomo libero e responsabile (che cioè “risponde” del suo agire), ma vuoto ciarlare di quacquaraquà!
Sia chiaro, non sono parole vuote, sono parole onestamente sentite. Ma provate a immaginare l’effetto di un discorso del genere nel più classico degli scenari di politica reale, la riunione di condominio…
Insomma, è evidente che i neofascisti non hanno realmente la minima intenzione di vincere, perché ogni vittoria metterebbe a rischio la sopravvivenza della comunità.
Per questo motivo, la politica neofascista assume una gamma incredibile di vesti diverse, che all’osservatore poco accorto fanno pensare a stupidità, a pura e semplice confusione, oppure a qualche forma di astuto mimetismo.
In realtà, poiché il neofascismo non fa politica, esiste un’ampia libertà di idee politiche. È una politica da bar, ovviamente; ma in quel bar, ci sono persone di destra e di sinistra, credenti e non credenti, e anche un discreto numero di persone colte e intelligenti.
Una gran parte dei neofascisti, probabilmente la maggioranza, sostiene in economia “terze vie” e “socializzazioni” che – tolta la retorica – non sono del tutto diverse dalle idee che sosteneva a suo tempo il PCI. Per negarlo, certi antifascisti ricorrono a sottili distinzioni teologiche tra “vero” e “falso” anticapitalismo, mentre hanno ben poco da ridire quando un governo di centrosinistra arriva al governo con la benedizione della Confindustria.
Altri neofascisti sognano forme improbabili di feudalesimo, qualcuno il liberismo più acceso.
Lo stesso succede anche in altri campi: sulla mailing list neofascista Area Bin Aria, un sondaggio ha rivelato che il 68% degli intervenuti considera che fascismo e cattolicesimo sono “due visioni opposte e quindi inconciliabili”. Come tanti sondaggi su Internet, con pochissimi votanti, la cosa dimostrerebbe poco; ma è interessante notare come questo risultato non abbia provocato alcun dibattito. E sembra che non abbia offeso i “camerati” di Forza Nuova che si considerano cattolici militanti.
Questo è possibile perché gli elementi “politici”, ma anche quelli riconosciuti come religiosi, sono tutti secondari, rispetto all’istintiva conservazione del gruppo.
Miguel Martinez
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13.11.2006
CUORI NERI E PROBLEMI DI IDENTITA’ (X)
Il più bel testo mai scritto sulla memoria culturale è il Salmo 137.
Che ha senso solo se letto tutto insieme. Quasi sempre, infatti, chi lo cita censura le ultime righe:
Sui fiumi di Babilonia, là sedevamo piangendo al ricordo di Sion.
“Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre. Là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, canzoni di gioia, i nostri oppressori: «Cantateci i canti di Sion!».
Come cantare i canti del Signore in terra straniera?
Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra; mi si attacchi la lingua al palato, se lascio cadere il tuo ricordo, se non metto Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia.
Ricordati, Signore, dei figli di Edom, che nel giorno di Gerusalemme, dicevano: «Distruggete, distruggete anche le sue fondamenta».
Figlia di Babilonia devastatrice, beato chi ti renderà quanto ci hai fatto.
Beato chi afferrerà i tuoi piccoli e li sbatterà contro la pietra.”
Se i neofascisti avessero più interesse per la Bibbia, si riconoscerebbero immediatamente nel gioco di rifiuto, esilio, ossessione con la memoria e ricerca di vendetta che permette la costruzione dell'”Ambiente”.
Ascoltiamo infatti, due millenni e mezzi dopo, questa canzone del complesso neofascista, gli Amici del Vento. E’ un po’ lunga, ma vale la pena, perché permette di cogliere gli stessi archetipi :
“Se mille son le storie che il vento porta via,
questa è la nostra storia generazione mia:
venuti dall’inferno col fuoco nelle vene, innalzeremo al cielo le nostre catene.
E torneremo Europa, lo promettiamo a te. Europa torneremo uniti per te.
Svegliatevi fratelli, su non dormite più: giocatevi oggi stesso la vostra gioventù.
Se la maledizione ce la portiamo addosso la bruceremo insieme al primo straccio rosso.
Se scioglieranno il nodo che oggi ci tiene uniti, andremo in altri posti a costruirci i nidi:
ci bruceran le case ma che importanza ha, in casa dei fratelli del posto ci sarà.
Han fatto leggi e inganni per chiuderci la bocca, dei nostri nomi il muro del carcere ribocca.
Ma mille volte mille il canto si udirà di chi stasera canta la sua libertà.
E mille braccia alzate il mondo rivedrà, dentro alla mia bandiera una croce brucerà.
E tremeranno ancora i farisei di sempre e i loro soldi allora non serviranno a niente.
E chi oggi fa il padrone domani striscerà, lo troveremo allora a chiederci pietà;
e chi oggi ci disprezza domani tornerà, vigliacco come sempre da noi con umiltà.
Su questa nostra terra un vento soffierà e noi semineremo la nostra libertà:
lontano spazzerà i figli del tradimento, ma noi saremo in piedi siamo Amici del Vento.
Lontano spazzerà i figli del tradimento, ma noi saremo in piedi siamo Amici del Vento.”
Come avete visto, è una canzone interamente dedicata al ciclo della memoria, eppure manca l’oggetto stesso del ricordo: non c’è alcun riferimento, ad esempio, al fascismo.
Certo, il fascismo ha avuto la straordinaria fortuna, rispetto al franchismo, di morire giovane.
La tomba di Benito Mussolini a Predappio gode di un culto con qualche modesto parallelo con quello di Padre Pio.
Chi va a Predappio s’imbatterà non solo in un lunapark di negozietti di fasciotrash; vi troverà anche la “Guardia d’Onore” alla tomba del Duce. La cosa forse più significativa è che questa guardia d’onore è stata istituita alla fine degli anni Novanta, e ne fanno parte persone nate decenni dopo Piazzale Loreto. E’ chiaro che qui non siamo di fronte a semplice “nostalgia”.
Decostruire il passato è un’attività divertente, che non scalfisce quasi mai la fede dei credenti, che in realtà non amano affatto il passato, ma una propria creazione immaginaria. Generazioni di onesti ricercatori che hanno frugato tra le contraddizioni della Bibbia o gli orrori dell’Inquisizione hanno avuto un effetto quasi nullo sulla religiosità delle masse. A secolarizzare la società sono state le migrazioni, l’entertainment, il libero consumo e non la ricerca storica.
Per lo stesso motivo, è ovvio che è una perdita di tempo discutere dei crimini commessi ai tempi del fascismo, per smascherare o mettere in crisi il neofascismo oggi, ed è strano come ci sia chi vi insista.
Il problema è un altro: di veramente affascinante, il fascismo offre però poco, anche ai suoi ammiratori.
Non a caso, gli stessi autori che crearono, dietro commissione, le più note canzoni fasciste, diventarono poi i fondatori di Sanremo: se ci pensate, questo fatto basterebbe, da solo, a smontare fascismo e antifascismo insieme in un grumo di risate.
Si formano le schiere e i battaglion che van marciando verso la stazion. Hanno lasciato il loro paesello cantando al vento un gaio ritornello. Il treno parte e ad ogni finestrin ripete allegramente il soldatin.
Provate a confrontare con queste cose, i Lieder tedeschi (non mi riferisco solo al canzoniere nazista), oppure la produzione di Araz Elses, il cantautore dei Lupi grigi turchi.
Per questo motivo, il neofascismo parla poco della marcia su Roma, o di episodi particolari del regime.
Ciò che i neofascisti cercano nella storia è qualcosa di analogo a ciò che è la crocifissione per i cristiani: la sconfitta scelgono rielaborata in vittoria morale.
Nei primi anni del neofascismo, molti di questi episodi erano legati all’anticomunismo: le imprese di Léon Degrelle in Russia e degli ultimi difensori di Berlino nel 1945, ma anche dei legionari (spesso reduci italiani o tedeschi) in Indocina.
In decenni più recenti, l’anticomunismo è largamente scomparso. Oggi, si commemorano semmai i combattenti dell’RSI che avrebbero combattuto contro gli invasori americani, cosa solo in minima parte vera. Però la memoria culturale non è mai costruita con i fatti storici, come dimostra abbondantemente l’archeologia biblica.
Ma perché una memoria abbia la forza di quella biblica, che ricorda un patto tra il divino e l’umano, ci vuole qualcos’altro: molti neofascisti fuoriescono direttamente dal fascismo.
Miguel Martinez
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14.11.2006
CUORI NERI E PROBLEMI DI IDENTITA’ (XI)
Credo che sia utile fermarci per un attimo, per riassumere il senso di questi post.
Prendono spunto dal libro “Cuori neri” di Luca Telese, perché è il primo testo ad ascoltare i neofascisti: non i leader storici, ma i neofascisti reali.
Ascoltare è la premessa per capire qualunque cosa, e chi non vuole ascoltare, rinuncia quindi a capire.
Ma ascoltando, si arriva alla radice, e la radice spesso non è ciò che appare in superficie. In questo senso, ascoltare significa anche svelare.
Cosa possiamo svelare, a partire da “Cuori neri”?
Accantoniamo la “politica”, nel senso spicciolo, che qui non interessa, e vediamo quello che resta.
Prima di tutto, c’è la natura della comunità dei neofascisti. Una comunità marginale, e quindi di per sé non di grande interesse.
Io sono affascinato poi dalla questione della formazione delle comunità umane e dei loro immaginari, e qui possiamo vedere davanti ai nostri occhi un caso concreto, che somiglia a molti altri e quindi trae luce e la getta anche su quegli altri. Anche questo potrebbe non interessare a molti.
Però all’identità neofascista, si agganciano, per varie vie, una serie di cose importanti. Prima di tutto, ci sono gli antifascisti, eredi di un’importante tradizione degli anni Settanta, che in gran parte esistono in funzione dei neofascisti.
Ma ci sono anche questioni molto più importanti. Perché interrogarsi sui neofascisti può portarci a rivedere il senso dell’uso dei termini “destra” e “sinistra“, e quindi gli stessi pilastri su cui si basa il nostro sistema politico.
Può portarci a riflettere sulle questioni di “identità” e di “memoria storica” con cui veniamo martellati ossessivamente da alcuni anni.
E poi c’entrano anche questioni diverse, come le migrazioni in corso nel mondo, oppure il rapporto tra politica e religione.
Non è poco, insomma, e quindi non posso promettervi quando finiranno questi saggi.
Miguel Martinez
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15.11.2006
CUORI NERI E PROBLEMI DI IDENTITA’ (XII)
Il fascismo cessa di essere l’oggetto cruciale della memoria neofascista, grazie in gran parte al pittore e scrittore, Giulio Cesare Andrea Evola, meglio noto con il suo nome da artista, Julius (no, pare che non fosse affatto un barone), la figura più nota del cosiddetto tradizionalismo in Italia.
Diciamo subito due cose importanti.
Prima di tutto, non tutti i tradizionalisti sono evoliani, anzi le critiche più valide a Evola provengono proprio dagli ambienti tradizionalisti.
Secondo, non è affatto vero che tutti i neofascisti siano cultori di Evola.
I “fascisti di sinistra” non lo sono mai stati; non lo sono i fascisti più laici e nemmeno quelli cattolici.
Aggiungiamo che tra gli ammiratori di Evola, pochi hanno effettivamente letto i numerosi e pesanti volumi del teorico dell’idealismo magico.
Qui non mi interessa fare una critica del tradizionalismo o del complesso pensiero di Evola: mi interessa capire perché i neofascisti – solo in minima parte intellettuali – si siano identificati nel tradizionalismo e in Evola. Non è l’Evola filosofo che mi interessa, ma l’Evola simbolo.
So perfettamente che questa distinzione, per quanto fondamentale, non verrà capita, e con ogni probabilità ci saranno alcuni che diranno che attacco Evola, e altri che diranno che ne faccio l’apologia. Pazienza.
Evola rappresenta la convergenza di tre filoni molto diversi.
Il primo filone è il vasto mondo dell’ermetismo, la “filosofia occulta” che dal Rinascimento fiorentino in poi rivendica una visione alternativa a quella imposta dalla Chiesa. Una corrente che nasce con un’invenzione, quella dell’Egitto Mistico, che permette di uscire dai soffocanti confini della Bibbia e del monoteismo. L’ermetismo offre una visione affascinante dell’uomo padrone del proprio destino, il “mago” (ovviamente non nel senso di Otelma o della nostra amica Lisistrata).
Da Giordano Bruno alle logge risorgimentali, l’ermetismo è spesso associato alla ricerca di un mondo nuovo, alla liberazione personale (più che sociale) e alla lotta alla Chiesa cattolica, tanto da dare origine a un ulteriore mito, quello del complotto massonico.
Per questo, è pura ignoranza sostenere, come fa un certo antifascismo militante, che lo spiritualismo sia di “destra”.
Il secondo filone è la cultura della Controrivoluzione, che nasce dall’esigenza opposta: la ricerca di una spiegazione cosmica e grandiosa per il crollo dell’Ancien Régime francese, e più generalmente della cristianità. Una spiegazione che viene offerta, per prima e paradossalmente, da un massone e cattolico francese, De Maistre.
Il terzo filone è quello della formazione del carattere, nello stile austero dell’aristocrazia nordeuropea dell’Ottocento. Insomma, quel particolare modo di camminare che caratterizzava gli uomini che con una durissima disciplina avevano conquistato il mondo per il capitalismo che li avrebbe poi spazzati via dalla storia.
Perché questa fusione evoliana interessa al neofascismo?
L’ermetismo politico fu del tutto marginale durante il fascismo, ed era diviso in due tendenze. Accanto a quella di Evola, ci fu infatti quella di Arturo Reghini, che esaltava una presunta tradizione pitagorica e italica, rivendicando una continuità anticattolica tra rivoluzione francese, risorgimento e arditismo nella Grande guerra.
Il fascismo, facendo appello a tutta la nazione, non aveva alcun interesse a promuovere pretese aristocratiche (e infatti, Evola accuserà il fascismo di essere plebeo).
È solo a fascismo morto che il “tradizionalismo” assume improvvisamente una grande importanza, almeno per un piccolo mondo.
Infatti, il pensiero evoliano fornisce uno straordinario quadro cosmico alla limitata narrazione della Repubblica Sociale. Ragazzi poco più che adolescente scoprono, a cavallo tra gli anni Quaranta e Cinquanta, che essi non sono solo gli eletti reduci del fascismo, ma sono anche gli ultimi uomini in piedi tra le rovine di un intero pianeta, e che dietro questo c’è un disegno metafisico. E vengono a sapere che loro stessi possono diventare “maghi”.
La memoria culturale fa allora un prodigioso salto all’indietro; il fascismo reale diventa così un elemento secondario. Positivo certamente, ma minore e liberamente criticabile. La vera età dell’oro non è più quella in cui si bonificavano le paludi pontine; sorge un’età dell’oro assoluta, quella di Esiodo.
Miguel Martinez
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16.11.2006
CUORI NERI E PROBLEMI DI IDENTITA’ (XIII)
L’Italia è il paese della guerra civile; i primi nemici dei neofascisti sono la maggioranza degli italiani. È quindi impossibile per i neofascisti riproporre le esaltazioni della civiltà italica che hanno caratterizzato il fascismo reale.
Per questo motivo, il nazionalismo e il razzismo attecchiscono in maniera limitata tra i neofascisti, almeno nel periodo dei “Cuori neri”.
Il tricolore sventolato da alcuni neofascisti (ma non da tutti) è stato sostanzialmente un contenitore vuoto. Fino al 1968 circa, indicava uno scontro forte ma locale contro l’affermazione dei diritti dei sudtirolesi e degli sloveni, scontro che perde di interesse proprio con il ’68.
Attorno al 1990, gran parte dei neofascisti scoprono la questione dell’immigrazione, e poi una forma di identità cattolica. A partire dal 1997, Forza Nuova poi introdurrà, per prima, un progetto politico che possiamo definire “nazionalista”.
Quindi, il nazionalismo e il razzismo non erano tra i motori dei “Cuori Neri”, come si potrebbe pensare retroattivamente.
Il tradizionalismo di matrice esoterica cerca l’unità che si trova al di là degli opposti:
“Il saggio, illuminato della dolcezza di visione, vede con occhio equanime il brahmana nobile ed erudito, la mucca, l’elefante, il cane e il mangiatore di cani”
(Bhagavad Gita 5:18)
Evola, al contrario, introduce una dualità cosmica fondamentale, ai cui poli dà nomi diversi.
Semplificando, possiamo dire che da una parte schiera il maschile, il celeste, la luce, l’ordine, il nord; dall’altra, il femminile, il tellurico, le tenebre, il caos, il sud.
Lo studioso tedesco Klaus Theweleit ha scritto un saggio denso ma affascinante (Fantasie virili – Donne Flussi Corpi Storia , la paura dell ‘ Eros nell’immaginario fascista, Il Saggiatore 1997) che prende spunto dalle memorie dei membri dei Corpi Franchi tedeschi degli anni Venti, in cui si vede molto bene il significato insieme politico e psicologico, nonché sessuale, di una simile dicotomia.
Gli accenni geografici – “nord” contro “sud” – non sono casuali: Evola, a dispetto della buona volontà antimperialista di alcuni suoi seguaci, è per molti versi erede della cultura imperialista aristocratica dell’Ottocento. Forse più che del plebeo e demagogico nazionalsocialismo tedesco.
Le società degli junker prussiani o dei collegiali di Eton in Inghilterra erano per molti versi società tremende, e certamente antidemocratiche. Ma dovrebbe essere anche evidente a un cercopiteco di media intelligenza che erano società legate agli eserciti composti da masse contadine e proletarie e agli imperi marittimi, e quindi non potranno mai ritornare. Gli antifascisti integrali che vigilano contro il Pericolo Evoliano (“la marea nera montante” nel loro pittoresco linguaggio) fanno quindi una certa tenerezza.
Abbiamo detto che Evola aveva certamente idee proprie, ma aveva anche dei committenti. Cioè un gruppo di persone che trovava utile il suo pensiero, e gli offriva quindi un mercato.
Ecco che Evola, con il cosiddetto razzismo spirituale, fornisce ai suoi committenti l’antidoto fondamentale alla sconfitta: la certezza dell’elezione.
La superiorità non consiste nell’essere italiani o europei (anche se quest’ultima categoria aiuta, anche più della prima), ma nell’essere camerati. Tutto ciò non viene ovviamente detto in questi termini: il “tipo umano differenziato” di cui parla Evola è semplicemente quello in cui i singoli camerati si proiettano.
Siccome la maggioranza dei neofascisti è di estrazione piccolo borghese, essi accolgono con grande piacere l’equazione, camerati = uomini differenziati = aristocrazia. Ma “aristocrazia” è anche uno specifico riferimento storico: se io, ragioniere al comune di Potenza, sono un aristocratico, vuol dire che appartengo in qualche modo alla stessa sfera umana dei cavalieri che cercarono il Graal, o dei senatori dell’Antica Roma.
E’ facile sorridere di questa fantasia, che però svolge un ruolo cruciale: in questo modo, il neofascista esce dall’isolamento nel presente, entrando in comunione con altre generazioni.
O ci si fonde addirittura, proprio come avviene nel sèder pasquale ebraico, quando si recita Esodo 13:8: “E’ a causa di quel che il Signore fece per me, quando uscii dall’Egitto” – io stesso diventa protagonista della storia.
Si dice che il neofascista, quando attraversa la strada, si attenda sempre di vedere sfrecciare un templare in motorino.
Ecco perché il neofascista ha bisogno di un mondo fortemente dualizzato che lo separi dal resto dell’umanità (dicotomia), rendendolo protagonista di un conflitto eterno (atemporalità).
Questa esigenza viene spiegata perfettamente da Carlo Terracciano:
“Quelle evoliane di Tradizione e Mondo moderno sono categorie aprioristiche atemporali che come tali si ripropongono in ogni epoca: una dicotomia essenziale ed esistenziale che rientra perfettamente nella concezione ciclica della Storia.”
Una cosa “aprioristica” non può essere dimostrata e nemmeno smentita. Ci si deve credere. E quindi stiamo parlando di una fede, in grado di spiegare la storia dell’universo e il senso della vita di ciascuno, e di imporre un’etica. Anche se il termine non piace ai diretti interessati, stiamo parlando di qualcosa che possiamo benissimo definire una religione di tipo dualista.
“Tradizione” e “Mondo moderno“, entrambi con le loro assolutizzanti maiuscole, sarebbero categorie che da sempre si combattono, attraverso i singoli individui. Ora, se “Tradizione” e “Mondo moderno” sono due entità eterne, perché mai la scelta di dare loro nomi che significano sostanzialmente “ieri” e “oggi“?
Infatti, se togliamo a “Tradizione” la sua arrogante maiuscola, ci rimane la “tradizione” – quella delle nonne che fanno i ricami e dei padri che prendono a cinghiate i figli discoli. Cosa che costringe i “tradizionalisti” a dire che loro sono per la “Tradizione, ma non nel senso di…”
I riferimenti temporali in realtà sono importanti, perché sottendono due diversi ordini di riflessioni non espresse a chiare lettere, uno sul presente e uno sul passato.
Innanzitutto, oggi significa il mondo in cui mi trovo. Questo mondo fa profondamente orrore, e constatarlo è un segno di salute psicologica.
In questo, la critica tradizionalista, pur nella sua fumosità, spesso coglie nessi e aspetti che sfuggono alla più pesante e meccanica critica marxista; e non c’è comunque dubbio che si tratti di una critica autentica, profondamente sentita.
Ma una soluzione politica a questo orrore è inimmaginabile. Come i Testimoni di Geova si rifugiano in un prossimo paradiso, l’evoliano si rifugia nel mondo del Ricordo.
Che non è affatto la “tradizione” delle nonne, perché il neofascista in genere è un perfetto figlio del mondo moderno, con pochissime radici reali. Il neofascista, invece, si crea un passato immaginario perché ne ha bisogno nel presente: la Tradizione è proprio questo passato immaginario.
Miguel Martinez
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19.11.2006
CUORI NERI E PROBLEMI DI IDENTITA’ (XIV)
Il fascismo reale ha avuto tre distinte retoriche.
La retorica delle radici, con il suo popolo di santi, eroi e navigatori.
La retorica dello stile, genialmente parodiata da Corrado Guzzanti.
E la retorica della sinistra: a differenza di altri paesi, quasi tutta la retorica politica italiana è stata in qualche misura di sinistra, legata ai temi della redenzione sociale.
Tutte e tre queste retoriche svolgono un ruolo importante nel neofascismo. Mentre Evola ha osteggiato in maniera coerente ogni tendenza di sinistra, questo non è vero per i suoi seguaci, e soprattutto per i numerosi neofascisti non evoliani.
Non c’è nulla di sorprendente in questo. Il fascismo reale conosceva bene le questioni di classe: si può legittimamente definire il fascismo una “dittatura del grande capitale e degli agrari”, oppure – in maniera opposta – la manifestazione della “classe media emergente”.
Ma oggi, oggettivamente, quasi nulla distingue socialmente i neofascisti da persone di altre idee. Ci sono neofascisti ricchi e poveri, operai e commercialisti, disoccupati e bancari, delinquenti e poliziotti. E quasi tutti, come la grande maggioranza degli italiani, appartengono mentalmente al ceto medio globalizzato.
È naturale che queste persone abbiano idee di destra o di sinistra sulle questioni pratiche, in funzione dei loro interessi reali: la paranoica paura delle “infiltrazioni fasciste nel movimento” rende impossibile capire il fatto elementare che un ferroviere o un insegnante fascista possano voler davvero maggiori garanzie sociali.
I neofascisti di sinistra trovano abbondante materiale retorico nel patrimonio del fascismo con cui giustificare le loro scelte. Dire che questa retorica sia falsa perché lo fu quella del fascismo significa non cogliere il problema e non capire perché la retorica di sinistra dei neofascisti sia insieme autentica e impotente.
Negli ultimi anni, il concetto delle radici, così caratteristico del mondo neofascista, si è diffuso ovunque; e ovunque si tratta dello stesso fenomeno: se i neofascisti ci sono arrivati per primi, era solo perché la storia li aveva esclusi dal consenso illuministico del secondo dopoguerra.
È un concetto infatti profondamente legato alla natura umana: essenzialmente, noi siamo la nostra memoria. Se io “sono” Miguel Martinez, è in realtà perché mi ricordo che qualcuno mi ha chiamato così molto tempo fa. E quello che sono, come individuo, è legittimato da una serie di ricordi che costituiscono la mia identità. Ricordi accuratamente filtrati, selezionati e – come dimostra la psicologia – spesso inventati di sana pianta.
Ora, se tu e io abbiamo lo stesso padre, diventiamo fratelli. Il fatto che tu e io oggi abbiamo bisogno l’uno dell’altro, che sia per affinità caratteriale, per comodità materiale o semplicemente perché ci serve un po’ di calore umano, si giustifica quindi raccontandoci storie a proposito di nostro padre. Per farlo, dobbiamo fare finta di molte cose: ad esempio, che il padre non sia morto o che non siano passati quarant’anni da quando ci prendeva in braccio. Dobbiamo anche far finta che sia stata una bravissima persona, altrimenti le sue colpe ricadranno anche sul nostro sodalizio.
Non solo: può darsi che tu e io non abbiamo affatto lo stesso padre, ma siamo come fratelli oggi. E allora, molto semplicemente, ci inventiamo un padre in comune.
Tutti abbiamo sentito dire, con quanta cura i beduini si ricordino di lunghissime catene genealogiche, e ammiriamo probabilmente il loro amore per la tradizione. Ma gli antropologi che hanno studiato i beduini dell’Arabia Saudita sono rimasti alquanto sorpresi nel vedere che nel tempo che è passato tra la visita di uno studioso e quella di un altro, i loro informatori hanno cambiato completamente la propria genealogia. Nonni e bisnonni sono cambiati, guarda caso nella maniera più compatibile alle ultime alleanze a alle ultime litigate dei narratori.
Questo ci chiarisce un punto cruciale. La vera memoria umana non dura molto oltre la vita di un uomo e tende comunque a rimuovere fatti scomodi o dolorosi, oppure a ricamare su quelli veri. Gli antropologi hanno stabilito che la durata massima di un reale ricordo collettivo è di circa quarant’anni, quando va bene.
Il resto è memoria culturale, cioè una serie di rielaborazioni del passato che servono soprattutto a giustificare qualcosa del presente. Alcuni anni fa, è uscito lo splendido film, Il Consiglio d’Egitto, tratto da un romanzo di Sciascia che non ho letto; è indimenticabile la recitazione di Silvio Orlando, mentre falsifica antichi documenti per adattare la storia agli interessi complessi e spesso divergenti di vari nobili siciliani.
Il ceto medio globalizzato, televisizzato, che vive in luoghi e condizioni identiche da Seattle a Siena, cerca di recuperare furiosamente un’identità di gruppo, basato su frammenti autentici e inverosimili invenzioni; da cui la tendenza surreale ma sempre più diffusa a usare il pronome “noi” per parlare di fenomeni lontanissimi nel tempo, che riguardavano forse qualche lontano antenato genetico di cui nulla sappiamo, e che ovviamente non poteva sapere nulla di noi. “Noi ebrei eravamo a Gerusalemme tremila anni fa”, “noi neri siamo la culla dell’umanità”, “noi indiani abbiamo inventato la medicina”. Marco D’Eramo racconta di aver incontrato sul treno un signore che si sentiva molto etrusco.
La “Tradizione”, con la “T” rigorosamente maiuscola, a cui si rifà una gran parte del mondo neofascista è un ente del genere, solo che pretende di essere universale. È una caleidoscopica ricerca di camerati nei luoghi più improbabili: camerati Sioux e vichinghi, camerati indù e samurai. Un’idea di questa grandiosa mescolanza ce la dà questa canzone del cantautore Gabriele Marconi, significativamente intitolata Ricordi. A rischio di togliere qualcosa alla sua poesia, ricordiamo che Marconi avrà sì e no quarant’anni e abita a Roma:
“Ricordo la grande pianura, la barba imbiancata dal vento del Nord,
la gente guardare stupita la spada di ferro e il mio grande destriero
quando l’Europa nasceva…..
Ricordo Alessandro ferito lottare cantando col vento dell’Est
e il cielo d’Europa oscurato dai dardi lanciati da mille guerrieri
quando l’Europa nasceva, quando l’Europa nasceva…
Le mie ossa affondano nelle Termopili, il mio sangue scorre nel Tevere,
la mia pelle adesso è un tamburo che batte la danza d’estate a Stonehenge.
Ricordo la prua del mio drakkar solcare la schiuma veloce nel vento del Sud
e bianche colonne segnare la riva, Trinacria inebriava di mille profumi.
quando l’Europa cresceva…
Ricordo la corte felice, l’amore e la guerra cantavo laggiù
e il sogno imperiale spiegava le ali del falco di Svevia nel sole del Sud
quando l’Europa cresceva, quando l’Europa cresceva….
Le mie ossa affondano nella Vandea, il mio sangue scorre nel Piave,
la mia pelle adesso è un tamburo che batte una marcia di guerra a Verdun.
Ricordo l’Italia di Fiume, i reduci offesi da fame e terrore
e il sogno rinascere a ottobre, gli antichi valori rinascere in me
quando l’Europa sperava…
Ricordo la spiaggia infuocata coprirsi di sangue e di gloria giù ad El Alamein
e il vento dell’Ovest tradire nel fango di Yalta, nel fumo a Berlino
quando l’Europa moriva, quando l’Europa moriva…
Le mie ossa affondano al centro di Praga il mio sangue scorre a Parigi,
la mia pelle adesso è un tamburo che batte una marcia da Derry a Belfast.
Guerriero d’Europa ricordi la strada era lunga da qui all’aldilà,
ma un urlo di gioia esplodeva al tuo arrivo, fratelli abbracciavi per l’eternità!
Le mie ossa affondano nelle Termopili, il mio sangue scorre nel Tevere,
la mia pelle adesso è un tamburo che batte la danza d’estate a Stonehenge.”
Ovviamente tutto ciò non ha nulla a che fare con la realtà. Ma non è semplicemente una canzone: nel mondo neofascista, le immagini incantatrici creano la realtà, smuovono gli animi. E alla fine, fanno spesso rischiare la vita, perché – ci piaccia o no – la vita è anche sogno. Quindi questa visione onirica è straordinariamente potente, pur essendo solo una fusione di diverse retoriche, ognuna delle quali ha le sue origini in qualche fatto storico.
Infatti, quelle che a prima vista sembrano immagini generiche di coraggio guerriero, sono in realtà di parte. Non c’è Spartaco e non ci sono gli spartachisti, non ci sono gli ultimi difensori di Madrid dall’assalto di Franco. Non ci sono i Viet Cong, né gli Arditi del Popolo. Solo Derry e Belfast rimangono come curiosa eccezione.
Alcune sono immagini che si rifanno a una vecchia retorica anticomunista – come il riferimento a Praga; oppure fascista, come Fiume, Berlino, El Alamein e il mese di “ottobre”. Altre provengono da ottocentesche bizzarrie occultiste, come la “danza d’estate a Stonehenge”.
Altre dal patrimonio controrivoluzionario, come il riferimento alla Vandea. E così via.
Nessuna ha a che fare con le radici reali di chi le canta. In fondo le radici d’Italia sono la cucina, la chiesa, i dialetti, le lotte sociali, la famiglia patriarcale, la precoce cultura urbana. Non certo il drakkar che solca la schiuma veloce.
La “Tradizione”, nell’accezione neofascista, è un’interessante costruzione. In parte si tratta di residui di fantasie occultiste, a loro tempo progressiste e anticattoliche, diffuse nelle logge massoniche, sull’esistenza di una presunta filosofia universale.
Su questo si innesta il filone romantico, ma anche un filone parascientifico che nasce dalla scoperta di un fenomeno strano: che dal Bengal all’Irlanda esiste un’unica famiglia di lingue, che farebbe pensare all’esistenza in tempi preistorici di un unico popolo, gli indoeuropei.
L’esistenza di questo popolo non è affatto improbabile. Ma pretendere di ricostruirne i valori e la cultura, come fanno i “tradizionalisti”, in base ai frammenti delle varie culture di popoli che secoli e secoli dopo parlavano lingue indoeuropee è quantomeno discutibile. Per intenderci, sarebbe come cercare di ricostruire la visione filosofica di Marx mettendo insieme un comizio di D’Alema, uno studio sull’abbigliamento in uso nei centri sociali di Padova e il volantino di un gruppo maoista nepalese.
Non solo. Il drakkar veloce e tutto il resto dell’immaginario neofascista è in gran parte un immaginario cinematografico, di derivazione statunitense. Proprio chi insiste di più sulle “radici europee”, inveendo magari contro gli Stati Uniti, si riempie la casa di poster di forzuti guerrieri pseudo-tolkieniani, disegnati da artisti statunitensi.
Miguel Martinez
Fonte: http://kelebek.splinder.com/
Link: http://kelebek.splinder.com/1164010653#9961819
20.11.2006
CUORI NERI E PROBLEMI DI IDENTITA’ (XV)
In ogni sistema castale, la superiorità viene pagata da una serie di costrizioni. Nei sistemi dell’induismo o del giudaismo, queste costrizioni sono prescritte in maniera rigorosa.
Il neofascismo non ammette a se stesso la propria natura religiosa e nasce in un mondo comunque molto complesso; c’è da considerare lo storico lassismo italiano e forse anche l’influsso del cristianesimo, con la sua enfasi sull’adesione interiore piuttosto che sulla forma. Una cosa che si concilia molto bene con la modernità – solo in questo senso, il neofascismo segue il modello protestante piuttosto che il modello ebraico.
Fatto sta che per essere camerati, si deve vivere secondo “certi valori” e secondo “un certo stile di vita“. Termini dati per scontati, e proprio per questo mai definiti (miracoli anche della ricchezza della parola “certo“).
Quella neofascista è una comunità esclusiva, analogamente ai sikh, agli ebrei o ai parsi. Mentre – in omaggio al grande equivoco politico – i neofascisti distribuiscono migliaia di volantini invitando il popolo a seguirli, nulla li turba di più che trovare un aspirante nuovo seguace.
Si diventa camerati quasi esclusivamente in due modi: per nascita o per ammissione durante la prima adolescenza. In entrambi i casi, vale lo slogan da stadio, “fascisti si nasce e non si diventa”: anche se manca la teologia per spiegarlo, è sottinteso che chi “diventa” camerata lo era già nell’anima – all’incirca come la tradizione ebraica secondo cui tutte le anime degli ebrei erano già presenti sul Sinai al momento del Patto, comprese quelle dei convertiti.
Esistono famiglie fasciste da tre o quattro generazioni, in cui la fedeltà viene tramandata come il bene più prezioso. E di tanto in tanto la comunità ammette qualcuno. L’ammissione è un processo complesso, che spesso richiede vere e proprie prove, che in certi casi ricordano il nonnismo delle caserme. Non è difficile capire perché: se cani e porci potessero diventare camerati, cosa distinguerebbe il camerata appunto dai cani e dai porci?
In compenso, l’identità di camerata è difficile perderla. È facile che all’interno dell’ambiente si litighi, anche violentemente; che ci si lancino le accuse reciproche più spaventose; ma è sottinteso che la controparte è un traditore, non un estraneo. Mentre – come in tutti gli ambienti piccoli e che si trovano sotto pressione esterna – le riconciliazioni possono essere sorprendentemente facili. Un fenomeno che uno studioso ha riscontrato anche tra i Testimoni di Geova, e che vediamo agevolmente anche nell’estrema sinistra.
La comunità è fatta di uomini superiori; questi sono superiori perché hanno uno stile di vita differenziato.
In sostanza, questo “stile di vita” non si distingue molto dallo stile di vita che caratterizza qualunque gruppo di maschi legati da un comune rischio. Uno per tutti e tutti per uno, non lasciarsi sedurre dalle femmine ammaliatrici, non piangere quando ti picchiano.
Miguel Martinez
Fonte: http://kelebek.splinder.com/
Link: http://kelebek.splinder.com/1164084110#9974099
21.11.2006