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DI GIANLUCA FREDA
Blogghete!

Clemente Mastella è certamente un tipo in grado di rubare la scena. Tra le altre cose. Tutti conoscono ormai a menadito le ipotesi di reato nei suoi confronti presenti nell’inchiesta “Why Not”. Ogni persona per la quale “giustizia” non sia la semplice designazione di un ministero si è giustamente infuriata per lo scippo dell’inchiesta al suo titolare, il pm di Catanzaro Luigi De Magistris, che stava indagando su Mastella per abuso d’ufficio, finanziamento illecito ai partiti e concorso in truffa nell’ambito di finanziamenti europei e nazionali. Per quanto sacrosanta sia l’indignazione, l’oscenità del personaggio di Mastella è riuscita a far passare in secondo piano le accuse ipotizzate nell’ambito della stessa inchiesta nei confronti del Presidente del Consiglio, Romano Prodi. Non si tratta di accuse di poco conto. La gravità dei reati ipotizzati a carico di Prodi è paragonabile, se non superiore, a quella dei reati ipotizzati contro il Ministro della Giustizia. E’ per questo che la recente “fiducia” espressa da Prodi nei confronti del suo Guardasigilli, più che ad un atto di responsabilità politica posto in essere per la stabilità del paese, fa pensare alla solidarietà malavitosa di certi quartieri periferici, dove i malviventi si fanno le scarpe a vicenda nella gestione degli affari quotidiani, ma sono pronti a spalleggiarsi reciprocamente di fronte all’intervento di terzi incomodi (i gendarmi) che mettono a repentaglio il controllo del territorio.

L’indagine era partita dalla scoperta (cito da Panorama) di un “comitato d’affari, trasversale ai partiti e con base nel paradiso fiscale di San Marino, che grazie ad amicizie altolocate (anche all’interno della Guardia di finanza e della magistratura) e un reticolo di società costituite ad hoc sarebbe riuscito a drenare centinaia di milioni di euro di finanziamenti pubblici (in particolare dell’Unione Europea), indirizzandoli nelle casse dei partiti e nelle tasche dei politici e dei loro amici. Il comitato sarebbe, con coloriture massoniche (la maggior parte degli indagati è anche accusata di aver violato la legge sulle associazioni segrete), una lobby nazionale che controllerebbe con la sua rete di contatti parte del sistema politico ed economico del Paese”. Di questo bel comitato di intrallazzieri all’italiana facevano parte, tra gli altri, Piero Scarpellini, consulente dell’ufficio del consigliere diplomatico della Presidenza del Consiglio per i Paesi africani e uomo di fiducia di Prodi; e Sandro Gozi, deputato dell’Ulivo, ex assistente politico di Romano Prodi all’Unione Europea e oggi membro della Commissione Affari costituzionali. Gozi è indagato per associazione per delinquere, truffa e violazione della legge Anselmi sulle associazioni segrete. Ma il bello doveva ancora venire. Dopo aver sequestrato alcuni cellulari ad uno degli indagati – Antonio Saladino, ex presidente della Compagnia delle opere della Calabria e più recentemente titolare di un’agenzia di lavoro interinale che serviva ad assegnare posti di prestigio agli amici degli amici – gli inquirenti si sono accorti che una delle utenze, intestata ad una non ben identificata “Delta spa”, era stata registrata da Saladino su ben due cellulari con l’annotazione “Romano Prodi cellulare”. E’ dunque verosimile che Prodi utilizzasse quel cellulare per tenersi in contatto con tutti i protagonisti di questa truffa ai danni dell’Unione Europea.

Si tratta, come si può capire, di ipotesi di reato estremamente gravi che non hanno ricevuto – Panorama a parte – la giusta attenzione dei media e che sono state in parte oscurate dal linciaggio (auspicato e benedetto, sia chiaro) di Mastella. Prodi, interrogato sulle accuse dei pm, non ha trovato di meglio che ripetere la frase di prammatica “sono assolutamente tranquillo”. Te lo credo che è tranquillo, soprattutto dopo che l’assalto e le intimidazioni a De Magistris sono riuscite a togliere dalle mani di quest’ultimo la scottante inchiesta, che finirà ora insabbiata nei rimpalli e nei mille cavilli con cui la giustizia italiana ha da tempo abdicato alla sua funzione. Siamo noi, qui in basso, che non siamo tranquilli. Alle prossime elezioni (che sembrano vicinissime, considerato l’encefalogramma piatto dell’attuale maggioranza) andremo a votare con un sistema elettorale in cui sono i partiti e non i cittadini a scegliere i candidati al Parlamento; in una “democrazia” trasformata in farsa dai brogli elettorali tanto di destra (quelli delle ultime politiche) quanto di sinistra (quelli del voto degli italiani all’estero, delle ridicole primarie, per tacere dell’ignobile buffonata del referendum sindacale sul welfare); e potremo scegliere – ammesso che Prodi voglia ricandidarsi, ipotesi improbabile ma non impossibile – tra due capi dell’esecutivo, Berlusconi e Prodi, entrambi impelagati in fatti di corruzione, malversazione e ostracismo all’operato della magistratura. Una bella prospettiva davvero. Resa ancora più preoccupante dall’atteggiamento degli elettori dei due schieramenti, ridotti ad affiliati a due bande malavitose rivali, intenti a spaccare il capello in quattro per dimostrare che il proprio capobanda, per quanto farabutto, è sempre un po’ meglio di quello avversario. Con argomentazioni così cretine, ma così cretine, che suscitano ormai più ilarità che rabbia.

Il centrosinistra è sempre stato una mostruosa creatura mutante, foriera di aberranti esperienze politiche, ma ora non è più neanche una creatura: è un cadavere putrefatto, maleodorante e mezzo scarnificato dagli avvoltoi. Per chi ama e conosce i fumetti, potrebbe essere paragonato ad uno dei re del crimine delle storie di Garth Ennis, tipo Ma’ Gnutti o Lou il Cesso: criminali mutilati, sfigurati e/o oscenamente decrepiti, che riescono tuttavia a rimanere il perno della politica malavitosa della propria zona d’influenza. Finché non arrivano Preacher, Hitman o il Punitore a prenderli a calci nel culo, come si meritano. Del centrodestra è inutile dire: ma davvero certe persone, che osano pure dirsi comuniste, hanno tanta paura del ritorno a Palazzo Chigi di un omuncolo settantenne senza più forza né appeal politico? Il nano di Arcore ha avuto la sua stagione, che è finita da un pezzo. Oggi è costretto, per aver ragione della maggioranza più debole della storia repubblicana, a far la spesa con la sporta al mercato dei senatori. E’ così cretino da vantarsene pure in pubblico, col rischio di vedersi incriminare, come sarebbe auspicabile, per il reato di voto di scambio. Attualmente non possiede neppure una coalizione degna di questo nome di cui mettersi a capo. Sta cercando di raffazzonarne una posticcia con le mance e la sputazza ed è così incapace che neanche ci riesce. Spera di poter campare ancora di rendita sul vecchio repertorio: l’istrione della politica, il grande imprenditore. Senza rendersi conto che l’istrionismo poteva renderlo riconoscibile nella politica parruccona della prima repubblica, non nel circo attuale, dove i pagliacci si sprecano e nessuno ha più paura delle risate. E senza capire che “imprenditore”, parola che aveva una sua nobiltà 13 anni or sono, è oggi sinonimo di Tanzi, Cragnotti, Cecchi Gori… o di Berlusconi, appunto. Un’eventuale sua vittoria – che dipenderà molto dagli accordi con i poteri economici che reggono i fili del teatrino italiano e pochissimo dal volere degli elettori – sarebbe la vittoria di una coalizione evanescente come quella attuale, decrepita come quella attuale, debole ed esposta al rischio perpetuo di sfarinamento come quella attuale. Il 2001 non viene due volte.

La cosa che più mi addolora è che di questa polverizzazione del potere politico, di questa totale perdita di credibilità, di questa debolezza preagonica dei vampiri di Stato, nessuna forza sociale sia in grado – per divisione, per pigrizia o per disperazione – di approfittare. Mao Zedong diceva: grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente. Purtroppo non abbiamo oggi un Mao che sia in grado di sfruttare la confusione e lo sbandamento della casta per farne piazza pulita, ed è un peccato. Ci troviamo sotto scacco di un sistema politico che, a dargli solo una spallata robusta, verrebbe giù come un castello di sabbia. Parlo dei burattini locali, ovviamente, non dei burattinai d’oltreoceano, che sono ben più coriacei e agguerriti, ma che potrebbero anch’essi, tra crisi mediorientale e bolle immobiliari che si afflosciano, restare distratti il tempo necessario a rifilar loro una robusta randellata. Sono potenti, sì, ma non credo che siano invincibili e il momento per un’azione a sorpresa sarebbe propizio. In altri tempi o in altri luoghi, ad aver ragione del nugolo di parassiti istituzionali sarebbe stato sufficiente uno sciopero a oltranza o un’occupazione popolare dei nodi commerciali nevralgici (pensate agli effetti di presidi portuali o di un’occupazione a singhiozzo di punti cruciali della rete autostradale). Oggi nulla di tutto questo è neppure lontanamente all’orizzonte. Siamo oberati dalle rate del mutuo e dai doppi e tripli lavori che ci servono per tirare a campare. Siamo rimbecilliti dalla volgarità e dalle bufale dei media di regime. Siamo impauriti dalla solitudine che si prova a sentirsi abbandonati da uno Stato che ha abdicato ad ogni suo dovere: che trascura e manda in malora la sicurezza, l’istruzione, la salute, il lavoro e ostenta spudoratamente il proprio menefreghismo, ben sapendo che la sfiducia dei detenuti, unita alla risata dei carcerieri, è il sistema psicologico migliore di garantire una disciplinata amministrazione dei campi di lavoro.

Oggi Bertinotti ha auspicato che Prodi possa portare a termine la legislatura: ci ha augurato cioè di restare altri tre anni e mezzo in balia di un governo incapace e impotente, presieduto da un inquisito per atti di corruzione. Massimo Giannini, su Repubblica, auspica che il governo si dia una “missione” in grado di unire la maggioranza su un obiettivo comune, benché fittizio: la riforma della legge elettorale, una riforma che nessuno vuole davvero, visti gli evidenti vantaggi che ogni partito trae dall’escludere con l’attuale sistema ogni residuo di aleatorietà derivante dall’esercizio del libero volere dei cittadini. Ma che sarebbe utile a tirare a campare: a dare al governo un canovaccio teatrale con cui fingere di avere uno scopo, all’opposizione il tempo di rabberciare una coalizione per le prossime elezioni e a Repubblica un po’ di pinzillacchere con cui imbrattare le prime pagine nell’interminabile autunno politico che ci separa dalla fine della legislatura. Lo stesso Giannini mostra di credere poco a questa soluzione: occupati come sono a smerciare pezzi di Stato agli industriali di riferimento e a intrallazzare con le Logge di san Marino, Prodi e i suoi uomini non hanno tempo non dico di lavorare, ma neppure di far finta di lavorare.

Resteremo perciò a spaccar pietre nel nostro campo di lavoro, stanchi e impotenti come tutti i detenuti poco astuti, che si guardano in cagnesco tra loro, senza vedere che le guardie sono prepotenti ma disarmate e le mura della prigione sono fatte di gesso. Basterebbe la forza di pochi uomini uniti a buttarle giù, se solo quei pochi uomini avessero la forza e l’intelligenza di unirsi. Molti hanno fatto notare, su questo e altri blog, l’assoluta impreparazione politica di Beppe Grillo, l’ignoranza crassa di gran parte dei partecipanti al suo blog, l’improponibilità della sua proposta progettuale che si condensa, in ultima analisi, in un generico vaffanculo. Tutte cose vere. Però intorno a quel vaffanculo si sono unite 300.000 persone, e il vaffanculo veniva da una persona che avrà tutti i limiti che si vuole, ma che non fa parte del personale di sorveglianza. Trecentomila persone sarebbero più che sufficienti a fare a pezzi un muro di gesso, se decidessero di provarci. Certo, dietro quel muro c’è un mondo che non conosciamo. Potrebbe attenderci qualsiasi cosa, la libertà come un destino mille volte peggiore. La scelta è difficile. Ditemelo voi. Che facciamo? Proviamo a uscire o restiamo qui a spaccar pietre?

Gianluca Freda
Fonte: http://blogghete.blog.dada.net/
Link: http://blogghete.blog.dada.net/archivi/2007-10
25.10.07

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