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La Redazione

 

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L’atto finale

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A cura di Markus
Il 19 Dicembre 2019
2110 Views

 

Dmitry Orlov
cluborlov.blogspot.com

Nell’elaborare il flusso di informazioni sugli avvenimenti attualmente in corso negli Stati Uniti, è impossibile sbarazzarsi di una sensazione di irrealtà molto inquietante: quella di una popolazione intrappolata in una caverna buia piena di piccoli schermi luminosi, che mostrano tutti immagini diverse ma che essenzialmente trasmettono lo stesso messaggio. Il messaggio è che tutto va bene, come sempre, e che si può andare avanti all’infinito. Ma, di qualunque cosa si tratti, non può andare avanti per sempre, e quindi non lo farà. Più nello specifico, nella miniera di carbone è morto da poco un certo canarino ed è di questo che voglio parlarvi.

È facile capire perché quel particolare messaggio sia rimasto bloccato in replay, anche se la situazione sta cambiando in modo irrevocabile. A partire dal 2019, il 90% di tutta l’informazione negli Stati Uniti è controllata da quattro conglomerati mediatici: Comcast (via NBCUniversal), Disney, ViacomCBS (controllato da National Amusements) e AT&T (via WarnerMedia). Insieme hanno formato una monocultura mediatica corporativa progettata per massimizzare nel miglior modo possibile le rendite degli azionisti.

Come avevo scritto nel 2008 in Reinventare il collasso, “… In una società dei consumi, tutto ciò che scoraggia le persone dai loro acquisti è pericolosamente distruttivo e i consumatori ne sono consapevoli. Qualsiasi manifestazione veritiera sulla mancanza di prospettive per la continuazione della nostra esistenza come società industriale altamente sviluppata e prospera è dirompente per l’inconscio collettivo consumistico. Esiste un istinto di branco che la respinge ed è quindi destinata a fallire, non a causa di qualche azione manifesta, ma perché, essendo impopolare, non è in grado di generare un profitto.

Due anni prima, in una presentazione ottimisticamente intitolata “Closing the Collapse Gap” [Colmare il divario fra i collassi] (tra URSS e Stati Uniti), avevo scritto: “… Sembra che ci siano buone probabilità che l’economia degli Stati Uniti possa crollare in un qualsiasi momento del prossimo futuro. Sembrerebbe anche che non saremo particolarmente preparati all’evento. Allo stato attuale, l’economia degli Stati Uniti è pronta a esibirsi in qualcosa di simile ad un’uscita di scena.” Ed ora, 12 anni dopo, credo di stare finalmente assistendo a quelli che sembrano essere i preparativi per le prove finali di quell’atto: il corpo di ballo fa gli esercizi di stretching e la cantante grassona si prepara con gli arpeggi vocali…

E’ chiaro che questo atto finale deve ancora essere messo in scena. Il ciclico replay multimediale sta continuando esattamente come prima, mantenendo la popolazione nella convinzione che il futuro assomiglierà al passato (tranne, forse, per il fatto che ci saranno più generatori eolici, pannelli solari e auto elettriche). La popolazione continua ad essere persuasa ad uscire e ad acquistare (o, più di frequente adesso, ad ordinare online) cose di cui non ha bisogno, da pagare con denaro che non ha.

Certo, ci sono stati dei cambiamenti. La popolazione negli Stati Uniti se la passa sempre peggio. La tossicodipendenza e i tassi di suicidio sono saliti alle stelle mentre i tassi di natalità sono precipitati. L’acquisto di una casa è ormai un sogno proibito per la stragrande maggioranza delle coppie giovani. Le statistiche sulla disoccupazione, artificialmente ottimizzate, nascondono i circa 100 milioni di persone considerate “non in forza lavoro” (perché hanno perso il lavoro da qualche tempo e non sono state in grado di trovarne un altro). Unico caso tra le nazioni sviluppate, l’aspettativa di vita tra i maschi bianchi, storicamente la parte economicamente più attiva e prospera della popolazione, è in diminuzione. Questi sono tutti aspetti negativi, ma né uno di essi né una qualsiasi loro combinazione potrebbe causare un crollo spontaneo dell’economia americana.

Tuttavia, è possibile sostenere la tesi plausibile che Roma, per dirla in senso figurato, sta bruciando. Per continuare con la metafora, sono particolarmente convincenti le prove del fatto che si sente anche il suono della lira. Nel complesso, c’è una forte ritrosia ad affrontare la sostanza di qualsiasi problema e siamo in presenza di uno sforzo concertato per mantenere le apparenze a tutti i costi.

Considerate il caso della guerra commerciale con la Cina che è in corso dall’inizio del 2018. Trump ha recentemente dichiarato di aver conseguito una grande vittoria, ma, dopo un’attenta analisi, è impossibile vedere i risultati di questa vittoria. Nel 2017 gli Stati Uniti hanno registrato un deficit commerciale di 750 miliardi di dollari con la Cina, con 3,3 trilioni di dollari di scambi (22,7%). Nel 2018 il deficit era salito a 930 miliardi su 3,8 trilioni di scambi (24,4%). La Cina ha trovato il modo di parare tutte le mosse di Trump imponendo contromisure. Dopo due anni di questa sorta di guerra di trincea in stile Prima Guerra Mondiale, in cui gli Stati Uniti hanno lentamente perso terreno, è diventato chiaro che gli Stati Uniti non hanno alcun mezzo per esercitare pressioni sulla Cina.

E così, di colpo, Trump dichiara vittoria; non una vittoria completa (che dovrà attendere fino a quando Trump verrà rieletto per il suo secondo mandato), ma sempre una vittoria, perché i Cinesi hanno presumibilmente accettato di acquistare un extra di 200 miliardi di dollari di esportazioni statunitensi, di cui 50 miliardi di prodotti agricoli da stati che, nel 2016, avevano votato per Trump. Ma Trump sta mentendo ai suoi sostenitori. Negli ultimi due anni i Cinesi hanno importato dagli Stati Uniti circa 24 miliardi di dollari di prodotti agricoli di base e fonti vicine alle trattative commerciali affermano che i Cinesi hanno deciso di aumentare queste importazioni di soli 16 miliardi, rimanendo così sotto di 10 miliardi rispetto al traguardo dei 50 miliardi di dollari. Anche in questo caso, il settore agricolo statunitense dovrebbe aumentare rapidamente la produzione di un fattore di 1,6 e anche questa eventualità è assai improbabile.

Gli agricoltori lo scopriranno solo dopo aver rieletto Trump, ma questo non è un problema di Trump. Neppure era stato un problema di Trump, quando, nel 2017, i Cinesi avevano promesso di acquistare 120 miliardi di dollari di gas naturale liquefatto americano e poi gli Stati Uniti non erano stati neanche lontanamente in grado di fornire quei quantitativi. Ed ora che il gasdotto russo Forza della Siberia è operativo e sta aumentando i volumi di transito e le compagnie di fracking statunitensi stanno fallendo a destra e sinistra, la questione è diventata assolutamente irrilevante. La promessa agricola è solo una ripetizione in scala minore della promessa sul gas liquefatto. Tutto ciò che conta sono le apparenze e le apparenze sono ciò che Trump offre ogni volta. E se i suoi elettori vogliono crederci: chi potrà mai fermarli? Anche se si sta chiaramente avviando verso una sconfitta per gli interi Stati Uniti, la guerra commerciale con la Cina è sicuramente un enorme fattore positivo per Trump: tutto ciò che gli occorre per vincere personalmente è fare di tanto in tanto promesse che gli altri non manterranno, ma questo è non è un suo problema.

Un altro vantaggio netto per Trump è la saga infinita dell’impeachment. Lo ha tenuto sotto i riflettori mediatici e gli ha permesso di fingere di sopravvivere eroicamente contro tutte le aspettattive, facendo allo stesso tempo apparire ridicolo agli occhi dei suoi sostenitori il fronte dell’opposizione. Dopo che la favola dell’“ingerenza russa” si era sgonfiata, una motivazione ancora più assurda per l’impeachment ne ha preso il posto. Il tentativo di mettere sotto impeachment Trump per il rifiuto di collaborare ad un’indagine del Congresso è in procinto di fallire, dal momento che chiunque abbia più intelligenza di un secchio di pesci penieni della California dovrebbe sapere che spetta ai tribunali, non al legislatore, risolvere le controversie tra il legislativo e l’esecutivo. Tutto quello che ora rimane è un presunto abuso di potere da parte di Trump. Apparentemente, è assolutamente proibito ad un presidente degli Stati Uniti chiedere ad un leader straniero di indagare su un candidato alla presidenza degli Stati Uniti per una varietà di reati come corruzione, concussione e riciclaggio di denaro sporco. Tutto ciò può sembrare abbastanza ridicolo, ma serve ad uno scopo: permette a Trump di fare bella figura con un po’ di pubblicità gratuita e continuare a suonare la lira (twittare, nel suo caso) mentre Roma brucia.

Ma quello che ha incendiato Roma non è lo stato decrepitante della società americana, o lo squilibrio commerciale permanente e in costante peggioramento con la Cina, o la farsa infinita dell’impeachment. È il fallimento incipiente del dollaro USA. Per quelli che sono stati attenti (ma sono una piccola minoranza) sono diventati particolarmente evidenti la natura surreale delle procedure e il fatto che i risultati non contano più, solo le apparenze. Ciò che ha permesso ai politici e ai media di sfruttare l’innata propensione alla normalità del grande pubblico e di continuare con il replay mediatico, senza che troppe persone si accorgessero di ciò che stava realmente accadendo, è stata (notate il passato!) l’abilità del governo degli Stati Uniti (con l’assistenza della Federal Reserve, che è un’entità collegata al governo ma essenzialmente privata) di coprire la voragine nelle finanze della nazione emettendo debito, sotto forma di buoni del tesoro statunitensi (UST).

Il Ministero del Tesoro degli Stati Uniti è stato in grado di sfruttare il suo “esorbitante privilegio” per emettere strumenti di debito riconosciuti e negoziati a livello internazionale denominati nella propria valuta, il dollaro USA, che è stata la principale valuta di riserva del mondo per molti decenni. Lo status di valuta di riserva aveva garantito una certa aura di sicurezza e di affidabilità (dopotutto, la carta moneta è praticamente solo un gioco sulla fiducia) e aveva sostenuto il mercato finanziario più grande e più liquido del mondo. Chiunque, ovunque, poteva usare i titoli del Tesoro USA come garanzia per un prestito e ottenere un basso tasso di interesse, perché quei pezzi di carta erano considerati buoni come “denaro vero” (qualunque cosa ciò significhi). E poi quello schema si è improvvisamente rotto.

È difficile dire che cosa abbia causato il fallimento di questo gioco sulla fiducia. Potrebbe essere stato solo l’inesorabile e sempre crescente aumento del debito pubblico degli Stati Uniti. Potrebbe essere stato il palese disaccoppiamento tra il tasso di crescita dell’economia americana e il tasso di aumento del suo indebitamento. Potrebbe anche essere stato il fatto che gran parte del mondo sta facendo uno sforzo concertato per sganciarsi dal dollaro USA come valuta di riserva e come mezzo di scambio nel commercio internazionale (la Russia si è liberata di quasi tutto il debito americano in suo possesso, il gruzzolo della Cina è molto più cospicuo ma anche lei sta gradualmente liberandosene). Non è chiaro quale sia stata la causa ultima, ma ciò che è chiaro è che, nell’agosto del 2019, qualcosa si è finalmente rotto, e gli UST sono passati da “buoni come soldi veri” a “roba che nessuno vuole tenere.”

Ne avevo scritto per la prima volta nel mese di settembre, quando era diventato chiaro che sul mercato del debito americano stavano sorgendo dei seri problemi. Ora, a tre mesi di distanza, la situazione è andata di male in peggio e sembrerebbe che il mercato degli UST si sia definitivamente rotto. Cercherò in futuro di delineare che cosa significhi per l’economia e la società degli Stati Uniti (avviso spoiler: niente di buono) ma, per ora, voglio solo parlare un po’ di quello che è successo. Nel frattempo, per favore, prendete la vostra propensione alla normalità e mettetela in un posto sicuro (nel caso ne aveste bisogno in seguito, anche se non ho idea per che cosa).

In precedenza, quando era chiaro che un sovraccarico di crediti inesigibili avrebbe potuto innescare in qualsiasi momento un collasso finanziario, la Federal Reserve (che si occupa della stampa di denaro) si impegnava in quello che eufemisticamente chiamava “quantitative easing” (“QE”). Stampava cioè un sacco di dollari e li scambiava con gli UST, insieme ad altri rifiuti finanziari, con l’obiettivo successivo di rivendere gli UST e nascondere i rifiuti, preservando così l’apparenza che gli UST sono debito sovrano supportato dalla piena fiducia e dal credito di cui gode il governo degli Stati Uniti, invece di carta straccia che intasa le casseforti. Ma, quando aveva dichiarato che il “quantitative easing” era terminato e aveva provato a vendere gli UST, si era immediatamente scatenato l’inferno ed era stata costretta a riprenderne il riacquisto, in uno schema che era stato sarcasticamente definito come “non QE.” Eufemismi a parte, ciò che sta accadendo viene propriamente definito “monetizzazione del debito“: succede quando un governo “prende in prestito” denaro non vendendo il proprio debito in cambio di denaro già esistente, ma, semplicemente, stampando denaro usando carta e inchiostro o numeri magici dentro un computer super-sicuro.

Esaminiamo alcuni dei dettagli più importanti. Il “non QE” in realtà era iniziato molto prima che fosse annunciato ed era avanzato in modalità invisibile. In sei settimane, a partire dal settembre 2019, la Fed ha monetizzato in media 20,5 miliardi di dollari a settimana. Questo tasso è compatibile con l’entità delle precedenti emissioni di “quantitative easing” al loro apice. È stata costretta a farlo perché il tasso REPO sugli UST era salito a 10 volte il tasso fissato dalla Fed. (REPO sta per “operazioni di pronti contro termine“; quando un contraente chiede un prestito a breve termine, usando UST (ed altri strumenti di debito apparentemente molto sicuri) come garanzia, proprio come un banco dei pegni vi darà dei soldi per un orologio e poi vi consentirà di riacquistarlo). L’enorme aumento dei tassi di interesse aveva segnalato che gli UST non erano più considerati garanzie particolarmente sicure e la Fed aveva dovuto intervenire e aveva cercato di risolvere il problema inondandolo con dollari freschi di conio. E non si è più fermata. In effetti, il problema è cresciuto ed è diventato così grande, che ora, alla fine dell’anno, la Fed si è impegnata con 500 milioni di dollari appena stampati per assicurarsi nessuno rimanga senza soldi.

Si pensa comunemente che l’azione della Fed abbia a che fare con il debito a breve termine e che quindi si tratti di un problema a breve termine, ma non è semplicemente così. Dall’inizio di agosto (l’inizio della modalità invisibile “non QE“) la Fed ha aspirato 179 miliardi di dollari di UST, di cui quelli a scadenza oltre l’anno ammontano a 108 miliardi, ovvero il 60%. Confrontate questi numeri con l’indebitamento totale del governo americano nello stesso periodo, che ammontava a 659 miliardi di dollari, di cui 368 miliardi costituiti da debito a breve termine e 291 miliardi a lungo termine. E’ evidente che in questo periodo la Fed ha monetizzato il 37,1% del nuovo debito a lungo termine e solo il 19,2% del debito a breve termine. Questo dovrebbe aiutare a tranquillizzarvi, se sospettavate che questo non fosse un problema a breve termine ma non ne eravate sicuri. È un problema strutturale a lungo termine.

Consideriamo poi se il problema è stato risolto o se stia peggiorando. State tranquilli, sta peggiorando. Guardando i numeri di ottobre e di novembre, la Fed ha monetizzato oltre la metà (50,7%) del nuovo debito pubblico degli Stati Uniti. Una proiezione lineare dice che se la Fed è passata dallo 0% al 50% in quattro mesi, passerà dal 50% al 100% in altri quattro, entro il 1° aprile 2020. Ma chi può dire che l’aumento sarà lineare piuttosto che esponenziale? Comunque sia, la tendenza è inconfondibile: il mercato del debito pubblico degli Stati Uniti, una volta il mercato più importante e più liquido del mondo, è morto. L’unica cosa che sostiene il valore degli UST è la macchina da stampa della Fed. E l’unica cosa che sostiene il valore dell’output della macchina da stampa della Fed è … che cos’è esattamente? Esattamente!

Aggiungiamo un altro dettaglio importante. Nel corso del 2020 matureranno 4,665 trilioni di dollari di UST e dovranno essere convertiti in nuovi UST. Questo è il record di tutti i tempi e si aggiunge al nuovo debito che dovrà essere emesso per consentire al governo degli Stati Uniti di continuare a funzionare. Nell’ultimo anno, il deficit di bilancio degli Stati Uniti è stato pari a 1,022 trilioni di dollari, con un aumento del 15,8% rispetto all’anno precedente. Se questa tendenza dovesse continuare, il nuovo deficit sarà di circa 1,183 trilioni. Per evitare che le ruote della finanza si fermino, nel 2020 la Fed dovrà monetizzare o stampare qualcosa come 6 trilioni di dollari.

Sembra probabile che, ad un certo punto nei prossimi mesi, il presidente della Fed, Jerome Powell, dovrà annunciare un “non non QE” e quindi un “non non non QE” e poi “Milk-milk-lemonade, ’round the corner fudge is made!” [1] e correre verso il bagno unigender singhiozzando inconsolabilmente. E poi Donald Trump sarà costretto ad evocare lo spirito di Boris Eltsin, che, il 14 agosto 1998, usando tutta l’autorità presidenziale che era riuscito a raccogliere, aveva pronunciato le seguenti, sagge parole:

«Девальвации рубля не будет. Это твердо и четко. Мое утверждение — не просто моя фантазия, и не потому, что я не хотел бы девальвации. Мое утверждение базируется на том, что все просчитано. Работа по отслеживанию положения проводится каждые сутки. Положение полностью контролируется».

Non ci sarà alcuna svalutazione del rublo. Questa è la mia posizione ferma e chiara. La mia affermazione non è solo un prodotto della mia fantasia e non perché non voglio che avvenga la svalutazione. La mia affermazione si basa sul fatto che tutto è stato preso in considerazione. Il lavoro di rivalutazione della situazione viene condotto quotidianamente. La situazione è totalmente sotto controllo.

E poi, tre giorni dopo, il governo russo aveva dichiarato default sovrano. Il rublo era sceso del 300% contro il dollaro USA e l’economia russa, che all’epoca era estremamente dipendente dalle importazioni, si era schiantata in modo veramente duro. In uno scenario simile, l’economia americana si schianterà ancora più sonoramente. Come la Russia nel 1998, gli Stati Uniti sono estremamente dipendenti dalle importazioni. Ma, in questo caso, il governo degli Stati Uniti non è l’unico grande debitore: la maggior parte delle società statunitensi sono cadaveri zombificati gonfi di debiti. Per molti anni hanno preso a prestito a tassi di interesse artificialmente bassi al fine di riacquistare le proprie azioni e sostenere il loro valore, nel ridicolo sforzo di massimizzare la rendita azionaria di fronte allo stallo della crescita economica. Se diventeranno incapaci di estinguere il loro debito a tassi di interesse artificialmente bassi (che spariranno una volta che la Fed avrà definitivamente perso il controllo della situazione), saranno automaticamente costrette a dichiarare fallimento e a liquidare.

Se, nonostante tutto, volete persistere in una visione ottimistica, ecco un libro che potreste voler leggere.

Dmitry Orlov

[1] Filastrocca da bambini. Qualcosa che si recita ad alta voce quando qualcuno sta dicendo una cosa che non si vuole sentire. N.d.T.

Fonte: cluborlov.blogspot.com
Link: http://cluborlov.blogspot.com/2019/12/the-final-act.html#more
18.12.2019

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