Negli ultimi mesi l’attenzione degli analisti è stata – anche giustamente – catalizzata dagli avvenimenti in Ucraina prima e poi, in Palestina e Israele, occupando la scena dei grandi media e facendo passare in secondo piano tutto il resto. Ma altre zone sono anche state, storicamente, teatro di fatti che poi hanno preannunciato, o in certi casi addirittura causato, avvenimenti successivi di portata molto ampia, talvolta mondiale. I Balcani, comprendendo nel concetto un’area “allargata”, che considera anche Grecia e Turchia, sono uno di questi “Hot Spot” della storia moderna e può essere utile tenere almeno la coda dell’occhio in quella direzione, anche quando il fulcro dell’attualità sembra dimenticare quella parte d’Europa.
Per questo proponiamo una breve rassegna “a volo d’uccello” delle principali novità e fatti degli ultimi mesi riferibili ai paesi balcanici, Grecia e Turchia, per permettere al lettore di non perdere di vista ciò che accade da quelle parti, tutt’altro che secondario per gli scenari europei e italiani in particolare. Per la serie “non si sa mai”…
Turchia
Come sostenemmo già nel post dedicato un anno fa a questo paese, stare dietro alle quotidiane uscite del suo vulcanico leader Erdogan rischia di essere un esercizio faticoso e fuorviante: oggi un colpo al cerchio, domani uno alla botte, dopodomani ancora un colpo al cerchio, e così via. Unico faro: l’interesse nazionale, declinato secondo la convenienza del momento in modo da spostare il campo di forze verso una direzione favorevole, che poi è quella di un ritorno della Turchia all’antica importanza. In questo quadro, avevamo a suo tempo segnalato l’accordo con la Grecia che sembra avere tolto di mezzo le tensioni regionali (come richiesto dagli USA), come anche confermato da recenti dichiarazioni congiunte, ma la notizia senza dubbio più importante degli ultimi mesi è la richiesta di adesione annunciata da parte di Ankara ai BRICS all’inizio di settembre. Questo passo sposta decisamente l’asse della politica estera del paese in direzione di un allontanamento dalla sfera NATO e, quindi, dagli interessi statunitensi. La notizia ha fatto seguito ad un altro episodio, avvenuto qualche mese prima e non troppo riportato dalla stampa internazionale, di un presunto tentato golpe ai danni di Erdogan, in seguito al quale erano stati effettuati alcuni arresti di importanti esponenti delle forze di polizia.

Erdogan con un alto esponente del Governo all’indomani del presunto golpe
Il tentativo di golpe – non presunto, ma reale – del 2016 non è stato dimenticato e il premier turco, all’epoca salvato solo dall’intervento delle forze speciali russe, inviate da Putin, sa che la sua controparte statunitense non va tanto per il sottile quando si tratta di intervenire in qualche punto strategico del globo dove stanno avvenendo cose che non gradisce. L’allerta interna resta alta. Nel frattempo, la Turchia si gode i pingui frutti delle triangolazioni sul gas, rese necessarie dai divieti di importazione dalla Russia, uniti all’impossibilità – per i paesi europei – di farne a meno. Tafazzismo in salsa UE.
Grecia
Cercando tra le news di Google riguardanti la Grecia in questi giorni, la prima notizia che appare è quella del matrimonio di una qualche discendente della famiglia reale del paese che – en passant – sarebbe ancora una Repubblica. La Grecia è totalmente sparita da tutti i radar da diverso tempo: a parte le periodiche notizie estive sugli incendi e sulla siccità, non giungono dall’Ellade notizie di sorta. Tutto bene, quindi? Mica tanto. A luglio è stata approvata una legge che permette la settimana lavorativa di sei giorni e il declino economico e sociale del paese non si arresta, come dimostra il crollo dei prezzi di alcune tipologie di case e il contemporaneo aumento esponenziale degli affitti per le zone centrali di Atene, prese d’assalto da un turismo che arricchisce solo gli stranieri (0,4 euro a turista per gli ateniesi, dato che le case sono tutte di proprietà di stranieri). E infine ci si mette pure il terremoto.
Serbia
La Serbia ha vissuto il suo momento di “notorietà” a dicembre dello scorso anno, quando il premier Vucic ha indetto un po’ a sorpresa una nuova sorprendente tornata di elezioni generali, elezioni che hanno avuto l’esito che più o meno era atteso, cioè una larga vittoria del suo partito. Tuttavia, i fatti avvenuti subito dopo il voto hanno sciolto molti dei dubbi: nonostante il primo partito di opposizione avesse ottenuto la metà dei voti del partito di Vucic, sono subito state indette manifestazioni di protesta contestando l’esito delle urne e lamentando presunti “brogli”. Le manifestazioni sono subito sfociate in assalti alle istituzioni e violenze che hanno fatto pensare, di fatto, ad un tentativo di far rovesciare dalla piazza il governo Vucic. Perché? Perché la Serbia, a differenza di altre entità della zona ha sempre rifiutato di rinnegare le proprie origini ed i propri legami con la Russia, pur cercando di intessere relazioni anche con l’occidente. Il che significa che anche Vucic opera secondo l’aureo principio del cerchiobbotìsmo, pur se su livelli più soft rispetto ad Erdogan. Cerchiobottìsmo che trova da un lato lo “stimolo” delle continue tensioni in Kosovo, fomentate ad arte dall’occidente tramite il sempre valido strumento della Minoranza Etnica sotto attacco. Solo un paio di episodi recenti, tra i tanti: la decisione di chiudere le filiali delle Poste Serbe nel nord della regione e il proseguimento da parte di Pristina delle attività volte alla creazione di un Esercito del Kosovo, proibito dalla risoluzione 1244 dell’ONU che stabilisce il divieto di ogni altra forza armata nel paese, tranne la missione ONU (ulteriormente rafforzata nei mesi scorsi). Tuttavia, la questione più controversa per Vucic è senza dubbio quella delle Miniere di Litio di Rio Tinto. Riassumendo: la vicenda comincia circa vent’anni fa, quando viene scoperto nella Serbia occidentale, un enorme giacimento di un nuovo minerale, molto simile alla Kryptonite di Superman, ribattezzato “jadarìte” dal nome della cittadina più vicina.

Un blocco di Jadarìte
La jadarìte contiene un’alta percentuale di Litio, minerale indispensabile per le batterie in uso in quasi tutte le più recenti devices, dai telefonini alle auto elettriche e il giacimento serbo potrebbe fornire fino al 10% dell’intero fabbisogno mondiale. Una vera manna, per Belgrado. Il giacimento nel 2017 viene dato in concessione alla multinazionale anglo-australiana Rio Tinto, che investe 2,5 miliardi di dollari, ma solleva anche grandissime perplessità sul piano ambientale, poiché l’estrazione del Litio è altamente dispendiosa in termini di sfruttamento idrico. Nel 2021 ci furono manifestazioni, incidenti, e una risoluzione del Parlamento Europeo (la Serbia, ricordiamolo, è teoricamente sotto esame in vista di una possibile futura adesione alla UE) tanto che il governo di allora sospese la concessione. Rio Tinto continuò ad investire, però, e nel luglio di quest’anno la Corte Costituzionale Serba ha dichiarato illegittima la decisione del governo del 2022 che ora deve prendere una nuova decisione e predisporre un piano dettagliato per l’eventuale sfruttamento dell’area a scopo minerario nel rispetto dei vincoli ambientali e di uso delle risorse. Il nuovo “via libera” ha riportato in piazza i protestanti, nonostante la censura del governo sulle manifestazioni;

Le manifestazioni contro la riapertura del progetto Miniere di Litio
Vucic, infatti, avrebbe tutto l’interesse a far decollare le miniere, anche perché solo otto giorni dopo la sentenza della Corte, si è affrettato a firmare un memorandum di intesa con la UE sulle materie prime sostenibili, al quale sono seguiti immediati accordi di fornitura di Litio con alcune delle maggiori case automobilistiche europee.

Conferenza Stampa del vertice Serbia-UE sulle Materie Prime Critiche. Notare l’omìno e la bandiera sulla sinistra
La Russia resta amica della Serbia, e fornisce petrolio e gas, la Cina gestisce le miniere di rame, ma il Litio andrà nella UE. Purchè la UE la smetta di intromettersi negli affari interni della Serbia con la scusa dei diritti umani. Questo è – a grandi linee – il proposito di Vucic. Riuscirà a condurlo in porto? I serbi non sembrano essere molto d’accordo, soprattutto per la parte che prevede accordi a favore della UE (ultimo sondaggio dà oltre il 55% di contrari alla miniera, anche in presenza di garanzie della UE sugli impatti ambientali). Maggiori dettagli sulla vicenda nella Newsletter Bar Balkan, a questo link (QUI l’ultimo articolo sul tema).
Macedonia del Nord
E, per finire, sempre grazie a Bar Balkan uno sguardo alla Macedonia del Nord, per una vicenda solo all’apparenza più leggera, ovvero la trasformazione urbanistica della capitale Skopje, iniziata una decina di anni fa con l’obiettivo di “ellenizzarla” il più possibile, attraverso strade, palazzi e monumenti di chiara ispirazione ellenistica. Se questa è la terra di Alessandro Magno (e non lo è, geograficamente parlando: Pella, luogo di nascita del condottiero, è ampiamente in territorio greco), ebbene, che si veda! Così decretarono i governanti di allora, nel quadro del processo che aveva portato al riconoscimento internazionale del piccolo paese, che già aveva generato irritazione della Grecia, che una regione denominata “Macedonia” ce l’ha già. Idealmente, ciascuna delle due Macedonie vorrebbe annettere l’altra, ma siccome non si può, ognuna cerca di tirare l’acqua al proprio mulino e, se la diplomazia internazionale non ha alcuna voglia di occuparsi della questione, ogni espediente è buono per farlo. Così l’allora presidente Gruevski pensò di creare un’identità ad un paese nato solo pochi anni prima, rifacendosi ad un passato storico addirittura antecedente l’Impero Romano, ovvero al Regno Macedone di Filippo e, poi, di Alessandro Magno (IV secolo A.C.). Da qui l’enorme statua del “Guerriero a cavallo” nel centro di Skopje e tutta una serie di interventi su palazzi e strade, interrotti solo tre anni dopo per un cambio di governo che tolse Gruevski dal potere.

Il Guerriero a cavallo nel centro di Skopje (sarà lui…?)
Tutto fermo (e in progressivo degrado) fino all’agosto scorso, quando il neo presidente, il nazionalista Mickoski, ha annunciato di voler riprendere i lavori nel 2025, nel quadro di tutta una serie di nuove punzecchiature, come ad esempio dimenticarsi in tutte le occasioni ufficiali (ad esempio, il suo giuramento, come quello del neo Presidente della Repubblica) di aggiungere al nome “Macedonia” il suffisso “del Nord”. La Grecia non l’ha presa bene, e con essa la UE, che non ha alcuna voglia di nuove tensioni sul tema, tensioni che potrebbero interessare anche la minoranza bulgara, presente nel paese, ma completamente dimenticata (oòps! Ancora l’espediente della Minoranza vessata per creare tensione) nel testo della nuova Costituzione.
Tra il Danubio e il Bosforo, insomma, l’aria resta frizzantina e gli eventi che maturano là non vanno trascurati, guardando la Storia. La partita della Geopolitica europea e non solo si gioca anche qui.