Aspettando la fine del mondo

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Pepe Escobar – 11 aprile 2023

 

We were waiting for the end of the world

Waiting for the end of the world, waiting for the end of the world

Dear Lord, I sincerely hope You’re coming

‘Cause You really started something

Elvis Costello, Waiting for the End of the World, 1977

 

Nota: questo è l’originale inglese di un editoriale appositamente commissionato dal principale quotidiano economico russo Vedomosti:

 

https://www.vedomosti.ru/opinion/columns/2023/04/10/970144-konets-sveta-dlya-gegemona

 

Non possiamo neanche lontanamente immaginare gli effetti a catena che derivano dal terremoto geopolitico del 2023 che ha scosso il mondo: Putin e Xi, a Mosca, hanno di fatto segnato l’inizio della fine della Pax Americana.

Questo è stato l’anatema definitivo per le rarefatte élite egemoniche anglo-americane per oltre un secolo: una partnership strategica completa, firmata e sigillata di due concorrenti alla pari, che intreccia una massiccia base manifatturiera e la preminenza nell’approvvigionamento di risorse naturali – con un valore aggiunto russo di armamenti all’avanguardia e abilità diplomatica.

Dal punto di vista di queste élite, il cui Piano A è sempre stato una versione svilita del Divide et impera dell’Impero Romano, questo non sarebbe mai dovuto accadere. Infatti, accecati dall’arroganza, non se lo aspettavano. Storicamente, questo non si qualifica nemmeno come un remix del Torneo delle Ombre; è più come “l’Impero da quattro soldi lasciato nell’ombra”, “con la schiuma alla bocca” (copyright Maria Zakharova).

Xi e Putin, con una mossa alla Sun Tzu, hanno immobilizzato l’orientalismo, l’eurocentrismo, l’eccezionalismo e, non ultimo, il neocolonialismo. Non c’è da stupirsi che il Sud globale sia rimasto incantato da ciò che si è sviluppato a Mosca.

Aggiungendo il danno alla beffa, c’è la Cina, l’economia più grande del mondo a parità di potere d’acquisto (PPA), nonché il più grande esportatore. E c’è la Russia, un’economia che in termini di parità di potere d’acquisto (PPA) è equivalente o addirittura superiore a quella tedesca, con l’ulteriore vantaggio di essere il più grande esportatore di energia al mondo e di non essere costretto a deindustrializzarsi.

Insieme, in sincrono, si sono concentrati sulla creazione delle condizioni necessarie per scavalcare il dollaro USA.

Ecco una delle battute cruciali del Presidente Putin: “Siamo favorevoli all’uso dello yuan cinese per gli accordi tra la Russia e i Paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina” (evidenziato dal traduttore).

Una conseguenza fondamentale di questa alleanza geopolitica e geoeconomica, accuratamente progettata nel corso degli ultimi anni, è già visibile: l’emergere di una possibile triade in termini di relazioni commerciali globali e, per molti aspetti, di una guerra commerciale globale.

L’Eurasia è guidata – e in gran parte organizzata – dal partenariato Russia-Cina. La Cina giocherà un ruolo chiave anche nel Sud globale, ma anche l’India potrebbe diventare molto influente, amalgamando quello che sarebbe un Movimento dei Non Allineati (NAM) “pompato” con gli steroidi. E poi c’è l’ex “nazione indispensabile” che domina i vassalli dell’UE e l’anglosfera riunita nei Five Eyes.

Cosa vogliono davvero i cinesi

L’Egemone, nell’ambito del suo autoreferenziale concetto di “ordine internazionale basato sulle regole”, essenzialmente non ha mai fatto diplomazia. Per definizione, il “divide et impera” esclude la diplomazia. Ora la loro versione di “diplomazia” è degenerata ulteriormente in insulti grossolani da parte di una schiera di funzionari statunitensi, europei e britannici intellettualmente ritardati e francamente idioti.

Non c’è da stupirsi che un vero gentiluomo, il ministro degli Esteri Sergey Lavrov, sia stato costretto ad ammettere che “la Russia non è più un partner dell’UE… L’Unione europea ha ‘perso’ la Russia. Ma la colpa è dell’Unione stessa. Dopo tutto, gli Stati membri dell’UE… dichiarano apertamente che la Russia dovrebbe subire una sconfitta strategica. Ecco perché consideriamo l’UE un’organizzazione nemica“.

Eppure il nuovo concetto di politica estera russa, annunciato da Putin il 31 marzo, lo dice chiaramente: la Russia non si considera un “nemico dell’Occidente” e non cerca l’isolamento.

Il problema è che dall’altra parte non c’è praticamente nessun adulto con cui parlare, ma piuttosto un branco di iene. Questo ha portato Lavrov a sottolineare ancora una volta che si possono usare misure “simmetriche e asimmetriche” contro chi è coinvolto in azioni “ostili” contro Mosca.

Ciò è evidente quando si parla di “Eccezionalistan”: gli Stati Uniti sono indicati da Mosca come il principale istigatore anti-Russia, mentre la politica complessiva dell’Occidente viene descritta come “un nuovo tipo di guerra ibrida“.

Tuttavia, ciò che conta davvero per Mosca sono gli aspetti positivi futuri: l’integrazione non-stop dell’Eurasia; legami più stretti con i “centri globali amici” Cina e India; maggiori aiuti all’Africa; maggiore cooperazione strategica con l’America Latina e i Caraibi, i paesi islamici – Turchia, Iran, Arabia Saudita, Siria, Egitto – e l’ASEAN.

E questo ci porta a qualcosa di essenziale che è stato – prevedibilmente – ignorato in massa dai media occidentali: il Forum di Boao per l’Asia, che si è svolto quasi contemporaneamente all’annuncio del nuovo concetto di politica estera della Russia.

Il Forum di Boao, iniziato all’inizio del 2001, ancora nell’era precedente all’11 settembre, è stato modellato su Davos, ma è in tutto e per tutto Top China, con la base del segretariato a Pechino. Boao si trova nella provincia di Hainan, una delle isole del Golfo del Tonchino e oggi paradiso turistico.

Una delle sessioni chiave del forum di quest’anno è stata quella sullo sviluppo e la sicurezza, presieduta dall’ex segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, che attualmente è il presidente [del Forum] di Boao.

Ci sono stati molti riferimenti all’Iniziativa di sviluppo globale di Xi e all’Iniziativa di sicurezza globale, che tra l’altro è stata presentata a Boao nel 2022.

Il problema è che queste due iniziative sono direttamente collegate al concetto di pace e sicurezza dell’ONU e all’estremamente ambigua Agenda 2030 sullo “sviluppo sostenibile”, che non ha esattamente a che fare con lo sviluppo e tanto meno con la “sostenibilità”: è un’invenzione iper-corporativa di Davos. L’ONU, da parte sua, è sostanzialmente ostaggio dei capricci di Washington. Pechino, per il momento, sta al gioco.

Il premier Li Qiang è stato più specifico. Sottolineando il concetto di “comunità di futuro condiviso per il genere umano” come base per la pace e lo sviluppo, ha collegato la coesistenza pacifica allo “Spirito di Bandung” – in diretta continuità con la nascita del NAM nel 1955: questa dovrebbe essere la “Via asiatica” del rispetto reciproco e della costruzione del consenso – in opposizione “all’uso indiscriminato di sanzioni unilaterali e di una giurisdizione di lunga portata“, e al rifiuto di “una nuova guerra fredda“.

E questo ha portato Li Qiang a porre l’accento sulla spinta cinese ad approfondire l’accordo commerciale RCEP per l’Asia orientale e a far progredire i negoziati sull’accordo di libero scambio tra Cina e ASEAN. Il tutto integrato con la nuova espansione della Belt and Road Initiative (BRI), in contrasto con il protezionismo commerciale.

Per i cinesi, quindi, ciò che conta, oltre agli affari, sono le interazioni culturali, l’inclusività, la fiducia reciproca e il netto rifiuto dello “scontro di civiltà” e del confronto ideologico.

Per quanto Mosca sottoscriva facilmente tutto ciò – e di fatto lo metta in pratica con finezza diplomatica – Washington è terrorizzata da quanto sia convincente questa narrazione cinese per l’intero Sud globale. Dopo tutto, l’unica offerta dell’Eccezionalistan sul mercato delle idee è il dominio unilaterale, il “divide et impera” e il “o sei con noi o contro di noi”. E in quest’ultimo caso sarete sanzionati, perseguitati, bombardati e/o vi cambieremo il regime.

È di nuovo il 1848?

Nel frattempo, nei territori vassalli, si profila la possibilità di un revival del 1848, quando una grande ondata rivoluzionaria si abbatté su tutta l’Europa.

Nel 1848 si trattava di rivoluzioni liberali; oggi abbiamo rivoluzioni popolari essenzialmente antiliberali (e contro la guerra) – dai contadini nei Paesi Bassi e in Belgio, ai populisti all’antica in Italia e ai populisti di destra e di sinistra combinati in Francia.

Forse è troppo presto per considerare questa una primavera europea. Tuttavia, ciò che è certo in diverse latitudini è che i cittadini europei medi si sentono sempre più inclini a liberarsi del giogo della tecnocrazia neoliberista e della sua dittatura del capitale e della sorveglianza. Per non parlare della politica guerrafondaia della NATO.

Dato che praticamente tutti i media europei sono controllati dai tecnocrati, la gente non vedrà questa discussione nei MSM. Tuttavia, nell’aria c’è la sensazione che questo possa preannunciare la fine, in stile cinese, di una dinastia.

Nel calendario cinese va sempre così: il loro orologio storico-sociale scorre sempre con periodi tra i 200 e i 400 anni per dinastia.

Ci sono effettivamente segnali che indicano che l’Europa potrebbe essere testimone di una rinascita.

Il periodo di sconvolgimento sarà lungo e faticoso – a causa delle orde di anarco-liberali che sono così utili idioti per l’oligarchia occidentale – o potrebbe arrivare tutto in un solo giorno. L’obiettivo è chiaro: la morte della tecnocrazia neoliberista.

È così che la visione Xi-Putin potrebbe fare breccia nell’Occidente collettivo: dimostrare che questa finta “modernità” (che incorpora una rabbiosa cultura dell’annullamento) è essenzialmente nulla rispetto ai valori culturali tradizionali e profondamente radicati – che si tratti di confucianesimo, taoismo o ortodossia orientale. I concetti cinesi e russi di civiltà-stato sono molto più attraenti di quanto non sembri.

La rivoluzione (culturale) non sarà trasmessa in televisione, ma potrebbe esercitare il suo fascino attraverso innumerevoli canali Telegram. La Francia, innamorata della ribellione nel corso della sua storia, potrebbe essere di nuovo all’avanguardia.

Ma nulla cambierà se non verranno rovesciati i tavoli del casinò finanziario globale. La Russia ha dato una lezione al mondo: si stava preparando, in silenzio, a una guerra totale a lungo termine. Tanto che il suo calibrato contrattacco ha ribaltato la guerra finanziaria, destabilizzando completamente il casinò. La Cina, nel frattempo, si sta riequilibrando e si sta preparando alla guerra totale, ibrida e non.

L’inestimabile Michael Hudson, nel suo ultimo libro, “Il crollo dell’antichità”, uscito di recente, analizzando abilmente il ruolo del debito in Grecia e a Roma, le radici della civiltà occidentale, spiega sinteticamente la nostra attuale situazione:

L’America scatenato rivoluzioni colorate ai vertici di Germania, Olanda, Inghilterra e Francia, essenzialmente, dove la politica estera dell’Europa non rappresenta i loro interessi economici (…) L’America ha semplicemente detto: – Siamo impegnati a sostenere una guerra di (ciò che essi chiamano) democrazia (con cui intendono l’oligarchia, compreso il nazismo dell’Ucraina) contro l’autocrazia (…) L’autocrazia è qualsiasi paese abbastanza forte da impedire l’emergere di un’oligarchia creditrice, come la Cina ha impedito [la nascita del]l’oligarchia dei creditori“.

In effetti, quindi, è possibile spiegare “l’oligarchia dei creditori” come l’intersezione tossica tra i “sogni bagnati” dei globalisti per il controllo totale e la dominazione militarizzata a tutto campo.

La differenza ora è che la Russia e la Cina stanno dimostrando al Sud globale che ciò che gli strateghi americani avevano in serbo per loro – “vi congelerete nel buio” se vi discosterete da ciò che diciamo – non è più applicabile. La maggior parte del Sud globale è ora in aperta rivolta geoeconomica.

Il totalitarismo neoliberale globalista, ovviamente, non scomparirà sotto una tempesta di sabbia. Almeno non ancora. Ci aspetta ancora un vortice di tossicità: sospensione dei diritti costituzionali; propaganda orwelliana; squadroni di sicari; censura; annullamento della cultura; conformismo ideologico; limitazioni irrazionali della libertà di movimento; odio e persino persecuzione degli Untermenschen – slavi -; segregazione; criminalizzazione del dissenso; roghi di libri, processi farsa; falsi mandati di arresto da parte della CPI fantoccio; terrorismo in stile ISIS.

Ma il vettore più importante è che sia la Cina che la Russia, entrambe con le proprie complesse peculiarità – ed entrambe liquidate dall’Occidente come “altri” inassimilabili – stanno investendo pesantemente nella costruzione di modelli economici praticabili che non siano collegati, in vari gradi, al casinò finanziario occidentale e/o alle reti di filiera. Ed è questo che manda in bestia gli eccezionalisti, ancora più in bestia di quanto non lo siano già.

 

pepe_escobarPepe Escobar è un analista geopolitico e autore indipendente. Il suo ultimo libro è Raging Twenties. È stato politicamente cancellato da Facebook e Twitter. Seguitelo su Telegram.

 

 

Link: https://vk.com/@pepeasia-waiting-for-the-end-of-the-world

 

Suggerito da Markus e tradotto da CptHook per ComeDonChisciotte

 

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