Sul dispotismo cinese

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DI Flores TOVO

Comedonchisciotte

Se la Cina una volta era vicina, adesso è arrivata. Tuttavia, quando se ne parla o se ne scrive, spesse volte si usano categorie concettuali socio-economiche, politiche e culturali del tutto inappropriate rispetto alla contestualità della storia cinese. Infatti ai Cinesi termini come democrazia, liberismo o liberalismo, dittatura, libertà personale, società aperta, diritti umani e così via, sono del tutto estranei. Sono concetti appartenenti in primis alla cultura europea ed occidentale: del resto, pure presso di noi, le categorie su riportate stanno perdendo il loro originario significato, visto che siamo dominati da una oligarchia finanziaria tecnocratica (ed oggi anche sanitaria). Una oligarchia, che detenendo il controllo mondiale sui mass-media, sta distruggendo rapidamente ogni valore cosiddetto “democratico” per mezzo di essi, come si può chiaramente constatare nel mondo presente. Cerchiamo allora di spiegare il perché della completa diversità storica del mondo cinese rispetto quello europeo e sul perché la Cina sia prepotentemente tornata.

Se si va a scartabellare fra le riviste e i saggi politici scritti sulla Cina di 40 o 50 anni fa, scopriamo che vi era una competenza e una profondità di conoscenze e pensieri di eccezionale livello: anche in Italia c’erano intellettuali, politologi e storici di grandissimo spessore, del tutto sconosciuti ai prezzolati scribacchini di oggi. Mi riferisco a Bruno Rizzi, ad Antonio Carlo, a Paolo Santangelo, a Mario Sabattini, a Luciano Pellicani e soprattutto ad Umberto Melotti. Quest’ultimo, poi, ha scritto pagine illuminanti sulla Russia sovietica, oltre che sulla Cina. Molto di ciò che scriveremo farà riferimento a costoro.

In realtà non è poi così difficile analizzare la storia cinese, poiché essa è una storia basata sulla ripetizione di un sistema socio-economico che si è perpetuato per circa 5.000 anni. Un sistema che K. Marx nei suoi quaderni preparatori al “Capitale” definì come “modo di produzione asiatico”, anche se oggi si preferisce usare la definizione di “collettivismo burocratico” . Una forma di produzione incentrata sui lavori di massa di tipo idraulico, retto da una classe burocratico-manageriale qualificata, e da un re che poteva essere Dio come in Cina o Perù (1) oppure “re-dio” come in India o in Mesopotamia. Nel caso della Cina il re era l’Imperatore che aveva potere di vita e di morte su tutti i sudditi. Tutta la vita economica in Cina era svolta nelle feconde valli alluvionali dove viveva più del 90% della popolazione. Le città, sedi del governo e dell’amministrazione, erano di fatto appendici della campagna (2). Inoltre, fatto fondamentale, accettato da molti studiosi, la proprietà privata (che implicava l’ereditarietà) terriera esisteva, a seconda delle dinastie, in modo più o meno limitato, mentre esisteva assai diffusamente l’assegnazione, data in possesso, di terreni (che non implicavano l’ereditarietà) soggetta a lavori di corvèes idrauliche obbligatorie da svolgersi ogni anno. Lo stesso Hegel (3) era del tutto convinto, seguendo Montesquieu, che la Cina fosse il regno dell’uguaglianza assoluta e che perciò in essa non poteva essere presente nessuna libertà, in quanto tutti gli interessi particolari ed individuali erano illegittimi.

Bisogna comunque affermare che gli odierni studi storici sulla Cina, effettuati per lo più, sembra paradossale, da studiosi americani (4) ci indicano che in particolare nell’epoca Zhou, che nelle sue varianti governò dal 1122 al 256 a.C. e nel primo periodo dell’epoca Ming sotto gli imperatori Hong-wu e Yongle la proprietà privata fosse abbastanza diffusa, sia nelle campagne dove tendeva ad imporsi come feudo (che implicava la proprietà privata) che nelle città dove stava nascendo una borghesia artigianale e commerciale.

Resta la constatazione che la Cina ha dato origine al regno più duraturo della storia umana, il quale è rimasto, nella sua struttura sostanziale, inalterato per circa 5.000 anni. Tutte le “rivoluzioni” che sono avvenute portavano ad un cambiamento di dinastia, ma nessun mutamento di sistema. Ci furono in verità grandi mutamenti dovuti all’introduzione di nuove tecnologie durante la dinastia Song, che dominò nel Nord e Sud dal 960 al 1115, e nel Sud dal 1127 al 1279, e che apportò la diffusione di scoperte come la polvere da sparo, l’uso del carbon-coke, del baco da seta, del sismografo, dei magli perforanti e così via. Di gran importanza furono le messe in posa di nuove colture, come il mais, l’arachide e la patata agli inizi del 1600 sotto la dinastia Ming. Tuttavia nessuna di queste novità tecnico-alimentari modificò radicalmente la composizione formale delle classi sociali e dei rapporti politici e giuridici: alla Cina, ebbe a dire Hegel, mancò il contrasto fra l’essere oggettivo e il movimento soggettivo, per cui l’elemento statico riappare perpetuamente (5). Con ciò intendeva dire che il popolo (l’oggetto) era succube totaliter rispetto al soggetto (l’Imperatore). Eppure nessun popolo ha avuto tanti storici come il popolo cinese a partire dagli scritti dello Shu-king (redatto, si narra, da Confucio) che racconta la storia cinese sin dalle origini mitologiche del governo Yao. Una civiltà, quella cinese, che nacque nella bassa valle del Fiume Giallo (Huang He, che è lungo 5.464 km.) fra i pantani e le macchie boschive, tra i pericoli di improvvise inondazioni e fra escursioni termiche annue anche di 70 gradi (30 sotto zero d’inverno, 40 sopra d’estate). Solo molto più tardi, anche lungo il Fiume Azzurro (Yang-zi, lungo 6.300 km.) cominciarono i lavori idraulici. Una sfida che i padri della civiltà sinica, simili per razza a tutti quei popoli che ancora vivono tra il Fiume giallo e il Brahmaputra fino al Mar Giallo, vinsero, sebbene essa fosse la più difficile rispetto a quella che altri pionieri delle civiltà dovettero affrontare per domare i fiumi Nilo, Tigri-Eufrate, Indo e Gange.

A questo punto, in base a quanto si è scritto, sorgono spontanee alcune domande che richiedono delucidazioni: perché in Cina non c’è mai stato un radicale mutamento storico, essendo rimasta, come si scriveva, nei suoi assetti fondamentali più o meno la stessa per 5.000 anni e perché si è instaurato un dispotismo potentissimo?

A parer nostro le risposte più esaustive a queste domande, che sono, in verità, decisive per comprendere l’essenza dello spirito cinese, l’ha data il grande filosofo della storia Karl August Wittfogel nel suo libro-capolavoro “Il dispotismo orientale”. Un libro di quasi 800 pagine, edito nel 1957, che conserva ancor’oggi tutta la sua potenza chiarificatrice (6).

In estrema sintesi, Wittfogel riteneva che tutta la società cinese fosse fortemente condizionata, per non dire determinata, dai grandi lavori di massa idraulici. Lavori imponenti che si effettuavano per arginare i fiumi, per deviarne il corso, per costruire canali e scoli a scopo irriguo. Si pensi solo che in Cina furono costruiti circa 300.000 mila km. di canali nel corso della sua storia. Un numero di chilometri che va quasi dalla terra alla luna. Del resto i due lunghissimi fiumi cinesi hanno una portata d’acqua che aumenta a dismisura soprattutto durante il periodo monsonico. Per tenerli sotto controllo a fini irrigui occorreva una straordinaria attività lavorativa, che richiedeva una organizzazione burocratico-manageriale altrettanto straordinaria. L’imponenza dei lavori idraulici coinvolgeva milioni di contadini guidati da una classe manageriale che doveva essere alquanto efficace per poterli dirigere. Una massa rurale che ogni anno lavorava per sé un tot di giorni il terreno assegnatole per il proprio sostentamento, mentre i giorni restanti (che potevano variare a seconda delle esigenze) servivano ad espletare le coorvèes per l’interesse pubblico. A questa realtà non si poteva trasgredire: se i lavori di massa non venivano eseguiti scattava la tagliola implacabile della natura, ossia inondazioni-carestie-epidemie-milioni di morti. Tutto era ineluttabile: tanto che il detto “Piove, governo ladro” è un detto cinese che incolpava il governo in carica di non aver svolto i lavori idraulici in modo adeguato. Per questo motivo furono introdotti, su ispirazione di Confucio, per la prima volta nel mondo, i concorsi pubblici, che comportavano il superamento di tre esami durissimi per la selezione esercitata. All’ultimo esame partecipava come giudice pure l’Imperatore celeste, il quale poi assumeva, in qualità di burocrati di alto rango, i vincitori. A costoro poi venivano attribuiti i compiti di gestione di territori immensi con lo scopo di riscuotere le tasse, di amministrare la cosa pubblica e di organizzare i lavori idraulici. Tutti dovevano rispondere all’Imperatore: non solo il governo, ma anche il clero, i capi militari, e pure coloro che possedevano la proprietà privata, perché alla fine l’unico proprietario era l’Imperatore stesso. Solo l’Imperatore era libero: tutti gli altri erano sudditi. Molto spesso, scriveva Wittfogel, i regimi idraulici sono teocratici, in quanto tutti i poteri magici della comunità convergevano verso questo centro. Tuttavia l’Imperatore doveva conoscere da sé tutte le leggi dello stato, tant’è che i principi ereditari erano educati col massimo rigore, sia nel fisico che nello studio. “La condotta dell’Imperatore è raffigurata come il massimo della semplicità, della naturalezza, della nobiltà e dell’intelligenza” scrisse Hegel (7). Insomma egli doveva comportarsi come una specie di re Salomone: egli non doveva mai dimostrarsi sdegnoso o superbo, ma sempre dignitoso e comprensibile nel linguaggio. Una educazione all’arte del governare alquanto diversa da quella dei monarchi europei, che, comunque, sebbene avessero poteri “assoluti”, non avevano certamente i poteri divini dell’Imperatore, a cui tutti, nessuno escluso, dovevano incondizionata obbedienza. Come si può ben capire da quanto si è scritto, tale potere era determinato dal fatto che egli obbligato dalla necessità razionale di organizzare lo stato in modo capillare, autoritario, a volte anche in modo terribile, a causa della realtà geografica e climatica cinese. Paesi come il Giappone (che pure è una emanazione culturale della Cina), la Grecia, l’Italia e buona parte dell’Europa presentavano una morfologia territoriale del tutto differente: piccoli fiumi, piccole valli, montagne numerose, che permisero l’affermazione della proprietà privata terriera piccola o media e successivamente del feudalesimo e del capitalismo. E’ chiaro che le estesissime valli alluvionali, i cui terreni erano i più fertili (circa 1 milione di kmq.) imponevano sfide e risposte che non potevano tener conto delle esigenze dei singoli. Per esempio, nei paesi sopracitati durante il feudalesimo non furono quasi mai creati canali, né opere di utilità pubblica. Solo Venezia, l’Olanda e nel 1600 la Francia diedero il via a costruzioni di dighe, canali o deviazioni di fiumi, che furono ben poca cosa rispetto alle opere idrauliche cinesi.

In Cina la diffusione del proprietà privata, soprattutto vicino alle valli alluvionali, era quasi impossibile, perché impedita dai lavori idraulici che dovevano essere obbligatoriamente gestiti dallo stato. E’ vero che durante i periodi di torbidi, che segnavano la fine di una dinastia, i Signori della Guerra volevano farsi feudatari, impadronendosi delle terre dei contadini. Ma poi, inevitabilmente, spesso sotto la spinta del popolo rurale stesso, si ripristinava l’antico ordine sociale: ricordiamo, come esempio, che il fondatore della dinastia Ming, colui che distrusse la presenza mongola della dinastia Yüan, era proprio un contadino, di nome Zhu Yuanzang, che poi si fece chiamare come Hong-wu (Grandezza militare).

Bisogna aggiungere,per comprendere ancor meglio la Cina moderna, che il terzo Imperatore della dinastia Ming, ossia Yongle, diede il via, per sua volontà, a imprese costosissime e spettacolari che cominciarono e trasformare la società cinese soprattutto lungo la costa: parliamo delle sei spedizioni marittime guidate da uno dei più grandi navigatori di tutti i tempi, l’ammiraglio Zheng He. Costui condusse dal 1405 al 1421 convogli di oltre 300 navi con circa 30.000 uomini a bordo. Le navi erano anche 10 volte più grandi di quelle europee, costruite con giunchi e con vele triangolari a geometria variabile, capaci cioè di viaggiare pure contro vento. Durante queste incredibili, per l’epoca, spedizioni, furono toccati i porti della Malesia, dell’India, del Golfo Persico, dell’Arabia e persino del Kenia a Malindi. Lo scopo era quello di commerciare con altri popoli e di far conoscere la potenza dell’Imperatore che voleva fosse riconosciuta la sua magnificenza di capo del mondo. Alla morte di Yongle le spedizioni cessarono e la Cina si chiuse in se stessa. In questo breve periodo sorse un ceto mercantile che si stava per trasformare in una vera e propria borghesia. Gli stessi costumi mutarono perché si scopriva il lusso e le gioie del vivere. Non a caso molte novelle e romanzi erotici vengono ambientati in questo periodo: si leggano, per esempio, i libri del grande scrittore Li Yü . Dopo Yongle tutta l’attività mercantile si svolse all’interno. Si disse che i Cinesi non avevano nulla da imparare da altri popoli e che l’Impero Celeste era più che sufficiente per se stesso. La decisione di bloccare i rapporti con l’estero fu, come vedremo, deleteria per la potenza dello stato cinese, partire dagli inizi del Settecento. Le cause di tale ritiro furono spiegate dal fatto che lo stato doveva affrontare di nuovo la minaccia mongola, tanto che il condottiero Esen riuscì a catturare nel 1448 l’Imperatore Zheng-tong. Inoltre gli stessi commerci fra Nord e Sud erano continuamente in pericolo a causa dei pirati del Mar Giallo. Per rispondere a queste tremende minacce i Ming successivi ripresero il controllo dello stato e diedero inizio alla costruzione della Grande Muraglia come la vediamo oggi, e all’ampliamento sia in lunghezza che in larghezza del Canale imperiale, che congiunge tuttora i due grandi fiumi. Tutte le tasse dello stato confluirono per la messa in opera di queste due colossali intraprese. In realtà, secondo il parere di molti storici, furono gli ambienti conservatori di cultura confuciana che riuscirono a convincere gli imperatori che vennero dopo Yongle, a chiudere col mercato estero, poichè la nascita di una sempre più ricca borghesia mercantile avrebbe sconvolto il tradizionale ordine sociale e la stessa composizione fra le classi. A cavallo del Seicento i rapporti con l’estero rimasero modesti. I Portoghesi ottennero l’emporio di Macao e i gesuiti riuscirono ad entrare a corte, affascinando l’Imperatore per mezzo delle conoscenze matematiche ed astronomiche di Matteo Ricci. I gesuiti poi saranno cacciati dall’imperatore Kangxi nel 1707 quando si rivelarono apertamente come cristiani, per cui la separazione col mondo europeo si fece ancor più marcata. Ed proprio in questo secolo che la rivoluzione scientifica iniziata da Galilei, cominciò a favorire la creazione di strumenti tecnici sempre più efficaci in tutti i campi dell’attività umana. Cosicchè il divario a scapito della Cina si farà sempre più netto, per diventare poi abissale con la rivoluzione industriale. L’Inghilterra, patria del potere del conoscere scientifico oltre che politico-economico, riuscì, grazie alla superiorità tecnologico-militare ad umiliare la Cina con le due guerre dell’oppio (1839-42 la prima, 1856-58 la seconda). Essa impose, con la sua vittoria, l’uso della droga, coltivata nel Bengala, a milioni di Cinesi. Come se la Colombia esportatrice di cocaina imponesse manu militari l’uso dello stupefacente agli Italiani. La seconda guerra poi si innestò con la rivolta dei Tai-ping che causò la morte di decine di milioni di Cinesi. La catastrofe, in sensu strictu, prese la Cina nelle sue spire, finchè si giunse alla caduta dell’Impero celeste nel 1911 con la nascita della repubblica con a capo Sun Yatsen. Poi, come si sa, ci fu la guerra civile che durò, con alcune interruzioni, dal 1927 fino al 1949 e che portò alla vittoria i comunisti di Mao Zedong. Una vittoria, si noti bene che vide il trionfo di quelle forze che avevano trovato appoggio presso la grande massa dei contadini, mentre i nazionalisti del Guomindang, guidati da Chiang Kai-shek, avevano più consenso nelle grandi città. Ancora una volta la campagna prese il sopravvento. Non si ebbe, in realtà, nessuna rivoluzione, poiché il sistema tradizionale rimase inalterato, anzi aggravato, come si può riscontrare con l’estensione delle comuni agricole e il fallimento del “Grande Balzo in Avanti” che portarono alla terribile carestia del 1962-63 (si parla di circa 30 milioni di morti). Per non dire poi della cosiddetta Rivoluzione culturale che aveva lo scopo di eliminare tutte le competenze e tutti i retaggi del passato. Quasi tutti i musei, le accademie, i teatri, i templi della Cina furono distrutti dalle furia del Guardie rosse. Chi possedeva libri in casa era perseguitato o ucciso. Tutta l’arte europea fu messa al bando. La Cina, sebbene armata di bomba atomica, con Mao si avviava verso la preistoria zoologica. Gli storici convengono che sotto il suo dominio dispotico siano morte oltre 70 milioni di persone a causa della fame, anche indotta, e delle violenze. Solo dopo la morte di Mao nel 1976 si ebbe una svolta radicale e per davvero rivoluzionaria. Una svolta che vide come protagonista Deng Xiaoping; un uomo piccolo di statura, ma di grande perizia e coraggio, che trascinò fuori la Cina dalla miseria devastante in cui era precipitata. Nel 1978 furono lanciate le famose quattro modernizzazioni che riguardavano l’agricoltura, l’industria, le scienze e la tecnologia, atte a trasformare la Cina in un paese dalla potenza economica inarrestabile. Poi venne emanata nel 1979 un’altra legge importantissima che prevedeva il blocco dell’enorme incremento demografico che aveva portato, sotto la spinta della Rivoluzione culturale, la Cina ad avere oltre 1 miliardo di individui, ossia la legge del figlio unico (8). A partire dagli inizi degli anni ’80 con l’apertura ai capitali stranieri furono create delle Zone economiche speciali, in particolare nella costa sud del Paese. Le prime ZES furono Xiamen, Shenzen, Shantou. Arrivarono in Cina ingentissimi capitali stranieri che la fecero, in giro di 20 anni, la fabbrica del mondo. A partire dal 2001 essa entrò a far parte dell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO), ottenendo così la possibilità di esportare ed importare con minimi dazi doganali, nonostante non rispettasse nessuno dei parametri richiesti (ferie, diritti sindacali, orari di lavoro, ecc.). Troppo grande era l’avidità dei capitalisti americani ed europei di accedere ad un mercato del lavoro immenso e a bassissimo costo. La manodopera cinese, disciplinata ed efficiente, veniva pagata sì o no 5 dollari al giorno per produrre tutta la paccottiglia delle merci di ogni tipo a bassissimo costo. Poi nel marzo del 2007 il Parlamento cinese ha varato la legge sulla proprietà privata con decreti attuativi in quasi tutti dettagli. Con tale legge lo stato rimane proprietario per sempre delle industrie strategiche, dei monti, fiumi, acque, ecc. e dei terreni agricoli, che possono quindi essere espropriati per giusta causa. Inoltre viene ribadita la supremazia dello stato nella direzione generale dell’economia. Da quella data la Cina diventa ufficialmente e giuridicamente un Paese con un sistema socialista di mercato. In termini taoisti ciò significa che l’acqua (lo Yin) si sposa col fuoco (lo Yang). Ossia, un’economia tendenzialmente egualitaria come il socialismo si armonizza con una economia fortemente individualistica come il capitalismo. Si pensi che oggi il 65% della produzione cinese è generata dal privato. Ciò è stato possibile anche perché i grandi lavori idraulici richiedono ora poca manodopera; la costruzione della diga delle 3 gole sullo Yangzi (ultimata nel 2007) e l’impiego di macchine mastodontiche li hanno resi d’importanza secondaria.

L’Occidente ha risvegliato il Drago dormiente e non potrà più fermarlo. La Cina presenta oggi una classe dirigente super-preparata che ha studiato nelle migliori università del mondo, e nel contempo le sue stesse università di fisica, matematica e scienze primeggiano, soprattutto a Pechino e Shangai. Nel 2025 essa diventerà autosufficiente nell’alta tecnologia: già oggi nella telematica, nella robotica, nel solare e nella produzione di motori elettrici è prima al mondo: Huawei, Xiaomi, Oppo, Lenovo, Tencent, Suning e molte altre che operano nel settore delle comunicazioni viarie sono colossi che in taluni casi superano il fatturato di 100 miliardi di dollari annui.

Del resto il successo della Cina, una volta che essa fosse entrata nell’agone del mercato mondiale, era inevitabile, come lo fu quella del Giappone un secolo prima. Il segreto di tale incredibile ascesa sta nella cultura del popolo cinese: esso possiede un’etica ispirata da millenni da Confucio (etica propria anche dei Giapponesi), basata su alcuni principi di base: disciplina, devozione verso i genitori, lavoro e studio, rispetto degli altri e delle gerarchie. Un’etica laica, simile per alcuni versi a quella calvinista.

Si contesta però il fatto che la Cina non sia uno stato democratico, come se essa potesse esserlo dall’oggi al domani dopo 5.000 di storia dominata dal dispotismo. I detrattori della Cina si rifanno al modello Hong Kong che ha 10 milioni di abitanti, e che divenne protettorato inglese dopo la prima guerra dell’oppio nel 1841. Si dimentica poi che la Cina è abitata da 1 miliardo e 411 milioni di individui e che è vissuta con la formazione economico-sociale di cui si è detto.

I Cinesi al presente si sentono vincitori a livello mondiale, sebbene adottino una politica estera ispirata ad una prudenza bismarkiana. A loro non interessa conquistare militarmente il mondo. Del resto le uniche guerre di espansione territoriale le hanno condotte gli Imperatori nel 1700 per ottenere gli attuali confini naturali. Le altre guerre sono state causate da interventi esterni. Si dice anche che essi vogliono conquistare l’Africa; anche in questo caso lo sfruttamento di risorse naturali è compensato dalla costruzione di vie di comunicazione, di ospedali, scuole ed industrie. Etiopia, Tanzania, Angola stanno crescendo a ritmi altissimi grazie alla collaborazione cinese.

Infine bisogna sottolineare un’altra caratteristica fondamentale dello spirito cinese, ossia la credenza di una veduta circolare del tempo, che è scandito dai ritmi alternati dello Yin (l’oscurità e la debolezza) e dello Yang ( la luce e la forza). Oggi essi vivono una dimensione fortemente Yang, dopo essere stati dominati per 3 secoli dalla dimensione Yin. In più, secondo il confucianesimo, il Fato, il Destino del Cielo (Ming) incide ineluttabilmente sulle azioni degli uomini. Non per questo essi devono rassegnarsi, anzi devono operare sempre per il meglio, ovvero devono ottemperare al loro compito senza preoccuparsi se si otterrà il successo oppure no. Se si ottiene lo scopo prefissato è Ming, se si fallisce è Ming: l’importante è agire secondo le proprie inclinazioni e per il bene proprio ed altrui.

Ma al di là di queste considerazioni, si può osservare che la Cina di oggi è guidata da un despotismo alquanto attenuato. Xi Jinping si sta rivelando uno statista di eccezionale competenza e moderazione. Si stanno ricostruendo tutti i templi, le biblioteche, i teatri che Mao aveva ordinato di distruggere. Le scuole di ogni ordine e grado sono impostate verso l’impegno nello studio e nella serietà dei comportamenti verso gli insegnanti. In altre parole in Cina sta affermandosi una dinastia che durerà secoli.

Certamente il modello cinese non è conforme alla storia europea basata sui diritti della persona, della proprietà privata e della libertà. Però dobbiamo prepararci a convivere con questa super-potenza mondiale, che sarà egemone nel secolo a venire (ed anche nei futuri). La configurazione tecnica moderna (il Gestell heideggeriano) la favorirà senza alcun dubbio. Solo il confronto e la conoscenza ci potranno permettere una coesistenza proficua e pacifica.

Molti, invece, sono i dubbi che riguardano il nostro destino, visto la degenerazione nichilista che si è impossessata dell’Occidente.

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Note:

  1. Anche il Perù aveva un sistema collettivistico-burocratico. Ma lavori di massa erano rivolti alla costruzione di vie di comunicazione tra gli altipiani andini.
  2. K.MARX, Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, ed. La Nuova Italia, Firenze1970, quaderno IV pp. 96-105.
  3. G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla filosofia della storia, ed. Laterza, Bari 2003, p. 108.
  4. In generale come manuale di riferimento sui fatti accaduti in Cina nella sua storia per ci siamo serviti della “Storia della Cina, di J.A.G. ROBERTS, ed. Il Mulino, Bologna 2001.
  5. G.W.F. HEGEl, op. cit., p.101.
  6. K.A. WITTFOGEL, Il dispotismo orientale, ed. Vallecchi, Firenze 1968.
  7. G.W.F. HEGEL, op. cit., p.107.
  8. Nel 1980 la popolazione cinese era di poco superiore al miliardo. Oggi è di 1.411 milioni. Immaginiamo quanti sarebbero oggi senza il controllo demografico.

Principali testi consultati:

1) FUNG YU-LAN, Storia della filosofia cinese, ed. Mondadori, Milano 1990.

2) J.CHANG-J. HALLIDAY, Mao, ed. Longanesi, Milano 2003.

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Rovigo, 23-07-2020

Flores TOVO

Fonte: comedonchisciotte.org

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