di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
All’inizio dello scoppio della guerra in Ucraina sembrava che il crollo del sistema economico russo – in virtù di quelle che ci venivano rappresentate come delle sanzioni insopportabili per la Russia, applicate dai paesi occidentali – fosse questione di ore.
Poi, visto che tale previsione tardava ad avverarsi, figure politiche di primo piano e main stream hanno provato a convincerci, giorno dopo giorno, che il crollo della Russia e di Putin sarebbe stato l’indomani.
A due anni dall’inizio del conflitto, siamo ancora qui, ad aspettare che arrivi quel domani!
Anzi, a dirla tutta, i numeri che ci provengono – non dal Cremlino ma dal principale organismo che più di tutti opera per tenere in vita l’istinto colonizzatore da sempre presente nei cromosomi dell’Occidente – ci raccontano tutta un’altra storia.
E’ proprio il Fondo Monetario Internazionale (FMI), fiore all’occhiello degli Stati Uniti (con annessa Europa) a confermarci che nonostante le sanzioni, il pil della Russia continua a correre. Secondo le sue stime, nel 2024 Mosca potrebbe crescere del 3,2%, superando tutte le altre economie avanzate del mondo occidentale: dagli Stati Uniti (+2,7%), al Regno Unito (+0,5%), alla Germania (+0,2%), alla Francia (+0,7%), all’Italia (+0,7%) e alla Spagna (+1,9%). [1]
La Russia – sempre secondo quanto ci racconta l’organismo presieduto dall’economista bulgara Kristina Georgieva – quest’anno sarebbe terza solo al pil dell’economia della Cina (+4,6%) e dell’India (+6,8%). Due paesi – definiti emergenti – con economie in grande crescita che vale la pena ricordare: oggi rappresentano i principali partner commerciali e strategici a livello geopolitico per Putin ed il suo popolo.
Dal Cremlino ci fanno sapere che le sanzioni occidentali sulle sue industrie critiche hanno reso il paese più autosufficiente e che i consumi privati e gli investimenti interni rimangono resilienti. L’aumento delle esportazioni di petrolio e materie prime verso paesi come India e Cina ed i meccanismi di elusione delle sanzioni abbinati agli alti prezzi del petrolio, hanno consentito al paese di mantenere robusti ricavi dalle esportazioni di greggio.
Persino la Commissione Europea ha dovuto alzare bandiera bianca ed ammettere che le sanzioni hanno funzionato meno del dovuto.
In un documento sull’adozione del 13° pacchetto di sanzioni dell’Ue contro la Russia, redatto a Bruxelles, si legge: «La rapida crescita osservata nel 2023 è stata registrata principalmente nei settori associati al complesso dell’industria militare (metalli, mezzi di trasporto, computer, elettronica, dispositivi ottici). La produzione di questi tre rami nel 2023 è stata di circa il 30-40% superiore rispetto al 2021». [1-ibidem]
Diverse fonti rivelano anche che le sanzioni possono essere facilmente eludibili tramite Paesi terzi, soprattutto se si considera che alcuni di essi, come Cina, Qatar o India, non le hanno attuate e stanno di fatto aiutando la Russia ad aggirarle.
Le sanzioni quindi non stanno funzionando e per di più, proprio nei giorni scorsi è arrivata – inaspettata per il nostro governo – non per chi è dotato ancora della pura logica con la quale si analizzano gli eventi – la contromossa di Putin. Il Presidente russo ha firmato un decreto (il n. 294, datato 26 aprile 2024), con il quale di fatto nazionalizza le filiali russe di Ariston e Bosch. L’azienda italiana e tedesca sono state trasferite alla gestione temporanea di JSC Gazprom Household Systems del gruppo Gazprom. Si tratta in particolare del 100% di Ariston Thermo Rus LLC, di proprieta’ di Ariston Holding N.V., e di BSH Household Appliances LLC, di proprieta’ di BSH Hausgerate GmbH.
A fronte di sanzioni che per lo più prevedono il blocco di riserve in denaro di proprietà della Banca di Russia operate dall’Occidente, il Cremlino si prende le nostre aziende ed il relativo Know-how.
Insomma, se vogliamo proprio dirla in modo palese: noi gli blocchiamo dei numeri su dei computer, numeri che la Banca centrale russa si può tranquillamente ricreare da sola con un battito di “click”; di contro noi perdiamo aziende vere che fanno parte del nostro patrimonio tecnologico nazionale, frutto di generazioni di lavoro.
Ed anche sul blocco delle riserve in valuta estera, ci sarebbe molto da dire, come di fatto ho già detto in vari articoli. Lasciando libera Gazprombank di operare nel sistema dei pagamenti swift – per ovvie ragioni riconducibili alla necessità che la UE ha di ottenere il gas russo – in un certo qual mondo è come se le sanzioni non esistessero o perlomeno siano molto annacquate rispetto a quello che ci viene prospettato.
Non solo, i nostri politici, chiaramente in grossa difficoltà di fronte all’opinione pubblica, hanno anche la faccia di bronzo per risentirsi nei confronti della decisione del governo russo.
E’ Antonio Tajani – vice presidente del consiglio dei ministri – a metterci la faccia, con dichiarazioni che non mostrano il ben che minimo senso di vergogna: “Dopo l’inattesa decisione del governo russo sulla gestione di Ariston Thermo Group ho subito attivato la nostra ambasciata in Russia e parlato con i vertici dell’azienda italiana. Il governo italiano e’ al fianco delle imprese, pronto a tutelarle in tutti i mercati internazionali”.
Tajani, in rappresentanza del nostro governo, primo attore dentro il mondo occidentale che da due anni, oltre a sanzionare la Russia, è in prima fila nell’inviare armi in Ucraina e come se non bastasse fomentatore della nostra stampa nazionale che quotidianamente insulta il suo Presidente, si meraviglia dell’accaduto ed addirittura pretende spiegazioni attraverso i medesimi canali diplomatici con i quali si rifiuta di dialogare per riportare la pace in territorio ucraino.
Siamo veramente di fronte alla più che sfacciata pretesa di superiorità che l’Occidente, ormai senza più nessun tipo di ragione di sorta, continua a voler intestarsi rispetto al resto del mondo.
Di contro a dimostrazione che le sanzioni fanno parte di una narrativa da dare in pasto alla gente – come ci ha spiegato anche Warren Mosler (padre fondatore della MMT) in una intervista, pubblicata nell’ottobre del 2022 – è notizia di pochi giorni fa che le principali banche europee in Russia hanno pagato cifre record di tasse, nonostante le promesse di ridurre le loro esposizioni dopo l’invasione dell’Ucraina.
Raiffeisen Bank International, Ing, Commerzbank, Deutsche Bank, Otp ma anche le italiane Unicredit e Intesa Sanpaolo – hanno registrato un profitto combinato di oltre 3 miliardi di euro nel 2023 – arrivando a versare nelle casse del Cremlino più di 800 milioni di euro di tasse lo scorso anno: una cifra pari a quattro volte i livelli prebellici.
Ed anche qui non è la Pravda a dircelo ma bensì lo rivela un’inchiesta del Financial Times, quotidiano simbolo del mondo finanziario occidentale. I profitti sono tre volte superiori a quelli del 2021 e sono stati in parte generati dai fondi che le banche non possono ritirare dal Paese. [2]
Se mi consentite una valutazione delle capacità di comprendere la materia economica ed i sistemi monetari moderni, da parte del governo russo, posso tranquillamente affermare che Putin ed i suoi ministri, siano di un’altra categoria rispetto ai nostri governanti.
Solo il fatto di aver compreso l’opportunità di non nazionalizzare le banche commerciali produttrici di depositi (moneta), rispetto ad aziende produttrici di beni e servizi, è la certificazione che in Russia hanno compreso perfettamente che la moneta oltre a non essere scarsa è merce, la cui produzione non necessità nessun tipo di know-how particolare.
Concludendo, per chi ha ancora l’arroganza di guidarci, le sanzioni alla Russia, anche per oggi avranno effetto.. domani!
di Megas Alexandros
Fonte: Anche oggi le sanzioni alla Russia avranno effetto domani! – Megas Alexandros
Note:
[2] Banche occidentali in Russia: 800mln di tasse pagate al Cremlino (ilsole24ore.com)