“Mo’ annamo dai cinesi a compra’ la robba pe’ Halloween” (Il mondo di Williamson)

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DI ALCESTE

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Soriano nel Cimino/Chia, 30 ottobre 2018 

La frase del titolo è stata pronunciata da una donna, di circa venticinque anni, in presumibile possesso di un diploma di laurea in scienze umanistiche. Si rivolgeva ad altre sue pari, laureate anch’esse, in vista dell’organizzazione di un evento culturale presso un’istituzione pubblica – evento che coinvolgerà (questo lo so per certo) alcune scolaresche romane.

Laureate, nate a ridosso del nuovo millennio, precarie. Italiane per caso: teneri esserini del futuro.

Mi trovavo lì, di prima mattina, per restituire un libro di Costanza Papagno, Come funziona la memoria.

Se il saggio della Papagno si riannoda inconsapevolmente ad alcuni temi di Blade Runner, le parole della ragazza – un’addetta culturale della Repubblica Italiana in via di acculturazione o deculturazione –  mi hanno fatto venire in mente un racconto di Philip Dick, Souvenir. Anche qui, come vedrete, si parla di acculturazione; forzata. La tesi è semplice: di cultura ne deve rimanere una sola poiché le alternative sono pericolose per un retto progresso. I cinesi, Halloween. Deculturare l’Italia è stato più facile del previsto tanto che, quando a un Italiano ricordi chi siamo stati (sia pure un Italiano che si picca d’esser istruito o, addirittura, cólto), questo reagisce con supponenza o fastidio o cinica albagia liquidatoria (l’aria di sufficienza è tipica dei coglioni; non è un caso che la maggior parte degli Italiani che si presumono cólti, infatti, e lo dico con cinica albagia liquidatoria, è costituita da perfetti coglioni).
I cinesi, Halloween.

Presto toccherà anche ai cinesi e a Halloween il dissolversi; intanto un risultato è stato raggiunto: dissolvere noi. Ammetto di essere lagnoso; ammetto, al contempo, che, se fosse per me, avrei scaraventato da tempo i cinesi e Halloween fuori dei confini del Regno: purtroppo io nulla conto.
Tali parole le ho ascoltate poco prima di recarmi alla raccolta delle olive; un rito faticoso e antieconomico a cui mi sottopongo sol perché, undici anni fa, bofonchiai un giuramento al capezzale di un mio avo.
La parola data, la promessa da mantenere a ogni costo, l’impegno che lega: tratti psicologici dei perdenti attuali. Abitanti del mondo di Williamson.

* * * * *

Philip Dick scrisse Souvenir nel marzo 1953; fu pubblicato nell’ottobre dell’anno seguente su “Fantastic Universe”.

Frank Williamson, il primo terrestre a effettuare un viaggio spaziale, oltrepassando la soglia del Sistema Solare. “Non era mai tornato. Lui, il suo mondo, la sua colonia, non era mai stati trovati”; tre secoli dopo, però, una spedizione interplanetaria intercetta quell’avamposto solitario su “un pianeta verdeazzurro … scoperto quasi per miracolo da una semplice missione”.

I pro-pro-pro-pronipoti di Williamson, tagliati fuori dal progresso del resto dell’umanità, si sono riorganizzati originando una civiltà in controtendenza rispetto allo sviluppo tecnocratico della galassia unificata.

Sul pianeta sbarca Edward Rogers per tentare una trattativa politica: il pianeta, infatti, dovrà necessariamente inglobarsi nel Sistema Unico governato dal Centro di Collegamento Centrale.

Agli occhi di Rogers appare un paesaggio bucolico: “La città era poco più che un paese, con poche decine di case, qualche palazzo pubblico e alcune strutture industriali che ne segnavano il confine. Oltre la città si stendevano campi verdi, colline e vaste praterie. Pochi veicoli di superficie percorrevano pigramente le strade strette, mentre la maggior parte dei cittadini andava a piedi. Sembrava un incredibile anacronismo ripescato dal passato”.

Il Mondo di Williamson, insomma, pare l’Ancien Régime prima dell’unica rivoluzione che abbia mai contato: quella industriale. Un lembo agricolo e artigianale ricco di qualche conquista tecnologica colata giù dal passato di tre secoli prima.

All’uomo del futuro, del futuro inevitabile e imposto con le armi, il mondo di Williamson appare diverso; perciò alternativo; quindi pericoloso. Lo stile di vita degli autoctoni è troppo eccentrico rispetto al retto corso dell’illuminismo tecnocratico: potrebbe ingenerare appetiti diversi dal corso della storia; magari una volontà di reazione all’ipertecnologia o un tentativo, pur confuso, di riumanizzazione.

Rogers e Williamson iniziano un serrato e disperato confronto.

Abbiamo delle fabbriche particolari [disse Williamson] dei sistemi industriali … abbiamo uffici per le comunicazioni, per la raccolta delle acque e per l’assistenza medica. La nostra struttura tecnologica è pari a quella della Terra”.

Alla Terra del ventesimo secolo” ribatté Rogers. “Ma da allora sono passati tre secoli. Voi state conservando volutamente una cultura arcaica malgrado le coordinate del Collegamento. Tutto questo non ha senso”.

Magari ci va bene così”.

Ma voi non siete liberi di preferire un livello culturale inferiore. Ogni civiltà deve tenersi al passo con la crescita generale. Il Centro di Controllo consente uno sviluppo uniforme, integrando i fattori attivi e rigettando gli altri”.

Philip Dick dice inferiore: avrei preferito avesse detto: alternativo. Sono minuzie, però.

Williamson invita, poi, Rogers a mangiare con la comunità. Il suo fare è remoto, morale, arcano. Fa sedere l’ospite, in quanto ospite, proprio accanto a lui: è la tradizione a imporre quel gesto.

La panca era dura e ruvida sotto [Rogers. Egli] esaminò una coppa di legno fatta a mano. Il cibo era ammucchiato in profonde ciotole, anch’esse di legno. C’era dello stufato, insalata e grosse fette di pane.

‘Potremmo benissimo trovarci nel quattordicesimo secolo’ disse Rogers.

‘Sì’ convenne Williamson ‘la vita feudale risale al tempo dei Romani e al mondo classico. I Galli. I Britanni’.

‘Tutte queste persone. Sono …’

Williamson annuì. ‘Sono la mia famiglia. Noi siamo divisi in piccoli gruppi organizzati in base alla tradizione patriarcale. Io sono il maschio più anziano e quindi il capo a pieno titolo’.
‘Come mai non ci sono [vecchi]?’.

‘I combattimenti’ rispose Williamson con un gesto espressivo.

‘Combattimenti?’
‘Le guerre di clan tra le famiglie costituiscono parte integrante della nostra civiltà … Noi non viviamo a lungo’.

Rogers era stupefatto …

‘Abbiamo bandiere ed emblemi … Ogni famiglia ha i suoi emblemi e colori, e noi combattiamo per difenderli. La famiglia Williamson non comanda più su questo pianeta. Non c’è più un governo centrale. Per le questioni più importanti abbiamo il plebiscito … un voto per ciascuno dei clan. Ogni famiglia del pianeta dispone di un voto … È un sistema tribale. Immagino che col tempo diventeremo davvero delle tribù distinte. Abbiamo ancora una lingua comune, ma ci stiamo frazionando …. Decentrando. Ogni famiglia con i suoi usi e costumi’.

‘Per cosa combattete?’.

‘Per  cose molto concrete come la terra e le donne. Ma anche per altre meno concrete. Il prestigio, per esempio. Quando è in gioco l’onore si svolge due volte l’anno un combattimento pubblico formale, al quale prende parte un uomo di ciascuna famiglia. lI guerriero migliore con le sue armi.

‘Come nei tornei medioevali’.

‘Abbiamo preso da tutte le tradizioni. Dalla tradizione nella sua totalità … Professiamo tutti una specie di animismo. Un sentimento di generale vitalità positiva del processo universale’. Alzò un pezzo di pane. ‘Rendiamo grazie di tutto questo’.

Già nel 1953, quando il racconto fu scritto, Dick coltivava un suo personale Cristianesimo. Comprendeva, per vie oscure, che il monoteismo occidentale, in quanto depositario di due millenni di saperi e istinti, costituiva l’unica via di fuga al totalitarismo della tecnica. La coppa di legno, che tornerà in altri racconti dickiani a simbolizzare il riappropriarsi dell’umano contro la spersonalizzazione della macchina, e il pezzo di pane, levato in alto come nella liturgia cristiana, sono l’atto di comunione sacro che riannoda l’uomo alla terra.

Per questo il tecnico Rogers non potrà che arrivare alla resa dei conti con il mondo di Williamson.

Rogers: “’Interessante. Una società decentrata che tende progressivamente al tribalismo primitivo. Una società che rifiuta consapevolmente i prodotti tecnocratici e culturali avanzati della galassia e in tal modo si sottrae per propria scelta al contatto con il resto del genere umano’.

Soltanto con la società uniforme controllata dal Centro di Collegamento’ precisò Williamson.

Lei sa perché il Collegamento mantiene un livello uniforme in tutti i mondi?’ gli domandò Rogers.Glielo dico io. Ci sono due motivi. Primo, il bagaglio di conoscenze che l’uomo ha accumulato non ammette la duplicazione dell’esperimento. Non c’è tempo. Quando viene fatta una scoperta è assurdo ripeterla su chissà quali pianeti di tutto l’universo. L’informazione ottenuta su uno qualsiasi delle migliaia di mondi viene inviata istantaneamente al Centro di Collegamento e da qui ritrasmessa nell’intera Galassia. Il Centro studia e seleziona le esperienze e le coordina in un sistema razionale e funzionale privo di contraddizioni. Il Centro dispone dell’esperienza totale del genere umano all’interno di una struttura coerente’.

E il secondo motivo?’.

Se una cultura uniforme viene mantenuta e controllata da una struttura centrale non ci sarà mai una guerra’.

Rogers … estrasse un documento di carta ruvida e chiara che appoggiò sul tavolo.

‘Che cos’è?’ domandò Williamson.

‘Gli articoli dell’Annessione. Perché lei li firmi in modo che il Mondo di Williamson possa entrare a far parte della cultura galattica’.

Williamson scosse la testa. ‘Mi dispiace … ma abbiamo stabilito di non aderire. Questa è la nostra decisione definitiva’.

Dopo una breve e patetica resistenza, l’intero pianeta, questo bruscolo nell’occhio del Moloch, viene atomizzato dalla flotta interstellare del Centro di Controllo Galattico.

Sotto di loro il globo verdeazzurro rabbridì convulsamente. Poi, senza il minino rumore, senza sforzo apparente, si squarciò. Per un attimo si trasformò in un sole in miniatura che illuminò il vuoto. Poi si dissolse in cenere. 
‘Le bombe a fissione sono state collocate alla perfezione. Non è rimasto nulla’.
‘No’ convenne Rogers ‘non è rimasto nulla’”.

Philip Dick predispone, tuttavia, un finale ambiguo, quasi positivo.
Uno dei componenti della spedizione punitiva, il caporale Matson, torna sulla Terra con due souvenir; uno per la moglie: “un grosso taglio di stoffa … con disegni dai colori molto vivaci … Gloria … prese la stoffa e la sfiorò con le dita in maniera quasi reverenziale”; uno per il figlio, la coppa di legno, utensile che assume la forza apostolare di un Graal sacro.

I due sono visti come il terreno vergine su cui l’umanità (l’unica umanità disponibile: quella del pianeta distrutto) potrà, forse, attecchire di nuovo.

A differenza di Philip Dick, mi sento più pessimista. So, per esperienza, che su un terreno sterile nulla è in grado di crescere e, quindi, di fruttificare. A meno che, nelle profondità della terra italiana, non residuino umori impossibili da diserbare. Possibile?

Questo blog, d’altra parte, costituisce un tentativo di sbozzare una coppa di legno, di tratteggiare una mistica italiana.

 

Alceste

Fonte: http://alcesteilblog.blogspot.com

Link: http://alcesteilblog.blogspot.com/2018/10/mo-annamo-dai-cinesi-compra-la-robba-pe.html#more

30.10.2018

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