DI MARCO MAMONE CAPRIA
Fondazione Hans Ruesch
Introduzione
In campagna elettorale i
politici cercano di sembrare buoni. Li si può capire, anche se
c’è chi deve proprio sforzarsi per dare questa impressione.
Uno dei sistemi più
collaudati è di mostrare una (eventualmente fino ad allora
inedita) sensibilità verso gli animali domestici
(preferibilmente i cani). Molte persone infatti utilizzano la buona
disposizione verso gli animali domestici come indizio di un
atteggiamento compassionevole e premuroso verso il prossimo: e che
cosa mai dovremmo desiderare da qualcuno che aspira a rappresentarci
in parlamento e a disegnare in vari modi il nostro futuro se non,
appunto, tale caratteristica? Soprattutto dopo che il cosiddetto
“governo dei tecnici” ha abituato gli italiani a un
cinismo e a una spietatezza (eccone un esempio)
che i precedenti “governi di politici” perlomeno
cercavano di mascherare.
Ora,
non nego che nella suddetta intuizione psicologica ci sia un elemento
di validità, ma questo elemento non è del tutto ovvio.
In effetti spesso capita di vedere persone anche molto affezionate ai
propri animali domestici le quali, però, non solo non sono
generalmente compassionevoli verso il prossimo, ma non mostrano una
grande tenerezza per nessun altro animale che non sia il proprio. Il
contrasto tra l’affetto per il proprio cane o gatto e l’indifferenza
o anche crudeltà verso il prossimo umano (per non dire degli
altri animali) è stato notato da secoli, e ha trovato famose
rappresentazioni artistico-letterarie: dall’episodio della «vergine
cuccia» nel Giorno
di Parini (1765), al Monsieur Verdoux
(1947) di Chaplin. Inoltre, tutti quelli che si interessano del
problema di restituire dignità agli animali si trovano prima o
poi a vedersi rinfacciare il caso di Adolf Hitler, a cui piaceva la
compagnia di certi cani, ma che era
tutt’altro che “animalista” anche
nel senso più blando del termine (e sicuramente non
era un vegetariano).
Del
resto non bisogna andare tanto indietro con gli anni. Un personaggio
che con ogni probabilità passerà alla storia come uno
dei massimi criminali internazionali del 21mo secolo,
l’ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush (2001-2009), si è
fatto riprendere ripetutamente in atteggiamenti amorevoli verso il
suo cane, a tal punto che quando questo è morto, alcuni giorni
fa, tale fatto
ha ricevuto da parte della stampa mondiale un’attenzione di gran
lunga superiore, per esempio, alla morte per annegamento di oltre
10.000 immigrati che
hanno cercato negli ultimi anni di attraversare il canale di Sicilia
in uno dei tanti barconi “della speranza”, come li si
chiama, o piuttosto “della disperazione”, come si
dovrebbe chiamarli.
Ma anche il godere della
compagnia di un cane, per quanto non significhi granché in
termini genuinamente “animalisti” (anche molti cacciatori
sono affezionati al proprio cane da caccia, almeno finché
svolge bene il suo compito), non è una caratteristica così
comune. Quindi, proprio per il vantaggio di immagine procurato dal
mostrarsi teneri verso un animale, coloro i quali intendono
strumentalizzare le emozioni del loro pubblico (attori, presentatori
televisivi), o dell’elettorato (candidati politici), arrivano ben
presto a capire che, in mancanza di un vero interesse personale alla
compagnia degli animali, la sua simulazione può
servire almeno altrettanto bene. Stiamo quindi assistendo in queste
settimane a graziose scenette come quelle dei principali
esponenti della destra
ritratti in compagnia di cani di cui, peraltro, non si sa se fossero
tanto contenti di trovarsi in quelle mani.
Destra e sinistra
Oggi è di moda
negare che tra destra e sinistra ci siano differenze importanti, il
che sarebbe purtroppo vero se si definisse la “destra” e
la “sinistra” in termini dei partiti effettivamente
presenti nell’arco parlamentare: in Italia e in altri paesi è
infatti l’intero spettro politico che si è contratto e
spostato verso destra durante gli ultimi vent’anni. Ma basarsi
sull’assortimento delle compagini parlamentari è chiaramente
erroneo.
A caratterizzare la
destra, nella sua concezione della giustizia sociale, è l’idea
che la diseguaglianza economica, per quanto grande, è nella
natura delle cose, è giusta,
e che quindi le sole politiche di protezione sociale giustificabili
sono quelle sufficienti a trattenere la massa dei socialmente
svantaggiati dal sollevarsi contro i privilegiati: sono cioè
misure antisommossa, più che di soccorso dei bisognosi
o di attuazione di diritti di cittadinanza.
Se le
sommosse non si verificano o non raggiungono una certa intensità
ed estensione, un governo di destra non si preoccupa più di
tanto di categorie in difficoltà come gli sfrattati, i
licenziati, i disoccupati, i malati, le madri lavoratrici, i
carcerati, i disabili, i padri separati, gli anziani non
autosufficienti, gli immigrati, le popolazioni di paesi in cui si
trasferiscono settori produttivi di nostre imprese (contando sul
basso livello di tutela del lavoro), o dove si esportano impunemente
i nostri rifiuti tossici (contando sul basso livello di tutela della
salute), e così via. Anzi, che la maggioranza della
popolazione sia assediata da preoccupazioni sul proprio futuro a
breve termine è funzionale al
mantenimento delle redini del potere nelle mani di una minoranza,
perché tende a restringere la visione politica e a diminuire
il senso di solidarietà degli oppressi.
Questo
spiega come
mai in Italia, dove il
10%
delle famiglie italiane possiede
il 44,5% della ricchezza netta complessiva mentre
il 50% meno ricco ne possiede appena il 9,8%, non esiste ancora un
reddito di cittadinanza. Ma intanto i soldi per le missioni militari
e per l’acquisto (ad esempio) di costosissimi aerei da guerra si
trovano. A questo proposito vorrei consigliare a chi abbia dubbi sul
voto da dare o non dare, o a chi, di guardare la puntata di Presa
Diretta (RAI3)
del 3 febbraio scorso, a cura di Riccardo Iacona, intitolata appunto
“Spese
militari”:
penso che gli chiarirà le idee più di quasi tutto ciò
che potrebbe trovare nelle pagine politiche dei principali giornali,
per non dire di quelle trasmissioni che usano il dibattito, o
piuttosto la sua finzione, per disinformare.
Ovviamente
i politici di destra quasi mai dichiarano il loro disinteresse nei
riguardi della generalità dei cittadini e in particolare degli
“ultimi”, ma esso è inscritto nelle loro leggi di
spesa, e in una scala di priorità in cui la capacità di
ingerenza militare e la tutela dei patrimoni finanziari e bancari
figurano di gran lunga prima di istruzione,
cultura, sanità, sicurezza edilizia e stradale, ambiente e
paesaggio. Proprio per questo, i governi di
destra (quali che siano le sigle dietro le quali si nascondono)
cercano di scoraggiare la partecipazione dei cittadini alle decisioni
politiche, e uno dei modi in cui lo fanno è attraverso una
comunicazione opaca, reticente e autorinnegante –
autorinnegante nel senso che le
dichiarazioni dei suoi esponenti sono mandate come in avanscoperta
per vedere che effetto abbiano sul pubblico: se l’effetto è
cattivo, non ci si fa scrupolo di negare
di averle mai fatte, anche se sono certificate irrefutabilmente da
registrazioni radiotelevisive. In una vera
democrazia un politico avrebbe serie difficoltà a risollevarsi
dall’aver dichiarato pubblicamente il falso, senza dare una
convincente e altrettanto pubblica giustificazione dell’incidente;
nelle attuali pseudodemocrazie l’affermare il falso, anche nella
forma della negazione sfacciata di aver detto ciò che si è
detto, è per un politico una prova di forza con cui conferma
la degradazione di fatto dei cittadini a sudditi.
In questa prospettiva si
capisce subito quanto sinceramente a un partito di destra possa
interessare la tutela degli animali o l’espansione dei loro diritti.
Per una questione di elementare coerenza, l’attenzione verso gli
animali in quanto esseri senzienti è incompatibile, sia da un
punto di vista logico che psicologico, con il disprezzo verso le
necessità di base e la dignità dei nostri simili.
Invece l’attenzione verso i propri
animali è come l’attenzione verso i propri
familiari, è cioè perfettamente compatibile con
l’indifferenza o la crudeltà diretta o indiretta nei riguardi
di animali e persone altrui
(si pensi all’importanza del familismo nelle mafie di ogni tipo).
Questo
è particolarmente evidente, a livello internazionale, nei
rapporti tra paesi “sviluppati” e paesi “in via di
sviluppo”, nonostante l’ipocrisia di rito nelle dichiarazioni
ufficiali. Come ha detto Jean
Ziegler,
mentre l’Europa parla di giustizia mondiale e di sviluppo, gli 87
paesi dell’Acp [Africa-Caraibi-Pacifico, sostanzialmente le ex
colonie europee] vengono tenuti in una condizione di inaccettabile
inferiorità. Pensate che sono stati costretti ad accettare
accordi di investimento che li obbligano a mettere sullo stesso piano
le imprese locali e le multinazionali occidentali.
Ciò
premesso, sarebbe da ingenui pensare che il voto alle elezioni 1)
garantisca che gli eletti si comporteranno coerentemente con i loro
programmi, 2) esaurisca i compiti del cittadino dal punto di vista
politico. No, la vigilanza dei cittadini sull’operato dei nostri
rappresentanti in parlamento è essenziale, e a tale scopo è
necessario che ci sia trasparenza
e dialogo costanti tra parlamento e società civile.
Beppe Grillo, nel presentare il Movimento 5 Stelle (M5S), ha
dichiarato nella sua “Lettera
agli italiani”:
Io non chiedo il tuo voto, non mi interessa il tuo voto senza la tua
partecipazione alla cosa pubblica, il tuo coinvolgimento diretto, se
il tuo voto per il M5S è una semplice delega a qualcuno che
decida al tuo posto, non votarci.
Personalmente
considero questa dichiarazione in favore della democrazia
partecipativa
(precisata per esempio qui
e del resto coerente con la storia del M5S) come di gran lunga la
cosa “più di sinistra” che sia stata detta in
Italia da decenni
in una campagna elettorale (si confronti anche la recente intervista
di Grillo alla
televisione svedese).
Per
riconoscere a Grillo questa fondamentale, positiva differenza non c’è
bisogno di condividere tutto quello che dice o pensare che abbia già
detto tutto ciò che conta. Per esempio a me piacerebbe che
parlasse dei sistemi Wi-Fi meno acriticamente, e ricordasse quanto
illustrato sui rischi di questa tecnologia da una puntata
di Report ;
che sottolineasse l’importanza di rapporti di scambio solidali e del
consumo equo, compresi
cellulari, smartphone e computer, ecc. Ma niente impedisce al M5S di
far proprie queste tematiche, come è accaduto per tante altre
affini.
Vivisezione
e politica
Accade
spesso di sentir parlare della sperimentazione animale come se fosse
una questione politicamente neutra, tale cioè da poter unire
persone delle più diverse tendenze politiche. È un
errore. Per rendercisi conto del carattere altamente politico della
questione basta pensare a due aspetti.
Innanzitutto,
la decisione di utilizzare milioni di esseri senzienti ogni anno
(solo in Italia sono circa 900.000; in tutto il mondo una stima
è di circa 115 milioni) come strumenti per la ricerca
biomedica non può non avere conseguenze (sia in linea di
principio che come dato storico) su come trattiamo i nostri simili.
Questo è stato sempre sottolineato dagli antivivisezionisti, e
l’importante libro di Patterson Eternal Treblinka – Our
Treatment of Animals and the Holocaust, New York, Lantern Books
(2002), tradotto anche in italiano, sarebbe sufficiente a convincere
anche i più scettici del fondamentale nesso (logico e
psicologico) tra come trattiamo gli animali e come trattiamo i nostri
simili. E che sia così nei fatti è chiaro se si pensa
che, in base a statistiche
ufficiali, in tutto il mondo «una persona su 6 non ha
accesso all’acqua potabile» e «ogni 2 secondi un bambino
muore a causa delle pessime condizioni sanitarie».
L’altro
aspetto della questione è che la vivisezione ha dato una
pessima prova di sé in campo medico-sanitario, non solo dal
punto di vista dell’affidabilità delle conclusioni tratte
sulla sua base, ma addirittura
anche dal punto di vista euristico
(o più precisamente delle scoperte, con valore applicativo,
che se ne sono ricavate).
Sono consapevole del
fatto che presunti esperti della questione (che, si badi bene, è
una questione storica ed epistemologica, non biomedica in
senso stretto: un punto che sfugge spesso a sostenitori di entrambe
le opinioni) affermano il contrario, cioè sostengono che senza
“modelli animali” la medicina non saprebbe più
come progredire. Si può dire che ogni giorno che passa ci
vuole una faccia ancora più tosta per sostenere qualcosa del
genere (nella prossima sezione ne vedremo una prova decisiva), ma la
faccia tosta non manca certo ai disinformatori: che siano
disinformatori per autodifesa o per mestiere.
Che ci
siano disinformatori per mestiere è qualcosa che è già
stato oggetto di libri molto ben documentati, come J. Stauber e S.
Rampton, Toxic Sludge is Good For You:
Lies, Damn Lies and the Public Relations Industry,
Monroe(Maine), Common Courage Press (1995), e M. Walker, Dirty
Medicine: The Handbook, Londra,
Slingshot (2011). (Di Walker rinvio anche al libro, liberamente
scaricabile, Cultural
Dwarfs and Junk Journalism,
del 2008). L’esistenza di una fiorente e ben sovvenzionata industria
della propaganda il cui scopo è impedire la revisione delle
menzogne su cui si fondano i profitti di varie attività
produttive e professionali, o la permanenza al potere di partiti e
intere classi dirigenti, va considerato un fatto acquisito. In
particolare chi nel valutare l’informazione in campo medico o
alimentare lo ignora, si squalifica per ciò stesso come
interlocutore razionale.
Quanto
ai disinformatori per autodifesa, la
resistenza di chi ha costruito la propria carriera e la propria
reputazione (oltre che, spesso, considerevoli interessi venali) su
una certa metodica (non si tratta solo dei vivisettori, ma di tutto
l’indotto della vivisezione) non stupisce nessun osservatore dotato
di un minimo di esperienza del mondo e di conoscenza storica. A
tale proposito ricordo, come ho già fatto altre volte, che
oltre due millenni di confutazioni sostanzialmente definitive
dell’astrologia non sono riusciti a determinare l’estinzione della
professione astrologica, come il lettore può facilmente
verificare aprendo parecchi settimanali a larga diffusione. Ma per lo
meno nessuno oggi viene assunto a un concorso pubblico solo se è
di un certo segno zodiacale. Non siamo così fortunati nel caso
della vivisezione.
Per
citare un caso esemplare di resistenza a provvedimenti assolutamente
giusti, utili e scientificamente fondati in campo sanitario, ricordo
che la prima legge che in Italia abbia vietato il fumo nei luoghi
pubblici è
entrata in vigore nel 2005. Appena
otto anni fa. Per apprezzare il significato di questa data, basta
considerare che fin dal 1939 si poteva
considerare dimostrato clinicamente ed epidemiologicamente che il
fumo di sigaretta, compreso quello
passivo, è cancerogeno (oltre ad
avere numerosi altri effetti negativi sulla salute), e non a caso fin
dal 1941 il regime nazista in Germania aveva emanato una legge
antifumo. Ce ne sarebbe abbastanza per fare un “processo di
Norimberga” con imputati gli scienziati dei paesi
“democratici” che hanno alimentato per decenni
dubbi fasulli sulla base di esperimenti su animali (vedi qui,
pp. 20-2) e i politici che li hanno presi sul
serio. La storica sentenza
di condanna della Commissione Grandi Rischi al
tribunale dell’Aquila nell’ottobre 2012 ha dimostrato che questa
strada è percorribile. La levata di
scudi internazionale che l’ha accolta è prova del fatto che
una buona parte della corporazione scientifica pretende per sé
uno statuto speciale, cioè, in sostanza, l’impunità
anche per catastrofici errori di valutazione o di comunicazione. Ma è
precisamente la difesa della dignità della scienza che ci
impedisce di prendere sul serio questa pretesa.
Ciò mostra una
terza ragione per cui la vivisezione pone una questione politica
significativa: gli errori che generano prosperità economica in
classi di persone influenti non spariscono per il semplice fatto che
siano stati dimostrati tali. Perché si verifichi un
cambiamento, la loro confutazione deve essere accompagnata da misure
legislative e finanziarie che scoraggino il perseverare nell’errore
da parte di chi ne trae profitto.
Uno studio
recentissimo e importante
Anche se ritengo che le
prove contro la vivisezione siano ormai da parecchi anni più
che sufficienti a convincere qualsiasi persona razionale e in buona
fede, anche non animalista e non vegetariana, che si debba stabilire
per legge come minimo una moratoria sulla sperimentazione animale,
non voglio perdere l’occasione per informare dell’uscita,
pochi giorni fa e su una prestigiosa rivista ufficiale, di un
articolo che sarà probabilmente descritto dagli storici della
scienza come una pietra tombale sulle pretese scientifiche della
vivisezione. L’articolo è:
Seoka J., Shaw Warren
H., Cuenca A. G. et al., “Genomic responses in mouse models
poorly mimic human inflammatory diseases”, Proceedings of
the National Academy of Sciences of the United States of America,
11 febbraio 2013, doi: 10.1073/pnas.1222878110,
ed è liberamente
accessibile e scaricabile da qui.
Spero che la grande
stampa ne approfitti per abbandonare per una volta la tradizionale
omertà nei riguardi dei danni causati dalla vivisezione alla
scienza e alla sanità. Il New York Times l’ha
già fatto, staremo a vedere che cosa succederà in
Italia. La traduzione italiana del titolo, che enuncia la tesi
principale, è: “Le risposte genomiche nei modelli murini
sono una imitazione scadente delle malattie infiammatorie umane”
– che è poi parte di quello che un vero esperto di
tossicogenomica e farmacogenomica, Claude
Reiss, va dicendo da molti anni.
L’articolo è il
bilancio di una vasta e prestigiosa collaborazione internazionale
intesa a verificare a livello genetico quanto gli esperimenti sui
topi permettano di trarre conclusioni affidabili sugli umani nel caso
di alcune tra le più gravi e spesso letali malattie: quelle
infiammatorie, in particolare sepsi, traumi e ustioni. La ragione per
studiare sistematicamente questo aspetto della relazione uomo-topo è
semplice, ma scommetto che non ne avrete mai letto nulla sui giornali
e meno che mai sentito parlarne in televisione: erano state eseguite
quasi 150 prove cliniche di altrettanti farmaci antinfiammatori
risultati efficaci sui topi, con grandissimo impiego di mezzi
economici (miliardi di dollari), di personale, e di uomini-cavia.
Ebbene, nemmeno uno di questi farmaci aveva funzionato.
Un fallimento totale.
Adesso
abbiamo, grazie al suddetto articolo, un argomento in più per
spiegarlo. In breve, mentre diversi tipi di infiammazione attivano
nell’uomo gli stessi meccanismi di espressione genica (la stessa
risposta genomica),
non c’è correlazione né tra le risposte genomiche per
ognuno di quei tipi nel topo e la risposta genomica umana, né
tra le risposte genomiche per i vari tipi nel topo. In altre parole,
fenomeni infiammatori apparentemente simili nel topo e nell’uomo, non
hanno alcuna rassomiglianza
reale quanto ai meccanismi che li attivano. Il che significa, in
particolare, che è irragionevole aspettarsi che un farmaco che
funziona sui topi possa mai funzionare sull’uomo – come del
resto le 150 prove cliniche fallite avevano già messo
irrefutabilmente in evidenza. Uno degli scienziati intervistati dal
New York Times ha così
commentato:
“Quando ho letto l’articolo, sono rimasto sbalordito per quanto
cattivi erano i dati relativi ai topi […] È veramente
stupefacente – non c’è alcuna correlazione. Sono dati
così persuasivi e così robusti che penso che le agenzie
di finanziamento dovrebbero prenderne nota”. [Finora] “per
essere finanziati, dovevate proporre esperimenti che usavano il
modello murino”.
Per
la verità, ci sarebbe piuttosto da meravigliarsi di questa
meraviglia, ma meglio tardi che mai. Inoltre, dato che si suppone che
la reazione infiammatoria sia alla base anche di malattie cardiache e
immunitarie, nonché del cancro, l’inferenza più
naturale da questo studio è che il modello murino, pietra
angolare della ricerca biomedica vivisezionista attuale, è una
minaccia generalizzata per il progresso medico
(del resto si tratta di un’inferenza che per il cancro era già
sostanzialmente acquisita:
vedi qui,
pp. 3-6).
Il
servizio del New York Times è
particolarmente istruttivo, perché illustra bene il carattere
autoreferenziale del dogma vivisezionista, che è poi ciò
che ne ha reso e tuttora ne rende così difficile la rimozione,
L’articolo in questione è stato respinto, nonostante la sua
importanza (o forse proprio per questo!), da Science
e Nature, e ha dovuto
aspettare «più di un anno» per trovare una rivista
che lo pubblicasse, in quanto (spiega uno dei principali autori,
Ronald W. Davis) i revisori delle riviste
erano
così abituati a fare studi sui topi che pensavano che questo è
il modo in cui si convalidano le cose. […] Sono così
impostati a tentare di curare i topi che dimenticano che noi stiamo
tentando di curare esseri umani.
[…] La risposta più comune [all’articolo] era:
“Dev’essere sbagliato. Non so perché è sbagliato,
ma dev’essere sbagliato” [Corsivo mio]
Ciò
conferma ancora una volta quanto i critici della vivisezione vanno
dicendo da anni, e cioè che i metodi di indagine biomedica
fondati sulla sperimentazione animale non sono mai stati
convalidati, ma soltanto
postulati veri, e
tuttavia sono stati eletti dalle agenzie regolatorie,
irresponsabilmente, a canone aureo per ogni altro metodo che sia loro
sottoposto. È proprio come se una nuova ipotesi psicologica
fosse ufficialmente adottata o rifiutata sulla base di quanto le sue
conclusioni collimino con quelle astrologiche…
Continuare
a sperperare tempo, denaro e vite umane su questo filone fallimentare
di ricerca è semplicemente criminale, e in mancanza di una
rapida resipiscenza dei responsabili (cosa purtroppo improbabile: il
caso dell’astrologia insegna) i cittadini dovrebbero chiedere
l’intervento dell’autorità legislativa e giudiziaria per
reprimere la sua reiterazione da parte di quelli che Hans Ruesch, di
cui proprio quest’anno cade il centenario della nascita, chiamava
giustamente i «falsari
della scienza».
Continuare a finanziare progetti di sperimentazione animale
spacciandoli per ricerca medico-sanitario è non solo
partecipare a una frode scientifica, ma violare quel principio
di precauzione
che è alla base della legislazione dell’Unione Europea in
campo medico-sanitario. L’attitudine alla violazione delle leggi, a
tutti i livelli, da parte della lobby vivisezionista è del
resto abbondantemente provata dalla sistematica
violazione
nelle università della legge 413/1993 sull’obiezione di
coscienza alla vivisezione – violazione che la Fondazione Hans
Ruesch ha documentato in dettaglio in un rapporto
del 2012.
I partiti italiani e
la vivisezione alla vigilia delle elezioni
Il mensile Le Scienze
ha pubblicato sul suo sito un
sondaggio tra alcuni “leader” di partito, su scienza
e ricerca; l’ultima delle 10 domande riguarda la vivisezione:
Qual
è la sua posizione in merito all’uso di animali nella ricerca
biomedica? Pensa sia corretto limitare l’uso di alcune specie
animali a scopo di ricerca?
Ecco le risposte di
Bersani, Ingroia e Giannino, che riunisco per comodità del
lettore estraendole integralmente dalle tre diverse pagine web dove
sono pubblicate, e che faccio seguire ognuna dai miei commenti.
La
risposta di Pierluigi Bersani
Chi
è contrario all’uso degli animali in laboratorio va
rispettato, ma, al contempo, credo che i test sugli animali siano
indispensabili. Almeno fino a che non saranno individuati metodi
alternativi scientificamente accettabili. Nel 2010, l’Unione Europea
ha approvato una direttiva sulla protezione degli animali utilizzati
per studi scientifici. Una legge contestata e rigettata da chi
vorrebbe addirittura vietare nel nostro Paese l’allevamento di
animali destinati alle sperimentazioni.
A
mio parere, chi vuole vietare la sperimentazione nel nostro Paese non
tiene conto di un elemento essenziale. Nessun organismo
internazionale autorizzerebbe mai l’uso clinico, sull’uomo, di un
farmaco che non sia stato precedentemente sperimentato su due specie
animali. In secondo luogo, il periodo difficilissimo che stiamo
vivendo dal punto di vista economico non può essere affrontato
dando una chance in più alle imprese farmaceutiche per
delocalizzare: si calcola che, se gli allevamenti e i centri di
ricerca chiuderanno, oltre 10mila ricercatori perderanno il posto e
probabilmente saranno costretti ad andare all’estero.
Il ricatto a proposito
dei posti di lavoro (un “classico” con una lunga storia
di disastri sanitari e ambientali alle spalle: Porto
Marghera, Casale Monferrato, Bagnoli, Taranto, Gela ecc.) non
stupisce in chi, da Ministro dell’Industria del governo Prodi nel
2007, aveva invocato provvedimenti disciplinari verso gli ordini dei
medici-chirurghi dell’Emilia Romagna, la cui federazione aveva
commesso il gravissimo errore di… prendere posizione contro gli
inceneritori. Tale
episodio è utile anche per capire in quale considerazione
Bersani possa tenere la salute dei cittadini quando si tratti di
valutare «metodi alternativi scientificamente accettabili»
(come se la vivisezione lo fosse…). Insomma, se il segretario del
PD voleva certificare ufficialmente l’inabilità del suo
partito a rappresentare gli interessi dell’elettorato di
centro-sinistra, non poteva fare di meglio che rilasciare la citata
dichiarazione.
La
risposta di Antonio Ingroia
Credo
sia eticamente giusto, e anche utile, limitare l’uso degli animali in
sede di ricerca biomedica. Dovrebbe essere la comunità
scientifica, consultando le associazioni di settore, a individuare i
migliori criteri per ricerche e sperimentazioni. Ogni essere vivente
merita rispetto e considerazione.
Il
rinvio alla «comunità scientifica» è una
mossa che dimostra un’imperfetta comprensione del problema (vedi la
sezione precedente). Più precisamente Ingroia poteva dire: la
sperimentazione sugli animali è una metodica crudele e di
provata e pericolosa inefficienza; bisogna abolirla, a vantaggio di
umani e non-umani. È vero che il partito di Ingroia,
Rivoluzione Civile, ha inglobato una parte dell’Italia dei Valori, in
cui una posizione molto chiara contro la vivisezione era stata presa,
in sede di parlamento europeo, da Sonia Alfano (vedi ad esempio qui).
Quindi, quale che sia il giudizio complessivo che si voglia dare
dell’entrata in scena del partito di Ingroia nella competizione per i
voti dell’elettorato di sinistra, penso che gli si possa attribuire
una scelta di campo almeno tendenzialmente antivivisezionista, a
differenza del PD.
La
risposta di Oscar Giannino
Oggi
i successi della ricerca medico-scientifica rappresentano la ragione
singolarmente più importante per l’allungamento
dell’aspettativa e della qualità di vita. È dunque
necessario creare condizioni che siano favorevoli all’avanzamento
della scienza. La sperimentazione su animali è una parte
fondamentale di questo processo. Essa non deve essere proibita, ma
attentamente regolata. E chiedersi: esistono modi alternativi per
ottenere la data informazione scientifica? E’ quella ricerca
necessaria? Quali sono i benefici? Porterà a un reale aumento
della conoscenza? Come minimizzare il numero di animali necessari? E
infine: il trattamento degli animali seguirà le regole
internazionalmente valide per il trattamento “umano” dei
medesimi?
Crediamo,
quindi, che una buona regolamentazione e lo studio di nuovi strumenti
biomedici sia il miglior modo per sostenere la ricerca
medico-scientifica e, al tempo stesso, porsi come obiettivo la
riduzione del numero di animali utilizzati in tali pratiche:
obiettivi per i quali il semplice bando non può avere alcuna
utilità.
Giannino comincia
proprio male, dicendo che «i successi della ricerca
medico-scientifica rappresentano la ragione singolarmente più
importante per l’allungamento dell’aspettativa e della qualità
di vita»: in realtà questa è una tesi enormemente
controversa, ed è stata di fatto in larga misura confutata
con dovizia di dati e riferimenti: rimando, per una sintesi fino al
1977, all’articolo di J.B. e S. M. Mc Kinlay, “The Questionable
Contribution of Medical Measures to the Decline of Mortality in the
United States in the Twentieth Century”, Health and Society,
vol. 55 (1977), pp.405-28 (vedi qui),
e più recentemente e ampiamente, al libro di G. E. Markle e F.
B. McCrea, What if medicine disappeared?, Albany, State
University of New York Press, 2008.
Quanto alla sequenza di
giustissimi interrogativi, mi limito a rispondere a mia volta con una
domanda: ma che senso ha prendere posizione se non ci si è
prima informati adeguatamente sullo stato del dibattito? Più
dignitoso e utile sarebbe stato se Giannino si fosse limitato a dire:
non posso rispondere, non ne so granché. Non è che uno
sia obbligato sempre e comunque a rispondere, non c’è niente
di male a dire: devo informarmi, al momento non lo so.
Conclusione
In un primo momento, nel
sondaggio di Le Scienze era inserita anche la seguente
“risposta
del Movimento 5 Stelle”:
L’uso degli animali nella ricerca biomedica è ancora
di fondamentale importanza. Questo campo deve essere fortemente
normato e controllato, per evitare abusi, e minimizzare le
sofferenze ed il disagio degli animali, salvaguardando gli scopi
di salute pubblica.
*Le risposte sono state scritte con i
contributi di […] e i partecipanti ai gruppi tematici. Il
dettaglio delle proposte programmatiche del M5S scaturisce da
gruppi di studio liberi, a cui chiunque può partecipare.
Questa risposta aveva lasciato di stucco tutti
quelli che avevano seguito il M5S fin dalla
sua preistoria, ma il riferimento ai
«gruppi di studio liberi, a cui chiunque può
partecipare» aveva permesso da subito di ridimensionarne
il significato. È venuta poi, il 10 febbraio, la
recisa smentita di Beppe Grillo, e Le
Scienze ha eliminato del tutto (non
è chiaro perché) la voce riguardante il M5S.
Riporto integralmente la breve nota di Grillo:
No alla vivisezione
Io sono contro la vivisezione perché crudele, inutile e
dannosa. L’ho scritto sul blog molte volte in questi anni e ho
supportato spesso iniziative del Comitato Scientifico
Antivivisezionista Equivita a cui aderisce Fulco Pratesi. Leggo
con stupore che “Le Scienze ha posto una serie di domande
ai candidati alle Politiche 2013 tra cui anche una inerente l’uso
degli animali nella ricerca. Ebbene la risposta ufficiale del
Movimento 5 stelle è stata favorevole.” Nessuno è
autorizzato a fornire risposte sul programma diverse da quello
depositato al Viminale e mi sorprendo che qualcuno si sia
arrogato il diritto di rispondere a nome del M5S.
La posizione sull’abominio della vivisezione è
stata chiara sul blog sin dal 31 gennaio 2006 con il post “La
vivisezione è inutile“.
Ciò fa del M5S l’unica lista che sulla vivisezione abbia
preso una posizione inequivocabilmente ed esplicitamente negativa
– e per le giuste ragioni: perché la vivisezione è
«crudele, inutile e dannosa». Il rapporto organico e
programmatico di questa lista con i movimenti cittadini permette
agli oppositori della vivisezione di individuare nel M5S un
canale più affidabile di altri per farsi sentire in
parlamento.
Mi auguro in particolare che nessun vero
animalista o antivivisezionista si lasci fuorviare da chi si fa
ritrarre in compagnia di animali per simulare di essere il
contrario di quello che è – e che ha già
ampiamente dimostrato di essere, con opere e omissioni (una lista
troppo lunga per essere citata, ma almeno vorrei ricordare il
disastro premeditato compiuto dagli ultimi due governi
nell’intero
comparto dell’istruzione pubblica e dei beni culturali).
Del resto Grillo ha ragione a sottolineare la pessima qualità
media, intellettuale e morale, dell’attuale classe dirigente
(politici, industriali, banchieri, direttori di giornali e
televisioni, sindacalisti), la quale meriterebbe di essere messa
a riposo o, in diversi casi importanti, dietro le sbarre,
indipendentemente da ogni considerazione più
specificamente “animalista”. Il successo elettorale
del M5S si può considerare come la migliore
approssimazione a una rivoluzione
nonviolenta che si possa realizzare
nell’attuale momento storico in Italia. È una scommessa,
certo, ma non così chiaramente perdente e autolesionista
come sarebbe votare per altri partiti.
Marco Mamone Capria
Inserito:
17 febbraio 2013
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Hans Ruesch per una Medicina senza Vivisezione
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