pressenza.com
di Lorenzo Poli
In Australia centinaia di manufatti di inestimabile valore risalenti all’era glaciale sono stati gettati nella spazzatura dal colosso minerario Rio Tinto Group, la terza società mineraria più grande al mondo. A riferirlo è un gruppo aborigeno tenuto all’oscuro della distruzione delle sue terre.
“Hanno mostrato così poco rispetto per le condizioni dello stato, o per il patrimonio culturale distrutto su vasta scala. Centinaia di manufatti culturali dei Guruma sono finiti nella spazzatura”, ha dichiarato la Wintawari Guruma Aboriginal Corporation (WGAC). “È un segreto che è stato mantenuto dalla Hamersley Iron [una consociata controllata del gruppo Rio Tinto] e dal governo per circa 25 anni”.
Come sottolinea il Guardian, le accuse sono state presentate al Parlamento australiano venerdì 25 giugno. In particolare, materiale di 20 dei 28 siti è stato recuperato e poi distrutto durante i lavori nella miniera di ferro di Marandoo a metà degli anni ’90. Qualcosa che è perdurato per ben 25 anni.
Oltre ad essere manufatti importantissimi per l’eredità culturale degli aborigeni, gran parte di questo materiale ha anche una grande rilevanza di tipo archeologico, in grado di fornirci informazioni sulla vita degli antichi aborigeni durante l’ultima era glaciale. La società Rio Tinto è tristemente conosciuta per aver fatto esplodere l’anno scorso rifugi rocciosi risalenti a 46.000 anni fa, considerati sacri dai popoli aborigeni dell’Australia occidentale, per far spazio alle proprie miniere di ferro. Si trattava dei rifugi di roccia di Juukan Gorge, alcune delle più antiche caverne abitate sull’altopiano.
Per capire la dimensione del danno culturale, basta riferirsi alla dichiarazione dell’Unesco, secondo cui “la distruzione archeologica nella gola di Juukan è paragonabile alle statue dei Buddha Bamiyan buttate giù dai talebani in Afghanistan o all’annientamento della città siriana di Palmira voluto dall’Isis”. Secondo Peter Stone, presidente dell’Unesco per la protezione dei beni culturali, la distruzione archeologica nella gola di Juukan può essere considerata tra le peggiori della storia recente.
Proprio in quelle grotte diversi scavi hanno rinvenuto manufatti significativi risalenti a 28.000 anni fa, tra cui strumenti, oggetti sacri e una ciocca di capelli umani intrecciati di 4.000 anni fa, dimostrando l’esistenza degli antenati diretti degli attuali custodi della zona, il popolo Puutu Kunti Kurrama e Pinikura (PKKP). Già l’anno scorso la distruzione di quelle grotte fu un colpo al cuore per la storia e la cultura aborigena. “È davvero, davvero difficile comprenderlo. Non sono più lì“, affermava Burchell Hayes, direttore della PKKP Aboriginal Corporation e membro del comitato della terra di Kurrama.
È giusto annullare oltre 40mila anni di storia, attuando una vera e propria cancellazione di un popolo, per un guadagno puramente economico?
Tuttavia nel 2013 il Ministero degli affari aborigeni ha agito in modo legale, in conformità con l’Aboriginal Heritage Act del 1972, redatto per favorire le opportunità minerarie. La compagnia mineraria responsabile della distruzione l’anno scorso ha dichiarato: “Nel 2013 è stato concesso il consenso ministeriale perché la società Rio Tinto potesse condurre un’attività nella miniera di Brockman 4 che avrebbe avuto un impatto sui rifugi di roccia di Juukan 1 e Juukan 2. Rio Tinto ha collaborato costruttivamente con il PKKP in una serie di questioni relative al patrimonio culturale in base all’accordo e, ove possibile, ha modificato le sue operazioni per evitare impatti sul patrimonio e proteggere luoghi di importanza culturale per il gruppo“.
In questi giorni l’amministratore delegato della società mineraria Simon Trott ha risposto alle ultime accuse: “Non siamo orgogliosi di molte parti della nostra storia a Marandoo e ribadiamo le nostre scuse ai tradizionali proprietari della terra, il Popolo Guruma, per le nostre azioni passate. Sappiamo di avere molto lavoro da fare per correggere alcuni di questi errori storici”. Come se una dichiarazione potesse cancellare l’enorme danno arrecato agli aborigeni.
Eppure, sempre a giugno dell’anno scorso, il colosso minerario BHP aveva annunciato che avrebbe smesso di distruggere siti sacri e che tutte le decisioni si sarebbero prese di comune accordo con gli aborigeni. Anche BHP aveva pianificato di distruggere fino a 40 siti sacri per il popolo Banjima per far posto alla sua miniera da 4,5 miliardi di dollari a South Flank, vicino a Newman, in Australia. Il tutto con il consenso del Ministero degli Affari aborigeni, fino a quando non è arrivata la dichiarazione: “Non agiremo più nei siti sacri senza consultarci con il popolo Banjima e faremo uno sforzo per comprendere il significato culturale della regione, esprimendo il profondo rispetto che nutriamo per il popolo Banjima e il suo patrimonio”.
Una vittoria per i popoli aborigeni australiani, ma che ancora oggi rimane un granello di polvere di fronte alla cancellazione storica del loro passato archeologico.
Per approfondire: https://www.courthousenews.com/aboriginal-group-urges-mining-reset-after-ancient-site-destroyed/
Aboriginal Heritage Act del 1972: https://www.legislation.wa.gov.au/legislation/statutes.nsf/main_mrtitle_3_homepage.html – https://www.abc.net.au/news/2020-06-11/bhp-halts-aboriginal-site-destruction-after-rio-tinto-protests/12345566
Pubblicato il 04.07.2021