Veniamo da anni nei quali la guerra sul campo è tornata ad affiancarsi a quella ibrida che, probabilmente, negli anni precedenti non era mai né cominciata né finita, ma aveva semplicemente vissuto diverse fasi. Non che prima del 2022 non ci fossero guerre in giro per il mondo, ma dal giorno in cui Putin ha mandato le prime truppe nel Donbass le immagini di bombe, incendi e macerie sono tornate a popolare la nostra quotidianità, riportando fatti che stavano avvenendo in posti molto vicini a noi e che, soprattutto, avevano (ed hanno) riflessi diretti e visibili sulle nostre vite di tutti i giorni. Dalla grottesca affermazione dell’UPSI (Uomo Più Sopravvalutato d’Italia) Draghi “volete la pace o i condizionatori?” in poi, la “guerra in Ucraina” è diventata pretesto per qualunque tipo di aumento (di prezzi, di tassi) o riduzione (di servizi, di posti di lavoro) che veniva messa in atto nel nostro paese. Poi è arrivata Gaza, che ha portato al Libano ed alle bombe alternate tra Iran ed Israele. E nel frattempo, nel Caucaso e dintorni, ecco la proxy-war tra Azerbaijan e Armenia e poi le elezioni in Georgia con la piazza in rivolta, guidata addirittura dal Presidente della Repubblica in carica che non riconosce il risultato delle urne. Fino ai giorni attuali, con la ripresa dei combattimenti in Siria, dove forze di varia natura hanno trovato uomini e mezzi per organizzare un’azione militare capace addirittura di prendere il controllo di intere città in territorio siriano e potrebbero in queste ore arrivare a centri nevralgici come Homs. E fino alla apparentemente folle parabola del (futuro probabile ex) Presidente Coreano Yoon che, in combutta col ministro della difesa, inscena una legge marziale basata sul nulla per tentare di mettere fuori gioco i suoi avversari e, prendendo in ostaggio un intero paese, salvare sé stesso e la moglie da accuse sempre più pesanti di corruzione (approfondimento QUI).
E’ follia tutto ciò? E’ questo il risultato di una crescente e incontrollabile irrazionalità? Siamo ostaggio, come dice Andrea Zhok in un suo post di gran lucidità (di cui riportiamo più avanti un ampio stralcio), di un “impero del cinismo acefalo”, che funziona come “una enorme macchina mortale, immensamente complessa e distruttiva, [nella cui] cabina di guida abbiamo messo una banda di scimmie a zampettare sui comandi”?
In parte sì e in parte no, probabilmente.
In parte sì perché quasi tutte le scelte che sottostanno a tutti gli avvenimenti degli ultimi anni, compresi quelli che non hanno portato direttamente ad atti di guerra sembrano dettate da visioni monodimensionali della realtà, dove qualcuno dotato di un qualche tipo di potere cerca di imporre a tutti gli altri delle scelte distruttive di qualcosa. Distruttive di beni materiali o di modi di vita, distruttive di prospettive, distruttive di futuro, ma anche di passato, fatto magari di tradizioni e anche di risparmi; distruttive di libertà conquistate nei decenni precedenti con lotte anche sanguinose. Tutto questo non sembra in alcun modo legato a futuri migliori o a qualche tipo di “sol dell’avvenire”; non siamo nella Schumpeteriana “distruzione creativa”: queste non sembrano, come dice sempre Andrea Zhok, “scelte machiavelliche, amorali, ma difendibili in termini di una razionalità collettiva di lungo periodo, tipica di organismi complessi, come gli stati e gli imperi”.
Ma vale anche un “in parte no”: non è vero che non ci sia una razionalità; non è vero che non ci sia del metodo, in questa apparente follia. Il metodo c’è, ma non è ovunque. La risposta è che l’impressione generale di caos e di irrazionalità è in parte incidentale ed in parte voluta. Incidentale parchè il metodo di certe follie non deriva da logiche generali o sistemiche, ma da visioni ristrette, limitate, di gruppi di individui che perseguono i propri obiettivi di breve (per lo più riferibili alle solite cose, tipo ricchezza, potere, sicurezza etc variamente combinate tra di loro) in modo più devastante e spregiudicato di altri. Il che crea caos e, non essendo tali follie coordinate tra di loro, genera spesso eventi contrastanti, contraddittori, apparentemente inspiegabili, dove la logica di un evento contraddice quella di un altro evento magari contemporaneo. L’esempio più evidente in questo senso è senza dubbio ciò che sta facendo Israele in Medio Oriente, impegnato per motivi spesso irrazionali e di breve respiro in una sistematica distruzione di interi pezzi di territorio intorno a sè, anni luce al di là di qualunque ragionevole esigenza di difesa e ben oltre qualunque esigenza strategica sua o dei suoi alleati.
C’è però una parte di eventi che è voluta, ha una sua logica ed è riferibile alla strategia di uno degli attori più potenti nell’attuale campo di forze, ovvero gli Stati Uniti che – a differenza di quanto dice Zhok – perseguono razionalmente, cinicamente, pervicacemente, coerentemente, una strategia ben definita, la quale, però, è proprio il caos che vuole, in tutte le parti del mondo che non siano nel loro territorio. E’ sempre lui, sempre il vecchio Mackinder che ispira le menti delle “scimmie” che stanno nella stanza dei bottoni d’oltreoceano, e suggerisce loro che, per mantenere divisa la Heartland, ovvero l’Eurasia, bisogna seminare il caos ovunque possibile ed in tutti i modi possibili.
Immagine – Di Halford J. Mackinder – “The Geographical Pivot of History”, Geographical Journal 23, no. 4 (April 1904): 435.
Russia e Cina stanno imparando a cooperare, mentre il paese più influente di Europa, la Germania, basa tutto il suo sviluppo industriale sul gas a basso prezzo di Putin e si sta legando mani e piedi a lui? Troppa coesione nell’Heartland! Ed ecco che dal 2014 gli USA cominciano una strategia di sistematica destabilizzazione della Russia attraverso una diffusa accensione (o ri-accensione) di fuochi tutto intorno ad essa, andando a toccare tutti i suoi “nervi scoperti”, a partire da quell’Ucraina da cui era passato Hitler ottant’anni fa e che mai per nessun motivo Mosca vorrà lasciare in mano a qualche paese meno che amico o addirittura entrare nella NATO. E poi, tanto per non farsi mancare niente, ecco le “rivoluzioni” più o meno colorate, più o meno riuscite scatenate tutto intorno, dalla Moldavia all’Armenia fino all’attuale tentativo in Georgia e all’annullamento delle elezioni in Romania, con il filo conduttore di togliere di mezzo ogni tipo di forza politica che fosse in un qualche anche vago modo “non-nemica” della Russia. E lo stesso succede con la Serbia, con il Kosovo trasformato in una sorta di protettorato USA, sempre pronto a creare caos mettendo sotto pressione la minoranza serba per spingere Belgrado ad abbandonare la secolare amicizia con Mosca. Intanto, dall’altro lato della Heartland, ecco riapparire la questione di Taiwan, potenziale spina nel fianco di quella Pechino che, forse, è il vero ostacolo da abbattere sulla strada del mantenimento dell’egemonia americana. E sul lato meridionale dell’Heartland, in Medio Oriente, la Siria era stato teatro di uno scacco per gli americani, quando Putin e l’Iran erano intervenuti a salvare il presidente Assad ed a restituirgli – dopo una lunga e sanguinosa guerra – il controllo del proprio paese, che non voleva accodarsi all’America; ma ecco che ora sembra venuto il momento della controffensiva da parte di forze di varia natura, ma tutte sostenute ed armate anche da Washington, la quale, vista in questa chiave, sembra chiaramente palesarsi come un tentativo di “distrarre” tanto i russi quanto l’Iran, aprendo un nuovo fronte di conflitto dopo, rispettivamente, quello ucraino (forse troppo vicino ad una vittoria) e quello libanese. Infatti, un’attacco in Siria coinvolge sia Putin sia l’altro alleato di Assad, ovvero l’Iran, altra potenza Eurasiatica da destabilizzare in quanto nemica dell’amato Israele (en passant, il principale creatore di caos della zona, ma probabilmente fuori controllo) e amica di Russia e Cina, potenziale catalizzatore di relazioni nello scacchiere regionale, e che si candida ad essere – insieme alla Cina stessa – il vero “babau” della nuova amministrazione Trump. Sempre nel fronte sud, a Tbilisi, i giochi sembrano fin troppo chiari: troppo evidenti le somiglianze con la Maidan ucraina del 2014 per dubitare che ci sia dietro la mano di qualche tipo di apparato al servizio degli americani. Perfino il fallito tentativo di “autogolpe” del presidente coreano potrebbe essere inseribile in questo quadro, se si ipotizza che Yook e il suo ministro della difesa abbiano creduto (o qualcuno gli abbia fatto credere) che una forzatura in senso autoritario all’interno, ma fortemente anti Corea del Nord in politica estera, quindi anti-cinese e anti-russa, sarebbe stata gradita (e quindi non osteggiata) da Washington. Probabilmente hanno sbagliato i loro conti e l’opposizione interna disponeva di appoggi sufficienti (anche all’estero) per riprendere in mano la situazione: in questo caso la follia era troppa anche per il “Deep State” statunitense, che sulla Corea del Sud come in molti altri paesi, ha l’ultima parola.
In generale, concludendo, verrebbe da chiedersi come mai gli Stati Uniti stiano accelerando nella loro strategia di seminare il caos in Eurasia proprio adesso che non c’è un Presidente in possesso dei pieni poteri e che peraltro, verrebbe da dire, in possesso delle proprie facoltà mentali non lo era già più da parecchio tempo. In realtà è proprio questo “vuoto” che ha favorito e favorisce le forze che semplicisticamente chiamiamo “Deep State” e che ora non devono nemmeno fare più i conti con quel simulacro di potere istituzionale che poteva in qualche modo interferire con i loro obiettivi. In più, se si pensa che da gennaio ci sarà un nuovo Presidente che non sembra del tutto allineato con loro e pare intenzionato – lui sì – ad interferire eccome, soprattutto in alcuni degli scenari di caos oggi aperti, si comprende come, ragionando dal loro punto di vista, sia necessario spingere sull’acceleratore del caos ed aprire sempre nuovi fronti di guerra e conflitto nella Heartland prima che sia troppo tardi. Più fronti si aprono oggi e meno il nuovo Presidente potrà perseguire qualche tipo di “disimpegno” dalla strategia in atto, questo è il ragionamento di chi finora ha determinato e deciso la politica estera di egemonia degli Stati Uniti.
Anche se non governa tutto, il metodo c’è, eccome, ed è anche sempre lo stesso da circa 120 anni, ovvero dal momento della presentazione alla Royal Geographical Society dell’articolo “The Geographical Pivot of History” con cui il sig. Mackinder, codificando il principio che una potenza esterna all’Eurasia – parlava all’epoca della Gran Bretagna – avrebbe dominato il mondo solo se avesse tenuto divisa la “Heartland” ovvero l’Eurasia stessa, fondò di fatto la Geopolitica. Il metodo è sempre lo stesso, come la follia che ispira le menti di quasi tutti quelli che pensano di poter, in qualche crudele e cinico modo, governare il mondo piegandolo alle proprie volontà.
Dal post di Andrea Zhok su Telegram “LA REALPOLITIK SENZA REALTA’” – 18/11/2024
“(…) In pratica, una volta di più, le classi dirigenti occidentali si dimostrano avere solo i difetti della Realpolitik, ma non i suoi pregi. E’ infatti possibile immaginare scelte di Realpolitik fatte con freddo cinismo, sapendo che costeranno molte vite umane, e tuttavia farle con la consapevolezza di poter raggiungere obiettivi strategici di lungo periodo (certamente una scelta di questo tipo è stata quella fatta da Putin con l’attraversamento della frontiera ucraina nel febbraio 2022). Sono scelte di tipo machiavellico, amorali, ma difendibili in termini di una razionalità collettiva di lungo periodo, tipica di organismi complessi come gli stati e gli imperi.
Le scelte occidentali odierne, invece, della Realpolitik hanno solo il cinismo, ma nessun contatto con la realtà. Sono dispostissimi a manovrare esseri umani sulla scacchiera della storia come pedine liberamente sacrificabili, solo che a giocare non sono maestri di scacchi, ma scimmie da palcoscenico, moderni Zampanò in versione patinata.
Ma, si dirà, dietro ai pagliacci di scena, ai buttadentro che servono a raccogliere voti ai Talk Show, ci sarà pure un Oscuro Potere, magari un’Oscura Agenda, ma a suo modo razionale, no? Certo, non sono i Biden o gli Scholtz a condurre la barca, ma dietro ci saranno pure i manovratori, il famoso “Deep State”.
E purtroppo, chi pensa in questi termini è ancora troppo ottimista, perché umanizza e razionalizza l’oligarchia dei manovratori, facendone un novello Sauron: oscuro malvagio, ma a suo modo razionale. Solo che no, la situazione è molto peggiore. L’oligarchia dei manovratori dietro le quinte naturalmente esiste, ma non è un partito, né un’associazione segreta, né una setta, ma una congerie mobile di partiti, associazioni segrete, sette, lobby di varia natura, totalmente incapaci di progettare persino il male a lungo termine; capacissimi, però, di tenere la barra dritta del proprio interesse economico nel breve e medio periodo. E questo è L’UNICO ELEMENTO CHE LI ACCOMUNA in profondità.
Ciò che facilita il realizzarsi di quell’interesse viene permesso e da taluni promosso. Ciò che ostacola quell’interesse viene ostacolato, censurato, definanziato. In un meccanismo “darwiniano” le idee, ideologie, iniziative culturali, testate, personalità che remano a favore vengono permesse, favorite, si riproducono. Le altre languono negli stenti. Così prende forma una sorta di “ideologia” del “Deep State” che però nessuno ha progettato e che ha un carattere puramente sovrastrutturale.
Il risultato complessivo è quello che possiamo chiamare l’impero del cinismo acefalo. Abbiamo costruito una enorme macchina mortale, immensamente complessa e distruttiva, e nella cabina di guida abbiamo messo una banda di scimmie a zampettare sui comandi.”