FEDERICO PIERACCINI
strategic-culture.org
La politica estera di Donald Trump dipende molto dallo sfruttamento degli strumenti tipici del potere imperiale: il terrorismo economico, le minacce di guerra, le pressioni diplomatiche, le guerre commerciali, ecc. Ma, con il ricorrere ad un vero e proprio imperialismo, [l’America] si sta isolando internazionalmente dagli alleati tradizionali e contribuisce all’aumento delle tensioni sullo scacchiere globale, portandole ad un livello mai visto.
Minacce di guerra contro il Venezuela, la Corea del Nord, la Siria e l’Iran si ripetono praticamente tutti i giorni. Sanzioni economiche che comportano tariffe o dazi, per molti versi paragonabili a vere e proprie dichiarazioni di guerra, sono ormai abituali, anche contro amici o alleati. L‘Iran e la Siria sono sottoposte a sanzioni, mentre a Pyongyang viene persino impedito di far entrare in porto una delle sue navi, trovandosi di fatto sotto embargo statunitense, la stessa minaccia che era stata fatta contro il Venezuela.
La Cina e la Russia lottano quotidianamente in difesa di un mondo multipolare, con mezzi diplomatici, economici e talvolta militari, offrendo ai nemici di Washington una sorta di scudo, dietro cui resistere alle oltraggiose fiondate e frecciate dell’amministrazione Trump. Pechino e Mosca portano avanti la resistenza tenendo d’occhio i loro obiettivi a lungo termine, dando per scontato che, nel breve periodo, le loro azioni attireranno inevitabilmente l’implacabile ostilità di Washington e dei suoi lacchè.
Il destino del nuovo ordine mondiale multipolare dipende essenzialmente da quanto Cina e Russia saranno in grado di resistere alla tempesta proveniente da Washington. Naturalmente, è nell’interesse del resto del mondo che al caos legato all’unipolarità di Washington si ponga un freno nel modo meno caotico e distruttivo possibile.
Gli alleati europei di Washington subiscono sanzioni sulle importazioni di petrolio iraniano, non sono in grado di partecipare alla ricostruzione della Siria, si ordina loro di abbandonare progetti comuni con la Russia (Nord Stream 2), di tagliare le importazioni tecnologiche dalla Cina, viene loro impedito di partecipare al più grande progetto che il mondo abbia mai conosciuto, noto come Belt And Road Initiative (BRI); tutte queste richieste arrivano nel momento in cui Donald Trump continua a minare quell’ordine globalista internazionale su cui gli alleati statunitensi avevano fatto affidamento per mantenere lo status quo. Gli alleati degli Stati Uniti sono obbligati a soddisfare le richieste di Washington, anche se danneggiano i loro interessi commerciali e daranno luogo a gravi conseguenze nel medio e lungo termine. Questa è essenzialmente la motivazione che ha indotto i paesi europei a cercare di diversificare le proprie attività commerciali e gli scambi internazionali attraverso una valuta non controllata da Washington, de-dollarizzando le proprie economie. Passerà molto tempo prima che un tale obiettivo possa essere realizzato, come è dimostrato dal fallimento degli sforzi di importare il petrolio iraniano aggirando l’embargo statunitense attraverso meccanismi finanziari come Instex.
Le ultime settimane hanno visto gli affari internazionali passare da uno sconcertante scenario ad un altro, dal fallito summit tra Trump e Kim, al sostegno per il tentativo di golpe di Guaido in Venezuela, culminati infine nelle continue minacce rivolte all’Iran e nella definizione del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche come un’organizzazione terroristica.
Senza capo nè coda, con un’amministrazione divisa tra diverse fazioni, assistiamo a continui cambiamenti di strategia e di approccio, che finiscono per indebolire la statura internazionale di Washington.
Gli strateghi del Pentagono temono un aperto conflitto con l’Iran o il Venezuela, ma solo per ragioni puramente propagandistiche. La formidabile potenza di fuoco di Washington sarebbe probabilmente in grado di sopraffare qualunque difesa che Teheran o Caracas fossero in grado di offrire, ma a che prezzo? La vista degli aerei di ultima generazione di Washington abbattuti da sistemi di difesa aerea dell’era sovietica avrebbe un effetto devastante sull’immagine autoreferente del complesso militare-industriale dell’America.
Danneggerebbe il prestigio dei sistemi americani, assai più costosi delle loro controparti russe. (Un Raptor americano F-22, ad esempio, costa circa 150 milioni di dollari, mentre un Su-35 russo ne costa solo 55).
Questa imbarazzante realtà risulta attualmente, e in notevole misura, evidente in Siria, dove la difesa antiaerea di Damasco, combinata con le capacità russe, ha sventato dozzine di attacchi israeliani, statunitensi e sauditi. I, fino a quel momento, tanto lodati missili da crociera statunitensi hanno dovuto genuflettersi davanti ai leggendari sistemi S-300/S-400, che ora sono diventati (come arma difensiva e non offensiva) un simbolo di pace.
Il mito dell’invincibilità delle armi statunitensi viene messo in discussione dalle capacità difensive di Mosca schierate in Siria e in Venezuela. Queste stesse capacità sarebbero prontamente disponibili per Teheran nel caso in cui Washington decidesse di attaccare il paese persiano. Ma le probabilità di una tale guerra diventano sempre più remote man mano che passano i giorni, con gli strateghi del Pentagono che temono per gli Stati Uniti uno scenario peggiore di quello che era scaturito dal conflitto con l’Iraq. L’Iran è tre volte più grande dell’Iraq e l’occupazione permanente del paese richiederebbe circa 1,2 milioni di soldati americani.
L’Iran, inoltre, è una delle prime 15 potenze mondiali e Washington si troverebbe per la prima volta a dover affrontare un avversario dotato di notevoli capacità, una cosa questa che gli Americani cercano di evitare da decenni, temendo che possa svelare la vulnerabilità dei loro sistemi d’arma, dovuta a corruzione e a decisioni strategiche sbagliate. I film di Hollywood sono serviti a costruire nell’immaginario collettivo il mito della potenza militare americana, ma questa è solo una forma estrema di propaganda, che maschera una realtà di inettitudine militare.
I generali del Pentagono non hanno intenzione di rivelare la loro debolezza militare in una guerra con l’Iran. La perdita del prestigio militare americano mostrerebbe anche ai paesi finora sotto il controllo di Washington che il cane abbaia tanto ma morde poco, rendendo ancora più difficile, in futuro, per gli Stati Uniti intimidire altri paesi con la minaccia della forza militare.
Quello che per Trump sembra difficile da capire è che la sua politica estera sta lentamente erodendo lo status di superpotenza degli Stati Uniti. La carta bianca che Trump ha dato ai Neoconservatori e alle lobby filo-israeliane e filo-saudite è servita solo a portare gli Stati Uniti sull’orlo di una guerra con il Venezuela, la Corea del Nord, l’Iran o la Siria. Con un Trump non impegnato seriamente in nessuna guerra, questo causerà solo un’umiliante ritirata.
Non farsi coinvolgere in nessuna guerra ulteriore sembra essere una delle ultime promesse elettorali a cui Trump vuole tener fede.
Queste continue minacce, mai seguite da azioni reali, sono una tattica a breve termine, visto che non portano ad alcun risultato strategico. La Corea del Nord non si è liberata delle sue armi atomiche, il Venezuela ha ancora Maduro come presidente e l’Iran non tratterà mai con gli Stati Uniti per discutere un nuovo accordo sul nucleare.
L’atteggiamento internazionale è sempre più freddo nei confronti degli Stati Uniti, anche tra gli alleati, che sono soggetti ad assurde imposizioni sulle merci da importare e a misure punitive per la loro cooperazione industriale con Russia, Cina e Iran (i tre principali oppositori della triade israeliano-neocon-saudita). Le minacce alla Germania per il gasdotto russo Nord Stream 2 non sono dissimili da quelle rivolte alla Turchia per aver cercato di acquisire gli S-400, o all’Italia, rea di aver accettato la tecnologia 5G di Huawei, o all’India per l’importazione di petrolio iraniano.
Gli avversari di Washington hanno molto in comune e stanno sempre più coordinando i loro sforzi economici, diplomatici e militari per limitare il caos e i danni provocati sulla scena mondiale dalla furia dell’amministrazione Trump.
La dottrina dell‘America First, unita alla necessità di dare mano libera ai Neoconservatori sauditi e israeliani, è stata disastrosa, in particolare per gli Stati Uniti. Il resto del mondo osserva con crescente stupore e si chiede com’è possibile che Washington, Riyadh e Tel Aviv siano così determinate ad infilarsi in un vicolo cieco, solo per soddisfare particolari lobby, potenti fazioni e guerrafondai come Bolton, Netanyahu, Mohammed bin Salman e Pompeo.
Trump potrà anche ingannare i suoi elettori, vista la loro mancanza di interesse per gli affari internazionali, il fallimento del Partito Democratico e la subdola propaganda di Fox News. Ma, a livello internazionale, il ruolo di Washington sta diventando sempre meno rilevante, con la figura di Trump che serve ad unire gli amici e i nemici degli Stati Uniti in una sorta di patto temporaneo, mentre aspettano la fine del suo mandato. Quando Trump si sarà tolto di mezzo, si potranno affrontare le questioni di fondamentale importanza per il commercio mondiale (la Nuova Via della Seta) e la stabilità di aree cruciali come il Medio Oriente e il Nord Africa, anche se gli avversari Stati Uniti sono pienamente consapevoli che la politica estera americana non è decisa dal Presidente degli Stati Uniti, ma piuttosto dal “Washington consensus” e dalla fede nell’”Eccezionalismo degli USA.”
Federico Pieraccini
Fonte: strategic-culture.org
Link: https://www.strategic-culture.org/news/2019/05/25/shielding-world-from-us-chaos-no-easy-task/
25.05.2019
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org