Di Thierry Meyssan
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La narrazione della guerra in Ucraina è ingannevole. Dietro l’apparente unità della Nato e il suo fittizio consolidamento grazie alle nuove adesioni, alcuni protagonisti della partita si affaccendano per salvare capra e cavoli. Tutti coloro che non si lasciano accecare dalla propaganda sanno che il proprio campo sta per perdere la guerra e già pianifica altri nemici da combattere su altri campi di battaglia. Washington fa buon viso a cattivo gioco e si serve della pressione russa per rinserrare i ranghi.
Sul proscenio la Nato afferma che la «follia di Putin» l’ha rafforzata; che l’Ucraina, possentemente armata dagli Occidentali, contrattacca e sta respingendo «l’invasore»; che sul piano internazionale si vedono i danni delle sanzioni; che Finlandia e Svezia si sentono minacciate, perciò chiedono di aderire all’Alleanza Atlantica; che presto i russi rovesceranno il «dittatore» del Cremlino.
Una narrazione magnificente, ma contraddetta da fatti: solo un terzo circa delle armi occidentali arriva al fronte. L’esercito ucraino è sfinito; indietreggia quasi ovunque e qualche prodezza non modifica il quadro generale. I due terzi delle armi occidentali, in particolare le più pesanti, sono già disponibili sul mercato nero dei Balcani, in particolare in Kosovo e Albania, attualmente le più importanti piazze del traffico d’armi. Le sanzioni occidentali fanno temere carestie, ma non in Russia, bensì nel resto del mondo, soprattutto in Africa. Turchia e Croazia si oppongono all’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato. Si potrebbe indurle a cambiare idea, ma a prezzo di svolte politiche radicali cui gli Occidentali si sono sempre opposti.
Anche se la Russia avrà il buonsenso di non celebrare troppo rumorosamente la vittoria, come seppe fare in Siria, la sconfitta in Ucraina non potrà che essere giudicata come lo scacco della più grande forza militare della storia, la Nato. Una vittoria senza appello, visto che l’Alleanza Atlantica è fisicamente coinvolta nel confitto, a differenza del conflitto siriano, ove si è tenuta ai margini dei campi di battaglia. Molti Stati vassalli di Washington cercheranno di affrancarsi. È probabile che i loro dirigenti civili continuino a essere mentalmente rivolti all’Occidente, ma i loro capi militari saranno rapidi a volgersi verso Mosca e Beijing. Nei prossimi anni ci sarà un rimescolamento delle carte. Non si tratterà di passare dall’allineamento a Washington all’allineamento ai nuovi vincitori, ma di creare un mondo multipolare, dove ogni Paese risponderà per se stesso. In gioco non c’è la ridefinizione delle zone d’influenza, ma il superamento della mentalità che fissa una gerarchia tra i popoli.
Da questa prospettiva è affascinante osservare la retorica occidentale. Una grande quantità di esperti del vecchio mondo spiega che lo scopo della Russia è ricostituire il proprio impero. La Russia infatti, assicurano questi specialisti, ha già riconquistato Ossezia e Crimea e ora attacca il Donbass. Propinano una nuova versione della Storia, sostenuta da citazioni falsificate del presidente Putin. Chi studia la Russia contemporanea e verifica i dati sa che mentono. L’adesione della Crimea alla Russia e le adesioni a venire di Ossezia, Donbass e Transnistria non servono a ricostituire un impero, ma a ricostituire la nazione russa, smembrata dopo il crollo dell’Unione Sovietica.
In questa situazione, una piccola parte di dirigenti occidentali comincia a contestare le scelte del sovrano statunitense. È quanto accadde anche alla fine del mandato del presidente francese Nicolas Sarkozy che, di fronte al disastro umano che aveva contribuito a provocare in Libia e al fallimento in Siria, aveva accettato di negoziare una pace separata con Damasco. Ma Washington, furiosa per l’indipendenza del presidente francese, organizzò la sua sconfitta elettorale a beneficio di François Hollande. Subito dopo l’accesso all’Eliseo, Hollande rilanciò la macchina da guerra occidentale per un decennio. Fu allora che la Russia decise d’intervenire in Siria. In due anni Mosca ha concluso la messa a punto di armi di nuova generazione, poi ha combattuto contro gli jihadisti, armati dagli Occidentali e diretti dalla Nato dal territorio turco, dove era basato l’Allied Land Command.
Sulla stampa occidentale trionfano le parole d’ordine della Nato, ma le nostre ricerche storiche, l’importanza e il posto occupato dai banderisti nell’Ucraina attuale sono circolate fra le classi dirigenti del mondo intero. Molti “alleati” di Washington ora si rifiutano di sostenere quegli “ucraini”, che sanno essere neonazisti. Ritengono che in questo conflitto la Russia sia dalla parte della ragione. Germania, Francia e Italia hanno già autorizzato membri del proprio governo a discutere con la Russia, pur senza cambiare politica ufficiale. Almeno questi tre membri dell’Alleanza Atlantica fanno prudentemente il doppio gioco. Se le cose si mettono male per la Nato saranno i primi a cambiare casacca.
Anche la Santa Sede, dopo essere stata sul punto di lanciare una nuova crociata contro la “Terza Roma” (Mosca) e aver diffuso fotografie del papa in preghiera con mogli di banderisti del reggimento Azov, si è messa in contatto con il patriarca Cyril e anche con il Cremlino.
Queste iniziative sono intollerabili per Washington, che è già al lavoro per neutralizzare questi emissari segreti. Ma se saranno ufficialmente silurati, questi emissari avranno maggior libertà di negoziazione. L’importante è che possano rendere conto del proprio operato a chi di dovere. Il gioco è pericoloso, come dimostra la disfatta elettorale del presidente Sarkozy dopo aver tentato di prendere le distanze dallo sponsor statunitense.
Prima ipotesi: l’allargamento della Nato la rafforzerebbe nel suo nuovo obiettivo
Sforziamoci di guardare con distacco gli avvenimenti e capire la loro possibile evoluzione.
Per far accettare a Turchia e Croazia l’adesione all’Alleanza Atlantica di Finlandia e Svezia, la Nato deve accettare le loro condizioni.
La Turchia chiede (1) che PKK e Hizmet (Fethullah Gülen) vengano inseriti nella lista delle organizzazioni terroristiche, nonché l’arresto e l’estradizione dei loro membri (2); chiede inoltre la riammissione della propria industria degli armamenti nel programma di fabbricazione degli F-35.
La Croazia (3) chiede che la legge elettorale della Bosnia Erzegovina venga modificata per attribuire uguaglianza politica alla minoranza croata.
Il PKK rappresenta solo parte della popolazione kurda. Alle origini era un partito marxista-leninista che durante la guerra fredda combatteva la dittatura militare turca. Dopo l’arresto del proprio capo e il crollo dell’URSS, il PKK ha cambiato schieramento ed è diventato un partito libertario, al servizio del Pentagono in Medio Oriente. Oggi è una milizia mercenaria di copertura dell’occupazione statunitense in Siria. Iscriverlo nella lista delle organizzazioni terroristiche comporterebbe l’evacuazione dei soldati americani dalla Siria e la restituzione dei pozzi di petrolio a Damasco.
Fethullah Gülen è il padre spirituale di una vasta organizzazione caritativa, attiva in numerosi Paesi. Estradarlo dagli Stati Uniti e considerare terrorista la sua organizzazione priverebbe la CIA di un ponte verso molti Paesi africani e asiatici turcofoni. Washington potrebbe accettarlo solo se l’AfriCom fosse dispiegato sul continente africano, invece di essere confinato in Germania. Sono in corso negoziati per portarlo in Somaliland, che diventerebbe uno Stato riconosciuto dalla comunità internazionale.
Vista la lunga serie di attentati commessi dal PKK in Turchia e il tentativo a luglio 2016 di uccidere il presidente Erdogan, cui seguì un tentativo di colpo di Stato dove l’Hizmet ebbe un ruolo centrale per conto della CIA, le richieste di Ankara sono legittime.
Reinserire la Turchia fra le nazioni che fabbricano l’F-35 costa nulla, ma la sua radiazione fu una sanzione per l’acquisto dalla Russia di sistemi antiaereo S400. Soddisfare la richiesta di Ankara per allargare la Nato al fine di fronteggiare la Russia sarebbe perlomeno contraddittorio e incomprensibile. Inoltre far fabbricare F-35 a una potenza che non si è fatta problemi a contestarne la pretesa qualità può essere imbarazzante.
La Bosnia-Erzegovina è stata creata dagli Straussiani (agli accordi di Dayton, Richard Perle non ha partecipato in quanto membro della delegazione statunitense, ma di quella bosniaca), che l’hanno pensata, conformemente alla propria visione, ossia come entità omogenea. La minoranza croata, che rappresenta il 15% della popolazione, è stata perciò messa al bando. La sua lingua non è riconosciuta e non ha rappresentanti politici. Accogliere la richiesta della Croazia significherebbe mettere in discussione le ragioni per cui gli Straussiani hanno organizzato le guerre della Jugoslavia (separare le etnie e creare popolazioni omogenee). Ma ai posti di comando in Ucraina ci sono gli straussiani.
Anche supponendo che le condizioni di Turchia e Croazia vengano soddisfatte o che i capi politici che le hanno formulate vengano rovesciati, l’allargamento dell’Alleanza Atlantica a Finlandia e Svezia sarebbe la conferma del cambiamento della natura della Nato. Cesserebbe di essere la struttura finalizzata a stabilizzare la regione del Nord Atlantico – come stipula il Trattato – che aveva indotto il presidente Boris Eltsin a prendere seriamente in considerazione nel 1995 l’adesione della Russia. La Nato concluderebbe il processo di trasformazione in amministrazione militare dell’impero occidentale degli Stati Uniti.
Seconda ipotesi: le sanzioni e l’aiuto militare degli Occidentali sono destinati a preparare altri conflitti
Passiamo ora a esaminare le reali conseguenze delle sanzioni occidentali. Le misure di esclusione della Russia dal sistema finanziario internazionale non la danneggiano: continua a esportare e importare a proprio grado, è solo costretta a cambiare fornitori e clienti. Ha attivato rapidamente l’equivalente dello SWIFT con i Brics (Brasile, India, Cina e Sudafrica), ma non può più commerciare direttamente con il resto del mondo. Già ora in Africa è impossibile acquistare concimi a base di potassio, di cui Russia e Bielorussia sono i principali esportatori. Si preannuncia una carestia. Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha già lanciato l’allarme e chiede che gli Occidentali deroghino all’embargo per i concimi a base di potassio.
Se, come probabile, Washington non cambierà politica, la carestia causerà nuove guerre e vaste immigrazioni verso l’Unione Europea.
È a dir poco sorprendente che dopo la caduta di Mariupol, gli Stati Uniti fossero pronti a inviare altri 40 miliardi di dollari in Ucraina, dove avevano già perso altri 14 miliardi di dollari. In effetti, due terzi non hanno mai raggiunto la loro destinazione. Queste somme sono state sottratte. A breve saranno disponibili armi per circa 18 miliardi di dollari in Kosovo e Albania. Due le spiegazioni possibili: o al Pentagono piace buttare il denaro dalla finestra, oppure sta facendo in modo di sottrarre questo gigantesco arsenale al controllo del Congresso.
L’11 maggio la sottosegretaria di Stato Usa agli Affari politici, la straussiana Victoria Nuland, ha presieduto in Marocco la Coalizione Globale contro Daesh. Vi hanno partecipato i ministri degli Esteri di 85 Stati. Come si poteva immaginare, Nuland ha denunciato la ricostituzione di Daesh, non più in Medio Oriente ma nel Sahel, e ha invitato i partecipanti a unirsi agli USA nella lotta contro il nemico comune. Giacché tutti i diplomatici presenti poterono a suo tempo constatare il sostegno massiccio del Pentagono agli jihadisti in Iraq e Siria, hanno capito che la burrasca non tarderà ad arrivare. Mancavano armi e il Pentagono non desidera essere colto sul fatto mentre fornisce di nuovo armi agli jihadisti. Gliele farà arrivare dai Balcani, dove gli armamenti ancora imballati attendono gli utilizzatori finali.
Una guerra nel Sahel non presenterà problemi: risparmierà le grandi potenze e farà solo vittime tra gli africani. Durerà fino a quando si avrà interesse ad alimentarla e nessun alleato si permetterà di rilevare che in questa regione il conflitto esiste solo dall’invasione e dalla distruzione della Libia. Tutto potrà continuare come prima: per una parte dell’umanità il mondo resterà unipolare, con Washington come epicentro.
Di Thierry Meyssan, voltairenet.org
Questo articolo è il seguito di:
1. «La Russia vuole costringere gli USA a rispettare la Carta delle Nazioni Unite», 4 gennaio 2022.
2. «In Kazakistan Washington porta avanti il piano della RAND, poi toccherà alla Transnistria», 11 gennaio 2022.
3. «Washington rifiuta di ascoltare Russia e Cina», 18 gennaio 2022.
4. «Washington e Londra colpite da sordità», 1° febbraio 2022.
5. “Washington e Londra tentano di preservare il dominio sull’Europa”, 8 febbraio 2022.
6. “Due interpretazioni della vicenda ucraina”, 15 febbraio 2022.
7. “Washington suona la tromba di guerra, ma gli alleati desistono”, 23 febbraio 2022.
8. “È agli Straussiani che la Russia ha dichiarato guerra”, 7 marzo 2022.
9. «Una banda di drogati e neonazisti», 7 marzo 2022.
10. “Israele sbalordito dai neonazisti ucraini”, 8 marzo 2022.
11. «Ucraina: la grande manipolazione», 22 marzo 2022.
12. «Con il pretesto della guerra si prepara il Nuovo Ordine Mondiale», 29 marzo 2022
13. «La propaganda di guerra cambia forma», 5 aprile 2022.
14. «L’alleanza di CIA, MI6 e banderisti», 12 aprile 2022.
15. «La fine del dominio occidentale», 19 aprile 2022.
16. «Ucraina: la seconda guerra mondiale non è finita», 26 aprile 2022.
17. «Con la guerra in Ucraina Washington spera di riaffermare la propria superpotenza», 3 maggio 2022.
18. «Il Canada e i banderisti», 10 maggio 2022.
Traduzione di Rachele Marmetti