I Gilets-Jaunes, o le contraddizioni della democrazia dei consumatori

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DI GUILLAUME DUROCHER
unz.com

I travagli del presidente francese Emmanuel Macron riflettono le contraddizioni del sistema da lui rappresentato: il capitalismo manageriale, socialdemocratico e globalista all’ultimo stadio. In una democrazia dei consumatori, tutti hanno diritto ad un consumo infinito. Ecco come funziona.

Non sono sicuro che ve ne ricordiate, ma avevamo combattuto la Seconda Guerra Mondiale sulla base del semplice principio che ogni bipede senza piume è uguale ad un altro. I ragazzi che erano morti sulle spiagge della Normandia o nella Résistance magari non la pensavano esattamente così, ma è questa è la motivazione che abbiamo retroattivamente stabilito per quella guerra. Se tutti i bipedi implumi sono uguali, ne consegue che la politica pubblica deve essere rivolta al benessere e ai desideri individuali di ogni bipede senza piume e quindi ogni bipede senza piume ha il diritto ad un reddito da ceto medio che gli permetta di possedere una bella casetta in periferia, un’auto (necessaria per il fatto che abita nei sobborghi) e tutti i servizi correlati. Posso pensare che tutto ciò sia puro satanismo, come aveva sottolineato Gandhi, ma questo è il sistema che abbiamo.

Macron, come gli altri leader social-democratici, deve mantenere queste promesse. Il problema con il desiderio umano è che è senza fondo. Più cose hai, più ne desideri. (Per contro, gli esseri umani possono adattarsi gradualmente a quasi tutte le difficoltà, se vengono convinti della loro necessità). Il capitalismo dei consumatori è un sistema in cui i singoli cittadini, gli imprenditori e anche i “leader di pensiero” sono tutti impegnati in una corsa forsennata per continuare a riempire fino all’orlo la proverbiale botte delle Danaidi, in uno sforzo infinito e fine a sé stesso.

Inoltre, Macron persegue un sistema economico eurocratico, globalista e tecnologicamente progressista che, anche se nel suo complesso aumenterà l’efficienza economica, è destinato a distruggere i posti di lavoro e a deprimere i salari delle sempre (già lo sono) più obsolete periferie abitate da Francesi autoctoni. Macron si è parzialmente arreso alle richieste dei Gilets-Jaunes, ritardando, tra l’altro, un piccolo aumento delle imposte sui carburanti e aumentando il salario minimo, anche se ciò significa aumentare il deficit di bilancio della Francia. Più deficit significa più debolezza e meno fiducia nei confronti della Germania, indispensabile per trasformare l’inferma e sclerotica Unione Europea in qualcosa di semi-coerente.

Come alternativa, Macron può aumentare le tasse (i Gilets-Jaunes condannano Macron per l’abolizione dell’imposta patrimoniale sulle azioni), ma la Francia ha già probabilmente raggiunto il limite in questo campo: ancora tasse e ancora più cervelli e attività commerciali lasceranno il paese e si trasferiranno altrove, ponendo fine all’ex sogno dei banchieri Rothschild di trasformare l’ex Grande Nazione in una “nazione di start-up” (l’espressione inglese si usa pari pari in francese, una completa resa intellettuale al modello globalista). Naturalmente, una città-stato potrebbe diventare un nodo informatico, cognitivo-elitario per l’innovazione e/o l’eliminazione della tassazione a livello globale (es. Singapore), ma certamente non una nazione reale (anche se in decadenza) con circa 45 milioni di cittadini francesi autoctoni.

Sono abbastanza solidale con il recente appello di Macron sul concetto di virtù civica:

I problemi che la nostra società si trova a dover affrontare sono talvolta dovuti e legati al fatto che troppi nostri concittadini credono di poter ottenere qualcosa senza uno sforzo… Abbiamo troppo spesso dimenticato che, oltre ai diritti individuali nella Repubblica, e la nostra Repubblica non ha nulla da rimproverarsi da questo punto di vista, posso dirvi che esistono dei doveri. E se non ci fosse questo impegno, questo sforzo e il fatto che ogni cittadino, con il suo lavoro, con la dedizione al lavoro, aggiunge la sua pietra alla casa comune, il nostro paese non sarebbe mai in grado di recuperare pienamente la sua forza, la sua coesione.

Bravo! Il problema è che questo tipo di appello al dovere non può che cadere nel vuoto.  A cinquant’anni dagli eventi del maggio ’68, l’unica cosa che il tipico “cittadino” occidentale riesce a capire è “io, io, io”.

Una rivoluzione nel nome del “potere d’acquisto” è un concetto disgustoso (come aveva sottolineato Dieudonné alcuni anni fa in una leggendaria scenetta sui Pigmei). Tuttavia, lui sostiene i Gilet-Jaunes. E noi sosteniamo i Gilets-Jaunes perché sono un sintomo delle contraddizioni del sistema democratico e capitalista. Bisogna dare una spinta a quello che già sta cadendo; facciamo in modo che il futuro arrivi più in fretta!

I Gilet-Jaunes sono una compagine eterogenea. Nella mia regione, hanno occupato le rotonde, innalzano cartelli con diversi slogan e sostengono una o due cause di punta. Sono prevalentemente bianchi, generalmente di mezza età o più anziani, e sembrano per lo più disoccupati o in pensione (quindi con parecchio tempo libero). È interessante notare che la società sembra supportarli (o finge di farlo). Ti fermi alla rotonda per parlare con qualcuno di loro e devi dimostrare il tuo sostegno suonando il clackson e sventolando il tuo giubbotto giallo. Si può già notare il potere fragile ma potenzialmente travolgente del conformismo sociale quando raggiunge una massa critica (ancora abbastanza scarsa) di appariscenti segnali sociali. (Ricordatevi dei bracciali degli anni ’20 …).

In altri luoghi, ad es. Parigi ma non solo, i Gilets-Jaunes vengono associati alla violenza, ma questo non sembra aver intaccato la loro popolarità, forse perché la gente accomuna i Gilet-Jaunes alle brave persone che incontra durante il tragitto per andare al lavoro, piuttosto che alle scioccanti immagini che appaiono sui media sociali e su quelli ufficiali. Persone che si sono liberate dalle nevrosi dell’accoppiata TV/quotidiani? Alleluia!

I Gilets-Gaunes sono un movimento democratico, populista e anti-establishment, simile al Movimento Cinque Stelle in Italia. Entrambi sono essenzialmente il prodotto dei social media e dei siti web alternativi. Questo è stato molto interessante da vedere. Mi chiedevo quando Internet si sarebbe finalmente manifestato politicamente in Francia, ora ci siamo.

I Pentastellati sono anche abbastanza confusi e hanno un altrettanto vago programma per l’aumento delle elargizioni sociali, per la democrazia diretta (referendum, trasparenza, impegno civico) e per attribuire la colpa dei vari problemi all’ingiustizia, reale o immaginaria che sia. Di conseguenza, il ministro dell’economia [in realtà ministro dello sviluppo economico e ministro del lavoro e delle politiche sociali, nonché Vicepresidente del Consiglio dei ministri – NdT] del M5S, Luigi Di Maio, ha recentemente accusato i legami della Francia con l’Africa francofona (in particolare il franco CFA) di essere la causa dell’impoverimento dell’Africa e quindi il motivo dell’emigrazione verso l’Europa. Come ho sostenuto, qualcuno dovrà ben fare da capro espiatorio per i perenni fallimenti della Bufala della Convergenza.

Demotismo e populismo sono il risultato delle pretese di un sistema democratico. Non sono particolarmente validi di per sé, ma possono portare al cambiamento del sistema. Questo è ciò che il M5S, piuttosto miracolosamente, è riuscito a fare in Italia, permettendo l’ascesa di un governo di coalizione nazional-populista, dove il Ministro degli Interni, Matteo Salvini, ha già potuto fare un buon lavoro. L’impegno civico (il governo dei volontari, delle persone che si fanno avanti) e il rinnovamento politico reso possibile dai movimenti populisti demotici sono, nel complesso, sviluppi molto positivi.

I Gilet-Jaunes hanno un potenziale simile. La loro richiesta più ideologica è per la democrazia diretta. Ho incontrato Gilets-Jaunes che cercavano di entrare in un municipio per presentare una petizione al sindaco a sostegno del referendum sull’iniziativa civica (simile a quello esistente in California o in Svizzera). Una cosa del genere si ispira alle dottrine del mite blogger e insegnante di scuola media superiore Étienne Chouard, che aveva lavorato ad una nuova Costituzione Francese redatta da comitati costituenti operanti in base al principio della democrazia diretta. Sono scettico sul fatto che seguire Tocqueville e gli Antichi possa risolvere davvero i nostri problemi. Ciò nonostante, Chouard è interessante quando chiede, come hanno fatto i Gilets-Jaunes, che la società civile eviti qualsiasi mediazione da parte dei rappresentanti del sistema, come i sindacati e i media. Secondo lui, i Francesi dovrebbero invece discutere il loro futuro direttamente l’uno con l’altro, con persone sia della (estrema) sinistra che della (estrema) destra, senza i vincoli imposti dagli psico-poliziotti parassiti degli apparati politico-mediatici. Allo stesso modo, Chouard plaude ad Alain Soral come ad un “effettivo rappresentante della resistenza”.

La democrazia diretta, con ogni probabilità, renderebbe ancora più difficile all’interno dello spazio europeo qualsiasi organizzazione coerente. Macron è un giovane leader decisamente volontaristico che vuole far funzionare il sistema e spingerlo ancora più in avanti. Pertanto, dal momento della sua elezione, ha compiuto notevoli sforzi per convincere la Germania ad aderire ad una più profonda integrazione dell’Unione Europea.

Dopo un anno e mezzo di pressioni, Macron e la Merkel hanno partorito il Trattato di Aquisgrana (firmato con grande pompa e simbolismo nella ex capitale di Carlo Magno), un panino vuoto a favore di sempre più “cooperazione” franco-tedesca (ricerca, riunioni parlamentari, gestione della frontiera e progetti per le regioni del Reno …). Concepito così, questo accordo è il degno successore del Trattato dell’Eliseo, siglato da Charles de Gaulle e Konrad Adenauer 56 anni fa, una vuota dichiarazione di amicizia che non comportava nulla di più di regolari riunioni. L’inutilità del Trattato di Aquisgrana non ha impedito al solito gruppo eterogeneo di “patrioti” francesi di reagire in modo isterico (dalla stessa Marine Le Pen al teorico della cospirazione François Asselineau, che sostiene che l’UE è effettivamente un complotto nazista), affermando, in modo non plausibile, che l’accordo svenderà l’Alsazia ai Tedeschi o eliminerà il seggio della Francia al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (perché dovrà condividerlo con la Germania).

Tutto questo mostra i limiti sia dell’europeismo ufficiale che del miope populismo demotico. L’obbiettivo di entrambi è quello di distrarre i Francesi dai loro veri problemi, vale a dire il collasso spirituale e demografico. L’UE, in quanto tale, non è la fonte, e neanche una causa significativa, dei problemi della Francia. In Gran Bretagna, la vista delle pseudo-polemiche sulla “Brexit,” che risucchiano tutte le energie politiche mediatiche e patriottiche della nazione è davvero un triste spettacolo. La Francia non ha bisogno di questo, ma piuttosto di politiche che garantiscano gli interessi etnici delle popolazioni autoctone francesi.

Nonostante tutto, Le Pen sta lentamente realizzando un importante cambio di rotta e ha dichiarato di recente alla stampa: “E’ innegabile che l’euro sia un peso per la Francia,”, aggiungendo tuttavia che il ritiro non è più “una priorità.” Dichiarazioni come questa hanno il raro vantaggio di essere politicamente astute (la maggior parte dei Francesi non vuole l’instabilità economica causata dal ritiro dalla moneta comune) e vere (l’euro limita le opzioni della Francia, ma non ha danneggiato la sua economia così come ha fatto con quelle dell’Europa meridionale).

Siamo tristemente ridotti a chiederci chi sarà eletto presidente tra tre anni e mezzo, un’eternità in politica. La popolarità di Macron è rapidamente crollata e, nonostante una recente, piccola ripresa, è ora agli stessi livelli dell’imbelle socialista François Hollande dopo lo stesso periodo in carica. Un recente sondaggio dà a Macron una percentuale di approvazione del 31% (con una disapprovazione apparentemente simmetrica del 69%), mentre i Gilets-Jaunes hanno una percentuale di approvazione del 64%.

Alcuni dei Gilets-Jaunes si presenteranno come candidati alle elezioni parlamentari europee di quest’anno. Un sondaggio assegna loro già il 13% dei voti, abbastanza per entrare, e questo potrebbe voler dire che potrebbero consolidarsi in un partito politico come quello del M5S, potenzialmente persino disposto a collaborare con il Fronte Nazionale della Le Pen. Anche se il sistema elettorale della Francia, dove il vincitore prende tutto, ovviamente sfavorisce questi partiti di nicchia (i Gilets-Jaunes devono competere per il voto populista di sinistra e non ideologico con il partito France Insoumise, “La Francia Indomita,” di Jean-Luc Mélenchon).

A proposito, un rapporto mi dice che l’elezione di Marine nel 2022 è inevitabile. Io non sono così ottimista. Le Pen è progredita dal 17,9% al 21,3% dei voti nei primi turni delle elezioni presidenziali del 2012 e del 2017. Nel secondo turno in quelle del 2017, aveva ottenuto solo il 33,9%. C’è ancora molto da lavorare e non sono così sicuro che il rebranding della Le Pen potrà fare molta differenza. Ha una percentuale di disapprovazione, abbastanza consistente, del 66%. Il soffitto di vetro continua a rimanere solido.

La (im)popolarità di Marine Le Pen

 

Immagino che Marine potrebbe teoricamente sfondare, svendendosi ancora di più e presentandosi come un partito conservatore genericamente patriottico. Questo genere di inchini non è però il modo con cui Trump o Salvini hanno sfondato. Bisogna galvanizzare i propri sostenitori e terrorizzare l’establishment facendo le cose in grande, non giocando a fare i simpaticoni e rinnegando il proprio padre e l’ideale che aveva perseguito per tutta la vita.

Un presidente Le Pen, tra l’altro, potrebbe fare anche di peggio, viste le sue promesse economiche ancora più demotiche, essenzialmente volte a preservare l’economia e il sistema del welfare francese così com’è. Anche se il protezionismo mirato e il ritiro dall’euro (non più all’ordine del giorno) darebbero sicuramente ai politici degli strumenti in più per raggiungere questi obbiettivi, non penso che queste promesse siano realistiche.

Macron è impopolare. Ma, stranamente, nessuno è stato in grado di capitalizzare questo fatto. Laurent Wauquiez, l’attuale flaccido leader dei conservatori, ha una percentuale di approvazione del 16%.

Tassi di (dis)approvazione per i vari esponenti politici francesi. Fonte.

 

Continuo a pensare che, dato il sistema elettorale francese, lo sfidante naturale di Macron potrebbe essere uno pseudo-patriota in stile Sarkozy, che potrebbe combinare qualche slogan identitario alla competenza economica. Apparentemente, nessuno è all’altezza del compito. L’ultima volta, con mia grande sorpresa, il conservatore dall’aspetto competente, François Fillon, aveva avuto un risultato inferiore alle aspettatve, dopo essere stato messo fuori causa da uno scandalo per corruzione fatto convenientemente scoppiare al momento opportuno.

Macron ha tempo per riprendersi. Come spesso accade con i politici, avrà tutto il merito o la colpa di un ciclo economico che è in gran parte al di fuori del suo controllo. Mentre Nicolas Sarkozy e Hollande avevano sofferto per la crisi, Macron probabilmente continuerà a godere di una ripresa economica moderata, con una crescita modesta e un lento calo della disoccupazione. Certo, è perfettamente possibile che un improvviso shock economico possa mandare di nuovo in recessione il castello di carte eurocratico e, in tal caso, ci aspettano periodi ancora più interessanti.

Nella storia e nella politica, ci sono sempre state delle sorprese. L’élite globale è nervosa. E… ci sono dei segnali. Uno dei parlamentari di Macron ha recentemente ricordato, con un candore che non si vedeva nel nostro continente dai tempi del Reich: “L’Europa è il nostro DNA.

Guillaume Durocher

Fonte: unz.com
Link: https://www.unz.com/gdurocher/the-gilets-jaunes-or-the-contradictions-of-consumer-democracy/
29.01.2019
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org

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