DI GIDEON LEVY
haaretz.com
Circa due mesi fa una notizia ha sconvolto il mondo. Sergej Skripal, ex spia russa che faceva il doppio gioco a beneficio del Regno Unito, è stato avvelenato insieme alla figlia Yulia in un parco di Salisbury. Le autorità britanniche hanno subito puntato il dito contro la Russia ed espulso decine di diplomatici russi come forma di ritorsione per il tentato omicidio. A far infuriare Londra è stato il tentato omicidio (si sa che l’occidente è molto sensibile al valore della vita umana), ma soprattutto l’idea che la Russia avesse osato agire su suolo britannico.
Poche settimane dopo si è verificato un altro omicidio, questa volta riuscito. In una strada di Kuala Lumpur, in Malesia, dodici proiettili hanno colpito il dottor Fadi al Batsh, ingegnere elettronico del campo profughi di Jabaliya, a Gaza. I due sicari erano in sella a una moto. Prima è stato detto che si trattava di una Bmw. Poi è arrivata la correzione, era una Kawasaki. Al Batsh aveva tenuto una lezione all’università e, secondo le fonti, si occupava dello sviluppo di armi per conto di Hamas.
Tutti gli occhi si sono rivolti subito verso Israele. Eppure nessuno stato ha pensato di espellere un singolo diplomatico israeliano dal suo territorio e nessuno ha criticato Tel Aviv. Per il mondo non è successo nulla. Al Batsh non stato assassinato. La sovranità della Malesia non è stata violata. In fondo perché dovremmo paragonare una spia russa a un ingegnere palestinese, o la sovranità britannica a quella della Malesia?
Una falsa ambiguità
Il sistema dei due pesi e due misure è apparso ancora una volta in tutta la sua evidenza: quello che va bene per Israele è assolutamente vietato per gli altri, perfino per la Russia. I russi sono famosi per i loro omicidi con il veleno. Israele invece è l’unica democrazia del mondo, quindi può anche usare il veleno (come nel tentato omicidio del leader di Hamas Khaled Meshal nel 1997).
Israele ha mantenuto una falsa ambiguità sulla vicenda, ma le strizzate d’occhio, gli accenni, le allusioni, i sorrisi e le spacconate non lasciano alcun dubbio: i bravi ragazzi del Mossad hanno colpito ancora. Il ministro Yoav Galant ha dichiarato: “Daremo la caccia a tutti, li seguiremo all’altro capo del mondo”.
Gli assassini camminano tra noi. Alcuni hanno fatto carriera
Israele ha apprezzato questo atto di coraggio, come apprezza sempre l’omicidio degli arabi, soprattutto quando non avviene alla luce del sole, dall’assassinio mirato di Abu Jihad, ucciso a Tunisi nel 1988 davanti alla moglie e ai figli, passando per Sheikh Ahmed Yassin (ucciso a Gaza nel 2004) e Yahya Ayyash (ucciso a Gaza nel 1996) fino a tutti gli omicidi all’estero: un ingegnere palestinese specializzato nei droni a Tunisi, uno scienziato nucleare a Teheran, un alto ufficiale di Hezbollah a Beirut, Samir Kuntar a Damasco e Mahmoud al Mabhuh a Dubai. La Bulgaria è famosa per gli assassini che usano punte di ombrelli avvelenate, ma gli agenti segreti vestiti da tennisti a Dubai sono eroi.
Tutti questi atti sono omicidi e gli autori sono assassini su commissione. Qualcuno potrebbe sostenere che gli omicidi fossero giustificati, che abbiano permesso di salvare vite umane o che le vittime meritassero di morire. Ma ciò non toglie che si tratti di omicidi. Gli assassini camminano tra noi. Alcuni hanno fatto carriera.
Nessun dibattito pubblico
Magari alcuni omicidi rappresentano la realizzazione di fantasie malate. Alcuni erano superflui, perché ogni vittima lascia il posto a un sostituto, solitamente più estremista di chi l’ha preceduto. Tutti gli altri sono semplicemente stupidi. Uccidere Khalil al Wazir, conosciuto anche come Abu Jihad – un gesto considerato il massimo dell’audacia (nel suo letto a Tunisi) e che ha comportato l’omicidio di uno degli importanti leader palestinesi che avrebbero potuto diventare partner di un negoziato – è stata un’idiozia. Moshe Yaalon continua a vantarsene ancora oggi. Israele è orgoglioso di lui. È il genere di omicidio (punizione, deterrenza, prevenzione o vendetta) che di solito viene eseguito dalle famiglie mafiose.
Al Batsh probabilmente si occupava dello sviluppo di armi, ma difficilmente possiamo sostenere che meritasse di morire per questo. Nessuno dei fanatici nei mezzi d’informazione e nell’opinione pubblica ha la minima idea di quale fosse il suo lavoro e se meritasse la morte. Non c’è e non ci sarà traccia di un dibattito pubblico sulla vicenda. Possiamo fidarci ciecamente del Mossad.
Migliaia di ingegneri israeliani stanno sviluppando armi molto più pericolose e devastanti degli aquiloni di Hamas. Anche loro meritano di morire? I palestinesi avrebbero ragione a volerli uccidere? Uno stato che invia squadroni della morte all’altro capo del mondo non è qualcosa di cui essere orgogliosi. Alla fine queste persone sono soltanto killer su commissione.
Gideon Levy
Link: https://www.internazionale.it/opinione/gideon-levy/2018/04/27/israele-omicidi-mirati
27.04.2018
(Traduzione di Andrea Sparacino)
Questo articolo è stato pubblicato sul quotidiano israeliano Haaretz
Nella foto: Il funerale di Fadi al Batsh nel campo profughi di Jabaliya, nella Striscia di Gaza, il 26 aprile 2018. (Ali Jadallah, Anadolu Agency/Getty Images)