UDN, Comedonchisciotte.org
PREMESSA
Immaginiamo che tutte le persone brune e le persone bionde si mettano d’accordo per far promulgare una legge che impedisca a tutte le persone con i capelli rossi di accedere alle scuole e ai posti di lavoro. Di entrare nei ristoranti, negli alberghi, nelle palestre, negli esercizi commerciali.
Da un giorno all’altro i cittadini dai bellissimi capelli rossi, comprendono di essere “i rossi”. Prima non faceva differenza, ora sono un po’ meno cittadini degli altri.
In uno scenario distopico del genere, siamo tutti d’accordo che lo scandalo sarebbe tale per cui non ci passerebbe per la mente di chiedere un referendum: la legge è illegittima, senza se e senza ma.
Eppure immaginiamo che qualcuno ci convinca a combattere l’ingiusto decreto (nel frattempo diventato legge grazie al voto unanime del Parlamento) attraverso un referendum abrogativo.
Nel caso in cui si riuscisse a raccogliere le firme necessarie (nel giro di lunghi mesi durante i quali i rossi continuerebbero a non lavorare e a non accedere ad esercizi commerciali e a servizi pubblici), dopo aver aspettato il lungo iter che porta il referendum nelle cabine di voto (altri lunghi mesi), ci sarebbe anche la possibilità che i bruni e i biondi d’Italia, spinti da un clero giornalistico abile nel fare leva sui loro più bassi istinti (chiamando ciò “fare informazione”), votino in massa per respingere il referendum e confermare la legge.
I giornali pubblicano notizie di fantomatici rossi che preparano armi e materiali idonei a commettere ogni sorta di violenza.
Pseudo artisti (che hanno ricevuto vantaggi diretti e indiretti dal mondo dei biondo/bruni) pubblicano sui loro canali che i rossi li hanno minacciati di morte.
Il capo della Chiesa, davanti ad una piazza commossa di biondo/bruni, invita alla responsabilità: è tempo di unire il mondo cattolico diviso dai rossi.
I programmi televisivi che danno voce ai pareri contrari alla legge vengono accusati di essere pro rossi, eversivi, e pertanto vengono tolti dai palinsesti. Davanti alla sicurezza non c’è tempo per la libertà di espressione. Tale lusso va bene in tempi in cui le espressioni contrarie sono parimenti futili o nell’orizzonte del capitale.
In breve, il referendum abrogativo non passa.
A questo punto la legge sarebbe ormai conclamata, con il gaudio di giornalisti e politici (tutti veri o finti biondo/bruni) che invocano alla grandezza della democrazia: “L’Italia si è espressa”, nonostante le violenze dei rossi, che minacciano i giornalisti (orrore!) e distruggono i gazebo dei politici dabbene i quali, in maniera moderata, esprimono solamente il loro diritto di opinione.
Perchè se il pensiero è “giusto” (conforme alla decisione scientifica dei biondo/bruni) è opinione (e quindi meritevole del diritto ad esprimersi).
Se è “errato” (o anche non scientifico, come amano chiosare i biondo/bruni) è violenza (non meritevole di manifestazione, per questioni di sicurezza).
“La democrazia, come sempre, ha vinto”, sospira sollevato un politico anonimo, di un partito qualunque (avevano tutti votato la legge contro i rossi).
La democrazia vince sempre se, mansueta, vota le leggi del padrone.
IL PERICOLO REFERENDUM
Il referendum è insidioso.
Ritengo che, quando una norma sia disumana e incostituzionale, lo strumento referendario non sia solo potenzialmente un boomerang: è proprio inidoneo.
Il referendum può andare bene se si contesta il merito di una legge o se si cerca di ottenere un cambiamento legislativo, nel senso di una rinnovata sensibilità sociale.
Pensiamo ai precedenti storici: referendum sul divorzio, referendum per l’abolizione dell’ergastolo, l’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, per citarne alcuni.
Ovviamente ognuno avrà le proprie legittime opinioni su questi temi, in ogni caso si tratta di situazioni che, a prescindere dal risultato raggiunto, rimangono legittime. Si può essere d’accordo o meno sul finanziamento pubblico ai partiti, in ogni caso, qualunque sia il risultato, esso non si traduce in una diretta lesione alle libertà fondamentali dei cittadini.
In questi casi può avere un senso sondare l’opinione del paese, per accertare una mutata sensibilità a livello collettivo.
Tuttavia, nel caso che abbiamo davanti c’è molto di più in ballo: il diritto di molti cittadini al lavoro, alla propria dignità, all’istruzione… e già c’è chi invoca la revoca del diritto ai servizi sanitari.
La legge non può essere accettata neanche se il 90% del paese si dimostrasse a suo favore.
Non può essere fatta passare la narrazione secondo cui la questione fondamentale, rispetto al “lasciapassare verde”, sia la conta di chi è d’accordo e chi è contrario. Se una legge è ingiusta e incostituzionale va respinta. Punto.
Inoltre, in caso il referendum non passasse, dovremmo democraticamente accettare tale esito, altrimenti sarebbe molto facile strumentalizzare i “no green pass” (che è quasi un sinonimo di “no vax”) come una frangia di estremisti che non rispetta il volere della maggioranza del paese.
Che la direzione del referendum sia ben vista dal potere lo dimostra il fatto che mentre Giordano è stato richiamato dai vertici Mediaset, con minacce di sospensione del programma annesse, per aver tenuto posizioni vicine ai “no vax” (sigla che incorpora qualunque posizione non allineata), Lilli Gruber ha intervistato in prima serata una dei promotori del referendum. Il tutto senza alcuna contestazione o biasimo.
Anzi, il generale Figliuolo, membro di spicco del comitato eversivo, si è subito schierato a favore dell’iniziativa (dichiarandosi fan della costituzione e della democrazia).
E’ chiaro che il sistema si sfrega le mani davanti alla possibilità di una legittimazione plebiscitaria, che darebbe la spalla per ulteriori e più profonde restrizioni di libertà, sull’onda di una possibile approvazione popolare (dal momento che tra l’altro la maggioranza del paese con età per votare ha già il green pass).
Va infine ricordato che questa restrizione delle libertà fondamentali, non si fonda su presunte necessità sanitarie (che comunque non potrebbero giustificarla). Il “lasciapassare verde”, per esplicita ammissione di coloro che l’hanno messo in essere, non serve per ragioni sanitarie (contrastare la pandemia), ma solo come incentivo alla vaccinazione.
Poichè il governo non si vuole assumere l’onere di obbligare a tale trattamento sanitario, visti i rischi connessi ( utilizzo di farmaci al momento ancora sperimentali di cui non si conoscono gli effetti) e le nullità che ne deriverebbero in termini di sollevazione di responsabilità (la firma del famoso consenso informato), dispone un obbligo indiretto per svincolarsi da responsabilità giuridiche, ma ottenere un effetto analogo all’obbligo.
Allora dobbiamo dire: NO!
E questo non è un parere che può essere esposto alle possibili manipolazioni referendarie.
L’eversione dell’ordine democratico non può passare dalle insidie del referendum (in una lotta impari contro la struttura che domina i media e l’informazione).
DELLA NECESSITÀ’ DI UNO SCIOPERO GENERALE
Dovremmo allora accettarlo supinamente?
Assolutamente no.
Ritengo che il modo più efficace per combattere il Green Pass (che ora viene esteso a tutti i lavoratori con il benestare dei cosiddetti “sindacati”) sia con le loro stesse armi.
Vogliono impedire a chi non ha la tessera del partito tecnofascista di lavorare? Bene, allora che non lavori nessuno.
Io sono dell’idea che uno sciopero generale a tempo indefinito, possa, se molto partecipato, bloccare il paese e in questo modo essere molto più efficace, nella lotta a questa misura liberticida, rispetto a mesi di campagna referendaria.
Lo Sciopero esteso impedirebbe anche a chi ha “la tessera di partito” di lavorare, di accedere alle scuole e alle università.
Bisognerebbe impedire alle fabbriche di aprire, ai mezzi di circolare, ai treni di partire… non bloccando le stazioni (dando così l’assist per accuse di interruzione di pubblico servizio e facili manganellate democratiche), ma attraverso la mancanza di personale di servizio.
Sarebbe bello che anche le forze dell’ordine e la magistratura aderissero allo sciopero.
E si dovrebbe impedire anche ai parlamentari di esercitare la loro professione: visto che la politica è diventata un lavoro, il green pass dovrebbe essere chiesto anche a loro per entrare in Parlamento (ma, ahimè si sa, la politica non è così garantista con se stessa).
Invece di andare a lavorare ci si potrebbe incontrare nelle piazze, sotto i palazzi del potere, e dare vita ad un nuovo capitolo della vita comunitaria: un festival della libertà permanente, con cultura, musica, arte. In una parola vita in comune.
L’opposto di un lockdown, un “openup”, per usare la nuova lingua senza confini del tecnofascismo.
Allora cominciamo ad organizzarci per uno sciopero generale. Uno sciopero ben riuscito può avere molto più effetto di un referendum (che non ha altro risultato che spostare indefinitamente avanti la discussione sul merito della misura legislativa, a tutto beneficio del Partito Unico).
Inoltre lo sciopero generale, come strumento di lotta, va contro le tendenze che da anni vengono sospinte dal regno dei social network.
Siamo sempre più abituati al fatto che la nostra vita, anche quella sociale venga parcellizzata e vissuta individualmente. Anche la socialità, online, viene in realtà vissuta in modo individuale, con finestre di dialogo, chat e anonimi interlocutori.
Ci hanno convinti che sia possibile cambiare il mondo a colpi di “like”, comodi dal salotto di casa. Così in piazza non ci va più nessuno.
Allora la cabina di voto diviene un altro luogo in cui la lotta procede in forma solitaria ed anonima.
In cui la pancia può riservare brutti scherzi, come ai tempi in cui tutti insultavano Berlusconi e poi lui vinceva le elezioni.
E allora non possiamo accettare che ci venga data sempre e soltanto la possibilità della lotta solitaria, a colpi di matita.
Gli assembramenti, no, le cabine elettorali presidiate dalle forze dell’ordine, si.
E’ tempo che la lotta torni sociale, torni nelle strade, che torni a dare vita a prassi comunitarie.
Questo è anche, secondo me, il senso di uno sciopero.
LO SCOPO
L’aspetto positivo di questa grave crisi democratica è che ha portato allo scoperto le parti in lotta: chi è dalla parte del popolo (una parte del popolo stesso), e chi è contro di esso (tutti i media mainstream, quasi tutto l’arco parlamentare, quasi l’intero mondo accademico e buona parte della magistratura).
Questo in una prospettiva di medio lungo termine semplifica la battaglia perchè per lo meno “il nemico” ha un volto. Ora ha un nome e un cognome.
Si intende che si sta qui parlando di una battaglia democratica (lo specifichiamo per gli amici dell’”enforcement” sempre molto attenti a presidiare il territorio online).
In ogni caso è più facile determinare il piano strategico di una battaglia ideologica quando si ha un’idea chiara delle parti in campo.
Per questo lo sciopero generale non dovrebbe avere come fine ultimo unicamente la rimozione del “lasciapassare verde”.
Non possiamo accontentarci di una piccola vittoria di posizione, lasciando il nemico in cima alla collina a dominare il campo di battaglia e il suo orizzonte.
Lo sciopero dovrebbe continuare fino alla rimozione del governo e alla nomina di un governo di transizione, portato avanti dalla rappresentanza dell’organizzazione dello Sciopero. Una sorta di Stati Generali della Resistenza.
Questo nuovo governo dovrebbe traghettare il paese a nuove elezioni da indire al più presto (il semestre bianco termina a febbraio).
Il tutto prendendo le misure necessarie a far sì che chi ha cospirato contro lo Stato non abbia un più un ruolo politico e men che meno il ruolo di Presidente della Repubblica (ogni riferimento non è casuale).
Ovviamente i media che hanno cospirato non dovrebbero più ricevere finanziamenti e lo stesso dicasi per vitalizi e pensioni politiche.
E’ in atto una eversione dell’ordine democratico, pertanto chi l’ha ordita e chi ne è complice sta perpetuando un reato penale (che andrà accertato).
L’ORGANIZZAZIONE
Poiché i sindacati sono morti (cioè si sono apertamente schierati col padrone, perdendo quindi ogni velleità di lotta e ragione di esistere), dobbiamo trovare altri modi di coordinarci.
Sono del parere che Comedonchisciotte, possa essere una buona piattaforma di coordinamento.
Da anni si schiera contro la narrazione dominante, decine di migliaia di utenti frequentano le sue pagine ogni giorno: è più credibile e affidabile dei numerosi gruppi che sorgono ogni giorno su telegram o facebook.
In questa fase dobbiamo stare attenti ai cavalli di Troia ed alle manipolazioni.
Ogni giorno infatti, nascono nuovi gruppi telegram che invitano a partecipare diversi tipi di manifestazioni.
Eppure spesso è difficile capire da chi sono manovrati, chi sta effettivamente dietro a queste iniziative.
Molte, la maggior parte credo, sono in assoluta buonafede. Tuttavia hanno il difetto di essere manifestazioni estemporanee di rabbia e indignazione.
Comedonchisciotte, invece, è un gruppo consolidato da anni, i cui intenti sono cristallini e passati dalla dura prova del tempo.
Inoltre utilizzare come piattaforma un sito di informazione ed elaborazione concettuale, ha un altro aspetto positivo.
Mette al centro quella che è una delle condizioni fondamentali perché il sasso possa diventare una valanga: lo sviluppo di una coscienza di classe.
La teoria senza la prassi è sterile. Ma la prassi senza la teoria è un fuoco di paglia.
Mentre si elaborano e si sperimentano nuove forme di lotta, antagonismo e comunitarismo, non si deve perdere di vista l’importanza dell’elaborazione concettuale, dell’analisi dei nostri tempi e dell’elaborazione di una teoria rivoluzionaria (seppur dai risvolti pratici).
Per questo credo sia importante convergere su una piattaforma di questo genere.
Questa piattaforma potrebbe essere coordinata a livello centrale da una sua rappresentanza (un gruppo con funzioni apposite creato ad hoc, ad esempio) con il contributo delle rappresentanze di organizzazioni simili. Comedonchisciotte potrebbe creare una pagina dedicata (io proporrei il nome Stati Generali della Resistenza) in cui rendere disponibili materiali divulgativi, manifesti, grafiche e dare informazioni circa le iniziative territoriali.
A livello locale si possono creare divisioni particolari che, tramite canali telegram, organizzino lo sciopero e attività correlate sul territorio.
Il gruppo centrale dovrebbe solo far da coordinamento delle varie iniziative e dare alle varie forme di lotta una coerenza ideologica e strategica.
Esso dovrebbe inoltre supervisionare e garantire la coerenza dei gruppi locali, lo svolgersi delle azioni concordate in forma non violenta (controllare eventuali solite infiltrazioni manipolatorie).
Quindi l’organizzazione potrebbe assumere questa struttura:
- una Comitato Centrale con funzioni di coordinamento (Stati Generali della resistenza);
- sezioni regionali con compito di organizzare il presidio permanente davanti a ciascuna regione di competenza (SGR – sezione “regione”)
- cellule comunali con il compito di organizzare l’attività sul territorio a livello comunale (SGR – cellula “comune”)
CONCLUSIONI PROVVISORIE
Chiudo questo appello con la speranza che esso trovi seguito e prenda vita nella costituzione degli Stati Generali della Resistenza, che tramite la piattaforma di Comedonchisciotte e tramite i suoi canali, cominci da questo momento, insieme con tutte le forze ed i movimenti che ne condividono gli orizzonti, ad organizzare uno Sciopero Generale e una democratica Rivoluzione.
E che la gravità del momento sia uno stimolo sufficiente per superare partitismi, personalismi e protagonismi che tristemente hanno minato, in questi ultimi anni, la possibilità di organizzare un fronte comune di resistenza.
Questa potrebbe essere, per molto tempo, l’ultima possibilità di farlo.
Per questo: “lavoratori di tutto il paese, unitevi!”
UDN, Comedonchisciotte.org