Di Giacomo Ferri per ComeDonChisciotte.org
Ho conosciuto Matteo nell’estate 2020, in Versilia, attraverso conoscenze comuni, durante la famosa estate post-quarantena (arresti domiciliari) che in molti credevano rappresentasse il momento di ripresa della propria libertà e, ahimè, sappiamo a che punto la distopia e il dispotismo siano arrivati.
Un appuntamento per incontrare uno scultore, su suggerimento di un amico, che si trovava al mare per promozione anziché vacanza e che, avendo visto alcune immagini delle sue creazioni, ero davvero curioso di conoscere; tanto che ci siamo trovati a pranzo e ci siamo salutati dopocena!
Un artista dalla grande manualità e dalla spiccata creatività, forse grazie anche alla genetica dato che è figlio d’arte e, cosa che ho scoperto più avanti, da parte di entrambi i genitori; della serie: non poteva che diventare un artista.
Cosa mi ha colpito di Matteo? Sicuramente la grande empatia e la sua sensibilità, caratteristiche che lo hanno portato inconsciamente a scegliere di ritrarre i senzatetto e assurgere il loro status a soggetto per molte delle sue opere, cosa che non lo ha per niente avvantaggiato a livello di mercato, ma che lo ha fatto crescere dal punto di vista umano e spirituale.
- Matteo, vuoi raccontare ai lettori di Come Don Chisciotte chi sei e cosa fai nella vita?
Mi chiamo Matteo Volpati e mi definisco un osservatore del mondo in cui vivo, ho una forte sensibilità che mi porta a sintetizzare il mio vissuto attraverso la mia espressione artistica.
Sono nato nel 1973 a Milano e sin da piccolo ho vissuto immerso nei colori che i miei genitori usavano per creare quadri e opere di ogni tipo: tubetti acrilici, tavolozze incrostate di colori ad olio, pennelli intrisi di olio di semi di lino e odore di trementina. Questi profumi, colori e atmosfere hanno fatto da sfondo alla mia infanzia, contribuendo alla crescita di quella che poi negli anni è diventata la mia vita.
Oggi, oltre ad essere un artista, faccio un lavoro che mi permette di conoscere la gente e le varie sfaccettature della società: guido un taxi di notte. La notte da sempre è fonte di ispirazione e mi permette di osservare e carpire un mondo misterioso che alimenta la mia esigenza di creare sculture che raccontano ciò che vivo.
- La passione per l’arte, come dicevo prima, è stata certamente trasmessa dai tuoi genitori, che ho avuto il piacere di conoscere e con cui ho condiviso dell’ottimo tempo. Per chi non ti conosce e, soprattutto, non conosce la tua arte e si basa solo su alcune delle foto che mi hai autorizzato a pubblicare, vuoi raccontare che tipo di scultura fai?
Dal 2001 il mio approccio al gesto creativo è cambiato, facendo un salto che mi ha portato a sentire l’esigenza di creare, ciò che prima facevo in pittura, in scultura ed il tutto è avvenuto come esigenza.
Sin da piccolo sono stato attratto dagli animali, dalla natura, dal rumore del vento, della pioggia, dal calore del sole e dal freddo dell’aria montana; ho avuto la fortuna di crescere in posti meravigliosi e grazie a questo il mio io si è formato.
Inizialmente la mia forma espressiva è stata la pittura e il disegno, cercavo di portare su carta le immagini degli animali che vedevo, uccellini, topolini, gatti ecc. e lo facevo usando colori acrilici, tempere o acquarelli.
Nel 2001, in occasione della tesi per l’accademia di Brera, portai uno studio su Giuseppe Arcimboldo, artista che, nel 1500, precisamente nel periodo manierista, realizzava ritratti di nobili mettendoli in metamorfosi con ortaggi, frutta e animali.
Questo personaggio del ‘500 cambiò il modo di percepire la mia espressione artistica ed iniziai a sentire l’esigenza di dare volume, tridimensionalità, agli stessi soggetti che prima mi limitavo a disegnare.
La mia scultura nella maggior parte dei casi non va a togliere materia ma la mette; anziché eliminare io aggiungo materia man mano che prende la forma del soggetto che desidero raffigurare, i modi per creare sculture sono tanti, io ho iniziato così e oggi, dopo tanti anni e tante sculture, sono in grado di dar vita ai miei personaggi sia mettendo materia che togliendola. Ho iniziato a fare scultura con la carta di giornale, tutt’ora talvolta la utilizzo, e sperimentando ho acquisito la conoscenza di tanti materiali da usare, come lavorarli, la loro plasticità, o rigidità, e le loro criticità e questo ha contribuito alla mia crescita.
Ad oggi, come dicevo, la carta è uno dei materiali che utilizzo, ma non più l’unico, ogni scultura racchiude in sé molti elementi, dal telaio in ferro o in legno per dare solidità e, soprattutto, stabilità, alle resine, schiuma poliuretanica, polistirolo, legno, pasta di legno miscelata con acetone, cartone, cartoncini di varie grammature e con fibrosità diverse per avere, a seconda dei casi, un effetto piuttosto che altro.
- Come possiamo vedere da alcune delle foto, la tua arte è caratterizzata da tre filoni creativi principali, o meglio da tre soggetti predominanti: gli animali, i senzatetto e le metamorfosi umano/animale. Perché queste scelte?
Amo gli animali ed amo ognuno dei loro aspetti, il loro atteggiamento, che ovviamente è differente tra le varie specie; da sempre hanno fatto parte della mia vita ed hanno contribuito alla mia crescita ed al rispetto che ho per la natura.
I senzatetto, invece, fanno parte di un percorso iniziato nel 2010, grazie al lavoro che faccio ed alle quotidiane occasioni in cui mi capita di incontrarli, ho sentito di dover fare qualcosa e così ho iniziato a realizzare sculture in onore di coloro che vengono considerati gli ultimi;
Le metamorfosi, uomo/animale, perché ho sempre trovato molte similitudini in questi due mondi apparentemente diversi ed è stata più forte di me la volontà di renderle concrete, un tema in continua evoluzione.
- Parlaci delle sculture a tema animale.
Spesso realizzo dei bassorilievi di grandi dimensioni che raffigurano i loro volti; in una serie di bassorilievi ho trasfigurato i miei stati d’animo e li ho fatti esprimere nei volti di alcuni animali: ecco che nasce la tigre ruggente, che raffigura la mia rabbia; il bisonte, che con la sua imponenza, esprime la mia forza; il gorilla che racchiude il mio essere un pensatore.
Insomma negli animali rivedo i miei stati d’animo ecco perché, pur raffigurando il viso di un animale, rivedo in esso dei miei aspetti e, in un certo senso, la metamorfosi, di cui ho accennato, è sempre presente anche quando non c’è una trasformazione estetica.
- Raccontaci questo percorso, di cui hai accennato, che ti ha portato a ritrarre i senzatetto.
Il lavoro di tassista mi ha catapultato in una giungla urbana vera e propria, lì ho iniziato a rendermi conto della forte presenza di queste persone che, specialmente la notte, animano luoghi come la stazione di Milano; ho cominciato ad avvicinarmi a loro per parlarci e mi sono fatto raccontare le loro vite, storie fatte di sofferenza, uomini e donne sfortunati a cui è stato tolto tutto, anche la dignità. Queste persone vivono al freddo d’inverno e al caldo d’estate, con tutti i problemi legati alla sopravvivenza in strada; spesso hanno gravi problemi mentali e vivono in una realtà tutta loro.
Li ho osservati, mentre stanno accovacciati per terra, coperti da cartoni e da vecchie coperte trovate per strada o in un cassonetto, il loro aspetto mi ricorda quello dei pastori di montagna: barbe incolte, mani nodose, volti tagliati da rughe che scavano la pelle fino a deformarne i tratti somatici. Osservandoli trovo in loro dei capolavori da ritrarre; gente che vive la giornata, senza nessun riferimento, sperando che non sia l’ultima.
L’aspetto umano e mentale mi coinvolge, soprattutto quando ci parlo, perché in quei momenti diventano protagonisti di loro stessi ed io do’ loro molta importanza perché, per ciò che vedo, hanno bisogno di un conforto, di una parola, di qualche soldo e soprattutto di umanità e rispetto ed il mio rispetto nei loro confronti, cerco di dimostrarlo raffigurandoli in scultura.
- Prima di passare alla prossima domanda, lascia che dica una cosa: il tuo rispetto lo dimostri proprio nei momenti prima di ritrarli, quando parli con loro, gli dai una sigaretta o gli porti un panino, cosa che la maggior parte di noi non fa; tu in questo modo trasformi l’invisibile in visibile, perché le persone che osservano te, in quegli attimi, vedono anche loro che prima erano invisibili; poi con la scultura li onori e rendi indelebile la loro esistenza.
Parliamo adesso di quelle opere che tu chiami metamorfosi, delle sculture, o dei bassorilievi, in cui tu mescoli elementi animali ad elementi umani, uomini e donne con la testa animale o animali umanizzati. Ci vuoi spiegare come nascono queste metamorfosi?
Le metamorfosi sono il filone dal quale tutto ha inizio: evoluzione, mutazione, trasformazione. Noi siamo metamorfosi, come tutti gli esseri viventi sulla terra; nasciamo, cresciamo e in questa evoluzione c’è la trasformazione che da embrione ci trasforma in esseri umani.
Quando parliamo di metamorfosi pensiamo al bruco che diventa farfalla, ma tutti noi siamo quel bruco; il concetto del divenire è molto affascinante, perché porta in sé una sorta di mappa genetica che col tempo cambia e si evolve. Ed io in questo cambiamento trovo il senso della vita, che poi alla fine è uguale per tutti: nasciamo per poi morire e come cosa sembra terribile, ma nel mezzo di questi due poli c’è la vita, troppo preziosa per sprecarla.
L’esistenza di un essere umano non è altro che un soffio di vento e già questo ci rende l’idea di quanto piccoli siamo di fronte alla natura; spetta a noi rendere quel soffio di vento un uragano ed io, nel mio piccolo, cerco di dare un significato a questa piccola parentesi, usando la mia sensibilità per lasciare un segno del mio passaggio, attraverso il mio mondo fatto di esseri creati dalle mie mani, dai miei pensieri e da ciò che vivo quotidianamente.
Tornando alle mie sculture, queste sono un mix tra uomo ed animale perché, secondo il mio modo di percepire la vita, i due mondi si completano! Animali umanizzati e uomini animaleschi, una miscela di realtà apparentemente diverse ma che, in fin dei conti, molto simili.
Da sempre osservo gli animali scrutandone gli atteggiamenti, mi immedesimo in ciò che vorrei essere, ecco perché nascono quelli che io chiamo “i guardiani”, figure dal corpo umano con la testa da animale, creati per proteggere le porte di un mondo fatto di misteri e profondi significati, il mio mondo.
La testa di animale non è una casualità, la mente umana ha cambiato il mondo attraverso il progresso e l’evoluzione, ma al tempo stesso la mente umana, vittima dell’egoismo, ha portato il mondo alla rovina; prediligo l’istinto alla ragione nelle mie statue ed è per questo che la testa, nelle metamorfosi, sarà sempre di un animale: umanizzo gli animali per rendere migliore l’uomo.
- Torniamo ai senzatetto, mi hai fatto notare in alcune occasioni che non ti sei limitato a ritrarre o a prendere ispirazioni dai barboni che vedi a Milano, ma che in alcuni casi hai preso ispirazione dalle fotografie di un famoso artista inglese: Lee Jeffries. Perché ispirarsi ad un fotografo e qual è la differenza, a livello emozionale, tra realizzare un ritratto di qualcuno che hai incontrato e fare un lavoro di studio su immagini di terzi?
Come artista osservo e rimango attratto da ciò che mi emoziona e, guardando in rete, mi sono imbattuto in Lee Jeffries e subito mi sono sentito come a casa, nel mio mondo fatto di persone che vivono la strada, vittime della sofferenza e delle diseguaglianze sociali; il suo modo di scattare foto è particolare, tanto intimo da riuscire a ritrarre l’anima degli homeless.
Spesso, parlando con i miei amici clochard, ho notato che non vogliono essere fotografati perché si sentono come derisi dalla loro condizione di vita, quindi per rispetto mi attengo al loro volere; preferisco parlarci, conoscendo il loro mondo e cerco di non andare mai oltre il confine del loro volere. Scattare foto di nascosto, con un teleobiettivo, mi farebbe sentire un ladro, non mi piace invadere la privacy così intima di certe persone. Le foto di Lee Jeffries sono reali e talmente profonde che per me, usarle per creare dei bassorilievi, diventa un onore e un’esigenza.
- Prima di andare verso la conclusione, vorrei dire ai lettori che, a proposito di Lee Jeffries, le sue foto in questi giorni, fino ad aprile, sono in esposizione in una mostra a Milano.
Tornando a noi, quali sono i tuoi progetti per il futuro e cosa ti aspetti dal mondo dell’arte, inteso anche come mercato?
Ho diversi progetti per il futuro, uno tra tutti è una mostra sui clochard e un docufilm nel quale io, in prima persona, mi calerò nelle vesti di un senzatetto e andrò a vivere per strada.
Penso che questa esperienza mi farà vivere sulla pelle le stesse esperienze di coloro che, quotidianamente, combattono per la sopravvivenza; sicuramente un’esperienza difficile che sono certo che mi lascerà ancora più ispirazione per creare nuove sculture, forse qualcosa in più delle precedenti. Credo che provare a vivere quel tipo di realtà in prima persona, con le prove che ne conseguono, sia la cosa più reale per capire le tante sfaccettature della vita.
Un altro progetto è quello di andare a vivere per alcuni mesi, da solo, in un casolare in alta montagna, entrando così in contatto con madre natura: osservare, ascoltare, meditare e vivere grazie a ciò che mi offre il bosco.
Mi emoziona l’idea di entrare in contatto con gli animali, scrutandone gli atteggiamenti per trasmetterli alle mie sculture e durante la mia permanenza dedicarmi alle mie creazioni, tra queste vorrei realizzare un totem che racchiuda in sé lo spirito di madre natura; ma quest’ultimo progetto è realmente in embrione, diciamo che per adesso lo vivo come un sogno!
- Vorrei chiederti adesso qualcosa che ha caratterizzato il periodo in cui ci siamo conosciuti, ovvero, analizzando questi tre anni, come hai vissuto tutte le restrizioni, a partire dal distanziamento sociale, fino ai peggiori ricatti, da artista e da uomo che lavora in una grande città come Milano?
Questi tre anni sono stati un incubo! Prima di tutto l’arrivo di un virus che nel giro di pochi giorni ha sconvolto la vita di tutta la popolazione mondiale, poi man mano che il tempo passava ho notato che questo virus è stato usato come punto di forza per fare leva sulla paura della gente.
Sono rimasto schifato dai tanti scandali che sono venuti fuori, in un periodo così difficile e delicato, le nefandezze perpetrate dai vari politici mi hanno lasciato basito, una per tutte la speculazione sulle mascherine, dove i politici stessi si sono avventati su quello che è diventato un vero e proprio business ed ha contribuito alla mia perdita di fiducia nelle istituzioni e non solo quella, soprattutto mi domando come si possa lucrare sulla pelle delle persone.
In quel periodo, seguendo le notizie sul mainstream, ci veniva detto che eravamo privi di macchinari per le terapie intensive e pensavamo che la colpa fosse dei tanti tagli effettuati negli anni alla sanità ma, ancora una volta, così non era e la dimostrazione è stata, che una volta usciti dal pericolo pandemia, o almeno così ce la raccontavano, i nuovi governi hanno tagliato ulteriormente fondi per la sanità.
In ultimo, proprio quegli organi di stampa che dovevano informarci, hanno invece usato il virus per creare sempre più allarmismi e bollettini di morte, con numeri e dati errati; proprio grazie a questo tipo di informazione, se così si può chiamare, si è venuta a creare una spaccatura nell’intera popolazione sull’argomento vaccini, da una parte quelli a favore e dell’altra quelli contro.
Io non sono medico, quindi le mie parole non hanno alcun valore al di là del mio pensiero, ma dopo tutte le immoralità e le incongruenze a cui abbiamo assistito, credo che quei medici che non si sono fidati dei vari protocolli imposti non siano da vedere come stupidi negazionisti, ma come persone pensanti che hanno tenuto fede al loro giuramento, curando, dove possibile i malati abbandonati dallo Stato.
- Matteo, concludendo la nostra chiacchierata, ti senti di voler aggiungere qualcosa?
Non aggiungo altro, se non un ringraziamento a quelle persone che, come voi, hanno contribuito ad aprirci gli occhi in un momento di buio e, con questa occasione, saluto tutti coloro che leggeranno questo articolo e che, magari, apprezzeranno la mia arte.
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Intervista di Giacomo Ferri per ComeDonChisciotte.org