DI JONATHAN COOK
Fino a che punto l’approccio della comunità internazionale verso Israele abbia invertito la sua strada nell’ultimo mezzo secolo, lo si può misurare guardando semplicemente le sorti che ha seguito una sola parola: Sionismo. Nel 1975 all’assemblea generale delle Nazioni Unite, gran parte del mondo si mise contro Stati Uniti ed Europa dichiarando che il sionismo, l’ideologia alla base di Israele, “è una forma di razzismo e di discriminazione razziale”.
Gli occidentali in genere restarono scioccati. Il Sionismo, che gli avevano raccontato fino a quel momento, era un movimento di liberazione che serviva al popolo ebraico per liberarsi, dopo secoli di oppressioni e di massacri subiti. Con la sua creazione, di Israele, si erano semplicemente risarciti i terribili torti subiti e culminati negli orrori dell’Olocausto. Ma il sionismo sembrava molto diverso agli occhi di quei paesi che, in tutto il mondo, avevano vissuto secoli di colonialismo europeo e poi, più recentemente, di imperialismo USA. La lunga storia dei crimini contro gli ebrei che hanno portato alla creazione di Israele ha avuto luogo principalmente in Europa. Eppure sono stati Europa e Stati Uniti che hanno sponsorizzato e hanno spinto gli ebrei a insediarsi nella patria di un altro popolo, in una terra lontana dalle loro stesse rive. Per tutto il sud del mondo, le grandi epurazioni di palestinesi contro i nativi fatte dagli ebrei europei nel 1948 e nel 1967 hanno ricordato troppo quelle fatte dagli europei bianchi che contro le popolazioni indigene negli Stati Uniti, in Canada, in Australia, in Nuova Zelanda e in Sud Africa.
Un anacronismo coloniale
Nel 1975, all’epoca del voto alle Nazioni Unite, era già chiaro che Israele non aveva nessuna intenzione di restituire ai palestinesi i territori occupati che aveva conquistato otto anni prima. Piuttosto, Israele intendeva trincerare i territori occupati, mandando illegalmente la propria popolazione civile ad insediarsi nei territori palestinesi.
In gran parte del mondo, questi insediamenti ebraici sembravano un anacronismo, un ricordo dei “pionieri-bianchi” che andavano alla conquista del far-west, passando per terre apparentemente vuote degli Stati Uniti, oppure di quei contadini bianchi che si impadronirono di vaste aree del Sud Africa e della Rhodesia come se quelle fossero state terre di loro appartenenza; o di quei bianchi, appena arrivati in Australia, che rinchiusero gli aborigeni nelle riserve, facendoli diventare uno spettacolo per i turisti. La risoluzione ONU “sionismo è razzismo” è durata solo 16 anni – fino alla caduta dell’Unione Sovietica, quando gli USA sono diventati l’unica superpotenza mondiale. Dopo tante ritorsioni diplomatiche di Washington, incluse le promesse che Israele avrebbe intrapreso un processo di pace con i palestinesi, la Risoluzione 3379 fu definitivamente abrogata nel 1991. Decenni dopo, il pendolo sta oscillando in maniera vigorosa verso l’altra parte. Le élite di USA ed Europa sono passate da un atteggiamento che, un tempo diceva che il sionismo non è razzismo, ad un atteggiamento di attacco, con la presunzione che l’antisionismo – la posizione di gran parte della comunità internazionale di 44 anni fa – è sinonimo di razzismo. O, più specificamente, è sempre più accettata l’idea che l’antisionismo e l’antisemitismo siano due facce della stessa medaglia.
Un Sistema in stile Apartheid
Questo trend si è consolidato la scorsa settimana quando Emmanuel Macron, il presidente, di centro, della Francia è andato oltre la semplice reiterazione della sua ripetiva confusione tra antisionismo e antisemitismo. Questa volta ha minacciato di mettere fuorilegge l’anti-Sionismo.
La confusione di Macron tra antisionismo e antisemitismo è palesemente sconsiderata. Antisemitismo significa odio per gli ebrei. È puro e semplice bigottismo. L’anti-Sionismo, invece, è una opposizione all’ideologia politica del sionismo, un movimento che insiste, in tutte le sue forme politiche, a dare priorità ai diritti degli ebrei in una patria che è stata creata su una terra occupata dai palestinesi, che già vivevano su quelle terre. L’antisionismo non significa razzismo contro gli ebrei, ma è opposizione al razzismo degli ebrei sionisti. Naturalmente, un antisionista può essere anche antisemitico, ma è più probabile che uno sia antisionista esclusivamente per ragioni razionali ed etiche. Questo punto è stato reso più chiaro la scorsa estate, quando il parlamento israeliano ha approvato una basic-law che definisce Israele come lo stato-nazione del popolo ebraico (PDF). Questa legge asserisce che tutti gli ebrei, anche quelli che non hanno nessun legame con Israele, godono del diritto all’autodeterminazione, quello che negano a tutti i palestinesi, compreso quel quinto della popolazione di Israele che è palestinese e formalmente israeliana. In altre parole, questa legge ha creato due status in Israele – e implicitamente anche nei territori occupati – basati su un sistema di classificazione-etno-religiosa-imposta che conferisce a tutti gli ebrei dei diritti superiori a quelli dei palestinesi. In termini costituzionali, Israele sta esplicitamente mettendo in atto un sistema legale e politico di apartheid, ancora più ampio di quello che esisteva in Sud Africa. Per lo meno, chi governava ai tempi dell’apartheid in Sud Africa non ha mai affermato che quella era la patria di tutti i bianchi.
Criminalizzare il BDS
La minaccia di Macron di mettere al bando l’antisionismo è la logica estensione del comportamento di Europa e USA per penalizzare chi sostiene il BDS, il nascente movimento di solidarietà internazionale con i palestinesi che chiede il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni contro Israele. Molti membri del movimento BDS, sebbene non tutti, sono anti-sionisti ed in parte sono anche ebrei anti-sionisti. Il movimento non solo scavalca i decenni di complicità delle élites occidentali, ma mette in evidenza la portata di questa complicità, per questo il BDS risulta tanto inviso a quelle élite.
Ora però la Francia si è spinta oltre criminalizzando il BDS come forma di discriminazione economica. In questo modo confonde uno stato –Israele – con un gruppo etnico, gli ebrei – esattamente come fanno gli antisemiti. Questo tipo di legislazione potrebbe essere assimilato, per ipotesi, al comportamento che potrebbe aver assunto la Francia negli anni ’80, se non avesse accettato il boicottaggio del Sud Africa per la sua apartheid, con la motivazione che questo avrebbe discriminato i bianchi.
Le Lobby israeliane in azione
Comunque la Francia è la prima a muoversi, ma non è la sola, negli USA, almeno 26 stati hanno già emanato leggi per punire o sanzionare persone o organizzazioni che vogliono il boicottaggio. Stessa cosa stanno per fare altri 13 stati. Ma nessuno sembra preoccupato di violare il tanto amato Primo Emendamento Americano e di fare un’eccezione al diritto alla libertà di espressione, solo in questo caso, quello di Israele. Questo mese anche il Senato USA si è buttato nella mischia approvando un disegno di legge – un bill – per spingere i singoli Stati a infliggere punizioni economiche a chi mette in atto il boicottaggio contro Israele. Queste vittorie contro il movimento non violento dei BDS sono il risultato di poderosi e malvagi sforzi fatti dalle lobby israeliane che lavorano dietro le quinte per far confondere l’anti-sionismo con l’anti-semitismo. Così mentre il rispetto per Israele è precipitato in occidente per effetto del passaggio sui social media, di innumerevoli video che mostrano la violenza dell’esercito israeliano e dei coloni, ripresi con i telefonini, dove si vede anche gente che muore di fame a Gaza, le lobby di Israele si stanno muovendo per far diventare sempre più difficile riuscire a parlare di questo argomento.
Ridefinizione dell’antisemitismo
L’accettazione diffusa in occidente di una ridefinizione dell’antisemismo che intenzionalmente lo confonde con l’antisionismo è stato come un colpo di stato. L’ impronta di Israele si trova in tutto il lavoro presentato dall’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA, non sorprende quindi che la lunga e vaga definizione di antisemitismo elaborata dalla IHRA sia stata corredata da 11 esempi, sette dei quali fanno riferimento a Israele.
Un esempio – quello che afferma che in Israele esista una “spinta al razzismo” fa intendere che i 72 paesi-membri dell’ONU che nel 1975 votarono per la risoluzione “Sionismo è razzismo” e i 32 che si astennero, erano dei paesi antisemiti, anche se non volevano dichiararlo. I governi occidentali, le autorità locali, i partiti politici e gli enti pubblici ora stanno affrettandosi tutti ad accettare la definizione dell’ IHRA. Il risultato è un timore crescente tra gli occidentali su quello che si può – o non si può – dire su Israele senza essere accusati di antisemitismo. Questo era lo scopo. Se la gente ha paura che gli altri la considerino antisemita per aver criticato Israele, la prossima volta starà zitta e così Israele avrà più margine di manovra per continuare a commettere i suoi crimini contro i Palestinesi.
L’Immagine dell’ “Ebreo che odia se stesso’
Se Macron e l’HIRA avessero ragione – cioè che antisionismo e antisemitismo non sono distinguibili – allora dovremmo accettare anche qualche altra scomoda conclusione. Una sarebbe che i palestinesi dovrebbero essere condannati in modo univoco come antisemiti perché chiedono il loro diritto all’autodeterminazione, cioè, sarebbe impossibile per i palestinesi pretendere di avere gli stessi diritti degli ebrei nella loro stessa patria, senza che questo venga chiamato razzismo. Benvenuti nel paese di Alice che guarda attraverso lo specchio. Altra conclusione potrebbe essere che una buona arte degli ebrei di tutto il mondo, quelli che si oppongono all’autodeterminazione di Israele come stato ebraico, sono anche loro degli antisemiti, perché affetti da un odio irrazionale contro i loro fratelli ebrei di Israele. Questo è il modello dell’ “ebreo che odia se stesso”, quello che Israele ha a lungo perseguito per screditare tutte le critiche mosse dagli altri ebrei. Secondo questo punto di vista, quegli ebrei che vogliono che i palestinesi godano degli stessi diritti degli ebrei devono essere considerati razzisti, anzi sono razzisti contro se stessi. E se gli sforzi di Macron per criminalizzare l’anti-sionismo si dimostrassero fruttuosi, questo significherebbe che sia palestinesi che ebrei potrebbero essere puniti – forse persino messi in galera – se pretendessero l’uguaglianza tra palestinesi ed ebrei in Israele. Altrettanto ridicolo suona questo ragionamento che condanna la disapprovazione dell’antisemitismo presentato in modo così schietto e comunque subito accettato in Europa e negli Stati Uniti.
La portata di questa pazzia si è rivelata in tutta la sua evidenza nella decisione della Bank für Sozialwirtschaft, o Banca per l’Economia Sociale, di chiudere il conto di un gruppo ebraico anti-sionista, Jewish Voice for a Just Peace in Medio Oriente, per aver dato il suo appoggio al boicottaggio di Israele. Era la prima volta che una banca tedesca chiudeva un conto di un’organizzazione ebraica dai tempi dei nazisti. La banca ha preso questa decisione dopo una denuncia che affermava la Jewish Voice era antisemita, inviata dal Centro Simon Wiesenthal, un gruppo che maschera il suo feroce sostegno a Israele dietro una campagna per i diritti degli ebrei.
Cancellare sinistra e estrema destra
L’antipatia di Macron nei confronti dell’anti-sionismo – condivisa da molti altri che cercano di confonderlo con l’antisemitismo – ha una causa esplicita ed un’altra nascosta, ma entrambe sono collegate alla crisi politica che sta vivendo: dopo due anni al potere, è il presidente più impopolare nella storia della repubblica. Secondo Macron, l’ascesa dell’anti-sionismo, o meglio dell’opposizione a Israele, sta ingrossando le fila di chi vuole colpire gli ebrei in Francia, sia attaccandoli con scarabocchi di svastiche sulle tombe degli ebrei, sia inquinando la dialettica, in particolare sui mezzi di comunicazione sociale. Due gruppi che, sia lui che le Lobby Franco-giudaiche, hanno identificato come cuore del problema, si tratta dei musulmani francesi, spesso quelli appena immigrati, che sono visti come gente che importa gli stessi atteggiamenti razzisti che hanno i mediorientali nei confronti degli ebrei e della sinistra storica che è la prima a sostenere il BDS.
Benché sia molto piccolo il numero di musulmani francesi che ha preso posizioni estremiste, la maggior parte di loro prova ostilità nei confronti di Israele per il suo ruolo che destabilizza e opprime i palestinesi. Stesso sentimento che domina anche tra gli attivisti BDS. Ma il pensiero di Macron e delle lobby è che questi due gruppi antisionisti siano in realtà strettamente allineati con i gruppi antisemiti di estrema destra e con i neo-nazisti, a prescindere dalle loro ovvie differenze nell’ideologia e nell’atteggiamento nei confronti della violenza. La nebbia attraverso cui Macron vede l’anti-sionismo e l’antisemitismo serve a seminare il dubbio su quali siano effettivamente le ovvie distinzioni tra queste tre diverse ideologie elettorali.
La destrezza di Macron
La destrezza di Macron segue un ordine del giorno ad uso personale e particolarmente specifico, che emerge chiaramente dal modo improprio – usato come se fosse un’arma – di scagliare insulti di antisemitismo in atto sia in Europa che negli Stati Uniti.
Macron si trova di fronte a una rivolta popolare detta dei Gilet-Gialli, o Gilets Jaunes, che sta bloccando le strade francesi da molti mesi e queste proteste stanno facendo traballare il suo governo. Come altre recenti insurrezioni popolari, come il movimento Occupy, i Gilet gialli non hanno un leader ed è difficile decifrare le loro richieste. Rappresentano più uno stato d’animo, una spasmodica insoddisfazione per un sistema politico che-non-si può-toccare da quando ci fu un tracollo finanziario una decina di anni fa, quando è apparso ormai chiaro a tutti che era guasto e irrecuperabile. I Gilet Gialli incarnano una ricerca disperata di attaccare il loro carro a una nuova stella politica che abbia una visione diversa e più giusta su come riorganizzate le nostre società.Il fatto che il movimento sia disarticolato è la sua forza e la sua minaccia. Quelli frustrati dalle politiche di austerità, quelli arrabbiati contro una élite politica e finanziaria troppo arrogante e insensibile, quelli che vogliono tornare a un più chiaro senso di franchezza, tutti possono cercare rifugio sotto quella bandiera.
Ma allo stesso modo ha anche permesso a Macron e alla élite francese di buttare sui Gilet Gialli la copa di tutti i malesseri per cercare di demonizzare il movimento. Un portavoce del movimento nega, ma vista l’ondata crescente di movimenti nazionalisti e di estrema destra in tutta Europa, la scelta di chiamare i gilet gialli antisemiti è stata una opportunità alla quale il bellicoso presidente francese non ha saputo resistere.
Macron ha presentato gli attivisti di sinistra e dell’anti-razzismo che sostengono il BDS come se fossero tutti in combutta con i neonazisti, proprio come i gilet gialli con i nazionalisti bianchi di estrema destra e una gran parte dei media francesi hanno volentieri e felicemente riciclato questa cretinata.
L’amore per l’autorità di chi si mette al Centro
Per chi ritenesse che i leader di centro come Macron agiscano non per puro interesse politico ma per una preoccupazione che vuole sradicare i pregiudizi e proteggere una comunità più debole, vale la pena fare qualche valutazione sugli atteggiamenti politici globali. L’anno scorso il New York Times ha pubblicato un commento di David Adler che dimostrava che, contrariamente a quanto pensa la gente, si collocano al centro – in generale – quelle persone che sono meno sensibili verso la democrazia, di quante ce ne siano all’estrema sinistra e all’estrema destra. Sono persone meno attente ai diritti civili e alle ” libere ed eque elezioni “. Queste tendenze risultano particolarmente pronunciate negli USA, Gran Bretagna, Francia, Australia e in Nuova Zelanda, ma sono evidenti anche in molte altre democrazie liberali occidentali. Inoltre, nella maggior parte dei paesi occidentali, inclusa la Francia, la voglia dell’uomo forte e dell’autoritarismo è molto più forte al centro che non all’estrema sinistra. Stessa cosa in UK e USA dove le figure autoritarie piacciono più al centro che non all’estrema-destra.
Adler conclude: “Il sostegno per “elezioni libere ed eque” scende nel centro politico in ogni singolo paese preso per campione. La dimensione del gap è sorprendente. Nel caso degli USA, meno della metà delle persone di centro considera le elezioni come essenziali. … I centristi … sembrano preferire un governo forte ed efficiente piuttosto che politiche democratiche disordinate “.
La stretta mortale dei lobbisti
E’ per questo forse che non sorprende che i leader di centro come Macron siano tra i più pronti ad evitare confronti equi e aperti, a buttar fango sugli avversari e a non voler trovare le differenze ideologiche tra quelli alla loro sinistra e quelli alla loro destra. E allo stesso modo, chi appoggia il centrismo ha maggior probabilità di bersi tutte le accuse anche le più infondate di antisemitismo, pur di mantenere il suo status quo che percepisce come un vantaggioso per se stesso.
Questo processo si è visto chiaramente negli UK e negli Stati Uniti negli ultimi tempi. Per decenni a Washington, quelli di centro hanno dominato la politica, schierandosi su entrambi i lati di una presunta divisione politica ed uno dei punti che hanno goduto di un forte appoggio bipartisan negli Stati Uniti è il sostegno a Israele. La ragione di questo stretto consenso di Washington su tutta una serie di questioni, incluso Israele, è la morsa sul processo politico americano che arriva dai soldi delle corporation e dalle Lobby. Le lobby preferiscono lavorare nell’oscurità, esercitando la loro influenza lontane dall’occhio della gente. Nel caso di Israele, però, le lobby sono diventate sempre più visibili anche agli estranei per la loro difesa aperta di Israele che appare sempre più difficile da sostenere, dato che gli abusi commessi sui Palestinesi ormai si possono facilmente vedere documentati sui social media. Cosa che, a sua volta, ha stimolato la crescita del movimento BDS e una nuova, seppur piccola, ondata di reazione politica.
Ilhan Omar attaccata
Ilhan Omar, una donna musulmana membro del Congresso, ha dimostrato come il sistema dell’establishment cerchi di addomesticare le matricole ribelli, infatti dopo aver mandato un twitt in cui commentava un fatto ovvio, cioè che la lobby filo-israeliana AI-PAC – come altre lobby – usano i loro soldi per rinforzare l’ortodossia politica di Washington nei campi in cui coltiva i propri interessi. O come ha scritto lei : “Tutto ruota intorno ai Benjamins“, un modo di dire per indicare le banconote da $ 100, quelle con l’immagine di Benjamin Franklin.
Subito è stata sommersa da una valanga di proteste per il suo commento, che doveva essere una prova di antisemitismo. Tutte le critiche venivano dal cosiddetto ampio spettro politico, dai grandi del suo stesso partito democratico fino al presidente Trump. Alla fine, stanca per le troppe critiche, si è scusata, giustificando questa sua decisione e dicendo che spetta agli ebrei decidere cosa sia antisemita. In un’epoca di politica dell’identità dilagante, questo sembra plausibile in modo superfluo. Ma in realtà non ha nessun senso. Anche se una netta maggioranza di ebrei in effetti pensa che le critiche a Israele o alle sue lobby siano un sintomo di antisemitismo – ipotesi altamente discutibile – questo non significa che abbiano un qualche diritto speciale o esclusivo per poterlo affermare.
I palestinesi sono la vittima di Israele e questo è stato documentato anche troppo. Nessuno ha il diritto di rivendicare la propria superiorità morale perché in passato il suo popolo è stato vittima di razzismo se usa questa stessa altitudine per ostacolare una indagine sui crimini compiuti, in questo caso da Israele contro i palestinesi. Non pensarla in questo modo sarebbe voler dare priorità alla difesa degli ebrei, anche in presenza di un loro eventuale comportamento razzista e contro la prova concreta di razzismo perpetrato contro i palestinesi. Ma per essere più precisi, queste scuse fatte dalla Omar accettano il concetto che gli ebrei che gridano più forte – cioè quelli che hanno più mezzi e più soldi degli altri – rappresentano tutti gli ebrei. Questa accettazione rende le élite degli ebrei americani organizzati – il cui vigoroso sostegno per Israele si è dimostrato incrollabile anche quando il PM israeliano Benjamin Netanyahu ha spinto il paese su posizioni di estrema destra – arbitri unici del pensiero di tutti gli ebrei. In effetti, va ancora oltre: Consente che le lobby di Israele siano loro stesse a decidere se esista, o se non esiste, una lobby israeliana. Consente alla lobby di proteggersi, nascondendosi completamente dalla vista della gente e di far giunger la sua influenza in modo ancor più radicato e velato.
La Omar è rimasta sola. Altri importanti critici di Israele, spesso neri, si sono trovati al centro di accuse di antisemitismo solo per aver rivolto delle critiche a Israele, tra cui recentemente Marc Lamont Hill e Angela Davis. Uno stillicidio di accuse seguono la Omar ogni volta che parla, definendola “antisemita”, con l’obiettivo di assicurarsi che lei cominci a autocensurarsi, a diventare “moderata” come lo sono i suoi colleghi politici, e ad aderire ad un consenso bipartisan che consente a Israele di andare avanti e continuare con i suoi abusi contro i palestinesi. Se non si allineerà, ci si può aspettare, che sarà finita politicamente, buttata fuori dalla burocrazia del suo stesso partito o dagli elettori.
Corbyn sulla difensiva
Questo processo è molto più avanzato in Inghilterra, con una campagna concertata per più di tre anni, per stigmatizzare il comportamento di Jeremy Corbyn, con accuse di antisemitismo, da quando – cioè – è diventato leader del partito laburista. Si può considerare che Corbyn costituisca un ritorno alla tradizione socialista – che in Gran Bretagna, fu annientata con l’avvento di Margaret Thatcher nei primi anni ’80 – e che sia un fedele sostenitore della causa palestinese. Di fatto, sembrerebbe una grave anomalia: un politico europeo con velleità di potere che dà priorità ai diritti dei Palestini alla giustificazione della politica israeliana che opprime i palestinesi. La lobby israeliana ha molto da temere da quest’uomo che potrebbe far cambiare il clima politico europeo verso Israele.
Negli ultimi decenni, nel Regno Unito, il partito conservatore al potere si è spostato implacabilmente verso destra, lasciando occupare al partito laburista il posto al centro del parlamento, quello che si era scolpito negli anni ’90, Tony Blair, durante la sua leadership. Benché goda di un enorme sostegno tra i membri del Labour che lo hanno portato alla leadership, Corbyn è in guerra con la maggior parte dei suoi parlamentari. Quelli di centro che hanno felicemente usato l’antisemitismo come arma per combattere dall’interno Corbyn e le centinaia di migliaia di suoi seguaci, proprio come fa Macron contro i suoi oppositori politici.I parlamentari di Corbyn lo hanno accusato pubblicamente di indulgere in un “institutional antisemitism” nel Labour Party, o addirittura di essere antisemita egli stesso. Lo hanno fatto anche se tutte le prove indicano che c’è molto poco antisemitismo tra i sostenitori del Labour Party e comunque ce n’è molto meno che nel partito conservatore attualmente al governo. In ogni caso i laburisti si sono sentiti più liberi per la presenza di Corbyn e sono molto più espliciti nel criticare Israele.
L’ Appeasement fallisce
Questo mese un gruppo di otto parlamentari Labour sono usciti dal partito per costituire una nuova fazione, il gruppo indipendente, prendendo come una delle ragioni principali il “problema del presunto antisemitismo” del Labour e contemporaneamente – sottolineando il loro programma di centro – tre parlamentari conservatori “moderati” si sono uniti a loro, contro la linea dura del PM Theresa May, sull’uscita dall’Unione Europea e altri parlamentari da entrambe le parti potrebbero seguirli.
In risposta, il vice di Corbyn, Tom Watson, altro uomo di centro, ha appoggiato i disertori, andando contro i suoi stessi colleghi di partito, reiterando le accuse di una crisi di antisemitismo nel partito, dicendo che è giunta l’ora di smetterla.
Corbyn ha cercato più volte di placare il centro, così come i gruppi di lobby filo-israeliane nel Regno Unito – sia quelle all’interno del suo partito, come i Labour Friends of Israel e il Jewish Labour Movement, sia quelle al di fuori, come il Board of Deputies, BICOM e the Campaign Against Anti-Semitism.
Dopo un’apparente opposizione interna, il partito laburista ha persino accettato la definizione antisemitismo dell’IHRA, compresi gli esempi intesi a proteggere Israele dalle critiche, ma non è bastato. Infatti, più Corbyn concede ai suoi critici, più i suoi critici strombazzato un presunto problema di antisemitismo nel Labour Party. Corbyn sta lentamente imparando, come tanti altri negli Stati Uniti e in Europa, che queste critiche non sono fatte in buona fede e che non esiste nessuna via di mezzo.
La macchina del fango non accetta commenti sull’antisemitismo, vuole che si torni a una cultura politica, dove il suo potere non deve essere sfidato e non deve essere messo in discussione. Per la lobby israeliana, significa la rinascita del clima politico che esisteva prima del discredito buttato sul processo di Oslo, quando in Israele si evitavano commenti pubblici e i palestinesi erano trattati da terroristi. Gli uomini di centro richiedono il trinceramento di una politica manageriale neoliberista in cui le grandi corporation e la finanza intrnazionale hanno la libertà di dettare le politiche economiche e sociali e quando sbagliano, i loro errori vengono indiscriminatamente scaricati sul pubblico, grazie ai programmi di austerità.
È un patto scellerato, dove gli ebrei vengono usati per oliare le ruote di una politica fallimentare, impotente e sempre più autoritaria voluta dagli uomini del centro.
Jonathan Cook
Fonte: https://mondoweiss.net
Link: https://mondoweiss.net/2019/02/western-malevolently-antisemitism/
27.02.2019
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione Bosque Primario