DI CARLO BERTANI
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Sono veramente alla frutta, non sanno più come rinverdire la grande campagna mediatica per “l’invasione” dei migranti i quali, purtroppo, latitano. Una volta capito che non si può più sbarcare in Italia come e quando si vuole per poi, con tutto comodo, andarsene dai parenti in Germania, valutano altre possibilità e, i trafficanti di carne umana, pure. Perché in Germania s’andava a lavorare in fabbrica, in Italia sotto il sole a raccogliere pomodori.
A questo punto, c’è chi decide di farla fuori dal vaso, ed invoca un muro di 346 km per dividere l’Italia dalla Slovenia: sì, avete capito bene, un muro: i cementieri italiani esultano, si torna a scavare!
Mi chiedo se il presidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Fedriga, abbia ancora il cervello, sia stato a passeggiare in Carso, abbia visitato Slovenia e Croazia, sappia qualcosa di Geografia.
Quel numero – 346 – immagino sia il confine terrestre con la Slovenia, ossia dal passo di Tarvisio al confine, sul mare, di Muggia, presso Trieste: bisognerebbe, fra l’altro, tagliare in due Gorizia con un bel muro, che passerebbe proprio nella piazza centrale di Gorizia/Nova Gorica. E sistemare muri e fili spinati in mezzo a foreste immense, con ampi contingenti destinati alla sorveglianza altrimenti, il giorno dopo, con una pinza tagliafili, saremmo da capo. Oppure, il Gauleiter delle Giulie, immagina confini altamente informatizzati – come quelli israeliani – con bionde soldatesse, in bunker con aria condizionata, che sparano premendo il tasto del mouse?
Un confine – si noti bene – fra due stati appartenenti all’Unione Europea! Vogliamo raccontare a Fedriga perché la sua idea è una boiata pazzesca?
Perché, anzitutto, non esiste una pressione demografica sul confine orientale: ci sono almeno due nazioni sovrane da attraversare prima di giungere all’Italia! In Bosnia, ci sono modesti ammassamenti di profughi o migranti che provengono, per lo più, da zone del Medio Oriente: siriani, iracheni, curdi, ecc, tutti frutti caduti dall’albero dopo le guerre americane, meglio non scordarlo. Glieli rimandiamo a New York? Come no…devono ancora rispondere dei morti del Cermis…
Ma, la Bosnia, non fa parte dell’UE e non ne farà parte ancora per tanto tempo, sempre che non preferisca il canto delle sirene di Erdogan, dato che fino al 1876 fu proprietà turca e, il Paese balcanico, non mostra di voler venir meno alle sue tradizioni ancestrali. Ma, anche qui, è solo il frutto delle guerre dell’Occidente mentre, nella Jugoslavia unita, queste tensioni non c’erano: a Mostar, addirittura, Tito aveva installato l’industria aeronautica jugoslava.
Da dove viene, allora, la “pressione demografica” sul confine giuliano?
I cinesi.
Da dove vengono i cinesi? Presenza silente in Italia, gente educata che è qui per un solo motivo: far soldi.
I cinesi giungono all’aeroporto internazionale di Pola e, da lì, in autobus, si recano sul confine giuliano, nelle zone impervie del Carso: una passeggiata notturna nei boschi e, dall’altra parte, altri autobus che prendono subito la via dell’autostrada Trieste-Venezia.
Quando scrissi “Ladri di organi” fui fortunato: un funzionario di polizia di Trieste – del quale non seppi mai il nome – m’informò del traffico, stimando il flusso annuo in circa 25.000 persone, lo stesso che viene stimato oggi.
Dietro a questo traffico ci sono organizzazioni potenti – forse la “Jakuza” giapponese, la “Triade” cinese, altre… – ed il traffico gode di una riservatezza a prova di “gole profonde”, giacché sono formazioni fra le più cruente del Pianeta.
Ma, in fin dei conti, il problema è politico: simile, per molti versi, al caso Regeni.
Salvini, sull’immigrazione, ebbe a dire “non voglio vederli arrivare sulle barche, voglio che arrivino in aereo”. Accontentato.
Come per il caso Regeni, non sapremo mai nulla perché c’è una sorta di tela di Penelope, durante la quale i “servizi” dell’ENI smontano, di notte, ciò che la diplomazia italiana fa di giorno – siamo troppo impelagati per questioni energetiche con l’Egitto – così la “questione cinese” s’incrocia con i mille affari che ci sono fra Italia e Cina, e non solo per le importazioni: l’Ansaldo, ad esempio, lavora molto per la Cina, dove le sue turbine sono molto richieste ed apprezzate. Così molte aziende italiane nel settore del macchinario industriale, nelle macchine di processo, nell’automazione industriale, ecc.
In altre parole, non si possono mettere sullo stesso piano il Mali e la Cina: eppure, anche i cinesi sono extracomunitari, soltanto che godono dello strabismo italiano nei confronti del confine giuliano.
Paradossale, e curiosa, la vicenda del povero Regeni e di Fedriga: entrambi friulani, entrambi costretti a confrontarsi con realtà più grandi di loro. Vogliamo organizzare un incontro fra Fedriga e Xi Jinping? Non lo consiglierei, giacché l’alfiere friulano finirebbe per diventare una caccola, che il presidente cinese scaccerebbe con un gesto di sufficienza.
Così, la “caccia al migrante”, che appassiona in questa calura gli italiani con un tifo da stadio – ed è necessaria per mantenere viva la politica-Lambrusco su Twitter – deve forzatamente riconoscere che esistono migranti di serie A e di serie Z: i “numeri” dell’immigrazione cinese non compaiono nemmeno nelle statistiche. Li vediamo solo materializzarsi nella ragazzina-cameriera, che ci chiede – in italiano stentato – di ordinare il menu facendo crocette sul foglio.
Mentre, all’opposto, la Cina ci chiede sempre più garanzie per le strutture portuali che dovranno garantire l’interscambio commerciale: “Fale in fletta a finile ponte Genova, altrimenti noi tolnale a sbalcale a Lotteldam!”
Capito mi hai, Fedriga? Dai, che fra poco in Carso compariranno le “frasche” per indicare dove i “carsolini” devono svuotare le botti del “Teràn”, rosso e bianco. Si mangia e si beve bene: non pensare a muri e reticolati, che tanto nessuno ti darà retta.
Carlo Bertani
Fonte: http://carlobertani.blogspot.com
Link: http://carlobertani.blogspot.com/2019/07/non-sanno-piu-cosa-inventarsi.html
1.07.2019