Azerbaigian: la terra del fuoco al centro della geopolitica eurasiatica

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Di Valentina Chabert, pandorarivista.it

Incuneato tra le montagne del Caucaso Meridionale e il bacino endoreico del Caucaso, sin dal XVII secolo l’Azerbaigian si è affermato come importante centro amministrativo e di sfruttamento delle risorse naturali, legando profondamente la propria evoluzione politica ed economica alla disponibilità di idrocarburi nel sottosuolo. Tuttavia, dall’indipendenza dall’Unione Sovietica ad oggi si sono susseguite fasi differenti di ascesa e declino dello sviluppo delle attività estrattive. La transizione post-sovietica in primis è stata caratterizzata da una forte crisi economica attribuibile ai disequilibri provocati da un’eccessiva specializzazione della produzione voluta dall’Unione Sovietica e all’incapacità degli altri comparti industriali azerbaigiani di mantenere i livelli occupazionali e produttivi necessari alla propria sopravvivenza. A ciò si aggiunse l’ondata di instabilità sullo sfondo del conflitto con l’Armenia in Karabakh, che gettò, tuttavia, le basi per una stabilizzazione politico-istituzionale ed economica poi verificatasi nei decenni successivi[1]. Di fatto, proprio al 1994 risale la firma del “contratto del secolo”[2] e la cessione all’Azerbaijan International Oil Company (AIOC) dei diritti di sfruttamento dei giacimenti di petrolio offshore di Azeri, Chirag e Guneshli. L’accordo consentì al Paese di aprirsi agli investimenti stranieri nel settore energetico e, al contempo, di porre fine all’isolamento logistico degli anni precedenti grazie al sostegno dei partner occidentali, che intrapresero progetti infrastrutturali per la costruzione di una nuova rotta energetica verso il Mediterraneo. Tra questi, nel 1999 venne inaugurato l’oleodotto che connette la capitale azera con il porto di Supsa in Georgia, e dal 2005 è attivo l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, che ancora oggi si configura come il principale canale di esportazione del petrolio azerbaigiano. Proprio in questa fase, la presidenza del leader nazionale Heydar Aliyev – di cui quest’anno si celebra il centenario dalla nascita – è stata in grado di consolidare il passaggio dell’Azerbaigian ad un’economia di mercato attraverso specifiche riforme strutturali e misure di politica economica ad hoc. Un’ulteriore fase dello sviluppo del settore energetico azerbaigiano è stata poi segnata dalla crescita dello State Oil Fund of the Republic of Azerbaijan (SOFAZ), incaricato di gestire le rendite petrolifere e trasferirne una parte allo Stato, per poi investire la restante parte in attività finanziarie ed economiche differenti[3]. Nell’ultimo decennio, a sopperire alla stabilizzazione della produzione di petrolio è stato tuttavia il gas, di cui l’Azerbaigian conta ingenti riserve. La scoperta del giacimento offshore di Shah Deniz, nel Mar Caspio e a 70 km a sud di Baku, risale al 1999. L’importanza di Shah Deniz è tuttavia tornata in auge a seguito del conflitto in Ucraina, che ha costretto l’Europa, già colpita da una severa crisi energetica, a rivolgersi in maniera più consistente all’Azerbaigian per la diversificazione dei propri canali di approvvigionamento e il (quasi) completo affrancamento dalle forniture russe: in quest’ottica è dunque da intendersi l’incontro del Presidente della Repubblica azero Ilham Aliyev con i vertici delle istituzioni europee a Bruxelles lo scorso luglio 2022[4] e il ricevimento solenne dello stesso Presidente in Italia, Paese con cui l’Azerbaigian intrattiene relazioni privilegiate e di profonda amicizia[5]. Non a caso, l’Italia rappresenta il punto di approdo della rotta del Corridoio Meridionale del gas, attraverso cui il gas azerbaigiano proveniente dalla South Caucasus Pipeline (SCP) prosegue nella Trans Anatolian Pipeline (TANAP) lungo il territorio turco, e, infine, giunge a San Foca – in Puglia – transitando in Grecia, Albania e nel Mare Adriatico. Allo stato attuale, nell’alveo di un già solido partenariato strategico, Baku e Bruxelles hanno concordato il raddoppio delle forniture di gas naturale attraverso il Corridoio Meridionale, possibilmente arrivando entro il 2027 ad almeno 20 miliardi di metri cubi all’anno[6].

Non solo gas: Azerbaigian crocevia dei traffici intercontinentali

Nel panorama descritto, tuttavia, il ruolo strategico dell’Azerbaigian non si lega in maniera esclusiva alla questione energetica, bensì anche alla posizione geografica e alle connessioni che garantisce con gli altri Paesi della regione, facendo di Baku un possibile crocevia intercontinentale sia nei collegamenti Nord-Sud che in quelli Est-Ovest[7]. Per l’Azerbaigian passano infatti due fondamentali linee di trasporto che consentono una drastica riduzione del tempo di trasporto delle merci dall’Europa all’Asia e viceversa: la Rotta Internazionale di Trasporto Trans-Caspica (TITR), meglio nota come Corridoio Mediano, permette infatti la connessione diretta del continente europeo alla Cina, attraversando il Kazakistan, il Mar Caspio, l’Azerbaigian stesso, Turchia e Georgia, sulle orme dell’antica Via della seta. Al suo interno, la rete logistica e le potenzialità commerciali dell’Azerbaigian sono rese ancor più competitive grazie alla costruzione della linea ferroviaria Baku-Tbilisi-Kars (BTK), inaugurata nel 2017. Non meno importante, l’Azerbaigian è attraversato anche dal Corridoio di Trasporto Nord-Sud (INSTC), una rete infrastrutturale di oltre 7.200 km promossa da Russia, Iran e India nei primi anni Duemila con l’obiettivo di ridurre i tempi di trasporto lungo la rotta commerciale Mosca-Mumbai e connettere l’Oceano Indiano e il Golfo Persico al Mar Caspio. Al contempo, sono attualmente al vaglio della Presidenza della Repubblica dell’Azerbaigian ulteriori progetti infrastrutturali che renderanno la terra del fuoco caucasica ancor più strategica nel panorama logistico transnazionale. Tra questi, il Presidente Ilham Aliyev ha recentemente firmato un accordo per la realizzazione della ferrovia Qazvin-Rasht-Astara, che consentirà un collegamento diretto per il trasporto di merci nell’exclave azerbaigiana del Nakhchivan. Sulla stessa linea, sono state poste le basi per la creazione futura del corridoio di Zangezur, infrastruttura particolarmente controversa – benché prevista dall’accordo di cessate il fuoco firmato da Armenia, Azerbaigian e Federazione Russa all’indomani della seconda guerra del Karabakh – a causa dell’opposizione della controparte armena per via del passaggio del suddetto corridoio attraverso il proprio territorio. In merito, sullo sfondo dell’intensa attività negoziale con l’Armenia in numerosi contesti internazionali per la firma di un trattato di pace che rispetti i principi internazionali e cristallizzi l’astensione di Yerevan di avanzare qualsiasi rivendicazione sui territori sotto la sovranità di Baku, l’Azerbaigian sta compiendo sforzi consistenti per la ricostruzione delle aree liberate del Karabakh e dello Zangazur Orientale.

Nel cuore della geopolitica eurasiatica: la fratellanza Baku-Ankara

In prospettiva geopolitica, l’Azerbaigian si configura come il perno dello scenario caucasico tanto in ambito regionale, quanto eurasiatico e mediorientale. A questo proposito, il rapporto con la Turchia merita un’attenzione specifica. L’inserimento dell’elemento turco all’interno delle vicende storiche della regione caucasica risale alla fine del VI secolo, e in particolare alle pressioni esercitate dai popoli nomadi di stirpe turca risultate in un graduale afflusso di popolazioni nel territorio dell’attuale Azerbaigian[8]. Nei secoli successivi, il Caucaso divenne oggetto delle mire espansionistiche dell’Impero Ottomano, che dalla presa di Costantinopoli nel 1453 diede avvio ad una progressiva avanzata verso Oriente fino a collidere con le armate safavidi. Ciononostante, il territorio azerbaigiano venne mantenuto con forza sotto la sfera di influenza persiana, per poi entrare definitivamente nell’orbita russa dell’Impero Zarista prima, e dell’Unione Sovietica poi. In questo panorama, una nuova fase di contatto tra l’Impero Ottomano e l’Azerbaigian si concretizzò nella caotica fase tra le rivoluzioni che tra il febbraio e l’ottobre 1917 determinarono il tramonto dell’Impero Zarista e il triennio di guerra civile a cui seguì la nascita dell’Unione Sovietica, durante la quale Baku visse una breve esperienza di indipendenza con la proclamazione della Repubblica Democratica dell’Azerbaigian (1918-1920). A far maturare una maggiore consapevolezza nazionale tra gli azerbaigiani furono i moti rivoluzionari interni all’Impero Ottomano, con cui i legami etnici e culturali non vennero mai del tutto recisi da secoli di dominazione russa. Non è dunque un caso che i primi naturali alleati della Repubblica Democratica dell’Azerbaigian fossero proprio gli Ottomani, che con l’uscita dell’Impero Russo dalla Prima guerra mondiale ridiedero vigore al progetto di avanzata verso il Caucaso in ottica panturanica, ristabilendo il ruolo dell’Azerbaigian quale pilastro della proiezione ottomana verso l’Asia Centrale. A seguito dell’esperienza sovietica fu nuovamente la Turchia il primo Stato a riconoscere la Repubblica dell’Azerbaigian come Stato sovrano il 9 novembre 1991. Con il ripristino dell’indipendenza, l’élite politica azerbaigiana si trovò di fronte a una scelta strategica: modellare il Paese sulla base della Repubblica islamica dell’Iran e quindi integrare l’Azerbaigian nella comunità musulmana, o plasmare la nazione sul modello turco. In virtù dei legami con i fratelli turchi, la leadership politica azerbaigiana scelse consapevolmente di sviluppare il Paese secondo il modello turco: nonostante gli azerbaigiani condividessero la stessa religione con l’Iran – entrambi appartengono al ramo sciita dell’islam –, le somiglianze linguistiche e culturali con la Turchia risultarono più rilevanti[9]. Da qui l’espressione “bir millət, iki dövlət” – “una nazione, due Stati” – attribuita all’ex presidente dell’Azerbaigian Heydar Aliyev, che definisce la natura fraterna delle relazioni tra Ankara e Baku[10]. Espressione a cui ha dato voce anche lo stesso Presidente turco Recep Tayyip Erdoğan lo scorso 10 dicembre 2020 a Baku durante le celebrazioni del trionfo azerbaigiano sull’Armenia nella seconda guerra del Karabakh[11]. Tuttavia, si tratta di un’alleanza basata su un chiaro ritorno al passato, secondo la quale il fondamento della gestione delle dinamiche regionali dovrebbe risiedere nel passaggio attraverso la Sublime Porta turca che connetterebbe, passando per l’Azerbaigian, la Turchia ai popoli turcofoni dell’Asia Centrale. Da qui il sostegno all’Azerbaigian: popolo turco, garante della sicurezza energetica di Ankara, porta d’accesso per le risorse caspiche e centroasiatiche, politicamente stabile. A riprova del fatto che la narrazione panturanica di Erdoğan ha reso funzionale l’Azerbaigian alla politica estera di Ankara con il Presidente Aliyev garante di tale retorica, in quest’ottica deve essere letta la volontà turco-azera dell’apertura del corridoio di Zangezur, incuneato tra Armenia e Turchia[12]. Ciononostante, come anticipato, a quasi tre anni dalla firma dell’accordo di cessate il fuoco che ha messo fine alla seconda guerra del Karabakh permangono forti opposizioni alla sua realizzazione anche per via della resistenza iraniana: qualora il corridoio di Zangezur divenisse realtà, Teheran si troverebbe di fronte ad un muro panturco e senza più un confine diretto con l’Armenia, il mantenimento del quale rappresenta una linea rossa per la Repubblica Islamica[13]. ​​Tanto più che il supporto turco all’Azerbaigian si è tradotto, a partire dalla dichiarazione di Shusha del giugno 2021[14], nell’aumento della già sostanziale cooperazione militare che prevede la costruzione congiunta di droni, la modernizzazione delle forze armate e l’organizzazione di esercitazioni militari congiunte in territorio azerbaigiano. Al contempo, la Turchia continua ad essere il principale sostenitore di Baku con la fornitura di droni Bayraktar TB2, che hanno permesso all’esercito di Aliyev un sostanziale vantaggio militare nel conflitto contro l’Armenia nel 2020.

Le tensioni con l’Iran

La prossimità all’Iran ha avuto notevoli influenze sull’evoluzione politica e culturale dell’Azerbaigian. Ne è un esempio la ricca produzione letteraria e scientifica che, fino al XIX secolo, ha preceduto la progressiva affermazione della cultura azerbaigiana contemporanea, in cui il persiano è stato impiegato come lingua ufficiale per la realizzazione delle opere che ancora oggi costituiscono il fondamento dell’eredità intellettuale del Paese. A differenza del corso iraniano, la corrente religiosa sciita non ha però rappresentato un fattore essenziale per la società azerbaigiana, che – anche in virtù dei più diversi influssi religiosi e culturali e delle politiche di de-islamizzazione attuate durante il periodo sovietico – ha assunto una natura profondamente secolarizzata, risultata in una netta separazione tra la sfera istituzionale e quella religiosa[15]. Alle vicende storiche che hanno interessato l’area del Caucaso meridionale è pertanto attribuibile l’attuale divisione dell’etnia azerbaigiana tra il territorio della Repubblica dell’Azerbaigian e la parte settentrionale dell’Iran in cui risiedono quasi 25 milioni di azeri a cui è stato consentito di parlare una lingua affine all’azerbaigiano purché scritta impiegando i caratteri dell’alfabeto arabo. Proprio la questione etnica risulta essere al centro delle attuali tensioni tra Iran e Azerbaigian, i cui rapporti si sono notevolmente incrinati a partire dalla seconda guerra del Karabakh. Nello specifico, il conflitto ha messo in discussione i precari equilibri che, sin dai tempi antichi, hanno visto la componente turcofona del popolo persiano vivere fasi alterne di inclusione ed emarginazione e lo Stato iraniano contrastare potenziali tendenze nazionaliste azere all’interno dei propri confini, mantenendo pertanto separati gli azeri d’Iran dai propri fratelli caucasici. A preoccupare le autorità azerbaigiane è il trattamento riservato dallo Stato iraniano alla minoranza turcofona che risiede nella parte nord-occidentale dell’Iran e che si concentra nelle città di Tabriz, Urmia e Ardabil[16]. Secondo Baku, gli azeri iraniani si trovano in una condizione di profonda discriminazione imputabile all’impossibilità di ricevere un’educazione nella propria lingua madre e al divieto di utilizzo della lingua turco-azera tanto nelle scuole quanto nei tribunali, nelle strutture di governo e nell’esercito. Situazione tanto più aggravata nel contesto delle proteste antigovernative, che da mesi hanno scosso l’Iran e portato ad un nuovo livello di complessità le già tormentate relazioni azero-iraniane. Di fronte al diffuso malcontento pubblico, il regime iraniano ha più volte tentato di addossare la colpa della crisi di legittimità interna a forze esterne, additando irremovibilmente Stati esteri – tra cui l’Azerbaigian – come responsabili dei disordini interni. Per le forze iraniane, l’accusa di interferenza straniera risulta essere un modo conveniente per distogliere l’attenzione dai propri fallimenti e promuovere al contempo un effetto di “ravvicinamento alla bandiera”, il quale potrebbe contribuire a mitigare la frustrazione pubblica tra i cittadini iraniani. In questo modo, l’escalation delle tensioni con i Paesi vicini fungerebbe da “valvola di sicurezza” per le tensioni interne[17]. Non è dunque un caso che, a partire dall’autunno 2022, la situazione sia drammaticamente peggiorata e le relazioni bilaterali tra i due Paesi si siano ulteriormente incrinate proprio a partire dalle aree di confine, in cui l’Iran ha tenuto due esercitazioni militari su larga scala accusando Baku di collusione con i suoi nemici e di interferenza nei suoi affari interni. Nonostante sia da escludere la volontà di entrambi i governi di arrivare ad un reale confronto militare, le esercitazioni iraniane parte dell’operazione Mighty Iran hanno mostrato la preparazione di Teheran a reagire nei confronti di qualsiasi minaccia alla propria integrità territoriale proveniente dall’esterno. L’Azerbaigian non ha tardato ad organizzare analoghe attività lungo il proprio confine meridionale e a adottare misure forti per respingere l’assertività iraniana nella regione[18]. Nei mesi di novembre e dicembre 2022, di fatto, il Presidente Aliyev ha personalmente monitorato le esercitazioni militari congiunte dell’operazione Fraternal First con la Turchia alla frontiera con l’Iran, in cui – specularmente a quanto riprodotto il mese prima dalle forze armate di Teheran – è stato simulato l’attraversamento di ponti sul fiume Aras da parte di carri armati azeri sotto la supervisione di alti funzionari militari turchi. Le tensioni tra Baku e Teheran hanno poi continuano ad acuirsi durante i primi mesi del 2023, quando un uomo armato di kalashnikov ha attaccato l’ambasciata dell’Azerbaigian a Teheran[19], uccidendo il capo della sicurezza della sede diplomatica e ferendo due guardie. L’attacco, interpretato da Baku come un atto di terrorismo, ha dato il via ad una seria escalation diplomatica tra i due Stati, culminata lo scorso aprile con la convocazione dell’Ambasciatore straordinario e plenipotenziario iraniano in Azerbaigian Seyyed Abbas Mousavi presso il Ministero degli Affari Esteri di Baku – poi dichiarato persona non gradita per attività incongruenti con lo status diplomatico e intimato a lasciare il Paese entro 48 ore[20].

La vicinanza ad Israele

Sullo sfondo delle crescenti tensioni con Teheran, Baku si è mossa attivamente con l’intento di rafforzare la propria partnership di sicurezza con Israele, annunciando, lo scorso novembre, l’apertura di una propria Ambasciata nello Stato ebraico[21]. Israele e Azerbaigian intrattengono stretti rapporti da oltre trent’anni; ciononostante, mentre Israele ha aperto la propria rappresentanza diplomatica a Baku nel 1993, finora non era avvenuto il contrario. Con l’approvazione di un disegno di legge da parte del Parlamento azero volto ad autorizzare l’apertura della propria sede diplomatica in Israele, Baku ha di fatto rotto con la propria politica decennale di astinenza dall’invio di una propria missione diplomatica nello Stato ebraico al fine di non irritare l’Iran. Nell’attuale contesto di instabilità geopolitica del Caucaso, pertanto, la decisione si inquadra all’interno della strategia azerbaigiana di controbilanciamento dell’asse regionale tra Iran, Armenia e Russia. Dal canto suo, in occasione dell’inaugurazione dell’ambasciata azerbaigiana a Tel Aviv nella giornata del 30 marzo, il Ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen ha presentato la crescente cooperazione con Baku come strategica e in chiave anti-iraniana, provocando così le ire di Teheran che ha prontamente accusato lo Stato ebraico di sfruttare la Repubblica caucasica come punto di partenza per future aggressioni territoriali e attività di spionaggio[22]. In merito, Baku non si è affermata solo come importante fornitore di petrolio per Tel Aviv, bensì come sostanziale acquirente di droni ad alta tecnologia e armi israeliane, che si sono rivelate – accanto a quelle importate dalla Turchia – cruciali nella guerra contro l’Armenia per il Karabakh. Di fatto, Israele è stato il secondo fornitore di armi dell’Azerbaigian tra il 2011 e il 2020, dietro solo alla Russia. Per anni, inoltre, la Repubblica Islamica ha sospettato che Israele sfruttasse la relazione con Baku per condurre attività di spionaggio contro Teheran attraverso strumenti militari, tra cui aerei di sorveglianza senza pilota. Il servizio di frontiera statale dell’Azerbaijan, secondo il Washington Post[23], risulta essere il principale destinatario di sofisticati servizi di intelligence israeliani e droni d’attacco, ritenuti responsabili dall’Iran per gli attacchi alle strutture nucleari e militari del Paese e per l’assassinio di numerosi scienziati. Israele, che ha promesso di impedire all’Iran di acquisire una bomba nucleare, non ha né confermato né negato il suo coinvolgimento, né tantomeno ha confermato la presa di distanza dell’Azerbaigian in merito alla presenza di forze israeliane durante le esercitazioni militari al confine con l’Iran organizzate nei mesi di novembre e dicembre 2022.

Di Valentina Chabert, pandorarivista.it

11.07.2023

Valentina Chabert. Ph.D. Fellow in Diritto Internazionale, Università di Roma “La Sapienza”; Visiting Research Fellow Azerbaijan International Development Agency (AIDA) – Center of Analysis of International Relations (AIR Center); Cultrice della materia in Studi Strategici, Relazioni Internazionali & Global Governance; Caporedattrice e analista di politica internazionale, «Opinio Juris – Law and Politics Review»; Research Fellow European Youth Think Tank, Strasburgo.

NOTE

[1] Carlo Frappi, Azerbaigian crocevia del Caucaso, Sandro Teti Editore, Roma 2012.

[2] Heydar Aliyev Heritage International Library, Il contratto del secolo, 1994.

[3] State Oil Fund of the Republic of Azerbaijan.

[4] Consiglio Europeo, Consiglio di cooperazione UE-Azerbaigian, 19 luglio 2022.

[5] Ambasciata della Repubblica dell’Azerbaigian in Italia, Il Presidente Ilham Aliyev ha incontrato a Roma il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella, 20 settembre 2022.

[6] TAP pipeline starts process to double its gas transport capacity, «Reuters», 30 gennaio 2023.

[7] Azerbaigian crocevia, non solo gas. Intervista all’Ambasciatore Rashad Aslanov, «Scenari Internazionali», n. 27, anno IX, 2023.

[8] Carlo Frappi, Azerbaigian crocevia del Caucaso, op. cit.

[9] Fariz Ismailzade, Turkey- Azerbaijan: the honeymoon is over, «Turkish Policy», 2005.

[10] Embassy of the Republic of Azerbaijan to the Republic of Türkiye, Bilateral relations, 2023.

[11] Cagla Gul Yesevi e Burcu Yavuz Tiftikcigil, Turkey – Azerbaijan energy relations: a political and economic analysis, «International Journal of Energy Economics and Policy», n. 5, 2015.

[12] Valentina Chabert, Ankara vuole fondersi con Baku, «Domino», n. 5, 2023.

[13] Domenico Nocerino e Valentina Chabert, Azerbaijan: i cinque punti per la pace. Intervista a Rusif Huseynov, «Opinio Juris – Law and Politics Review», 4 novembre 2022.

[14] Permanent Representation of the Republic of Azerbaijan to the Council of Europe, Shusha Declaration on Allied Relations between the Republic of Azerbaijan and the Republic of Turkey, 12 giugno 2021.

[15] Carlo Frappi, Azerbaijan crocevia del Caucaso, op. cit.

[16] Alirza Quluncu, Azerbaijani Turks in Iran Demand Freedom, Justice, National Government, «VOA», 2022.

[17] Zulfugar Agayev e Golnar Motevalli, Azerbaijan, Iran and Rising Tensions in the Caucasus, «Washington Post», 8 febbraio 2023.

[18] Ayaz Rzayev e Mahammad Mammadov, From the streets to the border: Iran’s growing paranoia toward Azerbaijan, «Middle East Institute», 26 gennaio 2023.

[19] Heydar Isayev, Azerbaijiani Embassy in Iran comes under deadly attack, «Eurasianet», 27 gennaio 2023.

[20] Azerbaijan expels four Iranian diplomats amid rising tensions, «Al Jazeera», 6 aprile 2023.

[21] Ministero degli Affari Esteri di Israele, Azerbaijan to open Embassy in Israel today, Press Release, 29 marzo 2023.

[22] Valentina Chabert, Le tensioni Iran-Azerbaijan destabilizzano il Caucaso Meridionale, «Opinio Juris – Law and Politics Review», n. 2, 2023.

[23] Zulfugar Agayev e Golnar Motevalli, Azerbaijan, Iran and Rising Tensions in the Caucasus, «Washington Post», 8 febbraio 2023.

Fonte: https://www.pandorarivista.it/articoli/azerbaigian-la-terra-del-fuoco-al-centro-della-geopolitica-eurasiatica/

Articolo scelto e pubblicato da CDC Geopolitica.

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