Approfittiamo della giornata domenicale per segnalare le riflessioni che seguono inerenti il complessissimo momento che sta vivendo anche la Chiesa Cattolica divisa tra il progressismo globalista, rappresentato dall’attuale Pontefice, e un’ala più conservatrice che reputa l’attuale fase molto pericolosa non solo per i destini della Chiesa, ma anche per l’identità e la cultura italiana e occidentale: il grande reset in corso non è soltanto indirizzato a stravolgere l’economia e il lavoro, la classe media in generale, ma anche l’identità dell’individuo, sotto ogni suo ambito, incluso l’aspetto sia spirituale che religioso.
Buona lettura.
Libero Bergoglio in libero Francesco
Di Gederson Falcometa, unavox.it
Il titolo potrà sembrare paradossale, ma ricalca il motto “libera Chiesa in libero Stato” (1), di cui vedremo l’applicazione in molti ambiti della Chiesa conciliare.
Se guardiamo alle vicende ecclesiastiche, vediamo sempre più chiaramente la separazione tra il dottore privato, Bergoglio, e il Papa, Francesco; la separazione tra il Papato e l’Episcopato, tra la Chiesa universale e le Chiese particolari, e così via. Vediamo sempre più un cattolicesimo da libera dottrina (analogamente all’economia del libero mercato).
Innanzi tutto, l’essenza del motto è presente nel rapporto tra dogma e pastorale. Il dogma è per sua natura pastorale, ma la pastorale conciliare è indipendente dal dogma. Mons. Gherardini affrontò il problema, e cercò di trovare il senso della pastorale nella mens conciliare, ma non la trovò. Quindi si può parlare chiaramente di “libera pastorale in libero dogma”.
Poi la possiamo vedere nella disciplina che dovrebbe essere l’applicazione della dottrina al caso concreto, ma si vede che anche la disciplina non è definita (al pari della pastorale).
La dottrina e la pastorale cattolica condannano la libertà religiosa (e quindi la “libera Chiesa in libero Stato”), ma la sofistica dichiarazione pastorale Dignitatis Humanae l’approva, pur affermando che la dottrina rimane intatta. Allo stesso modo, è vietato amministrare la Comunione ai politici abortisti, ma Amoris Laetitiae l’approva.
Quindi si può parlare chiaramente di “libera disciplina in libero dogma”.
Il 18 ottobre 1964, il cardinale Larraona, inviò una lettera a Paolo VI, in cui, tra l’altro, criticava aspramente la dottrina della collegialità episcopale: «Lo schema [sulla collegialità, ndr] cambia il volto della Chiesa; infatti la Chiesa diventa da monarchica, episcopale e collegiale.
Il Primato papale rimane integro e svuotato. […]. Il Pontefice Romano non è presentato come l’unica Pietra sulla quale poggia tutta la Chiesa di Cristo [episcopato, sacerdote e fedeli, ndr]; non è descritto come Vicario di Cristo in terra; non è presentato come colui che solo ha il potere delle chiavi. […]. La Gerarchia di Giurisdizione, in quanto distinta dalla Gerarchia di Ordine, viene scardinata. […]. E tutto ciò mentre tutte le fonti, le dichiarazioni dottrinali solenni, tridentine e posteriori, proclamano questa distinzione essere del diritto divino. […] La Chiesa avrebbe vissuto per molti secoli in diretta opposizione al diritto divino […]. Gli ortodossi e in parte i protestanti dunque avrebbero avuto ragione nei loro attacchi contro il Primato» (2).
La conseguenza fu “libero episcopato, in libero papato”.
Le questioni di diritto si risolvono col Codice di Diritto Canonico, ma i vescovi statunitensi hanno voluto incontrarsi per affrontare la questione dell’amministrazione della Comunione ai politici abortisti. Così vediamo il “libero diritto in libero Codice di Diritto Canonico”.
In breve, questo principio del liberalismo risorgimentale si applica praticamente quasi a tutto nella Chiesa conciliare.
Nella stessa interpretazione del Concilio abbiamo la “libera ermeneutica della rottura in libera ermeneutica della riforma nella continuità”, così come nel rapporto tra la Chiesa universale e le Chiese particolari abbiamo la “libera Chiesa particolare in libera Chiesa universale”; e nel rapporto tra la Chiesa universale e i movimenti ecclesiali di dubbio orientamento e identità, come il Cammino Neocatecumenale che ha un catechismo segreto (come è segreta l’interpretazione del Concilio?), tale che si può parlare di “liberi movimenti in libera Chiesa”.
E abbiamo ancora i “liberi eretici in libera Chiesa”, i “liberi protestanti in libero cattolicesimo”, ecc.
Nella Chiesa conciliare gli esempî di indifferentismo e di assoluta libertà dottrinale si moltiplicano all’infinito.
Benedetto XVI è arrivato a parlare di analfabetismo religioso, ma una Chiesa che promulga un Concilio e intende insegnarlo senza averne una corretta interpretazione, è essa stessa affetta di analfabetismo religioso (3), perché l’insegnante deve conoscere chiaramente ciò che insegna; se ciò che insegna ha bisogno di interpretazioni, allora egli è uno studente e non può insegnare.
Questa sovversione ha fatto sì che la Chiesa, maestra di verità, si trasformasse in una società che cerca la verità.
Da qui la necessità del dialogo, perché come avrebbe recuperato il suo patrimonio più profondo facendo propria la legge dello Stato moderno sulla libertà religiosa (4), così dovrebbe cercare nel mondo moderno la verità su ciò che dice il deposito della fede sul divorzio, sull’omosessualità e su altre questioni.
Così, tutto diventa fonte di rivelazione divina e luogo teologico: lo studio, i gruppi sociali, le culture, ecc., e il dialogo diventa imperativo!
Col concilio Vaticano II il liberalismo ha totalmente trionfato nella Chiesa, e con esso è arrivata l’apostasia generalizzata. Sembra che abbiamo davanti un essere che ha le sembianze dell’agnello ma che parla come il drago.
Vieni presto, o Signore Gesù!
Di Gederson Falcometa, unavox.it
NOTE
1 – L’origine del motto “libera Chiesa in libero Stato” è controversa: Montalambert accusò Camillo Cavour e Alexandre Vignet di averglielo rubato, ma oggi si sostiene che si tratta di un motto di Ottato di Milevi (teologo antidonatista IV secolo). Certamente deve essere un travisamento del pensiero di Ottato, come fu travisata la “casta Meretrix” dai teologi della Nouvelle Théologie.
2 – Cit. in Mons. Lefebvre, J’accuse le Concile, Martigny, Ed. Saint Gabriel, 1976, pp. 89-98.
3 – Parole dell’allora Cardinale Ratzinger: «Quello che ha rovinato la Chiesa dopo il Concilio non è stato il Concilio stesso, ma il rifiuto di accettarlo […] l’obiettivo quindi è quello di scoprire il vero Concilio e di approfondirne le sue vere intenzioni alla luce dell’esperienza corrente, non di sopprimerlo» – Joseph Ratzinger, Principles of Catholic Theology, 1987, p. 390.
4 – Estratto dal discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005, dove si ammette che lo Stato era in possesso di parte del deposito della fede:
«Il Concilio Vaticano II, riconoscendo e facendo suo con il Decreto sulla libertà religiosa un principio essenziale dello Stato moderno, ha ripreso nuovamente il patrimonio più profondo della Chiesa».
Quindi non si tratta più di convertire il mondo alla fede cattolica, ma di ricercare delle giustificazioni teologiche per i “princípi dello Stato moderno” basato sul liberté, égalité e fraternité.
Seguì la giustificazione “teologica” per le false religioni con Nostra Aetate, per le sette cristiane con Unitatis Redintegratio, per il divorzio con Amoris Laetitiae; la commemorazione del 500° anniversario della Riforma protestante con una statua di Lutero in Vaticano, ecc. e il prossimo passo sarà l’approvazione dell’omosessualità. La Chiesa conciliare è una parte del mondo, un Frankeinstein.
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link fonte: http://www.unavox.it/ArtDiversi/DIV4548_Falcometa_Libero_Bergoglio_in_libero_Papa.html
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Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org