L’involuzione francese

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La maestra mi chiese di Massimiliano Robespierre
Le risposi che i Giacobini avevano ragione e che Terrore o no
La Rivoluzione Francese era stata una cosa giusta
La maestra non ritenne di fare altre domande

(Offlaga Disco Pax, Robespierre)

Le molle del governo del popolo in regime rivoluzionario sono la virtù e il terrore. Il terrore senza virtù è assassinio, la virtù senza terrore è impotente.

(Massimiliano Robespierre)

 

Sono almeno 250 anni che si sente echeggiare nelle nostre lande il grido “Facciamo come in Francia!”.

“O Franza o Spagna, purché se magna” si sentiva invece dire qualche secolo prima, ma quella è un’altra storia.

Ad ogni modo, questo accadeva nelle Francia di 229 anni fa:

…ognuno deve portare sempre con sé il cosiddetto documento del cittadino (certificat de civisme), foglio che attesta dei suoi sentimenti repubblicani e vien rilasciato soltanto con l’assenso del Comitato giacobino locale e dopo un attento esame sostenuto davanti al Consiglio generale della Comune. Oltre alla polizia e agli altri rappresentanti dell’autorità, ogni cittadino ha il diritto di richiedere detto documento a una persona apparentemente sospetta e di farla arrestare qualora questa non possa presentarlo. Agli ex aristocratici il documento non è consegnato, per principio; gli altri lo ottengono soltanto se dimostrano la loro partecipazione attiva alla causa repubblicana o producono una raccomandazione di persona influente.

Il nominato documento protegge dapprima contro la diffidenza dei concittadini e contro la curiosità della polizia, diventa poi indispensabile per le varie esigenze della vita quotidiana: esso deve essere esibito per poter acquistare il pane e altri generi alimentari controllati e razionati dallo Stato. Diventa in ultimo l’unico mezzo di difesa della sicurezza personale, poiché la famosa legge dei sospetti dà alle autorità piena facoltà di arrestare e di condurre davanti al pubblico ministero tutti coloro che non sono provvisti di questo foglio. A farla breve, chi non ha il documento del cittadino è assolutamente privo di qualsiasi diritto: per poterlo ottenere bisogna che sia raccomandato dai Giacobini o che vada a genio a ogni singolo membro del Comitato di sorveglianza.

Il passo (tratto da Robespierre di Friedrich Sieburg, Milano, Longanesi, 1968)  descrive lo stato delle cose dopo la promulgazione della famigerata “Legge dei sospetti” del 17 settembre 1793. Sostituendo il “certificat de civisme” con il “Green Pass”, la “causa repubblicana” con il “vaccino” e la burocrazia giacobina con quella sanitaria (le ASL in luogo dei comitati di sorveglianza) si ha un quadro nitido e rappresentativo dell’Italia di oggi.  Il complesso di inferiorità verso i cugini transalpini si è dunque risolto in questo omaggio tributato loro dal nostro paese a distanza di oltre 200 anni. Tutto questo in attesa di importare anche da noi il “macronismo” e dopo che i voraci cugini hanno allungato i loro rapaci artigli neocoloniali sulla nostra agonizzante economia.

Rispetto a quest’ultimo punto, son lontani i tempi del “Franza o Spagna…”: ora è la Franza che magna noi. Dopo una penetrante e capillare campagna di conquista di pezzi del nostro sistema industriale e bancario (fra il 2000 e il 2018 sono passate in mano francese 364 aziende italiane per un valore stimato di 70 miliardi) e di quote importanti del mercato della grande distribuzione, la sottomissione dell’Italia al nuovo/vecchio padrone di stanza a Parigi è stata suggellata anche da una serie di incontri bilaterali, ultimo ma non meno importante dei quali quello del novembre scorso, con il presidente francese in trasferta a Roma, summit che era stato preceduto dal viaggio estivo  di Mattarella nella capitale francese.

La cessione al capitale francese di quote così rilevanti del nostro patrimonio economico ha fatto da apripista al tentativo malcelato di “regalare” agli invadenti vicini anche un pezzo di mare. Capitò nel marzo 2018, quando il governo guidato dal conte Gentiloni si affrettò a smentire la cessione ai francesi di ampie aree del Mar Ligure e del Mar di Sardegna in base al trattato di Caen, che sarebbe dovuto entrare in vigore a partire dal 25 marzo 2018 e che era stato sottoscritto proprio da Gentiloni, allora nella veste di ministro degli esteri. Il trattato, mai tecnicamente ratificato dalle nostre camere, non venne applicato anche grazie alla campagna di opposizione dei gruppi parlamentari di Fratelli d’Italia. Oltre a mettere le mani sulla zona di pesca dei gamberoni rossi, i francesi stavano per appropriarsi di promettenti giacimenti di idrocarburi ancora vergini.

In Africa, in passato terra di conflitto fra gli imperialismi italiano e francese (l’episodio dello “schiaffo di Tunisi”  – con l’appropriazione francese della Tunisia – è del 1881), oggi l’Italia non solo cede senza colpo ferire zone di influenza, come è successo nella Libia del post-Gheddafi, nel cui groviglio ha saputo insinuarsi l’aggressiva politica estera francese, ma si presta anche a fare da manovalanza per le guerre sporche condotte dai “cugini” in nome del neocolonialismo: è il caso della partecipazione di un contingente italiano alla “task force Takuba” a guida francese, una missione che guerreggia e tutela interessi, con la scusa della “lotta al jihadismo nel Sahel”, nell’area strategica al confine fra Mali, Niger e Burkina Faso.

Su molti fronti, dunque, non è che si sta facendo come in Francia: ci si sta piuttosto consegnando senza condizioni alle mire dei nostri vicini. La francofilia di una parte rilevante della “classe dirigente” italiana è attestata da un fatto piuttosto noto: i tanti “vip” della politica italiana insigniti, a diverso titolo, di riconoscimenti legati alla “Legion d’Onore” della Repubblica Francese. Fra questi, si ricordano D’Alema, Veltroni, Prodi, Fassino, Franceschini, Enrico Letta (che nel suo “anno sabbatico” era andato a fare il docente universitario nell’amata Parigi) : lo stato maggiore del “centrosinistra” degli ultimi trent’anni. Loro sì che si son spesi per “fare come la Francia”.

Per completare l’opera e fare compiutamente come in Francia, il “deep state” italiano ha solo da trovare la ricetta giusta per applicare anche da noi il “macronismo”.

Il “macronismo” non designa un pensiero, seppur debole, ma un modello, quello messo in piedi a Parigi dai circoli che sovrintendono alla stesura della sceneggiatura per conto di chi decide davvero.

La creazione del “prodotto” Emmanuel Macron da vendere sul mercato della postpolitica è stata un piccolo grande capolavoro delle elite. Macron è un guscio vuoto da guarnire con una “storia” intrigante: capolavoro nel capolavoro è stato lo “storytelling” del suo matrimonio con la professoressa del liceo. Il fatto che qualunque altro candidato sarebbe stato demolito per una roba del genere attesta il valore (e il potere) di questi Grandi Sceneggiatori. Quest’uomo senza storia e senza qualità (se non la lungimiranza nell’essersi prostituito e la totale mancanza di scrupoli), questo “American Psycho” all’europea, questo povero diavolo dalla sessualità controversa è stato condotto sullo scranno di Presidente della Repubblica senza avere alle spalle una forza politica organizzata, una rete televisiva o un impero economico. Ciò è potuto accadere perché ha avuto dalla sua parte (quasi) tutte le reti televisive e i potentati economici nazionali e transnazionali. i cui vertici rispondono ad una stessa centrale, la quale si è pure adoperata per sgomberare il campo da rivali ingombranti, arrivando a demolire mediaticamente ciò che restava della “sinistra” e riportando a più miti consigli per via giudiziaria l’allora candidato della destra gollista François  Fillon, fino a lasciare Macron solo nell’arena contro la “fascista” Marine Le Pen e permettergli di stravincere  il ballottaggio presidenziale con oltre il 66% dei voti, successo ripetuto alle elezioni parlamentari con un partito nuovo di zecca, La Republique En Marche, che ha riempito i palazzi di tanti piccoli aspiranti Macron. Lo stesso copione, ma in forma più raffinata, sta per ripetersi con le imminenti presidenziali e la costruzione del Nemico Perfetto Éric Zemmour: ci sarà occasione di riparlarne.

Con l’applicazione rigorosa delle misure autoritarie di marca “pandemica”,il macronismo si compie definitivamente: la recente sparata “populista” dell’omino dei Rothschild in base alla quale avrebbe intenzione di “rompere le palle ai no vax” suggella la svolta, prevista dal copione, in senso più sfacciatamente tecnocratico-decisionista, dispotico e distopico. In ogni caso, il buon Emmanuel  è una pedina sacrificabile sulla Grande Scacchiera: se pure  la sua testa dovesse rotolare sul selciato parigino, hanno pronti altri mille replicanti ancora più “glamour”.

Mentore, creatore e principale artefice del prodotto-Macron è stato Jacques Attali, sinistro Rasputin della politica francese (era già stato vicino a Mitterand) ed  eminenza oscura del globalismo e del transumanesimo. In tempi non sospetti, avrebbe annunciato che il prossimo capo dello Stato sarebbe stata una donna. Se c’è uno le cui profezie vanno tenute in conto, questo è lui.

Per “fare come in Francia” ed impiantare da noi un felice modello macronista, il nostrano “deep state” dovrebbe pescare un jolly nel mazzo delle scartine e dare corpo ad un Macron italico, un novello (e giovane) Messia in grado di ammaliare le folle ormai annichilite e mettere d’accordo le diverse articolazioni di un’elite tutt’altro che monolitica. Monti era un Macron prematuro, Draghi è un Macron invecchiato e, nonostante tutti i possibili accorgimenti che pare stimolino la longevità di questi signori, destinato ad un’altra decina di anni di servizio al massimo. Per il ruolo, è una vita che si propone Renzi: ammesso che abbia avuto in mano il biglietto vincente di questa lotteria, se lo è lasciato scappare per la sua insipienza, ed ora chi glielo ridà più.

La Francia, tuttavia, è sempre stata anche un modello per i rivoluzionari italiani di tutte le epoche e tutte le tendenze. La Rivoluzione Giacobina, le repubbliche napoleoniche, il tricolore, le barricate del 1848, la Comune di Parigi, il Maquis, il Sessantotto…si sa, politicamente parlando, in Francia è sempre maggio.

Grandi entusiasmi e grandi illusioni aveva suscitato a livello continentale l’esperienza del movimento dei Gilet gialli,  ultimo e romanticamente perdente vagito del Novecento europeo. Anche nell’opposizione al postumanesimo pseudosanitario il popolo francese ha saputo onorare la sua fama, ma in modo altalenante. L’acme delle proteste c’è stato l’estate scorsa, quando le manifestazioni sono divampate anche nelle città di provincia e si sono fatte sentire sotto le mille Bastiglie simboliche del potere, trovando sponde sia nel mondo sindacale che in quello della politique politicienne.  Una lotta di popolo affine a quella dei Gilet gialli, la cui sensibilità “spontaneista” si ritrova nel movimento di opposizione al delirio pseudosanitario.

Ultimamente, l’espressione del dissenso ha preso una piega “situazionista” (del resto, la Francia è pure la patria del grande Guy Debord). A Saint Pierre e Miquelon, territorio d’oltremare situato nell’Oceano Atlantico, il deputato macronista Stephane Claireaux è stato bersagliato da un fitto lancio di alghe e fango davanti alla porta di casa sua. Un dimostrante gli ha pure strappato la mascherina. I giornali hanno parlato di una “lapidazione”. A Forcalquier, in Alta Provenza, un altro parlamentare de La Republique En Marche, Christophe Castaner, ha visto profanata la sacralità della sua dimora,  trovandosi il cortile pieno di televisori lanciati oltre il cancello da manifestanti particolarmente creativi e situazionisti. Ancor più fantasiosi (ma in larga parte mascherinati) gli studenti che hanno presidiato il ministero dell’istruzione ballando a ritmo di techno in segno di dileggio verso il ministro Jean-Michel Blanquer, che aveva annunciato il nuovo “protocollo covid” per le scuole francesi mentre si trovava in vacanza a a Ibiza.

In questi ultimi casi sì, varrebbe davvero la pena di fare come in Francia.

 

di Moravagine per Comedonchisciotte

 

 

 

 

 

 

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