'BANCHE ARMATE': RITORNANO UNICREDIT E BPM, ESCE INTESA

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DI GIORGIO BERETTA
Unimondo / Campagna di pressione alle ‘banche armate’

Un parziale ridimensionamento e un ritorno in affari. Così possiamo sintetizzare l’operato delle due banche “sotto osservazione” da parte della Campagna di pressione alle ‘banche armate’. Banca Popolare di Milano (BPM) e Unicredit.

Nonostante l’annuncio lo scorso maggio del presidente di Banca popolare di Milano (BPM) Roberto Mazzotta di un impegno della banca “a non partecipare ad operazioni di finanziamento che riguardino esportazione, importazione e transito di armi e sistemi d’arma”, l’istituto milanese compare infatti anche quest’anno nel lungo elenco delle banche che appoggiano l’export delle armi “made in Italy”. Si tratta di 26 operazioni per un valore complessivo di oltre 34,6 milioni di euro che ricoprono più del 3% di tutte le operazioni autorizzate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze nel 2005. Un ridimensionamento, certo, rispetto all’anno precedente quando la comparsa di BPM nel business delle armi con 22 commesse per oltre 53 milioni di euro di “operazioni autorizzate”, pari al 4,05% del totale, aveva suscitato diversi interrogativi da parte degli esponenti della “Campagna di pressione alle banche armate” e in modo particolare di Banca Etica di cui BMP è socio. Ma non tale da fugare tutti i dubbi. Ed anzi solleva nuovi interrogativi l’elenco dei Paesi con i quali BPM ha ricevuto nel 2005 per conto di propri clienti produttori di armi autorizzazioni ad “incassi e pagamenti”. Si tratta, di 26 nuove autorizzazioni, di cui gran parte è ricoperta da una fornitura di 4 elicotteri Agusta AB139 per impiego militare all’Irlanda del valore di oltre 29,8 milioni di euro con autorizzazione alla banca di un primo saldo fornitura di oltre 21,5 milioni di euro. Ma anche una consistente nuova autorizzazione verso la Cina con un valore complessivo di fornitura di oltre 5,26 milioni di euro e di autorizzazione per la prima fornitura di 4,47 milioni di euro di cui non si reperisce il sistema d’arma. Altre nuove operazioni minori dell’istituto milanese riguardano Lussemburgo (3,1 milioni di euro) e Stati Uniti (1,49 milioni di euro), ma anche Messico (8 milioni di dollari, dopo quella di 5,6 milioni l’anno scorso) e India (per 1,2 milioni di euro), e tra le minori, Turchia, Albania, Brasile, Malaysia, Spagna e Grecia. Permane quindi più di qualche interrogativo sulla coerenza con i principi di “banca non armata” annunciati da Banca Popolare di Milano. Interrogativi che, vogliamo credere, non mancheranno di essere sollevati anche nella prossima Assemblea dei soci di Banca Etica in programma per sabato 27 maggio a Bari.

Ulteriori interrogativi suscita anche la ricomparsa con oltre 101 milioni di euro di Unicredit nell’elenco delle operazioni in appoggio all’export di armi. Il gruppo capitanato da Alessandro Profumo, a dire il vero, non è mai uscito dal business delle armi. Ma, dopo che nel dicembre 2000 aveva emesso “ordini di servizio che disponevano dal 1° gennaio 2001 di non assumere più nuovi contratti di questo tipo” aveva di fatto ridotto notevolmente la propria partecipazione in gran parte ereditata dal Credito Italiano che nel 1999 con più di 644 milioni di euro di operazioni ricopriva più del 60% del totale degli importi autorizzati in quell’anno. Negli anni successivi le operazioni assunte da Unicredit venivano giustificate con la necessità di “un periodo transitorio per l’uscita definitiva da questo mercato” e comunque passavano dai 106 milioni di euro del 2000 ai 20,2 milioni del 2004 tanto da indurre chi scrive a segnalare, seppur in modo cautelativo, la graduale attuazione delle disposizioni comunicate dal gruppo. Stupisce pertanto ritrovare Unicredit nell’elenco delle esportazioni autorizzate dal Ministero dell’Economia e delle Finanze per i sistemi d’armamento e per un valore complessivo di oltre 101 milioni di euro che, ricoprendo quasi il 9% del totale, piazzano Unicredit al quarto posto della lista del Ministero. Scorrendo il lungo elenco delle 61 nuove operazioni tra le principali vanno segnalate quelle verso Regno Unito (10,6 milioni di euro) e Stati Uniti (8,7 milioni di dollari) mentre il resto è disperso in una serie di operazioni minori con Paesi che vanno dalla Francia al Giappone, dalla Romania a Israele. E’ opportuno pertanto mantenere un atteggiamento cautelativo in attesa di chiarimenti da parte del gruppo Unicredit.

Per quanto riguarda gli altri maggiori Istituti di credito va innanzitutto notato che, nonostante l’annunciata riduzione del volume di operazioni, le prime quattro principali banche di appoggio al commercio delle armi sono italiane con Capitalia mantiene saldo il primo posto (168 milioni di euro) seguita dal il gruppo S. Paolo Imi (164 milioni), dalla Cassa di Risparmio di La Spezia (112 milioni) e dal già ricordato gruppo Unicredit (101 milioni).

A Capitalia va riconosciuto di aver cominciato ad attuare quanto annunciato dal Direttore Generale al convegno nazionale promosso dalla Campagna lo scorso gennaio, la volontà cioè di ridimensionare significativamente il volume delle transazioni collegate ad operazioni di export di armamenti, che passano infatti dai 2004 ai 168 milioni del 2005. Anche se le maggiori operazioni riguardano Regno Unito (42 milioni di sterline) e Norvegia (24,8 milioni di euro), suscitano però più di qualche domanda le autorizzazioni che concernono India (8,5 milioni di dollari), Turchia (3 milioni di dollari) e Emirati Arabi Uniti (1,3 milioni di euro) e la continuazione di un’operazione di 15,4 milioni di euro con la Cina.

Circa il gruppo S. Paolo Imi, va innanzitutto detto che per volume di operazioni di fatto scavalca Capitalia: ai 164 milioni di euro di autorizzazioni rilasciate alla banca torinese vanno infatti sommati gli 8,3 milioni di euro della Cassa di Risparmio di Bologna che va parte dello stesso gruppo S. Paolo Imi. Il gruppo è il più attivo anche per numero di operazioni (109) che in gran parte sono assorbite da esportazioni verso la Francia (73,7 milioni di euro per un lotto di componenti per 24 missili antiaerei Aster della Mbda che però hanno come destinazione finale Singapore), Spagna (17,4 milioni), Belgio (17,4 milioni) e Germania (15,1 milioni). Ma spiccano anche le autorizzazioni a Paesi in zone calde del pianeta e dove si registrano continue violazioni dei diritti umani come Egitto (2,27 milioni di euro per attrezzature e documentazione per missile Aspide2000 sempre della Mbda) e Turchia (900mila euro) e minori verso Israele (660 mila euro), Malaysia (684 mila dollari) e Cina (510 mila euro). Le autorizzazioni della Cassa di Risparmio di Bologna riguardano invece prevalentemente Paesi della Nato e Australia.

Raddoppiano le operazioni collegate all’export di armi della Cassa di Risparmio di La Spezia che nel 2005 superano i 112,4 milioni di euro dopo aver registrato negli anni precedenti autorizzazioni per 34,1 (nel 2003) e 50,9 milioni di euro (nel 2004). La banca, che ora appartiene al gruppo Cassa di Risparmio di Firenze, è tradizionalmente punto di riferimento delle industrie spezzine del settore e si distingue quest’anno soprattutto per diverse operazioni con Paesi mediorientali ed asiatici come la Thailandia (10,7 milioni di euro per due cannoni leggeri 76/62 super rapido della OtoMelara), Emirati Arabi Uniti (2,6 milioni per 12 torrette da 12,7 mm per versione navale OtoMelara) e Pakistan (1,4 milioni sempre per due torrette da 12,7 mm per versione navale, parti di ricambio e 6000 munizioni).

Tra le maggiori banche italiane da segnalare anche la Banca Nazionale del Lavoro (BNL) che nel 2005 riporta 90 autorizzazioni per un valore complessivo di oltre 60 milioni di euro, in calo rispetto agli ultimi due anni quando aveva registrato una media di 70 milioni di euro. Il “Bilancio Sociale del 2002” informerebbe che “BNL ha maturato la decisione di ridurre progressivamente il proprio coinvolgimento nelle attività finanziarie legate al commercio di armamenti, limitandosi esclusivamente ai paesi dell’Unione Europea e della NATO nell’ambito delle rispettive politiche di difesa e sicurezza”. Decisione che però non è totalmente supportata dalle informazioni delle ultime Relazioni che vedevano operazioni di BNL con diversi Paesi extra-Ue ed extra Nato che continuano anche nel 2005 con due autorizzazioni verso il Pakistan del valore di 2,3 e di 1 milione di euro. Le maggiori operazioni si assetano però in linea con la recente policy della Banca e riguardano Grecia (13,4 milioni di euro), Germania (la maggiore di 7,4 milioni di euro) e Regno Unito (6,8 milioni di euro).

Da segnalare, infine, la quasi totale scomparsa di Banca Intesa che nel 2005 ha assunto solo 2 operazioni del valore complessivo di circa 163 mila euro con Spagna e Marocco, lo 0,01% del totale. Le altre operazioni presenti nella lista del Ministero riguardano autorizzazioni assunte negli anni scorsi e si può pertanto assumere che Banca Intesa stia pienamente onorando la decisione comunicata nel marzo del 2004 di “sospendere la partecipazione a operazioni finanziarie che riguardano l’esportazione, l’importazione e transito di armi e di sistemi di arma, che rientrino nei casi previsti dalla legge 185/90”. La decisione, spiegava la Direzione Generale di Banca Intesa, intende rispondere “a un’esigenza espressa da ampi e diversificati settori dell’opinione pubblica, che fanno riferimento a istanze etiche sia laiche sia religiose”. Il gruppo si riservava comunque di “valutare autonomamente operazioni che – pur rientrando fra quelle previste dalla legge 185/90 – non abbiano caratteristiche tali da essere incoerenti con lo spirito di “banca non-armata”. In tal caso, queste operazioni saranno evidenziate sul sito Internet della Banca, in omaggio ai principi di trasparenza”.

Questo per quanto riguarda le principali banche italiane. A breve l’analisi dell’attività in appoggio al commercio delle armi delle altre banche italiane, delle banche estere ed ulteriori considerazioni.

Giorgio Beretta (Campagna di pressione alle ‘banche armate’).
Fonte: http://unimondo.oneworld.net/
Link: http://unimondo.oneworld.net/article/view/133550/1/
26.05.2007

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