Andre Vltchek
journal-neo.org
Sembra che non vi siano limiti a come il Qatar dilapida la sua ricchezza. Questo minuscolo regno di 2,6 milioni di abitanti è pieno di palazzi placcati d’oro, sontuosi in modo ridicolo e molti costruiti anche con un gusto terribile. Trabocca di Lamborghini e di Rolls Royce ed ora anche di altrettanto ridicoli e dispendiosi marciapiedi con aria condizionata (l’aria fredda arriva dal basso, nella calura dei 35 °C).
Governato dalla Famiglia Al Thani, lo stato del Qatar è davvero un posto strano: secondo l’ultimo censimento, all’inizio del 2017, la sua popolazione totale era di 2,6 milioni, di cui 313.000 cittadini del Qatar e 2,3 milioni di ‘immigrati’, lavoratori manuali a basso reddito e professionisti occidentali generosamente remunerati.
Gli stranieri fanno veramente di tutto; spazzano i pavimenti, rimuovono i rifiuti, cucinano, si prendono cura dei bambini, pilotano gli aerei della Qatar Airways, eseguono gli interventi medici e costruiscono i grattacieli per gli uffici. I lavoratori manuali vengono discriminati, picchiati, imbrogliati, umiliati. Molti lavoratori migranti muoiono in “circostanze misteriose.” Ma ne arrivano sempre, sopratutto perché il Qatar, con il suo PIL pro capite di 128.702 dollari, è il paese più ricco del mondo e perché c’è un’enorme richiesta per centinaia di professioni diverse. Non importa che ad essere avvantaggiati siano solo i “nativi,” mentre il salario minimo per gli stranieri è solo attorno ai 200 dollari al mese.
Stretto in un’aspra disputa con i vicini, tra cui l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, il Qatar si sta avvicinando sempre di più ai suoi migliori alleati: gli Stati Uniti e il Regno Unito. La base aerea di Al Udeid ospita oltre 100 velivoli dell’Aeronautica degli Stati Uniti, della Royal Air Force e degli altri partner della Coalizione della Guerra del Golfo. Ospita il quartier generale avanzato del Comando Centrale degli Stati Uniti, l’83° Expeditionary Air Group della RAF e il 379° Air Expeditionary Wing dell’USAF. Attualmente, almeno 11.000 militari statunitensi vi stazionano in permanenza. La base aerea di Al Udeid è considerata l’aeroporto militare più importante della regione, utilizzato per operazioni in paesi come la Siria e l’Afghanistan.
Il Qatar ha svolto un ruolo estremamente importante nella destabilizzazione della Siria e di altri paesi del Medio Oriente. E’ un centro di diffusione di dogmi religiosi fondamentalisti e del credo capitalistico più sfrenato.
Il Qatar ha moltissimi soldi e usa una parte dei suoi fondi per vari “programmi educativi,” strettamente collegati all’apparato propagandistico occidentale, in particolare statunitense e britannico, ma anche a quello wahabita. Esperti internazionali ingaggiati dall’Occidente sono arrivati a promuovere concetti estremi, come la privatizzazione della scuola, per tenere i governi lontani dallo sviluppo dei piani di studio, diffondendo in tutta la regione, ed oltre, dottrine filo-occidentali e pro-mercato.
Con il pretesto di “salvare i bambini,” le fondazioni e i programmi del Qatar stanno promuovendo il fondamentalismo mussulmano, nonché la commercializzazione dell’istruzione. E questo non solo nel Qatar, ma anche in paesi più lontani, come la Somalia, il Sud Sudan e il Kenya.
Mentre ero all’università del Qatar, avevo notato che anche le biblioteche sono separate (com’era prevedibile, mi era stato riferito da un membro dello staff delle Nazioni Unite con sede in Qatar, che la cosiddetta “Biblioteca Maschile” è incomparabilmente meglio rifornita di quella femminile), il Qatar vuole presentarsi come leader regionale nell’istruzione superiore, diffondendo filosofia e modi di pensare retrogradi.
Naturalmente, l’obiettivo principale è mantenere lo status quo nella regione.
In termini di istruzione di qualità, le cose non funzionano neanche nello stesso Qatar. Nonostante questo enorme budget speso, o più precisamente sprecato, il Qatar ha ben poco di cui essere orgoglioso. Secondo l’OCSE [Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico] :
“Nel 2012, il Qatar si era classificato al terz’ultimo posto fra i 65 paesi dell’OCSE che avevano partecipato al test PISA (Program for International Students Assessment) di matematica, lettura e abilità per i giovani di 15 e 16 anni, un punteggio paragonabile a quello della Colombia o dell’Albania, nonostante abbia il più alto reddito pro capite nel mondo.”
Da allora, le cose non sono migliorate molto, anche se le statistiche sull’argomento sono improvvisamente diventate molto meno facili da reperire.
Alla fine di ottobre 2019, mi ero ritrovato a partecipare ad una conferenza organizzata dal Center for Conflict and Humanitarian Studies, ospitata dal Doha Institute for Graduate Studies.
Con l’unica eccezione di un esperto delle Nazioni Unite altamente qualificato (che aveva lavorato per anni sul campo in Siria e in altri luoghi distrutti dall’Occidente e dai suoi alleati del Golfo), il gruppo di oratori era composto da individui residenti e coccolati dal Qatar.
La linea di pensiero che veniva promossa era prevedibile:
Il professor Frank Hardman aveva sostanzialmente spiegato come gli stati nella regione “si fossero indeboliti” e come il settore privato avrebbe dovuto prendere l’iniziativa e sostenere le riforme dell’istruzione.
L’intervento più sorprendente era però venuto dalla Professoressa Maleiha Malik, Direttore esecutivo, di Protection of Education in Insecurity and Conflict (PEIC), Education Above Foundation. Aveva parlato dell’importanza di proteggere le scuole e i bambini vulnerabili nelle zone di conflitto e dei meccanismi legali internazionali “attualmente in atto,” progettati per assicurare alla giustizia coloro che distruggono le scuole e uccidono gli studenti.
In breve, un tipico “sviluppo” tradizionale e un tipico discorso da ONG.
Il Qatar è ben lungi dall’essere un luogo in cui uno può sentirsi libero di esprimere la propria opinione.
A quel punto avevo esaurito la pazienza. Ho lavorato in numerosissime zone di guerra e di conflitto, in tutto il mondo. E quello a cui stavo assistendo all’Institute for Graduate Studies di Doha era a dir poco un processo di indottrinamento, sia dei partecipanti alla conferenza che degli studenti.
Avevo chiesto che mi facessero parlare. Quando mi era stato passato il microfono, avevo detto che avevo bisogno di una risposta precisa:
“Professoressa Malik, ho una domanda per lei. Ho seguito come giornalista decine, probabilmente centinaia, di conflitti e di guerre in tutto il mondo. Ho visto bruciare centinaia di scuole. Ho visto centinaia di bambini morti. La maggior parte di queste atrocità erano state commesse dagli Stati Uniti, dai paesi europei o da entrambi. Tutto era iniziato molto prima che io nascessi e, ovviamente, continua tutt’ora.”
Avevo visto l’orrore sui volti degli organizzatori. Mi stavano divorando con gli occhi, mi stavano implorando di fermarmi. Molto probabilmente, una cosa del genere non era mai successa prima d’ora in quella sede. Tutto veniva filmato, registrato. Ma non avevo ancora finito.
Gli studenti in aula non avevano reagito. Erano chiaramente condizionati a non eccitarsi per i discorsi pronunciati da “elementi” ostili al regime.
Avevo continuato:
“Professoressa Malik, le sto chiedendo, vorrei sapere, se ci sia stato un singolo caso in cui gli Stati Uniti, il Regno Unito, la Francia, l’Australia o qualsiasi altro paese occidentale, siano stati processati e condannati da quei meccanismi internazionali che lei ha menzionato in precedenza … Condannati per aver ucciso milioni di bambini o per aver bombardato migliaia di scuole in paesi come il Vietnam, il Laos, la Cambogia e successivamente in Iraq, Afghanistan e Siria. Oppure perché, proprio adesso, stanno cercando di far morire di fame i bambini in Venezuela. Perchè stanno impedendo alla gente, compresi i bambini, di potersi curare ... ”
Poi mi ero rivolto a Frank Hardman:
“Professor Hardman, non sono quegli stati, che lei menziona e definisce ‘deboli,’ proprio in quella condizione perché sono antagonizzati, attaccati e terrorizzati dall’Occidente, da paesi storicamente imperialisti?”
Silenzio totale.
Quindi,avevo concluso:
“Non sarebbe il modo più efficace di proteggere le scuole e i bambini, se facessimo in modo che l’Occidente e i suoi alleati la smettessero di distruggere decine di paesi in tutto il mondo?”
Il presidente della conferenza, il prof. Sultan Barakat, si era subito messo all’opera per cercare di contenere il danno:
“Professoressa Malik, ovviamente, la domanda riguarda ciò che sta accadendo in Palestina …”
Ma la Professoressa Malik era una combattente accanita, come me, solo dalla parte opposta. Sapeva benissimo che la questione andava al di là di Israele e della Palestina. Israele e la Palestina ne sono una parte, ma qui non erano il vero problema. Aveva tolto la parola Sultan Barakat e mi era saltata dritta alla gola:
“Non riguarda l’Occidente! Non si tratta di un gruppo di paesi. Tutti i membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ne sono responsabili! Guardate la Russia, a tutte le atrocità che sta commettendo in Siria … ”
E così era iniziato il nostro battibecco. Il nostro personale “dibattito di Doha.”
“Quali atrocità?” Le avevo gridato. “Le provi.”
“Abbiamo prove.”
“Lei?” Avevo chiesto. “Lei è mai andata in Siria? O le cosiddette prove gliele hanno date i suoi ‘contatti’? Lei pone la Russia, un paese che sta salvando la Siria e il Venezuela, allo stesso livello di paesi che stanno uccidendo centinaia di milioni di persone in tutti gli angoli del mondo?”
Mi ero ricordato di quante volte durante questa “conferenza” fosse stato menzionato l’USAID [Agenzia degli Stati Uniti per lo Sviluppo Internazionale]. Tutti i riferimenti erano occidentali. Qui, la gente dei paesi arabi parla e pensa come il FMI o The Economist.
Mi ero seduto. Non avevo nient’altro da aggiungere.
La discussione controllata era in qualche modo ripresa. I volti degli studenti erano rimasti impassibili.
La sera, avevo incontrato a cena un amico con cui avevo lavorato in Afghanistan. Doha è un posto strano. Un luogo di incontri inaspettati.
Il Qatar sta facendo alle arti quello che sta facendo all’educazione.
Il giorno dopo avevo cercato di visitare i diversi musei di cui il paese si vanta su Internet e negli annunci pubblicitari. Tutti erano chiusi, tranne il Museo di Arte Islamica, un tempo gratuito per il pubblico, ma per cui ora occorre pagare 15 dollari di biglietto.
Questo stato mostruosamente frammentato e i suoi abitanti stanno investendo miliardi di dollari, nell’acquisto di opere d’arte da tutto il mondo. Se ne vantano. Ne manipolano il contenuto. Proprio come è falso tutto quello che viene prodotto nei suoi studi cinematografici “internazionali.”
Partendo da Doha per Beirut con la Qatar Airways, mi ero reso conto che in tutto l’equipaggio non c’era neanche un cittadino del Qatar. I piloti provenivano dal Regno Unito e dall’Australia, mentre gli assistenti di volo erano stati reclutati nelle Filippine, in India e in Africa.
Pochi minuti dopo il decollo, un aggressivo annuncio pubblicitario aveva iniziato a promuovere Educate a Child (EAC), un programma della Education Above All Foundation.
In Qatar, tutto sembra essere interconnesso. Mortifere basi militari statunitensi, “politica estera,” arte e, sì, persino istruzione e beneficenza.
Andre Vltchek
Fonte: journal-neo.org
Link: https://journal-neo.org/2019/11/04/qatar-education-as-a-weapon/
04.11.2019