PENNA BIRO intervista PAOLO SENSINI
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Il 17 febbraio dell’anno scorso gruppi armati a Bengasi attaccavano i posti di polizia e le sedi governative. Mentre in Tunisia e in Egitto vi erano state grandi manifestazioni popolari contro i rispettivi governi, in Libia stava accadendo qualcosa del tutto diversa. Una azione armata fin dall’inizio e, si scoprirà dopo, organizzata prima a Parigi e appoggiata sul terreno con commandos francesi e inglesi prima dei bombardamenti americani. “Libia 2011”, scritto da Paolo Sensini e uscito nell’ottobre scorso, è un libro allo stesso tempo coraggioso e obiettivo che traccia una breve storia dei rapporti tra Italia e Libia a partire dalla guerra coloniale del 1911 e che descrive gli avvenimenti dell’anno scorso e in cui si può già intravedere l’epilogo, con il bombardamento finale su Tripoli e la barbara uccisione di Gheddafi.
Abbiamo posto all’autore alcune domande.
Nel tuo libro hai denunciato la mistificazione dei fatti successi in Libia. La propaganda dei mezzi di informazione, a partire da Al Jazeera – televisione controllata dall’emiro del Qatar – riuscì a capovolgere la verità, presentando la reazione del governo legittimo di Gheddafi contro gli attacchi armati dei gruppi di Bengasi come una aggressione al popolo libico e inventando di sana pianta “fosse comuni con 10.000 morti” rivelatesi poi completamente false. Per uno scrittore come te, ma anche per la gente normale che guarda la tv ma che ama la verità, che insegnamenti possiamo trarre da questa vicenda?
L’insegnamento è che a livello mediatico si può costruire qualsiasi tipo di percezione della realtà, in particolare la “costruzione” delle vicende belliche. Nel caso libico come in tante altre occasioni precedenti e anche presenti – ad esempio la Siria – si può capovolgere la realtà dei fatti e costruirne una per gli interessi geostrategici, politici, economici della grande potenza USA e dei suoi vassalli, quelli europei come quelli del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Arabia saudita, Qatar, Kuwait, Bahrein, Emirati arabi uniti, Oman). Ciò è avvenuto prima contro la Libia, oggi contro la Siria e un’operazione analoga è in vista contro l’Iran.
Si tratta di spaccare la Siria come la Libia sulla base di linee etnico-religiose. In altre parole, si cerca di disarticolare un grande stato unitario per creare frammenti in guerra gli uni contro gli altri.
Quella in Siria è una operazione molto simile a quella fatta contro la Libia. Ci sono sul campo molti uomini che hanno installato l’attuale potere in Libia, come Abdel Akim Belhadi, comandante militare di Tripoli, con alcune migliaia di miliziani libici attualmente operanti tra il nord della Turchia e la Siria che lanciano attacchi contro l’esercito siriano. Ma di ciò, purtroppo, l’opinione pubblica è tenuta completamente all’oscuro.
Lo scenario apocalittico viene inscenato ora per la Siria dalle stesse TV, Al Jazeera e Al Arabiya in prima linea, poi dalla CNN e via via da tutti i mezzi d’informazione occidentali. Insomma, tutti i grandi media ripetono più o meno la stessa filastrocca sui ribelli che vogliono la democrazia e il regime cattivo che bombarda tutti….
Qualche giornalista si dissociò dall’operazione di mistificazione intuendo che questa era funzionale all’aggressione alla Libia. Cosa è rimasto di questo dissenso? Sono state prese misure nei confronti dei mezzi di informazione che divulgarono notizie false, o tutto è andato nel dimenticatoio? Qualcuno, nel mondo dell’informazione e tra le forze democratiche che pure esistono nel cosiddetto Occidente, ha pensato a un qualche strumento che ci permetta in futuro di non trovarci disarmati di fronte a nuove campagne di falsificazione che poi favoriscano nuove guerre?
Purtroppo si è fatto molto poco in questo senso. Nei media ufficiali, che informano la maggioranza della popolazione, la linea è sempre la stessa, non c’è nessuna inversione di tendenza.
Le uniche informazioni che, al momento, garantiscono un maggiore livello di affidabilità, si trovano soprattutto in rete. Esistono una serie di siti e blog, in inglese ma anche in italiano, dove circolano informazioni ben documentate, serie e affidabili, ma i grandi media continuano sulla stessa linea – ed è molto poco probabile che nell’immediato futuro si comportino diversamente – perché sanno che il cittadino medio tende a prendere per buone le notizie che gli vengono continuamente scodellate lungo tutto l’arco della giornata.
L’Italia, che è un paese a sovranità molto limitata e alla mercé delle grandi potenze – soprattutto gli USA, ma anche di Francia e Gran Bretagna –, è una foglia al vento che non riesce più a tutelare minimamente i propri interessi strategici. In Libia, a causa della guerra, è venuto a mancare un rapporto molto importante per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico, ma nonostante questo il ministro degli esteri Giulio Terzi ha varato in questi giorni un embargo contro l’Iran, voluto in primo luogo da USA e Israele, che riduce ulteriormente le risorse del nostro fabbisogno petrolifero. Tutto questo dopo che la quota di partecipazione dell’ENI nella costruzione del gasdotto Southstream – insieme a Gazprom – è scesa dal 50 al 20% e il progetto rallenta. E’ una situazione che pone problemi molto seri che attiene la fornitura energetica del paese e che in ultima istanza incide e inciderà in misura sempre crescente su tutto il sistema della produzione nazionale.
Un fatto che lasciò sconcertati fu che paesi con diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza all’ONU, Russia e Cina – gli altri tre, USA Francia e Gran Bretagna, sostenevano l’intervento militare – non usarono questo diritto in modo da inviare sul campo una commissione che verificasse i fatti. In particolare il governo di Putin, che aveva avviato vari piani di collaborazione anche in campo petrolifero con la Libia, non fece quanto avrebbe potuto per impedire l’aggressione. Come te lo spieghi?
E’ difficile darsi una spiegazione precisa : forse non prevedevano quanto in seguito sarebbe avvenuto. La lettera della risoluzione del Consiglio di Sicurezza riguardava una “no-fly zone”; da lì a bombardare il paese e cambiarne il regime ce ne passa. Probabilmente non si aspettavano che lo scenario precipitasse così rapidamente o magari auspicavano un esito diverso (forse addirittura una maggiore resistenza). Un intervento così diretto, massiccio, immediato e brutale forse non era prevedibile da parte di chi si riempie continuamente la bocca di legalità internazionale.
La Russia ne esce comunque molto danneggiata, dato che stava sfruttando grossi giacimenti assieme all’ENI nel Fezzan. La Cina,a sua volta, aveva 20 mila lavoratori in Libia che sono stati tutti evacuati appena è scoppiata la guerra ; non solo, l’Africom – il comando USA per l’Africa che sinora era basato in Germania – cercherà di espellere o almeno arginare la penetrazione cinese in un continente strategico per materie prime e risorse in generale, così come cercherà di creare una propria sfera d’influenza in Africa in cui la NATO non era finora riuscita a penetrare.
Nel tuo libro citi il punto di vista di un ex Capo di stato maggiore dell’Aeronautica italiana secondo il quale “le operazioni militari italiane, come dimostra la crisi libica, sono sempre accompagnate da ambiguità e ipocrisia”. Berlusconi aveva costruito la sua politica estera sull’asse con l’est, cioè la Russia, e il sud, la Libia, con un ruolo centrale dell’ENI, nonché con la benevolenza degli USA in cambio di un sostegno italiano in Afghanistan. A un certo punto, per l’esattezza dopo il 14 dicembre 2010, dopo il voto di sfiducia in cui Fini fu sconfitto, ha completamente subìto l’azione della Francia, lo scaricamento da parte di Obama, le decisioni del nostro Capo dello Stato e ha permesso l’attacco a un paese amico cui ci legava un trattato di amicizia. Perché a tuo avviso non fu almeno tentata la strada proposta dalla Germania cioè di non entrare nel conflitto?
Come forse ricordate, la prima posizione di Berlusconi fu di non partecipare militarmente all’operazione. Il 22 aprile, venerdì di Pasqua, venne in Italia John Kerry, presidente della Commissione Esteri del Senato USA,a Pasqua ci fu la telefonata con Obama e da lunedì l’Italia partecipava ufficialmente alle operazioni belliche. Il nostro paese, come dicevo,dispone di una scarsissima autonomia nello scenario internazionale, potendo disporre solo di qualche ristretto margine di manovra. Un altro punto importante è che senza l’Italia e le sue basi (Aviano, Grosseto, Sigonella, Trapani Birgi, Amendola,Pantelleria, Gioia del Colle, Decimomannu) questa operazione non poteva essere realizzata. Da marzo a novembre sono state compiute migliaia di missioni di attacco, quindi l’Italia doveva per forza di cose entrare nel conflitto anche se l’azione era di fatto tutta contro gli interessi strategici del nostro paese.
Le notizie provenienti dalla Libia, dopo l’eliminazione di Gheddafi, sono piuttosto scarse. Recentemente alcuni quotidiani hanno riferito di scontri fra le milizie del governo attuale e sostenitori di Gheddafi a Bani Walid, sede dei Warfalla, la principale tribù arabo-berbera della Tripolitania. Nel libro ipotizzi – oltre che un governo retto dagli esponenti della confraternita islamica dei Senussiti, con base in Cirenaica e da sempre ostili al regime laico instaurato da Gheddafi – un paese in cui si ritorna alle divisioni tribali, e quindi più facile preda delle grandi compagnie petrolifere e bancarie dell’Occidente. Come pensi si stia evolvendo la situazione? E del vescovo Martinelli – che nelle sue dichiarazioni durante la guerra e anche nell’introduzione al tuo libro lascia intendere che le cose andarono ben diversamente da come fu detto dai mezzi di informazione da te definiti “embedded”, schierati – cosa ne è? Si è mantenuta la pace religiosa che c’era durante il governo di Gheddafi?
A Tripoli la situazione si è abbastanza normalizzata; ci sono attacchi di tanto in tanto, qualche fronteggiamento armato, ma la vita continua. La gente ha bisogno di una certa normalità dopo tanta distruzione. Nelle altre parti della Libia, invece, continua il fronteggia mento tra le varie fazioni. Con l’uccisione di Gheddafi e il crollo del vecchio quadro politico ci si spara l’uno contro l’altro per garantirsi e possibilmente aumentare una propria sfera di influenza.
Anche nel Consiglio Nazionale di Transizione (CNT) ci sono forti conflitti interni e scontri fra gruppi. Abdel-Hafiz Ghoga, vicepresidente del CNT, si è dovuto dimettere qualche settimana fa’ a furor di popolo ; prima della guerra era uno dei più stretti collaboratori di Gheddafi, come del resto al-Jalil, Jibril, Younis e diversi altri. Tutti i massimi dirigenti del regime di Gheddafi hanno costituito il CNT, e questo, tradotto dal linguaggio paludato dei media, significa una sola cosa: un colpo di Stato.
Fra le tribù è saltata la pax gheddafiana perchè il leader rappresentava in qualche modo una sorta di primus inter pares; è venuto così a mancare l’equilibrio e tutti cercano ora una sfera di importanza per la propria tribù, cosa che evidentemente rende molto difficile ricomporre una parvenza di unità del paese. Ma questo in fondo, è proprio ciò che si voleva: una guerra – ad alta o bassa intensità – tra le varie componenti della società, in Libia come già in Iraq, Afghanistan, Somalia: è la politica del caos che si cerca di fomentare un po’ dovunque come ora si tenta di rifare in Siria.
Di recente si è avuta una colluttazione assai forte fra le milizie di Misurata e i Zintan (tribù a ovest di Tripoli), che tra l’altro sono quelli che avevano catturato Saif al-Islam.
Martinelli, in qualità di vescovo di Tripoli, al momento cerca di preservare il più possibile la componente cattolica. Per ora non ci sono state ritorsioni ma non è detto che degenerando la situazione non possano avere luogo ; con Gheddafi c’era la convivenza pacifica di ogni culto, ma ora incombono molte incognite. E’ probabile che la situazione cambi quando la Shari’a (la legge islamica n.d.r.), che è stata proclamata dopo la presa del potere da parte dei ” ribelli ” di Bengasi, entrerà a regime impattando con il tessuto sociopolitico preesistente.
La Libia prima era un paese laico, una repubblica, come del resto lo è anche la Siria; è paradossale che queste repubbliche laiche vengano combattute e monarchie veramente feudali come quelle del Golfo siano alleate dell’Occidente e “paladini della democrazia”.
La politica di Gheddafi, che a nostro avviso non teneva in debito conto la pericolosità della situazione internazionale, conteneva alcuni progetti importanti, tra cui quello di una moneta unica africana che, utilizzando i proventi derivanti dal petrolio, avevano l’obiettivo di uno sviluppo dell’Africa sganciato dal controllo dei paesi occidentali. La guerra in Libia ha stroncato per il momento questa ipotesi che però è quella più vicina non solo agli interessi dei popoli arabi e africani ma anche a quelli dei popoli europei. Una Europa autonoma, in grado di condurre una politica pacifica di cooperazione con il Continente nero, significherebbe benessere reciproco per i secoli a venire. Assistiamo invece a quella che sembra una nuova guerra per l’Africa oltre che per il controllo del petrolio in Medio Oriente. Il fatto grave è che i popoli europei, e quello italiano in primo luogo dati i rapporti storici tra Italia e Libia, pur essendo contrari a questa guerra hanno dovuto subirla, non solo per le decisioni del governo ma anche perché i partiti di sinistra l’hanno sostenuta e nello stesso tempo il movimento pacifista è stato del tutto assente. Le guerre coloniali del secolo scorso, oltre alle atrocità commesse verso quei popoli, non produssero alcun beneficio ai popoli europei, è bene ricordarlo.
A tuo avviso, esistono in Europa forze contrarie a una politica neocoloniale con cui aprire un discorso, un dibattito che contrasti questa tendenza?
Con tutta la buona volontà è difficile al momento vederle. Negli ultimi casi di guerra non si sono manifestate, mentre si erano viste per l’Iraq e l’ex Jugoslavia (quando presidente del consiglio era D’Alema). Da un po’ dobbiamo registrare la trasformazione delle sinistre e dei pacifisti nei maggiori sponsor della guerra e della “esportazione della democrazia”.Anzi, proprio costoro più di tutti hanno spinto per l’intervento bellico, tra cui il presidente Napolitano, uomo di punta del vecchio PCI da sempre molto apprezzato a Washington, così come si è registrato un coro unanime per l’intervento dal PD alle frange più estreme della sinistra extraparlamentare.
La popolazione è frastornata e bombardata da notizie contraddittorie; d’altra parte la crisi morde, spostando l’attenzione sulle questioni pratiche della sussistenza quotidiana e le notizie estere vengono raccontate come un misto di ” rivoluzioni “e avvicinamento alla democrazia. La ribellione viene presentata da quasi tutti i media come spinta verso la democrazia, ma in quasi tutti i contesti dove ha avuto luogo la ” Primavera Araba ” si sono registrate addirittura delle involuzioni violente e reazionarie.
I media in generale, con giornali di “sinistra” con “La repubblica” in testa, spingono ora per l’intervento militare nello scenario siriano, forse ancora più nevralgico di quello libico. Ma in questo modo rischia di saltare tutto il Medio Oriente, con la possibilità che s’inneschi una guerra mondiale e non solo regionale.
Sulla Siria c’è un vincolo internazionale che si è manifestato con il voto di Cina e Russia contro l’intervento nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU ; la Russia ha una base navale a Tartus, unico sbocco strategico per quanto riguarda l’accesso dei russi al Mediterraneo. Anche Brasile, India, Iran, Venezuela potrebbero entrare in campo a favore della Siria nel caso di un possibile intervento bellico. Se ci fosse un attacco verrebbe molto probabilmente coinvolto anche l’Iran, che è una potenza militare tutt’altro che di secondo piano.
La Russia, al momento, è sottoposta a forti pressioni internazionali per smussare questa sua posizione di difesa della Siria, ma credo che terrà duro (forse memore della lezione libica), anche perchè cedere sarebbe dare mano libera agli USA, Francia, Gran Bretagna, Qatar, Arabia Saudita e a Israele, che hanno tutto l’interesse affinchè vadano in pezzi gli scenari consolidati dei suoi antagonisti nello scacchiere mediorientale. In Siria attualmente vi è già una consistente presenza di squadre speciali franco-britanniche e qatariote per la fornitura di armi e supporto logistico e la Russia lo sa benissimo.
Certo, la guerra è un epilogo possibile che sconvolgerebbe il quadro geopolitico attuale con sviluppi imprevedibili. Ma vi sono forze in campo che, nonostante gli effetti devastanti che ciò produrrebbe, pare stiano facendo di tutto perchè si realizzi una situazione di questo genere.
PennaBiro intervista Paolo Sensini
Link: http://www.pennabiro.it/ad-un-anno-dal-colpo-di-stato-in-libia/
19.02.2012