Quel che Fiamma Nirenstein non vuol sapere dell’annessione della Palestina

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DI PINO CABRAS

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L’ha definita una «letterina»: era la nostra missiva a Conte sull’annessione israeliana di un altro pezzo di terre palestinesi. Fiamma Nirenstein, giornalista italo-israeliana, insigne esponente del pensatoio Jerusalem Center for Public Affairs (JCPA), gode evidentemente di standard molto più alti. Il suo think-tank neoconservatore infatti è finanziato da magnati del calibro di Sheldon Adelson, il miliardario che possiede casinò in mezzo mondo, giornali in USA e Israele, oltre ad essere il maggior singolo donatore, con 5 milioni di dollari, per l’inizio della campagna elettorale di Donald Trump 2016. Il quotidiano britannico The Guardian rivela che Adelson quest’anno per le presidenziali farà le cose molto più in grande: almeno 100 milioni, forse persino 200, per la campagna di Trump 2020. Nessuna sorpresa perciò nello scoprire che una libera pensatrice come la nostra Fiamma non ami quel che hanno scritto settanta deputati italiani, dopo centinaia di parlamentari di altri paesi europei, per contestare le pretese del suo gruppo neoconservatore di riferimento. In fondo la nostra è proprio solo una letterina a forma di barchetta che se la vede con uno tsunami di milioni di dollari.

Così come non mi sorprende se nel suo articolo, pubblicato con evidenza da «il Giornale», Nirenstein sostenga che non siano mai esistiti “territori palestinesi” né che siano mai stati illegalmente occupati, che il diritto ai territori sia inventato, che la Giordania sia solo un occupante della Cisgiordania. Simili visioni appartengono a chi sente ancora attuale un’idea ottocentesca fatta di nazionalismo vecchia maniera, tutto sangue e terra, ideologismi coloniali e rapporti di forza brutali, sostenuta tuttavia da una sfavillante e modernissima apparecchiatura di pubbliche relazioni che battono la grancassa su tutto il pianeta.

Nirenstein vuole affermare una continuità millenaria del controllo di Israele sulle terre che va ad annettersi. Ma la Cisgiordania non è mai stata sotto controllo dello Stato di Israele prima del 1967. Israele ne fece terra di conquista nel 1967. È da allora che le Nazioni Unite, con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza 242 del 1967, non hanno mai riconosciuto la sovranità di Israele su quelle terre. Ogni risoluzione e atto delle Nazioni unite, dell’UE, dell’Italia e degli stessi Stati Uniti, hanno sempre infatti parlato, riferendosi a quelle terre, di “Territori palestinesi occupati”. Questo è lo status riconosciuto ininterrottamente dalle Nazioni Unite, dall’Unione Europea, dall’Italia e dagli USA prima della presidenza Trump. Perché? Perché esiste un principio caposaldo del diritto internazionale che proibisce espressamente l’annessione di territori attraverso l’uso della forza. Un principio scolpito nella Carta delle Nazioni unite (art. 2, par. 4).
L’esponente della JCPA ha le virgolette facili e scrive “annessione”, per dire che non è un’annessione. Così vuole evitare di ammettere che l’annessione è una violazione del diritto internazionale.

È invece una violazione di un principio cardine delle Nazioni unite (il citato art. 2 par. 4 della Carta ONU). Nello specifico del caso israelo-palestinese, l’annessione sarebbe in flagrante violazione delle seguenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza: 242 (1967), 338 (1973), 446 (1979), 452 (1979), 465 (1980), 476 (1980), 478 (1980), 1397 (2002), 1515 (2003), 1850 (2008), 2334 (2016). Israele disconosce tutte queste norme di diritto internazionale, ma questo non significa che non esistano. Nirenstein sceglie semplicemente di ignorarle. Perché le garba così. I neoconservatori – quando conviene loro – considerano l’ONU, anche quando mette insieme maggioranze enormi e variegate che ricomprendono anche superpotenze, paesi lontani e vicini di tutti i continenti, solamente un’accozzaglia di paesi comandati a bacchetta dagli arabi. Come cancellare 75 anni di storia.

Il mantra nirensteiniano attinge a piene mani da tutti i manualetti della propaganda delle classi dirigenti raccolte intorno al progetto di Netanyahu. Come quando dice, senza accettare repliche, che i palestinesi «hanno detto di no a ogni proposta di pace, anche a quelle che gli conferivano tutti i territori compresa Gerusalemme. Il punto non è mai stata la terra, ma il rifiuto della legittimazione di Israele.»

Peccato che lei stessa citi gli accordi di Oslo, coi quali l’Autorità Nazionale Palestinese ha riconosciuto lo Stato di Israele: “terra in cambio di pace”. Le autorità palestinesi hanno dato (altra) terra, ma Israele non ha dato la pace: ha riempito i territori di coloni armati, muri, blocchi stradali che rendevano invivibile la vita della popolazione araba autoctona, segregazione, esproprio di terre e case, ecc.

La Corte internazionale di giustizia ha comprovato l’illegalità degli insediamenti coloniali israeliani, che infrangono l’art. 49.6 della Quarta Convenzione di Ginevra: «La potenza occupante non potrà mai procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della propria popolazione civile sul territorio da essa occupato». Basta prendere la cronaca di un qualsiasi giorno dell’anno, anche sugli ottimi quotidiani israeliani (molto più completi e meno reticenti di tanta stampa occidentale), per registrare continue e sistematiche violazioni di questo tipo. Anche il primo giugno, per dirne una, le forze armate di Netanyahu hanno colpito il villaggio di Al-Jiftlik, hanno chiuso tutte le strade e non hanno permesso ai palestinesi di entrare o uscire dal villaggio, hanno arrestato i capifamiglia di tre fattorie, confiscate mentre le condotte idriche sono state distrutte. A Bardala hanno distrutto quattro postazioni di verdurai. Succede ogni giorno, da anni, con crescente deperimento della qualità della vita della popolazione autoctona palestinese. Ora si accelera.
A casa Adelson si brinderà. A casa Nirenstein si scribacchieranno scusanti.

Perché a casa Nirenstein si continua a definire quello di Trump un “piano” in cui l’annessione non pregiudica il concetto di due stati per due popoli. Ma il piano Trump non è mai stato elaborato dalle due parti (israeliani e palestinesi). È invece è una proposta “prendere o lasciare” calata sulla testa dei palestinesi, senza alcuna proposta di trattativa o mediazione. Il 29 gennaio Trump e Netanyahu fecero uno show per presentare le cartine geografiche del loro afferra-afferra. Lo chiamarono accordo. Uno dei presunti partner dell’accordo, cioè il popolo palestinese e i suoi rappresentanti, non fu nemmeno invitato allo show, non ha potuto negoziare nulla, non ha disegnato una sola mappa.

Per la severa commentatrice della nostra letterina, invece, nessun centro palestinese viene toccato. I 400 mila ebrei che vivono nel West Bank potranno riferirsi alle autorità civili e non a quelle militari che li puntellano nei loro villaggi di recente edificazione. La propagandista ‘neocon’ la fa facile: «finalmente si istituirebbe uno Stato palestinese sul 70 per cento di tutta l’area, con swap territoriali.» Come a dire: scambiatevi le terre, mentre l’esercito di una parte si porta carri armati e ruspe, ed è fatta, che ci vuole?

Quello che nelle incredibili mappe che propagandano i corifei di Netanyahu viene descritto come il territorio dello Stato Palestinese non è l’ambito territoriale previsto dal Diritto internazionale, dai diritti dei popoli, dalla praticabilità geografica, dalla giustizia nelle assegnazioni delle risorse. È un limone spremuto, una terra residuale ritagliata scientificamente in ossequio agli interessi delle correnti più oltranziste di Israele, dove tutta l’acqua è sottratta ai palestinesi, ampie aree vengono annesse a Israele con confini appositamente disegnati per rendere discontinua e impossibile la connessione interna delle comunità, all’interno di una cornice giuridica che limita gravemente la sovranità e lascia tutto in mano alle forze armate di Netanyahu e sodali. Nessun arabo scacciato prima del 1967 dai suoi territori o un suo discendente avrà diritto a tornare a casa sua. Viceversa qualsiasi colono nato in Kansas che vanti radici nell’ebraismo americano e mai stato in Terra Santa potrà tranquillamente diventare cittadino di Israele. Come già accadeva, solo che stavolta si rinuncia anche a ogni tradizionale osservanza giuridica di facciata praticata nonostante tutto fino ad oggi.

Gli «ebrei sono qui la popolazione aborigena», dice Fiamma Nirenstein, che sottolinea anche: «Gli ebrei vengono dalla Giudea, il buon Samaritano viene dalla Samaria, esse erano parte di Israele». In realtà sono per la maggior parte coloni israeliani che hanno occupato illegalmente zone palestinesi dell’Area C, quella sotto controllo militare israeliano e che rappresenta il 61% della Cisgiordania. È in questa area che, negli anni, si sono insediate le colonie israeliane, in piena violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza. Ed è questa area che adesso si pretende di annettere come se fosse “da sempre israeliana”. Sarebbe l’esito illegale di un percorso illegale, vietato dal diritto internazionale (vedi Carta ONU e risoluzioni del Consiglio di Sicurezza).

C’è da affrontare poi una questione più di fondo. “Ebrei” Vs. “palestinesi”? Nirenstein utilizza (involontariamente?) una terminologia che indica una appartenenza religiosa e/o di stirpe (“ebrei”). Perché non utilizza il termine “israeliani” che si riferisce ai “cittadini di uno Stato”? Forse perché ha già interiorizzato la modifica di Netanyahu alla legge fondamentale di Israele per cui lo Stato di Israele “è” lo Stato degli ebrei (e non di altri). Perché Nirenstein vuole che Israele sia uno Stato di soli ebrei? Chi vuole discriminare? I cristiani e i musulmani? Gli arabi? Oppure entrambi?

Infine, è opportuno chiarire che la dialettica sui legittimi diritti dei palestinesi non è tra Stato di Israele e “i suoi nemici”. La dialettica esiste all’interno della stessa società israeliana: i dati e i fatti riportati nella lettera al premier provengono da organizzazioni israeliane con cui siamo in contatto: persone e formazioni sociali che non vogliono che le prospettive laiche di uno Stato moderno siano definitivamente fagocitate dall’ideologia veteronazionalista e militarista del costrutto di interessi egemonizzato dall’estrema destra israeliana. Netanyahu e Trump disegnano un Sionismo Reale che divora qualsiasi altra prospettiva sorta storicamente in seno alla stessa società israeliana. I nuovi “fatti compiuti” hanno accesi divulgatori, ma la Repubblica italiana ha sempre avuto un’altra idea rispetto alle mediazioni e soluzioni politiche possibili in Terra Santa, conquistando per decenni il rispetto di paesi essenziali per i suoi rapporti nel Mediterraneo allargato. È perciò nostro interesse non dare alcun futuro ai sogni violenti di nessun oltranzista.

 

Pino Cabras

02.06.2020

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