I virus esistono?

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Michael Palmer, MD e Sucharit Bhakdi, MD – Doctors for COVID Ethics.org – 18 maggio 2024

 

Nel contesto della “pandemia” COVID-19, molte persone sono arrivate a capire che le autorità politiche e scientifiche hanno sistematicamente mentito sull’origine dell’agente infettivo, nonché sulla necessità e sulla sicurezza delle contromisure obbligatorie, tra cui i lockdown, le mascherine e i vaccini. Alcuni scettici si sono spinti oltre e hanno iniziato a mettere in dubbio l’esistenza del virus responsabile della COVID-19, o addirittura di virus e germi patogeni in generale. Qui mettiamo queste domande in prospettiva.

Prima di entrare nello specifico di germi e virus, dobbiamo riconoscere che il pubblico ha abbondanti ragioni per diffidare non solo di politici, funzionari pubblici e media, ma anche della “comunità scientifica”. Già prima della pandemia COVID-19, diversi membri di alto livello di questa comunità avevano richiamato l’attenzione sul deplorevole stato dell’integrità scientifica della ricerca medica. Particolarmente toccante è la citazione dell’ex caporedattore di una delle più importanti riviste mediche del mondo, Marcia Agnell [1]:

“Non è più possibile credere a gran parte della ricerca clinica pubblicata, né affidarsi al giudizio di medici fidati o a linee guida mediche autorevoli. Non mi fa piacere questa conclusione, alla quale sono giunta lentamente e con riluttanza nel corso dei due decenni in cui sono stata redattrice del New England Journal of Medicine.”

Alla valutazione della Agnell fanno eco il direttore di The Lancet Richard Horton [1], uno dei più famosi epidemiologi, John Ioannidis [2], e Bruce Charlton, ex direttore di Medical Hypotheses [3]. E, a dire il vero, questo stato già precario si è ulteriormente deteriorato con la “pandemia” COVID-19. Ecco alcune delle bugie riguardanti la COVID-19 che sono state raccontate sia dai politici che dai loro giullari scientifici in tutto il mondo:

  •  il virus SARS-CoV-2 è di origine naturale ed è passato spontaneamente dai pipistrelli o dai pangolini all’uomo;
  •  il test PCR su pazienti asintomatici è un mezzo appropriato per seguire la diffusione della COVID-19;
  •  le prime ondate di COVID-19 hanno minacciato di sovraccaricare il sistema sanitario a tal punto da rendere necessaria la distruzione dell’economia per “appiattire la curva”;
  •  la vaccinazione di tutta la popolazione era necessaria per superare la pandemia;
  •  anche se i vaccini erano “sicuri ed efficaci”, le persone vaccinate erano ancora a rischio di essere infettate da individui non vaccinati (ma non da altri vaccinati).

Queste assurde e sfacciate bugie sono state trattate altrove, ad esempio dal cardiologo Thomas Binder [4]. Le citiamo qui solo per chiarire che, in linea di principio, condividiamo l’atteggiamento radicalmente scettico di gran parte del pubblico. Tuttavia, riteniamo che in alcuni casi questo scetticismo radicale sia stato portato troppo in là e che il proverbiale bambino sia stato buttato via insieme all’acqua sporca. A sostegno della nostra tesi, ripercorriamo la storia della “teoria dei germi” per quanto riguarda le malattie infettive.

  1. La nascita della teoria dei germi nel XIX secolo

L’idea che i microbi causino malattie trasmissibili era stata accettata alla fine del XIX secolo. Il suo più grande pioniere fu Robert Koch, un medico prussiano, che scoprì gli agenti batterici che causano l’antrace, il colera e la tubercolosi. Queste scoperte aprirono la strada alla prevenzione di queste malattie attraverso l’igiene e la sorvegliaza.

Ancor prima delle scoperte di Koch, il medico ungherese Ignaz Semmelweis aveva scoperto che i medici potevano evitare la trasmissione della sepsi puerperale dalle madri decedute a quelle viventi attraverso il lavaggio antisettico delle mani; ma, poiché la sua procedura empirica mancava di un fondamento teorico, alla fine fu abbandonata, nonostante il suo dimostrato successo. Semmelweis stesso fu internato in un ospedale psichiatrico, dove subì abusi fisici e morì poco dopo (1).

Il destino personale di Semmelweis dimostra che l’opinione pubblica e la comunità medica dell’epoca non erano certamente pronte per la “teoria dei germi”, cioè per l’idea che le malattie fossero causate da germi reali che potevano essere trasmessi da una persona all’altra, ma che potevano anche essere identificati e combattuti. È quindi notevole che le scoperte di Koch siano state riconosciute e accettate in un periodo di tempo piuttosto breve. Ben presto, altri ricercatori si unirono alla caccia di altri batteri patogeni. Rapidamente furono riconosciuti altri tipi di agenti patogeni; ad esempio, nel 1898 il medico britannico Ronald Ross scoprì che il parassita che causa la malaria si moltiplica all’interno delle zanzare Anopheles e viene trasmesso da queste ultime.

Cosa aveva portato a questo rapido trionfo della teoria dei germi? Sembra corretto affermare che sia gli scienziati coinvolti che il loro pubblico lo avevano reso possibile. Robert Koch stesso era uno sperimentatore ingegnoso e meticoloso. Si era imposto uno standard esigente per dimostrare che una certa malattia infettiva era causata da un microbo specifico, i ben noti “postulati di Koch” [5]:

1) – L’organismo in questione deve essere regolarmente presente nei tessuti malati della persona o dell’animale infetto.

2) – Gli organismi devono poter essere coltivati in coltura pura in laboratorio.

3) – La coltura pura deve produrre la malattia quando viene somministrata ad animali da esperimento.

4) – Gli organismi devono essere trovati nella malattia prodotta sperimentalmente e devono poter essere recuperati in coltura pura.

Sebbene le prove complete di Koch fossero sicuramente convincenti, il suo rapido successo non sarebbe stato possibile senza il suo pubblico. Anche se inizialmente scettico, questo pubblico era anche ben istruito e aperto: non era ancora diventato stanco, cinico e disorientato a causa dell’attacco incessante di notizie false/falsate e scienza spazzatura.

I grandi scienziati del XIX secolo erano spesso hobbisti che assecondavano i propri capricci e le proprie passioni. Erano quindi indipendenti da interessi esterni, in particolare da quelli finanziari. Anche i ricercatori accademici erano più protetti da interessi esterni rispetto ai “pezzi grossi” della scienza istituzionalizzata di oggi. Nel corso del XX secolo, però, gli istituti di ricerca scientifica sono diventati sempre più dipendenti da finanziamenti esterni, spesso controllati da potenti interessi particolari. Ciò ha gravemente compromesso e minato l’integrità scientifica. Non possiamo non chiederci: cosa penserebbe Robert Koch dell’istituto di “salute pubblica” di Berlino che porta il suo nome e di personaggi come Christian Drosten e Tony Fauci?

  1. Applicazioni di successo della teoria dei germi

Se è possibile utilizzare una teoria con successo nella pratica, ciò suggerisce che è vera, o almeno una buona approssimazione della verità. La teoria dei germi ha molte applicazioni utili; in questa sede ci limiteremo a fornire alcuni primi esempi a titolo illustrativo.

Meno di un decennio dopo la scoperta del bacillo dell’antrace da parte di Koch, Friedrich Klein isolò lo Streptococcus pyogenes, il batterio che causa la febbre puerperale, la scarlattina e vari tipi di infezioni cutanee. Questa scoperta potrebbe spiegare il precedente successo delle procedure di disinfezione delle mani sviluppate empiricamente da Semmelweis per prevenire la febbre puerperale. L’igiene, la sorveglianza e il miglioramento dei servizi igienici permisero di prevenire le epidemie di malattie enteriche come il colera. La città di Amburgo, che inizialmente si era rifiutata di adottare tali precauzioni, nel 1882 fu prontamente colpita da un’epidemia di colera (*) che causò diverse migliaia di vittime [6]. Robert Koch stesso fu incaricato di supervisionare l’introduzione di contromisure igieniche, che portarono rapidamente l’epidemia sotto controllo.

È stato soprattutto grazie a queste misure preventive che le malattie infettive sono state sconfitte, anche prima che diventassero disponibili trattamenti specifici per le infezioni manifeste. Questo è illustrato per la tubercolosi nella Figura 1. Malcolm Watson, medico al servizio delle colonie dell’Impero Britannico, ideò metodi efficaci per controllare la malaria. Il suo lavoro, iniziato solo pochi anni dopo che Ross aveva scoperto che il parassita della malaria era diffuso dalle zanzare Anopheles, si basava principalmente sul drenaggio accurato e meticoloso delle zone umide e sulla regolazione di ruscelli e torrenti, mentre la profilassi con chinino e il trattamento delle infezioni svolgevano un ruolo secondario [7].

  1. La teoria dei germi vs. la “teoria del terreno” (si veda anche qui): una falsa dicotomia

Gli oppositori della teoria dei germi amano sottolineare il ruolo decisivo della salute generale del paziente nei riguardi della suscettibilità alle malattie infettive. Questo principio è di fatto accettato dalla medicina tradizionale. Per esempio, l’importanza dell’età e della salute generale nella prognosi della polmonite è stata riassunta dal famoso medico canadese William Osler come segue:

“Nei bambini e negli adulti sani le prospettive sono buone. Nei soggetti debilitati, negli ubriachi e negli anziani le probabilità di guarigione sono inferiori. In quest’ultima classe [la polmonite] è talmente fatale che è stata definita la fine naturale dell’anziano.”

Le parole di Osler, scritte nel 1892, sono valide ancora oggi, a prescindere dal germe in questione. Non importa che la polmonite sia causata da pneumococchi, dal virus dell’influenza o dal SARS-CoV-2. In generale, la nozione di infezioni “opportunistiche” che colpiscono le persone in cattive condizioni di salute e in stato di immunosoppressione si trova nei libri di testo di medicina. Ma, d’altra parte, senza uno di questi patogeni opportunistici, anche gli individui suscettibili non contrarrebbero una malattia infettiva.

La Figura 1 mostra come, subito dopo la scoperta del bacillo tubercolare da parte di Koch, la mortalità dovuta alla tubercolosi abbia subito un forte e prolungato declino. Molto probabilmente, sia l’igiene che il miglioramento dell’alimentazione e della salute generale avevano contribuito a questo cambiamento positivo. Si noti, tuttavia, che non vi è alcuna inversione di tendenza rilevabile negli anni ’30, cioè durante la Grande Depressione. In quell’epoca, molte persone furono improvvisamente gettate nella povertà, condizione che, molto probabilmente, aveva anche abbassato la qualità della loro alimentazione e la loro resistenza alla tubercolosi. Il continuo declino della mortalità per tubercolosi in quegli anni fu probabilmente dovuto alle continue misure di sorveglianza.

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Figura 1: Mortalità per tubercolosi negli Stati Uniti per anno (da [8]). La streptomicina è stato il primo antibiotico attivo contro la tubercolosi.
  1. Non tutti i patogeni infettivi possono soddisfare i postulati di Koch

Di tanto in tanto si legge che qualche virus o altro microbo patogeno non soddisfa i postulati di Koch, il che viene interpretato come una prova che non causa la malattia per cui è noto. Questo è fallace. I postulati di Koch non costituiscono una sorta di assioma matematico; devono essere compresi nel loro contesto storico.

Koch aveva bisogno di convincere un pubblico che, all’inizio, era radicalmente scettico; quindi, più completa e rigorosa era la sua prova, più facile sarebbe stato il suo successo. Aveva quindi perfettamente senso che si concentrasse su agenti patogeni che potessero essere coltivati in coltura pura, cioè in assenza di altri esseri viventi, e che potessero poi essere inoculati in animali da esperimento e isolati tutte le volte che si voleva. Tuttavia, una volta che l’idea degli agenti patogeni infettivi ebbe preso piede in linea di principio, divenne presto evidente che non tutti [questi agenti] soddisfacevano ogni singolo postulato del canone. Ad esempio, Rickettsia prowazekii e Treponema pallidum, gli agenti batterici che causano rispettivamente il tifo e la sifilide, non possono essere coltivati in coltura pura e quindi non possono soddisfare il secondo, terzo e quarto postulato. Tuttavia, possono essere propagati in animali da esperimento e la Rickettsia prowazekii anche in coltura cellulare.

I virus, per loro natura, possono moltiplicarsi solo all’interno di cellule viventi, ma non in coltura pura. Pertanto, nessun virus può soddisfare i postulati di Koch. Se non sono soddisfatte, la questione della causalità della malattia deve essere risolta in altro modo.

  1. Cosa significa isolare un virus?

Diverse persone hanno espresso critiche molto ampie alla virologia come disciplina. Ad esempio, venti medici e ricercatori hanno recentemente pubblicato un memorandum intitolato “Settling the Virus Debate” [9] in cui si legge:

“Forse la prova principale che la teoria virale patogena è problematica è che nessun articolo scientifico pubblicato ha mai dimostrato che particelle che soddisfano la definizione di virus sono state direttamente isolate e purificate da tessuti o fluidi corporei di persone o animali malati. Usando la definizione comunemente accettata di “isolamento”, cioè la separazione di una cosa da tutte le altre, c’è un accordo generale sul fatto che nella storia della virologia questo non è mai stato fatto. Le particelle che sono state isolate con successo attraverso la purificazione non hanno dimostrato di essere compatibili con la replicazione né di essere infettive e di causare malattie; non si può quindi dire che siano virus.”

Inoltre, gli autori chiariscono di non essere d’accordo con l’uso di colture cellulari come parte della procedura di isolamento. Secondo loro, le colture cellulari possono dare origine autonomamente a detriti che potrebbero essere scambiati per particelle virali, e insistono quindi sul fatto che un virus deve essere isolato direttamente da tessuti o fluidi corporei di esseri umani o animali infetti. A questa obiezione si può rispondere come segue:

  1.  Le particelle di molti virus hanno forme molto caratteristiche che non è possibile confondere con le particelle prodotte dalle cellule viventi o con i detriti lasciati dalle cellule morte.
  2.  Esistono molti metodi biochimici per caratterizzare le particelle virali e stabilire che esse contengono informazioni genetiche caratteristiche del virus piuttosto che della coltura cellulare ospite.
  3.  Non tutti i virus possono essere facilmente coltivati in colture cellulari. Quelli che non possono essere coltivati in colture cellulari sono infatti propagati di routine negli animali da laboratorio e isolati direttamente da essi.

Un buon esempio di studio sugli animali era stato pubblicato da Theil et al. [10]. Si trattava dell’isolamento di un nuovo virus da maiali gnotobiotici, cioè altrimenti privi di germi. L’abstract dello studio recita come segue:

“Un virus simile al rotavirus (RVLV) è stato isolato da un maiale diarroico di un allevamento suino dell’Ohio. Questo virus ha infettato gli enterociti villosi in tutto l’intestino tenue di suini gnotobiotici e ha indotto una diarrea acuta e transitoria. Raramente sono stati osservati virioni completi [particelle virali] nel contenuto intestinale degli animali infetti… Il genoma del RVLV suino era composto da 11 segmenti discreti di RNA a doppio filamento…”

Lo studio mostra sia immagini al microscopio elettronico delle particelle virali, sia il risultato di un esperimento di elettroforesi che confronta il materiale genetico contenuto in queste particelle con quello di virus noti con morfologia simile (si veda Figura 2). Il nuovo virus poteva essere fatto passare in serie attraverso più suini senza essere “diluito” o perso del tutto; pertanto, si stava chiaramente replicando all’interno di quei suini. L’infezione era rilevabile nelle cellule intestinali dei suini e aveva causato diarrea. Non vediamo alcuna ragionevole obiezione alla conclusione degli autori di aver effettivamente stabilito l’esistenza di un nuovo virus che causa malattie intestinali nei suini.

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Figura 2: Figure 3 e 4 dello studio di Theil et al. [10], raffiguranti la caratterizzazione di un nuovo virus dal contenuto intestinale di animali da esperimento mediante microscopia elettronica (a sinistra) e mediante elettroforesi dell’RNA (a destra). Si veda il testo per i dettagli.

Sebbene l’isolamento diretto sia spesso utilizzato per la caratterizzazione iniziale di un nuovo virus, l’uso di colture cellulari facilita notevolmente l’individuazione sensibile e rapida di routine di virus già noti. Non è realistico aspettarsi che i virologi praticanti rinuncino all’uso di questo espediente solo per accontentare gli scettici radicali da poltrona. Non è ragionevole biasimare i virologi per aver svolto il loro lavoro nel modo più efficiente.

  1. I virus sono diversi

Le particelle virali differiscono notevolmente per dimensioni e forma. Ciò è illustrato nella Figura 3. L’elettroferogramma mostrato nella Figura 2 ci mostra che anche i virus con morfologia simile possono essere distinti l’uno dall’altro con metodi biochimici. Oggi è diventato di uso comune determinare le sequenze nucleotidiche degli isolati virali, che consentono una differenziazione ancora più fine. È interessante notare che la natura artificiale del SARS-CoV-2 può essere dimostrata in modo convincente basandosi su niente altro che la sequenza nucleotidica del suo genoma [11].

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Figura 3: Particelle di virus di diverse famiglie al microscopio elettronico. Immagini tratte dal riferimento [12]. A: virus dell’influenza; B: poliovirus; C: adenovirus; D: virus del vaiolo; E: virus Nipah. Tutte le particelle virali sono state riprese con lo stesso ingrandimento, quindi le differenze apparenti di dimensioni sono reali. I pannelli A-C mostrano ciascuno più particelle virali. La particella del virus del vaiolo nel pannello D è lunga circa 250 nanometri.

La prima immagine al microscopio elettronico di un virus – nel caso specifico, il virus del mosaico del tabacco, che infetta le piante di tabacco – fu acquisita nel 1939 da un gruppo di ricercatori che comprendeva Helmut Ruska, l’inventore del microscopio elettronico [13]. Ma già due anni prima, Thomas Rivers aveva tutte le ragioni per scrivere, nel suo saggio “Virus e postulati di Koch” [14]:

“Gli agenti infettivi del vaiolo, della vaccinia, della poliomielite, della febbre gialla, della peste aviaria e del mosaico del tabacco sono noti; possono essere riconosciuti o identificati in vari modi; possono essere separati l’uno dall’altro e da altri tipi di agenti infettivi; possono essere utilizzati per esperimenti approfonditi condotti in vivo o in vitro.”

Anche senza queste distinzioni strutturali e biochimiche, la diversità dei virus è già evidente dalle sole osservazioni cliniche. Nessun medico o infermiere confonderà la poliomielite con il vaiolo o la febbre gialla con il morbillo. Allo stesso modo, nessun virologo confonderà tra loro i virus responsabili di queste malattie. I virus hanno una pletora di proprietà ben definite che li distinguono inequivocabilmente l’uno dall’altro, così come da tutte le particelle rilasciate da cellule vive o morenti non infettate da virus.

  1. Il virus SARS-CoV-2 è mai stato isolato?

Sì, è stato isolato numerose volte. Una panoramica di questi studi è stata fornita da Jefferson et al. [15]. Uno studio documentato che mette in relazione l’isolamento del virus, la PCR e i risultati clinici in una serie di pazienti COVID-19 ospedalizzati è stato pubblicato da Wölfel et al. [16]. È anche possibile acquistare campioni di virus purificato dalla American Type Culture Collection. Questi sono inattivati al calore, ma dovrebbero comunque consentire agli investigatori con le competenze e le attrezzature necessarie di confermare l’identità del virus.

La leggenda secondo cui il SARS-CoV-2 non sarebbe mai stato isolato si basa esclusivamente sulla rigida richiesta che tale isolamento sia realizzato senza l’uso di colture cellulari. Come già detto, è molto probabile che i virologi praticanti ignorino questa richiesta, cosa per cui non possiamo biasimarli.

  1. Ma la COVID-19 non è solo l’influenza ridenominata?

In effetti, è sorprendente che, in concomitanza con l’aumento dei casi di COVID-19, quelli di influenza siano scesi in picchiata. Ciò può essere compreso come segue:

  1.  È abbastanza comune che le infezioni respiratorie siano causate da più di un virus. Se i test non sono completi, i test scelti falsano i risultati.
  2.  L’isteria intorno alla COVID-19 ha indotto i medici ad eseguire test diagnostici selettivi per la COVID-19, escludendo altri patogeni respiratori.
  3.  Per la diagnosi delle infezioni da COVID-19 sono stati utilizzati criteri estremamente vaghi. Avrete probabilmente sentito parlare dei numerosi problemi relativi ai test PCR falsi positivi.

Metodi di laboratorio imperfetti non potevano che portare a molte diagnosi errate di COVID-19. I pazienti così diagnosticati di solito non venivano sottoposti a ulteriori test per l’influenza, il che ha causato un calo del numero di casi di influenza diagnosticati. La mancata esecuzione di test per la ricerca di agenti patogeni batterici ha fatto sì che i pazienti affetti da polmonite batterica non venissero riconosciuti e non ricevessero il trattamento necessario con antibiotici. Questa è stata solo una delle tante forme di negligenza medica dell’era COVID-19, il vero motore dell’eccesso di mortalità [17,18].

Conclusione

Se da un lato abbiamo tutte le ragioni per diffidare e mettere sotto accusa l’odierno establishment medico e scientifico, dall’altro ciò non deve indurci a ignorare le prove scientifiche solide, laddove esistono. La teoria dei germi in generale e anche la virologia sono molto ricche di tali prove, nonostante le  recenti distorsioni e gli abusi, che devono essere urgentemente identificati e corretti. Tuttavia, il rimedio non sta in uno scetticismo radicale che rasenta il nichilismo. Dobbiamo invece recuperare e riaccendere lo spirito di un dibattito rigoroso ma privo di pregiudizi, quello che un tempo aveva reso grande la scienza medica.

 

Dr. Michael Palmer, MD e Dr. Sucharit Bhakdi, MD

Link: https://doctors4covidethics.org/do-viruses-exist/#ref1

Segnalato dalla gentile lettrice Pfefferminz. Tradotto (IMC) da CptHook e revisionato da Markus per ComeDonChisciotte

 

(*) Nota del Traduttore: per inciso, parlando di colera è d’obbligo menzionare l’opera in questo campo di Rocco Rubini e di suo genero Tommaso Cigliano, forse i due più grandi omeopati italiani, che con la loro scienza contribuirono a combattere con estrema efficacia questa malattia a Napoli. Tommaso Cigliano, primo a tenere un corso di omeopatia all’Università di Napoli, durante l’epidemia di colera del 1884 a Napoli, con le sue cure omeopatiche riuscì a ridurre la mortalità al 6%, dal 70/80% delle precedenti epidemie.

 

Note

Oggi l’università di medicina di Budapest porta il nome di Semmelweis.

Riferimenti

Gyles, C. (2015) Scettici nei confronti dei rapporti scientifici medici? Can. Vet. J. 56:1011-2

Ioannidis, J.P.A. (2005) Perché la maggior parte dei risultati delle ricerche pubblicate sono falsi. PLoS Med. 2:e124

Charlton, B. (2012) Not Even Trying: the corruption of real science (University of Buckingham Press).

Binder, T. (2021) The Prevailing Corona Narrative Nonsense, Debunked in 10 or 26 Minutes.

Grange, J.M. e Bishop, P.J. (1982) “Tuberkulose”. Un omaggio alla scoperta del bacillo tubercolare da parte di Robert Koch, nel 1882. Tubercle 63:3-17

Tárnok, A. (2020) Le epidemie di colera ad Amburgo e cosa imparare per il COVID-19 (SARS-CoV-2). Cytometry A 97:337-339

Watson, M. (1915) Rural sanitation in the tropics (John Murray).

Wikipedia (2024) Storia della tubercolosi.

Cowan, T. et al. (2022) Settling the virus debate.

Theil, K.W. et al. (1985) Porcine rotavirus-like virus (gruppo B rotavirus): caratterizzazione e patogenicità per i suini gnotobiotici. Journal of clinical microbiology 21:340-5

Yan, L. et al. (2020) Unusual Features of the SARS-CoV-2 Genome Suggesting Sophisticated Laboratory Modification Rather than Natural Evolution and Delineation of Its Probable Synthetic Route. Preprint DOI:10.5281/zenodo.4028830

Goldsmith, C.S. e Miller, S.E. (2009) Modern uses of electron microscopy for detection of viruses. Clin. Microbiol. Rev. 22:552-63

Kausche, G.A. et al. (1939) Die Sichtbarmachung von pflanzlichem Virus im Übermikroskop. Naturwissenschaften 27:292-299

Rivers, T.M. (1937) Virus e postulati di Koch. J. Bacteriol. 33:1-12

Jefferson, T. et al. (2020) Colture virali per la valutazione dell’infettività del COVID-19. Revisione sistematica. Clin. Infect. Dis. ciaa1764

Wölfel, R. et al. (2020) Valutazione virologica dei pazienti ospedalizzati con COVID-2019. Nature 581:465-469

Rancourt, D.G. et al. (2021) Nature of the COVID-era public health disaster in the USA, from all-cause mortality and socio-geo-economicand climatic data.

Rancourt, D.G. et al. (2022) Campagna di vaccinazione di massa del periodo COVID e disastro sanitario negli USA. ResearchGate DOI:10.13140/RG.2.2.12688.28164

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