DI TERENZIO LONGOBARDI
Aspo Italia
Molti si sorprenderanno, ma Enrico Berlinguer si può sicuramente annoverare tra i precursori del movimento ecologista italiano. Andiamo a rileggere alcuni passaggi dei suoi interventi al Teatro Eliseo di Roma (1977) e al Teatro Lirico di Milano (1979) che delineavano la cosiddetta politica dell’austerità:
“…Questa esigenza nasce dalla consapevolezza che occorre dare un senso e uno scopo a quella politica di austerità che è una scelta obbligata e duratura, e che, al tempo stesso, è una condizione di salvezza per i popoli dell’occidente, io ritengo, in linea generale, ma, in modo particolare, per il popolo italiano. L’austerità non è oggi un mero strumento di politica economica cui si debba ricorrere per superare una difficoltà temporanea, congiunturale, per poter consentire la ripresa e il ripristino dei vecchi meccanismi economici e sociali. Questo è il modo con cui l’austerità viene concepita e presentata dai gruppi dominanti e dalle forze politiche conservatrici. Ma non è così per noi. Per noi l’austerità è il mezzo per contrastare alle radici e porre le basi del superamento di un sistema che è entrato in una crisi strutturale e di fondo, non congiunturale, di quel sistema i cui caratteri distintivi sono lo spreco e lo sperpero, l’esaltazione di particolarismi e dell’individualismo più sfrenati, del consumismo più dissennato. L’austerità significa rigore, efficienza, serietà, e significa giustizia; cioè il contrario di tutto ciò che abbiamo conosciuto e pagato finora, e che ci ha portato alla crisi gravissima i cui guasti si accumulano da anni e che oggi si manifesta in Italia in tutta la sua drammatica portata…”
“…L’austerità per definizione comporta restrizioni di certe disponibilità a cui ci si è abituati, rinunce a certi vantaggi acquisiti: ma noi siamo convinti che non è detto affatto che la sostituzione di certe abitudini attuali con altre, più rigorose e non sperperatrici, conduca a un peggioramento della qualità e della umanità della vita. Una società più austera può essere una società più giusta, meno diseguale, realmente più libera, più democratica, più umana. (…) La politica di austerità … può recidere alla base la possibilità di continuare a fondare lo sviluppo economico italiano su quel dissennato gonfiamento del solo consumo privato, che è fonte di parassitismi e di privilegi, e può invece condurre verso un assetto economico e sociale ispirato e guidato dai principi della massima produttività generale, della razionalità, del rigore, della giustizia, del godimento di beni autentici, quali sono la cultura, l’istruzione, la salute, un libero e sano rapporto con la natura.”
Queste parole profetiche e straordinariamente attuali, nascevano da un clima culturale e scientifico caratterizzato e profondamente influenzato dalla prima crisi petrolifera degli anni ’70 e dall’uscita del celebre “The Limits to Growth”, di Donella e Dennis Meadows e Jorgen Randers, tradotto male in italiano “I limiti dello sviluppo” invece che “I limiti della crescita”, lo studio scientifico basato sulla “Dinamica dei sistemi”, commissionato dal Club di Roma presieduto da Aurelio Peccei. Lo studio (e le due versioni successive), attraverso gli scenari disegnati dal modello di calcolo per computer “World 3”, concludeva che se non fossero state intraprese azioni adeguate da parte dell’umanità per modificare il modello di sviluppo, sarebbero stati superati nei primi decenni dell’attuale secolo i limiti fisici del pianeta, determinando la crisi e il collasso del sistema. Non è questa la sede per entrare in un’analisi approfondita dei contenuti dello studio, che però chiunque si definisca ecologista dovrebbe aver già letto, ma è utile sintetizzare le tre azioni, ritenute tutte imprescindibili dagli autori, per invertire la tendenza al superamento e al collasso: 1) politiche demografiche basate sull’obiettivo due figli a coppia, 2) innovazione tecnologica orientata all’uso efficiente dell’energia, 3) fine della crescita economica illimitata e redistribuzione delle risorse tra paesi ricchi e poveri. Il nuovo modello di sviluppo conseguente a questa strategia fu definito dello “stato stazionario” per indicare efficacemente l’impossibilità di una crescita infinita su un pianeta finito.
Sappiamo cosa avvenne dopo la pubblicazione dello studio: fu messo al rogo, con motivazioni false e vere e proprie menzogne, da una massa di sedicenti esperti, in parte sembra assoldati dalle compagnie petrolifere mondiali, in parte economisti classici che non avevano neanche letto il libro ma vedevano confutate le basi della loro religione laica. La fine della prima crisi petrolifera fece il resto, e il mondo riprese la folle corsa della crescita infinita.
Anche il movimento ecologista ha subito un’evoluzione che ha seguito il dipanarsi di queste vicende. Da movimento fortemente critico nei confronti di un modello di sviluppo non sostenibile, ha gradatamente interiorizzato l’ineluttabilità dell’attuale modello economico, relegando l’ecologia in un ruolo di semplice contrasto agli effetti di tale modello, attraverso la promozione di tecnologie appropriate per migliorare l’efficienza dell’uso delle risorse. Obiettivo certamente necessario ma non sufficiente, come ci ricorda “I limiti dello sviluppo”, ma anche il Secondo principio della termodinamica, che stabilisce un limite alla crescita dell’efficienza energetica, oltre il quale la tecnologia diventa impotente di fronte agli effetti perversi di una continua crescita economica.
Attualmente stiamo vivendo una seconda ma ben più insidiosa crisi petrolifera perché la difficoltà nell’offerta di greggio che si era verificata anche negli anni ’70 dello scorso secolo, questa volta non può essere contrastata con nuovi investimenti e scoperte di nuova capacità estrattiva, in quanto sarebbe stato raggiunto il cosiddetto “Picco di Hubbert”, oltre il quale si determina un calo graduale e irreversibile della produzione della risorsa. In altre parole, la crescita esponenziale dei prezzi del petrolio innescatasi dalla fine del 2001, potrebbe non più arrestarsi, con le gravissime conseguenze che già stiamo cominciando ad avvertire in vari comparti economici. Anche altri segnali sembrano indicare l’approssimarsi di una crisi senza precedenti, l’aumento dei prezzi di molte altre materie prime (a partire dall’uranio), la crescita dell’erosione dei suoli, i cambiamenti climatici ecc.
E’ probabile che a questo punto sia troppo tardi per evitare la crisi preconizzata quasi quarant’anni fa, ma si può cercare di limitarne gli effetti devastanti, attraverso una profonda riorganizzazione della società verso modelli meno consumistici e dissipativi, affrontando una radicale riconversione di alcuni settori economici, in primis quello dei trasporti. E riabilitando sul piano politico Berlinguer e la sua lungimiranza.
Terenzio Longobardi
Fonte: http://www.aspoitalia.blogspot.com/
5.07.08