DI DANIELE MINERVA
L’Espresso
Uno studio utilizza l’acido zolendronico, già usato per le neoplasie delle ossa, nella lotta al cancro al seno. Con ottimi risultati. Parla l’oncologo che ha diretto lo studio. Colloquio con Michael Gnant
Se uno studio clinico europeo, e per di più indipendente, va nella
sessione plenaria del maggiore congresso dell’oncologia mondiale,
l’attenzione è d’obbligo. Se poi a presentarlo è un giovanottone
austriaco di cui nessuno ha mai sentito parlare prima, scatta anche
la curiosità.
Michael Gnant è un quarantenne professore all’Università di Vienna
e la ribalta della mitica sessione plenaria dell’Asco, il congresso
che si tiene ogni anno negli Stati Uniti, con quasi 50 mila medici
e un giro d’affari di milioni di dollari, lo mette palesemente a
disagio. Ha dovuto parlare con la Cnn, col ‘New York Times’, e ci
dice con l’inglese aspro dei germanici che la cosa non lo diverte.
Ma il suo lavoro fa notizia. Perché segna un punto nel nuovo fronte
caldo della guerra al cancro: la caccia ai farmaci capaci di
bloccare la malattia prima che invada l’organismo.
A seguito, commento di Lino RossiNel caso del lavoro di Gnant, il tumore da battere è il cancro del
seno delle donne non ancora in menopausa: ovvero quelle che sono
più a rischio di veder ricomparire la malattia, dopo l’intervento
chirurgico che ha asportato il tumore e ha ridato loro la speranza
di una vita normale.
Se oltre l’80 per cento delle donne colpite da un cancro del seno
sopravvive, lo dobbiamo di certo all’efficacia della prevenzione
primaria e alla potenza delle terapie, ma anche a quella manciata
di farmaci capaci di impedire che la malattia ritorni e che le
donne devono prendere per anni dopo l’intervento. Perché ormai è
chiaro che i tumori sono diversissimi l’uno dall’altro, ci sono
quelli che fortunatamente cedono subito alle cure, altri che invece
resistono, si nascondono e proliferano nell’ombra, magari per anni
e anni. E poi tornano, il più delle volte letali. Quindi, ecco la
necessità di mettere le mani su farmaci che li stronchino quando
ancora nessuno sa che stanno nascosti a proliferare. E quello di
Gnant è uno di questi.
Professore, cosa avete scoperto?
“Abbiamo trattato oltre 1.800 malate di tumore del seno cosiddetto
ormono-responsivo. Sono proprio gli ormoni che fanno proliferare
questo tipo di cancro e diventano quindi il primo bersaglio cui
indirizzare una terapia. Per questo abbiamo somministrato alle
pazienti i farmaci che bloccano gli ormoni, anastrozolo e
tamoxifene. A cui, però, abbiamo aggiunto acido zoledronico. E
abbiamo visto che questa sostanza, così utilizzata, aumenta la
sopravvivenza del 36 per cento, più di un terzo”.
Che cosa è l’acido zoledronico?
“È una sostanza comunemente usata per trattare le
neoplasie dell’apparato scheletrico. Appartiene alla famiglia dei
bifosfonati, usati per molte malattie delle ossa, anche per
l’osteoporosi. Con questo studio abbiamo visto che è capace di
ridurre ogni tipo di ricorrenza del cancro, le metastasi così come
un nuovo cancro al seno”.
Come è possibile?
“Sappiamo che i bifosfonati bloccano la crescita delle cellule
tumorali sia inibendo l’angiogenesi, lo sviluppo dei vasi sanguigni
essenziali nella crescita di un tumore, sia inducendo l’apoptosi,
la morte programmata, delle cellule tumorali, sia stimolando il
sistema immunitario”.
E come fa a prevenire la malattia?
“Nel trattamento post operatorio, lo scopo è quello di attaccare i
residui della malattia. Se una paziente ha un cancro al seno allo
stadio iniziale e viene operata, il tumore sarà rimosso con
successo. Ma potrebbero rimanere alcune cellule tumorali nascoste
nel corpo, che attendono per tre, cinque, dieci anni e poi
determinano un’altra ricaduta nella malattia. Ma in questi anni, le
cellule maligne hanno bisogno di stare da qualche parte. Il midollo
osseo e le ossa sono alcuni dei posti dove sospettiamo che esse si
nascondano. Se riusciamo a creare un ambiente ostile alla cellula
tumorale, e questo è ciò che l’acido zoledronico fa, quando essa si
sveglia viene subito uccisa dal farmaco che è lì, proprio dove sono
queste cellule. Questa è la novità: noi non trattiamo le cellule
tumorali, ma l’ambiente in cui loro vivono o in cui sono
uccise”.
Non colpite il cancro, ma gli impedite di
vivere?
“L’obiettivo di colpire con le terapie le cellule tumorali è un
obiettivo limitato. Perché non sappiamo come catturarle. Per questo
abbiamo bisogno di avere un impatto sull’ambiente che le ospita, e
attaccarle in modo indiretto, privandole del nutrimento di cui
hanno bisogno per crescere ed eventualmente uccidere il
paziente”.
Questi risultati come possono cambiare gli schemi
terapeutici?
“Ci sono due risposte a questa domanda. Come scienziato voglio
cercare la conferma di ogni cosa e fare un altro trial e un altro
ancora, e ogni trial fa aumentare le domande. Come dottore, o come
persona, se a mia sorella venisse diagnosticata questa malattia
domani, io direi che abbiamo un farmaco studiato in uno studio
esaustivo, con un follow up di cinque anni, che mostra benefici
significativamente alti. Perché non somministrarlo? Penso che la
strada sia segnata. E che andare a scovare e distruggere le cellule
che si nascondono nelle ossa e nel midollo sia un’idea giusta”.
Daniela Minerva intervista Michael Gnant
Fonte: http://espresso.repubblica.it/
Link: http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Terapia-in-agguato/2038066//0
21.08.2008
COMMENTO DI LINO ROSSI
Un po’ alla volta anche i
“conformisti” arrivano al centro del problema, se agiscono in maniera
veramente scientifica.
Da questo bel intervento non
possono passare inosservati i seguenti passaggi.
“Sappiamo che i bifosfonati
bloccano la crescita delle cellule tumorali sia inibendo l’angiogenesi,
… , sia stimolando il sistema immunitario”.
Quando si parla di “stimolazione”
del Sistema Immunitario (SI) non si può certamente intendere la sua
distruzione. È quindi finalmente comparso il corretto rapporto fra
malattia e SI: non è immaginabile di “vincere” distruggendo il
SI, ovvero l’attore fondamentale. Tant’è che moltissime persone
sottoposte a chemio “leggere” si riprendono; non si può dire la
stessa cosa per quelle sottoposte a terapie più “pesanti”. Non
sarà che quelle “leggere” mantengono in condizione decente il SI,
mentre quelle pesanti proprio no?
Perché si continua indiscriminatamente
a devastare i SI della gente, facendogli intendere che NON ci sono alternative?
“Questa è la novità:
noi non trattiamo le cellule tumorali, ma l’ambiente in cui loro vivono
o in cui sono uccise.”
“L’obiettivo di colpire
con le terapie le cellule tumorali è un obiettivo limitato.”
Quindi l’attuale “procedura”
(chiamiamola così) di stroncare le cellule tumorali può perseguire
solo … “un obiettivo limitato”.
Oggi tale “bombardamento”
è assai poco selettivo. Ma sarà la stessa cosa per le terapie del
futuro immaginate super intelligenti e super selettive (le bombe, sia
che siano stupide, sia che siano intelligenti, sono sempre bombe); potranno
perseguire solo “obiettivi limitati”.
La battaglia si vince, non
attaccando direttamente le cellule tumorali, ma lavorando sull’”ambiente”
e quindi, dicono coloro che i tumori li sconfiggono veramente come chi
applica l’esperienza di Herbert Shelton, rafforzando il sistema immunitario.
Anche Gnant alla fine si sta
avvicinando alla verità raggiunta da Louis Pasteur in punto di morte:
“il terreno è tutto, il microbo è nulla”.
Un po’ alla volta ci arriveranno
anche i conformisti.
Sia ben chiaro che la “chirurgia”
è necessaria quando le masse anomale risultano “importanti”.
Quanti italiani operati per
asportazione di tumori negli anni ’60 e ’70 stanno oggi benissimo?
Tanti!
Infatti in quel tempo il sistema
sanitario NON prevedeva la chemio e la radio.
Si osserva infine che la semplice
inalazione dei vapori dei rimedi chemioterapici è cancerogena. Chissà
in vena?