Warren Mosler – MMT: la valuta come monopolio pubblico

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DICHIARAZIONE D’INTENTI

Questo documento nasce con lo scopo d’introdurre la Teoria della Moneta Moderna (MMT) presso la comunità accademica italiana e inizia con una breve storia della MMT, seguita da una descrizione degli aspetti peculiari della MMT e relative applicazioni.

INTRODUZIONE

Warren Mosler, conseguita la laurea in economia nel 1971, entrò nel settore finanziario nel 1973 come gestore portafoglio finanziamenti in una piccola cassa di risparmio. Nel 1976 egli divenne assistente vice presidente del reparto obbligazionario della Bankers Trust di New York, dove rimase fino al 1978 quando si recò a Chicago. Lì egli istituì la divisione titoli di Stato per conto di William Blair & Co. Nel 1982 egli partecipò alla fondazione di Income Investors, compagnia internazionale d’investimento specializzata in strategie nei mercati dei titoli a reddito fisso, e successivamente del broker istituzionale AVM.

Nel 1993 egli pubblicò Soft Currency Economics (tr. it. Economia della valuta fiat) con l’assistenza editoriale dei professori Mark McNary e Arthur Laffer. Tale saggio segnò il punto d’inizio della Mosler Economics. Nel 1996 la professoressa Pavlina Tcherneva, all’epoca studentessa, realizzò un paper per mostrare come Soft Currency Economics costituisse in realtà uno sviluppo dell’esistente scuola di pensiero post-keynesiana:

Nel suo testo Soft Currency Economics, [Warren Mosler] parte dalla sua esperienza come operatore dei mercati finanziari per arrivare all’analisi delle forze che costituiscono la base di un sistema monetario moderno. È interessante il fatto che questa analisi incorpori diversi postulati che possano considerarsi come estensioni logiche del pensiero monetario post-keynesiano. Considerando il fatto che prima di scrivere tale saggio egli non avesse avuto contatti con la scuola di pensiero post-keynesiana, è affascinante notare le similitudini di forte impatto tra aspetti fondamentali della sua analisi e la teoria monetaria post-keynesiana. In aggiunta, l’opera di Mosler riserva considerazioni profonde – legate a intuizioni di grande valore su aspetti del sistema monetario – le quali al momento non sono messe correttamente a fuoco dal mondo accademico, dalla classe politica, o dal pubblico più in generale.

[A Critical Review Of Soft Currency Economics, di Pavlina Tcherneva, pubblicato su Epicoalition.org il 12/08/1996]

A ogni modo, anziché essere integrati tra i post-keynesiani, sia Mosler sia Soft Currency Economics furono generalmente non bene accolti (dai post-keynesiani stessi) e spesso ignorati o apertamente respinti. Tra quei pochi che per primi riconobbero il valore di Soft Currency Economics ci furono i professori Bill Mitchell, Mathew Forstater, Randall Wray, Stephanie Kelton e Pavlina Tcherneva che, pochi anni dopo, quando la Mosler Economics fu resa popolare come Teoria della Moneta Moderna (MMT), vennero riconosciuti in qualità di docenti universitari MMT.

Nel 1998 il professor Alain Parguez, tra gli ideatori della Teoria del Circuito Monetario (detta anche Teoria circuitista o circuitismo), integrò in essa concetti MMT. In modo simile a quanto sopra descritto, ciò causo una scissione nella scuola di pensiero circuitista, dove molti dei membri esistenti si consideravano come post-keynesiani. E lo stesso professor Bill Mitchell, il quale aveva sviluppato autonomamente il concetto di riserva-cuscinetto stabilizzatrice di forza lavoro impiegata nel 1978, fu allo stesso modo quasi del tutto emarginato dalla comunità post-keynesiana australiana quando egli iniziò a inserire nel proprio modello gli elementi, inerenti le operazioni monetarie, specifici della MMT.

Alcuni anni fa il giornalista italiano d’inchiesta Paolo Barnard venne a conoscenza della MMT tramite internet. Per mezzo di ulteriori approfondimenti, Barnard pose in luce aspetti inerenti all’applicazione della MMT nel contesto dell’economia italiana e iniziò a divulgare la MMT ponendo al centro il perseguimento e il ripristino del pieno impiego e dell’interesse collettivo in Italia.

Nel mese di Febbraio 2012 si tenne a Rimini la prima conferenza MMT al mondo destinata a un vasto pubblico, con un afflusso di 2180 partecipanti ai due giorni dell’evento. In seguito Barnard scoprì Warren Mosler e il libro scritto da quest’ultimo nel 2010, intitolato Le sette innocenti frodi capitali della politica economica. Nel luglio del 2012 Mosler partecipò come ospite di Giovanni Zibordi (www.cobraf.com) a un seminario nel corso dell’IT Forum a Rimini in Italia. In tale occasione Mosler incontrò Barnard, il quale nei giorni successivi organizzò a Venezia una conferenza partecipata da oltre quattrocento persone. A questa seguirono ulteriori eventi a Rimini e Cagliari, con la presenza complessiva di circa millecinquecento persone. Nello stesso periodo si svilupparono autonomamente gruppi territoriali di attivisti MMT in numerose regioni d’Italia, impegnati a cercare d’invertire l’andamento dell’economia italiana sofferente a causa delle politiche di austerity richieste dalla Unione Europea. Nel giugno 2013 venne organizzato un tour con Paolo Barnard e Warren Mosler i quali effettuarono quattordici incontri in quattordici giorni, dalla Sicilia al Nord Italia, con presentazioni MMT rivolte agli attivisti e alla cittadinanza. In ogni appuntamento i partecipanti riempirono le sale, con fino a settecento partecipanti presenti a eventi dalla durata media di tre ore e realizzati con lo scopo di rendere possibile comprendere sia cosa stesse accadendo all’economia italiana, sia quali fossero le soluzioni da attuare conseguentemente. Negli anni successivi, Barnard divulgò concetti MMT come ospite di un programma televisivo nazionale trasmesso in prima serata. Attualmente esistono in Italia quattro associazioni nate per promuovere la MMT: Rete MMT, CSEPI (Centro Studi Economici per il Pieno Impiego), EPIC (Economia Per I Cittadini) e MMT Italia. Inoltre, presso la Franklin University di Lugano (Svizzera) è attivo il centro studi MECPOC (Mosler Economic Policy Center) diretto dal professor Andrea Terzi.

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Il Partenone è simbolo dell’antica democrazia ateniese e, per estensione, del concetto stesso di Stato. Ossia, in termini macroeconomici, del concetto di settore pubblico. La MMT considera la banca centrale quale ente incluso nel settore pubblico, così come in esso è incluso anche il Tesoro.

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LA VALUTA COME MONOPOLIO PUBBLICO

La MMT si caratterizza in quanto riconosce in modo inequivocabile che la valuta sia, di per sé stessa, un monopolio pubblico. Tale caratteristica è il fondamento a livello micro del funzionamento della valuta fiat (dal latino: creata dal nulla, ndt). La MMT sviluppa quindi le proprie articolazioni partendo da tale fondamentale consapevolezza. Queste includono, come passaggi logici, che l’oggetto del monopolio – in questo caso la valuta – sia, necessariamente, non “neutrale” ; che il monopolista sia colui che “stabilisce il prezzo” e non sia soggetto al prezzo stabilito da altri; che il monopolista abbia la capacità di stabilire il prezzo o la quantità; e che, punto critico per le finalità d’interesse collettivo, la disoccupazione sia necessariamente la prova che il monopolista della valuta stia riducendo l’offerta degli asset finanziari necessari per assolvere agli obblighi fiscali e soddisfare le esigenze di risparmio.

IL CONFRONTO FRA KEYNES E GLI ECONOMISTI NEOCLASSICI

Gli economisti neoclassici affermavano che, in assenza di posizioni di monopolio, i mercati avrebbero raggiunto l’equilibrio e non ci sarebbe stata disoccupazione di massa. Ciò significava che fosse solo un monopolista, come per esempio un’associazione sindacale, a causare disoccupazione e generalizzato eccesso di capacità produttiva. Keynes, sull’altro versante, sosteneva che anche in assenza di situazioni di monopolio ci sarebbe potuta essere disoccupazione di massa persistente, e trattò quindi le caratteristiche del sistema monetario causa di questo scenario. Questa situazione d’impasse, che mai è stata superata nel dibattito accademico per oltre ottant’anni, è sufficiente come prova del fatto che né una posizione né l’altra avesse riconosciuto che fosse proprio la valuta il monopolio in questione.

La MMT mette in luce come entrambe le posizioni siano corrette. I neoclassici erano nel giusto quando sostenevano che fosse un monopolio a causare la disoccupazione. E Keynes era nel giusto quando affermava che fossero le caratteristiche del sistema monetario come da lui descritto a causare la disoccupazione. E la ragione del persistente disaccordo consiste semplicemente nel fatto che nessuna delle due posizioni avesse specificatamente compreso come sia la valuta in sé il monopolio, causante la disoccupazione, oggetto della discussione.

La MMT si caratterizza così per la sua esplicita consapevolezza che la valuta sia di per se stessa un monopolio, e che la disoccupazione sia la prova che il monopolista della valuta stia applicando restrizioni sull’offerta. Più precisamente, la disoccupazione (come da definizione) è la prova che il monopolista della valuta stia riducendo l’offerta di asset finanziari netti denominati in quella valuta. È solo la spesa (o l’erogazione di prestiti) da parte del settore pubblico ad aggiungere all’economia gli asset finanziari netti necessari per il pagamento dei tributi, ed è il pagamento (dei tributi) al settore pubblico a rimuovere dall’economia questi asset finanziari netti.

LA VALUTA COME CREDITO FISCALE

La MMT riconosce che, con una valuta fiat, i fondi spesi dal settore pubblico siano meglio descrivibili come crediti fiscali. In altre parole, i fondi che sono spesi dal settore pubblico e che non vengono immediatamente usati per assolvere gli obblighi fiscali rimangono nell’economia come “risparmi finanziari” finché non saranno usati per pagare i tributi in un momento futuro. In aggiunta, questi crediti fiscali circolanti costituiscono il cosiddetto “debito pubblico”.

LA DISOCCUPAZIONE È CAUSATA, DI PROPOSITO, PER MEZZO DELLA TASSAZIONE

La disoccupazione è definita come “persone prive d’impiego in cerca di un lavoro retribuito”. Ed è la tassazione a operare in modo tale da far sì che le persone si mettano alla ricerca di un lavoro retribuito, presumibilmente per soddisfare la volontà del settore pubblico di accaparrarsi forza lavoro e risorse. Si tratta di un volere che il settore pubblico persegue spendendo una valuta altrimenti priva di valore, con la quale assume coloro che sono stati resi disoccupati a causa della necessità di approvvigionarsi di questa stessa valuta. Inoltre, come trattato in precedenza, il reddito non utilizzato per assolvere agli obblighi fiscali resta disponibile come risparmio finanziario. Pertanto si può affermare che la disoccupazione sia necessariamente la prova del fatto che la spesa pubblica sia insufficiente a soddisfare insieme il desiderio di risparmiare e l’esigenza di assolvere agli obblighi fiscali. Di conseguenza, un intervento di natura fiscale costituisce sempre un rimedio immediato alla disoccupazione. Ossia, il settore pubblico può sempre porre in essere una qualche soluzione combinata tra l’assumere le persone in cerca di lavoro retribuito e il ridurre gli obblighi fiscali generanti la disoccupazione.

 

EMETTERE VALUTA PERMETTE AL SETTORE PUBBLICO DI SPENDERE SENZA ESSERE OPERATIVAMENTE VINCOLATO AL PRELIEVO FISCALE

La MMT riconosce inoltre che, quando il settore pubblico impone obblighi fiscali e spende i propri crediti fiscali, dal punto di vista operativo le sue entrate fiscali non costituiscano un limite di spesa. Di fatto, come rivelano le operazioni della banca centrale, in primis il settore pubblico necessariamente spende (o eroga prestiti) e solo in una seconda fase esso riscuote i tributi o prende dei fondi in prestito. I crediti fiscali circolanti (accreditati ma non ancora esercitati in funzione di pagamento degli obblighi fiscali) nella maggior parte dei Paesi esistono, funzionalmente, come passività della banca centrale sotto forma sia di saldi liquidi, sia di saldi a credito, in conto presso la banca centrale.

Queste voci di bilancio sono comunemente chiamate conti di riserva e conti di risparmio. Di conseguenza, l’espressione “ripagare il debito” si riferisce semplicemente a operazioni di addebito sui conti di risparmio e a operazioni di accredito sui conti di riserva, il tutto sui libri contabili della banca centrale. Da ciò discende che ogni limite di spesa sia necessariamente autoimposto e potenzialmente soggetto a immediata revoca da parte del settore pubblico, il quale è responsabile dei pagamenti. Di solito questi vincoli includono limiti agli stanziamenti di spesa, tetti al debito pubblico e restrizioni sulle operazioni consentite fra Tesoro e banca centrale.

Forte di questa fondamentale comprensione delle operazioni monetarie, la MMT pone fine a preoccupazioni comuni in materia finanziaria le quali includono convinzioni come che il settore pubblico possa “restare senza soldi”; che il settore pubblico dipenda dai prestiti denominati nella sua stessa valuta per essere in grado di spendere; che il settore pubblico affronti vincoli di solvibilità e non sia in grado di onorare pagamenti futuri; e che il debito pubblico (il quale, come già ricordato, equivale ai crediti fiscali circolanti esercitabili per assolvere agli obblighi fiscali) sia un onere finanziario nei confronti delle generazioni future.

I PREZZI IN REGIME DI MONOPOLIO 

I monopolisti determinano due prezzi. Stabiliscono il prezzo delle transazioni del bene (oggetto di monopolio) rispetto a sé stesso, prezzo che è chiamato “tasso proprietario”, e stabiliscono il prezzo del bene rispetto allo scambio con altri beni e servizi. I termini di scambio, determinati dal monopolista per il bene oggetto di monopolio rispetto ad altri beni e servizi, sono noti come “livello dei prezzi”.

Nel caso di un monopolista della valuta, il “tasso proprietario” consiste nel tasso d’interesse stabilito da tale monopolista in rifermento alla propria valuta. Dal punto di vista più strettamente operativo, ciò significa che solitamente il tasso d’interesse venga determinato dalla banca centrale, la quale è parte del settore pubblico, spesso per mezzo del voto di un comitato. Tale livello del tasso d’interesse viene quindi reso effettivo attraverso il sistema bancario, con la banca centrale a determinare i costi di finanziamento per gli istituti bancari membri. Come fornitrice monopolista di saldi netti di compensazione per il sistema bancario, la banca centrale può pagare un interesse sui saldi di compensazione in eccedenza (altrimenti detti riserve, le quali vengono accreditate sui conti di riserva detenuti dalle banche presso la banca centrale) o, in alternativa, operare in modo da causare una carenza dei fondi utilizzati per la compensazione interbancaria e quindi, direttamente o indirettamente, agire sulla politica dei tassi mediante l’interesse richiesto al sistema bancario per i finanziamenti di cui tale sistema necessita.

A prescindere dal fatto che il settore pubblico abbia contezza di ciò oppure non, il livello dei prezzi è necessariamente funzione dei prezzi pagati dal settore pubblico stesso quando esso spende e/o dei collaterali richiesti quando esso eroga prestiti. Ancora una volta, i fondi necessari per assolvere agli obblighi fiscali provengono solo dalla spesa pubblica o dalla erogazione di prestiti da parte del settore pubblico. Ciò significa che, da parte del sistema economico, vi sia una necessità affinché il settore pubblico renda disponibili le risorse finanziarie utili al fine di evitare le sanzioni per il mancato pagamento dei tributi, ed è questo requisito a collocare il settore pubblico in posizione tale da poter dettare le condizioni dei termini di scambio.

In un’economia di mercato, come passaggio logico, il settore pubblico ha necessità di stabilire solamente un prezzo, comunemente conosciuto come “prezzo àncora” o riserva-cuscinetto”, con tutti gli altri prezzi che divengono espressione di valori relativi. Ad esempio in passato avveniva che la maggior parte degli Stati stabilissero, quale loro “prezzo àncora”, il prezzo dell’oro lasciando di conseguenza che tutti gli altri prezzi si adeguassero (si noti che questa politica fu universalmente abbandonata nel momento in cui essa fallì nel rendere possibile il perseguimento dell’interesse collettivo). Attualmente, per la maggior parte dei Paesi, il “prezzo àncora”  è il disoccupato. La conclusione MMT è che una politica che preveda una riserva-cuscinetto di occupati istituisca un “prezzo àncora” molto migliore di una riserva-cuscinetto di disoccupati, con esternalità positive ben superiori, relativamente al perseguimento delle finalità di collettivo interesse.

 

PRINCÌPI FONDAMENTALI DI SCAMBIO

La MMT riconosce che il lavoro sia un costo reale e un fattore di produzione, e non un vantaggio economico come comunemente si ritiene. Allo stesso modo, le esportazioni sono costi economici reali e le importazioni sono benefici economici reali. Di conseguenza, si persegue più efficacemente l’interesse collettivo ottimizzando i termini reali di scambio commerciale con politiche che promuovano quante più importazioni sia possibile ottenere per un dato livello di esportazioni.

 

CONCLUSIONI

La MMT presume che realizzare, sviluppare e mantenere le infrastrutture pubbliche nell’interesse collettivo siano funzioni da svolgere da parte del settore pubblico e, inoltre, che la valuta sia uno strumento del settore pubblico utilizzabile per il perseguimento dell’interesse collettivo. Coerentemente, ciò che la MMT offre sono proposte fiscali e monetarie utili non solo per sostenere le possibilità d’impiego a favore di chiunque sia abile – e disponibile – al lavoro ma anche per ottimizzare i termini reali di scambio commerciale, il tutto in favore della reale qualità della vita umana.

Warren Mosler

Warren Mosler, economista statunitense, più volte invitato dalle Università di Bergamo e di Trento in qualità di Visiting Professor. Fondatore del Centro per il Pieno Impiego e la Stabilità dei Prezzi presso l’Università del Missouri-Kansas City (Missouri, USA). Insieme al professor Bill Mitchell è ideatore della Teoria della Moneta Moderna, o Modern Money Theory (MMT), scuola economica d’impronta post-keynesiana.

Fonte: Rete MMT

Edizione originale in lingua inglese: Università degli Studi di Bergamo, Dipartimento di Scienze Aziendali, Economiche e Metodi Quantitativi

 

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