DI MIGUEL MARTINEZ
Kelebek
Paniscus ci offre uno sguardo diverso su un fatto noto.
Come moltissimi sanno, un bambino autistico è stato trattato con estrema cafonaggine da alcuni addetti al Carrefour di Assago, durante una cosa che viene definita “tour delle auto a grandezza reale del film Cars.” La lettera di denuncia la potete leggere qui.
Ora, è ovvio che nello specifico quella mamma ha ragione: protestiamo anche noi presso la direzione del Carrefour [email protected]
Però vale la pena di capire di cosa sia stato veramente vittima il bambino incafonato, e perché l’episodio ha colpito tanti blogger.
Negli stessi giorni, il giovane Abdul Salam Guibre è stato ucciso a sprangate a Milano, sostanzialmente perché nero.
Ovviamente i titoli dei media sono maggiori per un omicidio che per una cafonata; ma si ha la netta sensazione di una partecipazione emotiva tutta diversa per il caso del “piccolo Alexander”. Che segue di poco la partecipazione emotiva di massa per la “Piccola Denise”: vi ricorderete come la bambina italiana sia stata “identificata” sull’isola di Kos in Grecia. Come sempre, da una mamma italica che vede una donna Rom con una bambina. Che ci fa una donna Rom con una bambina? Ma porta a spasso la Piccola Denise, no?
L’Italica Mammeria quindi assume una variante di sinistra – il caso Alexander/Carrefour – e una variante di destra – il caso Denise/Zingara Rapitrice. Nel primo caso, il nemico del Bambino Italiano è il Prepotente; nel secondo, è lo Straniero Oscuro. In entrambi i casi, c’è l’identificazione collettiva con un caso individuale successo a “una come noi“; e quel caso individuale è vittima di un’indefinita cattiveria aliena.
A scrivere, “mi piange il cuore“, per il caso di Alexander, ci metti due righe e fai bella figura. Mica si deve ragionare, quando succedono le cose brutte… Beh, io scrivo il solito migliaio di righe illeggibili, cercando invece proprio di ragionare. Non devo certo fare audience.
In mancanza di versioni alternative dei fatti, prendiamo alla lettera ciò che scrive Barbara a proposito di come sarebbe stato trattato Alexander. Vista la follia di tanti in rete, fa benissimo a non scrivere i cognomi; ma senza volerlo, mamma e figlio finiscono così per entrare nella Falsa Intimità dei nostri tempi: quella cosa per cui ignoriamo il cognome della Piccola Denise, e possiamo sapere tutto sulla vita sessuale di Araba Dell’Utri.
D’accordo. La cafonaggine, specie nei confronti di un bambino con problemi, è qualcosa di molto brutto. Solo che se vogliamo essere veramente solidali, dobbiamo capire di chi è stato vittima il bambino.
I tanti commentatori al blog di Barbara, con rare eccezioni, accusano (1) la cattiveria individuale (“La gente è spesso inutilmente cattiva e profondamente stupida“) e (2) la mancanza di valori (“questa endemica mancanza di educazione sta avvelenando la vita di tutti quanti”). Per concludere, uno dopo l’altro, con qualche equivalente di “non ho parole“. Infatti, quando si condivide tutti un grande Luogo Comune e non si cerca di pensare, a che servono le parole?
Direte, ma qui c’è solo da emozionarsi, non da pensare.
Non è vero. Perché tutto il senso dell’episodio dipende dalla risposta a una domanda. E’ stata cafonaggine umana o cafonaggine strutturale?
Immaginiamo un omaccione che va in discoteca e parcheggia il suo SUV in un posto riservato ai disabili. E quando arriva un vero disabile, lo manda a quel paese. Ecco, questa è cafonaggine umana, e si risolve con un decorativo sfregio alla carrozzeria del suo macchinone. Veramente io sarei ancora più creativo, ma mi fermo qui.
La cafonaggine strutturale, invece non è altro che lo scontro tra una catena di montaggio e un oggetto fuori norma che non dovrebbe trovarsi lì.
Infatti, ecco il cuore dell’episodio. Alexander vuole farsi fotografare accanto a una certa macchinetta:
“Il fotografo comincia ad urlare “Muoviti! Non siamo mica tutti qui ad aspettare te” Mio figlio si gira, ma non abbastanza secondo il “professionista”. Gli chiedo “Per favore, anche se non è proprio dritto, gli faccia lo stesso la foto…” “Ma io non ho mica tempo da perdere sa? Lo porti via! Vattene! Avanti un altro, vattene!” Un bambino a lato urla “Oh, mi sa che quello è scemo” e il vostro Omino del Computer, ridendo “Eh, si! Vattene biondino, non puoi star qui a vita!”“
Cioè, abbiamo un lavoratore che “non ha tempo da perdere“, per il semplice motivo che il tempo è denaro.
E siccome nessuna persona normale e sana ha voglia di lavorare in fretta, è evidente che i tempi sono preassegnati. Il fotografo, assunto precariamente per questo lavoro, ha ricevuto una tabella di marcia precisa per produrre immagini di bambini sorridenti. Non sappiamo se lo pagano a cottimo – la carota – o minacciano di non chiamarlo la prossima volta se produce troppo lentamente – il bastone. Ma certamente c’è stata una riunione prima, in cui gli ordini sono stati chiari.
Così come esistono pallet standard e container standard – che sono la base spaziale di tutta la globalizzazione – esistono anche bambini standard. O meglio unità-di-felicità-infantile standard, della durata, poniamo, di 42 secondi. Le unità-di-felicità-infantile fuori standard dovrebbero, a logica, essere indirizzate automaticamente dal Braccio Deviatore lungo il nastro degli scarti.
Infatti, racconta Barbara:
“Una signorina, con la Vostra tshirt, mi si è avvicinata per chiedermi cosa fosse successo. Alla mia spiegazione, dopo averle detto che il piccolo aveva una sindrome autistica, mi ha detto “Ma se non è normale non lo deve portare in mezzo alla gente“.
Ora, se il Braccio Deviatore o signorina-con-la-Vostra-tshirt (notare la maiuscola in “Vostra”) ha ragionato come una vera signorina-con-la-Vostra-tshirt, il suo discorso è ineccepibile. [1] Perché la signorina-con-la-Vostra-tshirt è anche la licenziata-se-incinta, la riassunta-solo-se-ci-gira, la ci-sono-cinquanta-moldave-pronte-a-prendere-il-tuo-posto, la si-ricordi-che-lei-è-l’immagine-dell’azienda e si-pettini-bene-i-capelli (nonché, è libera stasera che la invito a cena?).
Se il Carrefour la paga, non è per fare un piacere al bambino Alexander, ma perché rientrino gli investimenti degli azionisti.
E quindi il compito del Braccio Deviatore è di fare riuscire la Sinergia Creativa tra unità-di-felicità-infantile, pubblicità del Carrefour di Assago (e in mezzo c’è pure un concorso e pure la vendita di “tutto per la scuola” e qualcosa che si chiama Bimbi Superstar) e vendita del prodotto-immagine denominato Cars Motori Ruggenti.
Cars Motori Ruggenti a quanto mi è dato capire, è un prodotto della Grande Fabbrica dell’Immaginario Planetario, la Disney. Io mica dico che la Disney fa brutti film: ce ne sono di bellissimi. Il punto è, possibile che la Società della Libertà per tutti abbia messo in mano a qualche decina di ricchissimi statunitensi il monopolio dell’allegria infantile del pianeta, e abbia spento ogni altra sorgente? Poi dicono che Stalin era un po’ totalitario…
Le auto certamente fanno comodo, se non dimentichiamo che si tratta di tonnellate di ferro, sventrato dalle montagne, che succhiano il petrolio tra i cadaveri dell’Iraq, asfaltano i boschi, inquinano l’aria, uccidono 1,2 milioni di persone l’anno e ne mutilano altre 50 milioni.
Ma la merce è tale, non se è utile, ma se è benvoluta. Infatti, il film Cars Motori Ruggenti presenta quelle bombe meccaniche come se fossero dei simpatici Average Americans che si fanno la concorrenza e si danno le pacche sulle spalle; però con grandi occhioni fatti apposta per sedurre i bambini.
Quando hai quattro anni, e te ne mancano ancora quattordici per prendere la patente, le macchine le devi già amare alla follia. Si chiama Fidelizzazione e alla prova dei fatti funziona meglio dei Pionieri sovietici.
La stessa anima di cui l’alienazione capitalista ha privato il mondo, si inietta nei pistoni prodotti in serie in qualche oscura fabbrica cinese. Un golem o se preferite, un autogolem.
Il prodotto Cars, che golemizza il prodotto automobile, a sua volta genera prodotti-gadget e prodotti-evento che a loro volta servono per creare Immagine e Fidelizzazione per la multinazionale Carrefour. E anche quest’ultima mica si presenta però per quello che è – un utile luogo dove acquistare roba da mangiare, ad esempio – ma per il surrogato dei rapporti umani che il sistema annienta.
Ora, il piccolo quattrenne autistico non ha la più lontana colpa di tutto ciò, ed è quanto di più indifeso ci possa essere di fronte a tanta violenza. La solidarietà reale e non quella delle comari politicamente corrette inizia nel capire che il suo nemico non è il fotografo cialtrone, ma la stessa roba che chiamiamo “civiltà occidentale”. Di “valori”, in quel senso, ce ne sono fin troppi.
Però è terrificante pensare che la sua indubbia sofferenza nasce perché non gli viene permesso di rendere culto al suo idolo, Saetta McQueen, che Wikipedia descrive come una “giovane e ambiziosa auto da corsa (nel film è di sesso maschile) impegnata a correre nella Piston Cup, il più prestigioso campionato automobilistico degli Stati Uniti.”
Non voglio infierire sulla madre. Ha avuto un duro destino. E poi non è facile, e nemmeno piacevole, arrivare a quella specie di nudità interiore che ti impedisce di cadere nella rete dell’illusione che ti tessono attorno.
Però le parole veramente più tristi di tutto il discorso di Barbara, che rispecchiano la tragedia generale che viviamo, sono queste… spero che il neretto aiuti a capire dove risieda il male devastante, non solo per Alexander ma per tutti i figli dei nostri tempi:
“Vestito di tutto punto con la sua maglietta di Cars, comprata DA VOI, oggi l’ho portato, emozionatissimo, ad Assago. Vista la posizione di Saetta, ci siamo avvicinati per fare una foto. Click, click, click, bimbo sorridente a lato della macchina. Avevate previsto un fotografo, sui sessant’anni, sembrava un rassicurante nonno con una digitale da 2000 euro, collegata a un pc dove un quarantacinquenne calvo digitalizzava un volantino carinissimo con le foto dei bimbi di fronte a Saetta, stampate all’interno della griglia di un finto giornale d’auto. Una copertina, insomma, che i bimbi chiedevano a gran voce e avrebbero poi incorniciato in una delle costose cornici in vendita nel Vostro reparto bricolage.“
Nota:
[1] Lo spiega perfettamente il sito della Carrefour, basta saper leggere l’imprenditorialese:
Le persone Carrefour sono la base del successo della nostra azienda.
L’organizzazione è basata su una gestione delle risorse umane ispirata a principi di fiducia, responsabilizzazione, meritocrazia e miglioramento continuo del saper fare individuale e aziendale.
Miguel Martinez
Fonte: http://kelebek.splinder.com/
Link: http://kelebek.splinder.com/post/18406956/Carrefour+e+Cafoneria+Struttur
16.09.2008