DI JIM KAVANAGH
counterpunch.org
E’ già guerra?
Per troppi aspetti, sì.
E’ una instancabile guerra economica, diplomatica ed ideologica, insaporita solo con un pochino (per ora) di attività militare, e con un forte odore di peggioramento.
Parlo della guerra con la Russia, naturalmente, perché la Russia è il bersaglio principale di tutta una costellazione di nuovi avversari che gli Stati Uniti stanno disperatamente cercando di sottomettere, prima che uno di essi, o una loro combinazione, divenga troppo forte per essere sconfitto. Questi comprendono nazioni come l’Iran e la Cina, che stanno sviluppando eserciti capaci di resistere ad un’aggressione militare americana, a livello regionale o contro il loro stesso territorio, e che hanno dato prova di un po’ troppa presunzione nel non voler rimanere nelle gabbie geopolitiche che erano state loro preventivamente assegnate.
Ma la Russia è l’unica nazione che ha messo il suo esercito di traverso al programma americano di cambio di regime, indirettamente in Ucraina, dove la Russia non ha voluto togliersi di mezzo e direttamente in Siria, dove la Russia si è messa attivamente in mezzo. Perciò la Russia è nel centro del mirino, il primo bersaglio per una lezione esemplare.
Si tratta allora di una nuova Guerra Fredda, ancora più pericolosa di quella vecchia, come dice Stephen F. Cohen?
Questa terminologia poteva andare bene ancora fino a qualche mese fa, ma la velocità, la ferocia e la coordinazione della reazione Occidente/NATO al presunto avvelenamento con un agente nervino degli Skripal e la formazione di un gabinetto di guerra a Washington, mi fa capire che siamo passati ad un altro livello di aggressione.
Siamo oltre al “Fredda.” Chiamatela Guerra Tiepida. E la temperatura sta aumentando.
Il loro coraggio
Ci sono due presupposti di fondo che, combinati, rendono la situazione attuale più pericolosa di una Guerra Fredda.
Uno è la presunzione di colpa, o, più precisamente, la presunzione che la presunzione della colpa russa possa essere formulata e fatta entrare nel cervello degli Occidentali.
Tutto lo scalpore preconfezionato sul presunto avvelenamento degli Skripal con agente nervino ne è una drammatica dimostrazione.
La rapidissima conclusione di Theresa May, che il governo russo è l’unico e certo responsabile dell’avvelenamento degli Skripal con agente nervino, è logicamente, scientificamente e legalmente impossibile.
La falsa certezza è la fake news definitiva. Non è assolutamente vero quando (la May) dice: “Non c’è nessuna conclusione alternativa al fatto che lo stato russo sia colpevole”. La falsità di questa affermazione è stata dimostrata da numerosissime fonti, anche dagli stessi sviluppatori del presunto agente “Novichok”, da una minuziosa analisi di un ex funzionario dell’ONU che aveva lavorato in Iraq alla distruzione delle armi chimiche russe, da riviste scientifiche istituzionali occidentali, come New Scientist (“Other countries could have made Russian nerve agent”), e dallo stesso rigetto evasivo, reale ma inconfessato, di questa conclusione da parte del governo inglese. In altre parole, il governo inglese ha trovato: “un agente nervino o un composto correlato”, “di un tipo sviluppato dalla Russia.” Perciò è assolutamente, sicuramente, certamente, senza alcun dubbio “Novichok” di produzione governativa russa… o qualcos’altro.
Theresa May mente, tutti quelli che sostengono la sua asserzione falsamente certa mentono, tutti sanno di mentire, e i Russi sanno che loro sanno di mentire. E’ una situazione del genere…
Sconvolge la mente (la mia almeno) come sia possibile che, alla luce di tutto questo, la gente possa prendere sul serio il suo ultimatum, con il quale, ignorando tutte le procedure della Chemical Weapons Convention, ha dato alla Russia 24 ore di tempo per “spiegare” (cioè confessare e chiedere perdono) questo presunto crimine.
Invero, è degno di nota che, inizialmente, la Francia, ed anche in modo brusco, si era rifiutata di dare per scontato una colpa russa, quando un portavoce governativo aveva dichiarato: “Noi non facciamo fantapolitica. Quando ci saranno delle prove, allora sarà il momento per prendere delle decisioni”. Ma poi è arrivata la frustata, partita di certo non dalle debole mano di Whitehall , che ordinava l’unità della UE/NATO nella condanna della Russia. Così, con una straordinaria dimostrazione di disciplina, che poteva essere stata ordinata ed orchestrata solo dal centro dell’Impero, la Francia si è unita agli Stati Uniti e a venti altre nazioni, nella più massiccia espulsione di diplomatici russi di tutti i tempi.
I governi occidentali ed i loro media compiacenti hanno stabilito che debba essere considerato come acquisito il fatto che il governo russo è colpevole del “primo uso offensivo di un agente nervino” in Europa dal tempo della II Guerra Mondiale. Tutti quelli che (come Jeremy Corbin o Craig Murray) osano interrompere il coro “Prima la sentenza! Dopo il verdetto!” per chiedere, ehm, delle prove, vengono ricoperti da una bordata di insulti.
A questo punto, sembra che agli accusatori occidentali non importi nulla di quanto palesemente infondata, se non ridicola, sia l’accusa. La presunzione della colpa russa, con il ludibrio per tutti quelli che osano metterla in dubbio, è diventata uno standard insindacabile del dibattito politico/mediatico americano ed occidentale.
Il Maccartismo della vecchia Guerra Fredda si è trasformato nella fantapolitica della nuova Guerra Tiepida.
Mandato all’inferno con disprezzo
Questa dichiarazione di guerra diplomatica per il caso Skripal è il culmine di una martellante azione psicologica, attualmente in corso, volta a demonizzare la Russia e Putin in persona, nei modi più prevedibili e provocatori.
Nel corso degli ultimi due anni ci è stato detto da Hillary Clinton, John McCain, Marco Rubio e Boris Johnson che Putin è il nuovo Hitler. Questo per i Russi è un paragone particolarmente irritante. Dopo tutto, la Russia sovietica era stata il principale nemico di Hitler, aveva sconfitto l’esercito nazista, al prezzo di più di 20 milioni di morti, mentre la famiglia reale inglese non era stata poi così insensibile al fascino del fascismo hitleriano e i calciatori inglesi avevano avuto il loro momento topico nel 1938, con il saluto al Fuhrer.
“Guerra” è ciò che essi sembrano volere. Negli ultimi 18-24 mesi siamo anche stati ossessionati dal minaccioso video “Siamo stati attaccati. Siamo in guerra” di Morgan Freeman e Rob Reiner, e anche dall’insistenza bipartisan (di Hillary Clinton e John McCain) affinché le presunte interferenze elettorali russe siano considerate un “atto di guerra”, alla stregua di Pearl Harbor. Invero, anche il nuovo Consigliere alla Sicurezza Nazionale di Trump, quel pazzo guerrafondaio di John Bolton, le definisce esplicitamente “un casus belli, un atto di guerra vero e proprio”.
Entra in campo anche l’esercito. L’accusa di aver usato un agente nervino è stata ripresa dal generale John Nicholson, il comandante delle forze statunitensi in Afghanistan, che ha accusato la Russia di armare i Talebani! E’ da sottolineare che questo anziano generale dell’esercito americano parla casualmente della Russia come del “nemico”: “Siamo in possesso di resoconti apparsi sulla stampa e scritti dai Talebani sugli aiuti economici forniti loro dal nemico”.
Ed è una cosa strana, dal momento che i Talebani erano nati dalla guerriglia jihadista, sponsorizzata dagli Americani contro le truppe sovietiche in Afghanistan e che fra Talebani e Russi c’è una “perdurante inimicizia”, come asserisce Kate Clark, dell’Afghanistan Analyst Network. Inoltre, la guerra americana contro i Talebani, che dura ormai da sedici anni, è stata resa possibile dalla Russia, che ha permesso agli Stati Uniti il transito dei rifornimenti attraverso il suo territorio, e che è il principale fornitore di carburante per le attività dell’alleanza in Afghanistan.
Perciò il generale ha dovuto ammettere che la presunta “attività destabilizzatrice” della Russia è una novità: “Questa attività, in realtà, si è intensificata negli ultimi 18-24 mesi… Se considerate il fattore tempo, grosso modo il tutto si correla all’inizio delle ostilità in Siria. Così è interessante notare la sincronizzazione di tutti gli eventi.”
Si, è così.
La guerra economica contro la Russia viene portata avanti attraverso una serie di sanzioni, apparentemente impossibili da revocare, dal momento che il loro specifico scopo è quello di estorcere confessione, pentimento e riparazione per crimini attribuiti alla Russia, ma che la Russia non ha commesso, per crimini di cui non esistono le prove della loro esistenza, oppure per crimini completamente di fantasia e non commessi da nessuno. Smetteremo di confiscare i vostri depositi bancari, i vostri consolati e vi lasceremo giocare con noi solo se confesserete e vi pentirete di tutti i crimini di cui vi accusiamo. Le domande non sono permesse.
Questo non è un contesto serio per relazioni internazionali rispettose fra due nazioni sovrane. E’ assolutamente infantile. E’ una cosa che caccia tutti in un vicolo cieco, compreso chi (le sanzioni) cerca di imporle. La Russia abbandonerà forse la Crimea, confesserà di aver abbattuto il volo MH17, di averci indotti a votare per Donald Trump, di aver avvelenato gli Skripal, di armare segretamente i Talebani, ecc.? Gli Stati Uniti diranno forse mai: “Non importa”? Quale sarà il passo successivo? E’ il modo di fare del prepotente.
Questo non è neppure un approccio realmente diretto ai “crimini” contestati. Come Victoria Nuland (una John Bolton clintoniana) aveva detto alla NPR, si tratta di “mandare un messaggio” alla Russia. Beh, secondo l’ambasciatore russo a Washington, Anatoly Antonov, con quest’ultima espulsione in massa di diplomatici, gli Stati Uniti stanno “distruggendo quel poco che rimane delle relazioni russo-americane”. Ha recepito il messaggio.
Tutto questo appare come una campagna ben coordinata, iniziata in risposta all’interruzione, da parte della Russia, dei progetti americani di cambio di regime in Ucraina e soprattutto in Siria, che è stata, negli ultimi 18-24 mesi, sincronizzata con le contestazioni, elitarie e popolari, sulle elezioni del 2016, e che ha toccato il crescendo nelle ultime settimane, con l’onnipresente e sfrenata “inimicazione” della Russia. E’ difficile descriverla come un qualcosa di diverso dalla propaganda di guerra, la fabbricazione di un consenso popolare per (la giustificazione di) uno scontro militare.
La distruzione della possibilità di relazioni interstatali normali, non conflittuali e la rappresentazione della Russia come “il nemico” è esattamente lo scopo di questa campagna. Il suo messaggio e i suoi effetti sono rivolti tanto al popolo americano quanto al governo russo. Il pericolo maggiore, secondo me, è che la Russia, che è stata a lungo riluttante ad accettare il fatto che l’America non fosse interessata ad una “partnership”, ora ha udito e recepito il messaggio, mentre il popolo americano lo ha solo udito, ma non lo ha capito.
E’ difficile capire se tutto ciò avrà uno sbocco che non comporti un conflitto militare. Questo è specialmente vero dopo le nomine di Mike Pompeo, Gina Haspel e John Bolton, una vera e propria sfilza di assassini, che molti considerano il nucleo del gabinetto di guerra di Trump. Bolton, che non ha bisogno della conferma del Senato, è un fanatico particolarmente pericoloso, che ha cercato di indurre gli Israeliani ad attaccare l’Iran, anche quando essi non volevano ed ha promesso un cambio di regime in Iran per il 2019. Come ho già detto, pensa che la Russia gli abbia già fornito un “casus belli”. Anche il compassato New York Times mette in guardia che, con queste nomine, “le probabilità di intraprendere un’azione militare aumenteranno in modo drammatico”.
Questa seconda presunzione, insita oggi nella mentalità americana, fa sì che un confronto militare sia assai più probabile di quanto lo fosse durante la Guerra Fredda. Qui non c’è solo una presunzione di colpa, c’è una presunzione di debolezza. La presunzione di colpa è un qualcosa che i proconsoli imperiali americani sono certi di poter indurre e mantenere nel mondo occidentale, la presunzione di debolezza è una cosa che loro, o, come temo, molti di loro hanno interiorizzato troppo alla leggera.
Questo è un aspetto della (tipica) autostima americana che hanno gli uomini politici entrati in carriera nell’era post-sovietica. Durante la Guerra Fredda, gli Americani si autocontrollavano in base al presupposto che, militarmente, l’Unione Sovietica era un avversario di pari grado, una nazione che avrebbe potuto e voluto difendere specifici territori ed interessi da un’aggressione militare americana diretta, “sfere di interesse” che non avrebbero dovuto essere attaccate. Questo sostanziale antagonismo veniva gestito con un riluttante, mutuo rispetto.
C’era, dopo tutto, una storia, ancora recente, di alleanza contro il fascismo. E c’era la consapevolezza che l’Unione Sovietica, anche se comunque in modo distorto, da un lato rappresentava la possibilità di un futuro post-capitalista e dall’altro sosteneva i movimenti di liberazione nazionale post-coloniali, cosa che le conferiva una notevole statura a livello mondiale.
La dirigenza americana potrà anche aver odiato l’Unione Sovietica, ma non la disprezzava. Nessun leader americano avrebbe descritto l’Unione Sovietica come John McCain aveva definito la Russia: “una stazione di rifornimento mascherata da nazione”. E nessun leader anziano americano o inglese avrebbe detto all’Unione Sovietica quello che il Segretario alla Difesa britannico Gavin Williamson ha detto alla Russia la settimana scorsa: “andar via e tacere.”
Questo è un comportamento che da per scontata la propria superiorità in rettitudine, autorità e forza militare, anche se (così) tradisce la propria debolezza. E’ il comportamento di un bambino frustrato. O di un prepotente. La Russia non se ne starà zitta e non se ne andrà via e gli Inglesi non saranno (e sanno di non esserlo) in grado di costringerla. Probabilmente pensano che Paparino possa e voglia dar loro una mano. E magari lo pensa anche papà.
Come tutti i prepotenti, quelli che sono coinvolti in questo arrogante genere di comportamento sembrano non capire che non stanno affatto spaventando la Russia. Stanno solo insultando la nazione e la inducono a credere che non esistono più legami di partnership russo-americana produttivi e non conflittuali. L’espulsione su scala mondiale dei diplomatici dopo il caso Skripal, che sembra essere deliberatamente e disperatamente sovradimensionata, potrebbe aver finalmente convinto la Russia che il tentare non serve più a nulla. Chi dovrebbe essere terrorizzato da tutto questo è il popolo americano.
Il nemico del mio nemico sono io.
L’unico risultato raggiunto dagli Stati Uniti è stato quello di diventare un nemico per i Russi. Gli Americani farebbero meglio a capire come, attraverso il loro atteggiamento ipocrita ed arrogante, si siano alienati il popolo russo ed abbiano rafforzato la leadership di Vladimir Putin, come avevano messo in guardia molti critici di Putin. L’illusione di poter fomentare in Russia un movimento “liberale”, per mandare al potere un novello Yeltsin, è svanita sotto i riflettori di una giornata elettorale (caratterizzata) dal 77% di preferenze. Putin è ampiamente e fortemente sostenuto in Russia proprio perché rappresenta la resistenza a tutte queste manovre.
Gli Americani che vogliono capire queste dinamiche e quello che l’America stessa ha provocato in Russia, dovrebbero ascoltare la passione, la rabbia e la delusione in questa dichiarazione sull’elezione di Putin di una persona che di autodefinisce “liberale” (dando al termine, come credo, il significato classico, non quello politico americano), Margarita Simonyan, editore capo di Russia Today TV.
In pratica, l’Occidente dovrebbe essere terrorizzato, non perché il 76% dei Russi ha votato per Putin, ma perché queste elezioni hanno dimostrato che il 95% del popolo russo sostiene ideali conservativo-patriottici, comunisti e nazionalisti. Ciò significa che le opinioni liberali sopravvivono si e no fra il 5% della popolazione.
E tutto questo per colpa vostra, cari amici occidentali. Siete stati voi a metterci in modalità “la Russia non si arrenderà mai”…
Con tutte le vostre ingiustizie, crudeltà, ipocrisie inquisitorie e menzogne ci avete costretto a non rispettarvi più. Voi e i vostri cosiddetti “valori.”
Non vogliamo più vivere alla vostra maniera. Per cinquant’anni, in segreto ed alla luce del sole, abbiamo voluto vivere come voi, ma adesso non più.
Non abbiamo più rispetto per voi, per quelli fra di noi che voi sostenete e per tutti quelli che vi aiutano….
Di tutto questo dovete incolpare solo voi stessi. …
Nel frattempo, ci avete costretto a far quadrato attorno al vostro nemico. Immediatamente, appena lo avete chiamato nemico, ci siamo uniti a lui ….
Siete stati voi a contrapporre patriottismo e liberalismo. Anche se questi concetti non dovrebbero escludersi a vicenda. Questo falso dilemma, creato da voi, ci ha costretto a scegliere il patriottismo.
Anche se molti di noi, in realtà, sono liberali, me compresa.
Cercate di mettervi a posto. Non c’è rimasto molto tempo.
Infatti, tutta la strategia mondiale delle “rivolte”/rivoluzioni colorate è finita. E’ stata definitivamente discreditata proprio dai suoi presunti successi. Tutti quanti, in Medio Oriente, hanno visto come ha funzionato in Iraq, in Libia e in Siria, e i Russi hanno visto come ha funzionato in Ucraina e nella stessa Russia. Gli Americani, con le loro sanzioni, le loro ONG e i loro biscottini, non riusciranno a fomentare in Russia o in Iran una di quelle insurrezioni popolari che trasformano le nazioni in vittime smembrate del Washington Consensus. Sempre più fantapolitica.
Il vecchio-nuovo mondo voluto da Washington non nascerà senza una levatrice militare. Gli Stati Uniti rivogliono una Russia (ed una “comunità internazionale”) compiacente e pensano di poterla costringere ad essere tale.
Il nodo della paura
Prendete in considerazione questa citazione di The Saker, analista militare, nato in Svizzera da una famiglia russa di tradizioni militari, che “ha studiato la strategia bellica russa e sovietica per tutta la vita” ed ha vissuto per vent’anni negli Stati Uniti. E’ stato forse il migliore degli analisti che, negli ultimi anni, si sono interessati alla Russia ed alla Siria. Questa era la sua opinione un anno fa, dopo l’attacco di Trump, con missili da crociera, contro la base aerea siriana di Al Shayrat, un’altra punizione istantanea per un crimine chimico comprovato e verificato al 100% in un giorno solo.
Da un lato, non esiste più una politica americana.
I Russi hanno espresso tutto il loro disgusto e la loro indignazione per questo attacco ed hanno incominciato a dire apertamente che gli Americani sono “недоговороспособны”. Questo termine significa letteralmente “incapaci di accordi”, cioè inidonei ad aderire e a rispettare un accordo. Anche se cortese, questo modo di dire è, nello stesso tempo, estremamente forte ed implica non tanto una volontà ingannatrice, quanto una mancanza vera e propria della capacità di fare un accordo e di rispettarlo… Ma, dire che una potenza nucleare mondiale è “incapace di tener fede agli accordi” è una diagnosi grave e terribile.
Questo significa che la Russia ha praticamente rinunciato all’idea di avere un partner adulto, sobrio e mentalmente sano con cui dialogare.
In tutti i miei anni di addestramento e di lavoro come analista militare ho sempre dato per scontato che le parti coinvolte fossero, come li chiamavamo, “attori razionali”. I Sovietici sicuramente lo erano. Come lo erano gli Americani…
Non solo io trovo l’amministrazione Trump “incapace di accordi”, la trovo completamente distaccata dalla realtà. Delirante, in altre parole…
Purtroppo, proprio come Obama prima di lui, sembra che Trump pensi di poter vincere al gioco del coniglio nucleare contro la Russia. Ma non può. Lasciatemi essere chiaro: se messi all’angolo i Russi combatteranno, anche se questo significa una guerra nucleare.
C’è un motivo per questa fissazione americana. L’attuale generazione dei leader americani è stata viziata e confusa dal beato ventennio post-sovietico di impunità americana.
Il problema non è, ad essere precisi, che gli Stati Uniti vogliono una guerra totale con la Russia, è che non la temono.
E perché dovrebbero? Non hanno avuto paura per vent’anni, durante i quali gli Stati Uniti hanno immaginato di poter costringere la Russia a non intralciare la loro avanzata imperiale, in qualunque parte del mondo decidessero di intervenire.
Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica (e solo grazie alla dissoluzione dell’Unione Sovietica) gli Stati Uniti erano trovati liberi di esercitare impunemente la loro forza militare. Per qualche tempo, gli Stati Uniti avevano messo un loro fantoccio ubriacone, Yeltsin, al governo della Russia, in modo tale che non venissero intralciate le azioni dell’esercito americano. Non c’era stata praticamente nessuna opposizione quando Bill Clinton aveva effettivamente conferito alla NATO (cioè agli stessi Stati Uniti) l’autorità di decidere quali interventi militari fossero legittimi e necessari. Per circa un ventennio, dalla Jugoslavia, fino all’intervento in Libia, nessuna nazione aveva avuto la forza militare o la volontà politico-diplomatica di resistere a tutto questo.
Ma questa situazione è cambiata. Anche il Pentagono riconosce che l’Impero Americano è in una fase di “post-primato”, che sta sicuramente dando “segni di cedimento” e che magari potrebbe anche “collassare”. Il mondo ha visto la potenza economica e sociale dell’America volatilizzarsi e la sua pretesa di legittimità dissolversi completamente. Il mondo ha visto l’esercito americano eccedere dappertutto, senza mai riportare una vittoria significativa. Sedici anni, ed il potente esercito degli Stati Uniti non riesce a sconfiggere i Talebani. E adesso è tutta colpa della Russia!
Nel frattempo, numerose nazioni in aree-chiave hanno acquisito un grado di sicurezza militare ed una volontà politica tali da consentire loro di rifiutare i presupposti dell’arroganza americana, la Cina nel Pacifico, l’Iran in Medio Oriente, la Russia in Europa (e, sorprendentemente, anche in Medio Oriente). In uno schema ormai familiare, l’ansia dell’America, causata dal declino della sua potenza militare, aumenta la sua aggressività compensatoria. E, come ho già detto, poiché è stata la Russia a dare la dimostrazione più efficace di una simile confidenza militare, è la Russia che bisogna mettere a posto per prima.
L’incessante ondata di sanzioni ed espulsioni è il bullo che, nel cortile della scuola, stringe i pugni per far scappar via l’ultimo arrivato. Va bene, adesso il messaggio è arrivato a tutti. Fare un passo indietro o picchiare?
Cerchiamo di essere chiari su chi sia il prepotente a livello mondiale. Come è evidente a chiunque sia anche solo semi-cosciente, la Russia non attaccherà gli Stati Uniti o l’Europa. La Russia non ha una caterva di basi militari, navi da battaglia ed aerei ai confini dell’America. Non dispone di quasi un migliaio di basi militari in tutto il mondo. La Russia non ha eserciti da scatenare ovunque, come fa l’America, non vuole o non ne ha bisogno. Questo non per il pacifismo della Russia o di Vladimir Putin, ma perché la Russia, con la sua attuale politica economica nel contesto mondiale, non avrebbe nulla da guadagnare da una cosa del genere.
E neppure la Russia ha bisogno di pirateria informatica per “destabilizzare” e creare divisioni nell’Europa Occidentale e negli Stati Uniti. Diseguaglianze, austerità, maree di profughi (in fuga) dalle guerre per i cambi di regime e poliziotti dal grilletto facile stanno già facendo un buon lavoro. La Russia non è responsabile dei problemi che l’America ha con Black Lives Matter o con i Talebani.
Tutto questo è fantapolitica.
Sono gli Stati Uniti, con il loro fragile impero, ad avere un problema che richiede l’aggressione militare. Quali altri strumenti sono rimasti agli Stati Uniti per rimettere al loro posto le (nazioni) emergenti, la Russia per prima?
Deve essere dura per gente che, per vent’anni ha fatto quello che ha voluto con una nazione dopo l’altra, pensare di non poter togliere di mezzo la Russia con qualche minaccia veramente terrificante, o magari con uno o due “pugni sul naso”. Un certo numero di piccole, discrete escalations. C’è già stato qualche spintone, l’attacco con i missili da crociera, l’abbattimento da parte della Turchia del caccia russo, gli attacchi americani al personale russo (apparentemente mercenari privati) in Siria e, guarda mamma, nessuna grossa guerra. Talvolta, però, la regola del contrario bisogna apprenderla alla maniera dura, come dice Mike Tyson: “Tutti hanno un piano d’azione, fino a quando non danno un pugno in faccia all’altro”.
Prendete in considerazione uno dei rischi di escalation che ogni osservatore ben informato, ed ogni americano, dovrebbe conoscere bene.
Il luogo dove Stati Uniti e Russia sono letteralmente e geograficamente più prossimi al confronto militare è la Siria. Come già detto, la Turchia, alleato sia della NATO che degli Stati Uniti, ha già attaccato ed ucciso Russi in Siria e gli Stati Uniti ed i loro alleati della NATO dispongono in Siria e nelle zone circostanti di un contingente militare assai più consistente di quello russo. D’altro canto, la Russia ha fatto un uso molto efficace dei suoi mezzi, compresi quelli che la Reuters chiama “missili da crociera avanzati”, lanciati da aerei, navi e sottomarini, che hanno colpito bersagli dell’ISIS con grande precisione da 1000 km di distanza.
La Russia opera anche in ossequio alle leggi internazionali, cosa che gli Stati Uniti non fanno. La Russia combatte insieme alla Siria per la sconfitta delle forze jihadiste e per l’unificazione dello stato siriano. Gli Stati Uniti combattono al fianco dei loro sodali jihadisti per il rovesciamento del governo siriano e per lo smembramento della nazione. La Russia è intervenuta in Siria dopo l’annuncio di Obama che gli Stati Uniti avrebbero attaccato le truppe siriane, in pratica dichiarando guerra. Se nessuna delle due parti accetta la sconfitta e se ne torna a casa, è abbastanza probabile che, per questo, si arrivi allo scontro. Infatti, è difficile immaginare come non ci si possa arrivare.
Un paio di settimane fa, Siria e Russia hanno riferito che gli Stati Uniti stavano preparando una importante offensiva contro il governo siriano, compreso il bombardamento dei quartieri governativi di Damasco. Valery Gerasimov, Capo dello Stato Maggiore Generale della Russia, ha ammonito: “In caso di minaccia alla vita dei nostri soldati, le forze armate russe adotteranno misure di ritorsione contro i missili ed i lanciatori utilizzati”. In questo contesto, per “lanciatori” si intendono le navi americane nel Mediterraneo.
Sempre un paio di settimane fa, la Russia ha reso pubblici alcuni nuovi sistemi d’arma altamente avanzati. Si discute se alcune di queste armi, ancora da dislocare, possano, o no, essere un bluff, ma una di queste è già operativa, si chiama Dagger (Kinzhal e non è il missile di cui parlavamo prima), si tratta di un missile da crociera ipersonico aviolanciato, che viaggia a 5-7000 miglia orarie, con un raggio d’azione di 1200 miglia. L’analista Andrei Martyanov afferma che “nessun sistema di difesa aerea, attuale o in prospettiva, in dotazione oggi alle flotte della NATO è in grado di intercettare anche un solo missile con simili caratteristiche. Una salva di 5 o 6 di questi missili garantisce la distruzione di qualsiasi gruppo da battaglia di portaerei, o di ogni altro gruppo di superficie, per quel che importa.” Aviolanciato. Da qualsiasi località.
L’attacco americano non si è (ancora) verificato, qualunque sia la ragione (il reporter di Sputnik, Suliman Mulhem, citando una “fonte militare”, afferma che questo è dovuto all’avvertimento lanciato dai Russi). Grandioso. Considerando però lo stato attuale, ansiosamente aggressivo, della politica americana da “post-primato”, aggiungendoci la russomania, il bisogno dei Sionisti di distruggere la Siria e l’Iran e il gabinetto di guerra, quante sono le probabilità che gli Stati Uniti, in un prossimo futuro, attacchino qualche obbiettivo che i Russi ritengono indispensabile difendere?
E la Siria è solo uno dei teatri dove, a meno che una delle due parti accetti la sconfitta e se ne torni a casa, uno scontro militare con la Russia è altamente probabile. La Russia abbandonerebbe la popolazione di lingua russa del Donbass, se essa venisse attaccata dai fascisti di Kiev spalleggiati dagli Stati Uniti? Si siederebbe e starebbe passivamente a guardare, se le forze americane ed israeliane dovessero attaccare l’Iran? Chi dei due si arrenderebbe ed accetterebbe una sconfitta: John Bolton o Vladimir Putin?
Tutto questo ci porta ad una domanda precisa: che cosa farebbero gli Stati Uniti se la Russia dovesse affondare una nave americana? Quanti passi prima di una guerra totale, magari nucleare? O forse i pianificatori americani (e anche tu, caro lettore) sono assolutamente e rigorosamente certi che una cosa del genere non accadrebbe mai perché anche gli Stati Uniti hanno armi fighissime, e molte più di loro, e i Russi probabilmente perderebbero subito tutto il loro naviglio nel Mediterraneo, se non peggio, e sopporterebbero qualunque cosa, piuttosto di fare un passo in più. I Russi, come tutti, devono sapere che gli Americani vincono sempre.
Siamo contenti, vero? Comodi a casuccia nostra? Perché i Russi non combatteranno, ma i Talebani si.
Questo è esattamente quello che si intende quando si dice che gli Americani non temono la guerra con la Russia (o la guerra in generale, per quel che importa). Nient’altro che disprezzo.
La saga degli Skripal, diretta dagli Stati Uniti, con tutta l’Europa e l’intero apparato mediatico occidentale a cantare in coro, fa chiaramente capire come i produttori americani non abbiano riservato alla Russia nessun ruolo importante nella commedia mondiale che intendono mettere in scena. E questo disprezzo rende la guerra molto più probabile. Ecco nuovamente The Saker, su quanto sia pericoloso, per tutti, l’isolamento che gli Stati Uniti ed i loro vassalli europei stanno così incautamente imponendo alla Russia:
Proprio in questo momento stanno espellendo in massa i diplomatici russi e si sentono assai forti e virili. …
La verità è che questa è solo la punta di un iceberg molto più grosso. In realtà, le consultazioni veramente importanti, a livello specialistico, quelle che sono di importanza vitale fra le superpotenze nucleari, sono cessate del tutto già da molto tempo. Siamo ritornati alle telefonate di alto livello. Questo succede quando le due parti stanno per entrare in guerra. Sono molti mesi ormai che la Russia e la NATO stanno facendo i preparativi per una guerra in Europa… Quasi subito rimarranno in campo solo Stati Uniti e Russia. Così, quale che sia il conflitto, quest’ultimo si trasformerà molto rapidamente in nucleare. E, per la prima volta nella storia, gli Stati Uniti verranno colpiti duramente, molto duramente, non solo in Europa, in Medio Oriente o in Asia, ma anche sul continente americano.
Espulsioni in massa di diplomatici, guerra economica, propaganda di regime, nessun interesse ad un approccio rispettoso o all’ascolto della controparte. Quello a cui abbiamo assistito negli ultimi mesi è “quel genere di cose che capitano quando le due parti stanno per entrare in guerra”.
Meno gli Americani temono la guerra, meno hanno rispetto di una sua possibilità, tanto più è probabile che ne abbiano una.
Pronti o no
Saker crea quasi un dittico con un’argomentazione che centra il problema. Faremmo bene a leggerlo e a ponderarlo con attenzione
1/ I Russi hanno paura della guerra. Gli Americani no.
2/ I Russi sono pronti per la guerra. Gli Americani no.
La Russia ha paura della guerra. Nella II Guerra Mondiale vennero uccisi più di venti milioni di cittadini sovietici, la metà erano civili. Sono venti volte le perdite complessive subite dagli Americani e dagli Inglesi. L’intera nazione venne devastata. Nel solo assedio di Leningrado, durato 872 giorni, morirono a milioni, compreso il fratello di Vladimir Putin. La popolazione della città fu decimata dalle malattie e dalla fame e qualcuno arrivò anche al cannibalismo. Wikileaks lo definisce “uno dei più lunghi e più distruttivi assedi della storia [e] probabilmente il più oneroso in termini di vite umane.” Un altro milione e più morì durante i nove mesi dell’assedio di Stalingrado.
Ogni Russo conosce questa storia. Milioni di famiglie ne hanno sofferto. C’è stata naturalmente la mitizzazione della lotta e dei suoi eroi, ma i Russi, visceralmente, conoscono la guerra e sanno che può toccare a loro. Non vogliono esserne nuovamente coinvolti. Faranno qualunque cosa per evitarla. Ne hanno paura. La rispettano.
Gli Americani non hanno (paura della guerra). Gli Americani non hanno mai sperimentato nulla che si avvicinasse, anche remotamente, ad una tale devastazione. Circa 620.000 Americani morirono nella Guerra Civile, 150 anni fa. (E non ne siamo ancora usciti!) Il continente americano non è mai stato attaccato da un esercito vero e proprio fin dalla guerra del 1812. Da allora, i peggiori attacchi avvenuti sul suolo americano sono stati due incidenti isolati (Pearl Harbor e l’11 settembre), separati da settant’anni, per un totale di circa 6000 vittime. Questi sono gli episodi culminanti dell’America Sotto Assedio.
Per la popolazione americana, le guerre sono “laggiù”, combattute da un piccolo gruppo di Americani che partono e ritornano (e che alle volte non ritornano). La morte, la distruzione, l’odore della guerra, che gli Stati Uniti dispensano incessantemente in tutto il mondo, è un qualcosa di non visto e di non sperimentato a casa propria. Gli Americani non credono, non riescono a credere, se non nel modo più intellettualmente astratto, che una guerra possa capitare qui, a loro. Per la gente comune, i discorsi di guerra sono solo un ulteriore rumore di fondo politico, Morgan Freeman che cerca di rubare la scena a Stormy Daniels e ai Kardashians.
Gli Americani sono profondamente indifferenti alla guerra: la usano di continuo per minacciare le altre nazioni, il governo la promuove di routine attraverso la menzogna, ed i partiti politici la favoriscono opportunisticamente per sconfiggere i loro avversari, e a nessuno importa. Per gli Americani, la guerra fa parte del gioco. Non la temono. Non la rispettano.
I Russi sono pronti alla guerra. Il furioso assalto nazista era stato fermato, nella Russia sovietica, dai cittadini e dall’Armata Rossa, questo perché tutta la popolazione aveva fatto quadrato ed aveva combattuto unita per una vittoria di cui si capiva l’importanza. Non avrebbero potuto resistere ai terribili assedi e sconfiggere i Nazisti in nessun altro modo. I Russi si rendono conto che la guerra è un parossismo di morte e distruzione, che colpisce la società in toto e che può essere vinta solo con enormi e difficili sforzi, che possono nascere solo dalla solidarietà sociale. Se i Russi capiscono che devono combattere, se si sentono assediati, sanno che dovranno stare uniti, subire i colpi che verranno e combattere fino alla fine. Non permetteranno un’altra volta che la guerra venga portata nelle loro città mentre i loro assalitori se ne stanno tranquilli. Ci sarà un mondo di sofferenza. Schiereranno ed useranno tutte le armi in loro possesso. E la loro arma migliore non è un missile ipersonico, è la solidarietà che è stata espressa da quel 77% (avete letto la dichiarazione della Simonyan?). Possono anche non cercarla, ma, chi più chi meno, sono tutti pronti a combatterla.
Gli Americani non sono (pronti alla guerra). Gli Americani hanno sperimentato gli orrori della guerra solo come singole tragedie, rese pubbliche nei reportage di vita vissuta, trasmessi alla fine dei telegiornali della notte, che colpiscono le famiglie dei caduti. Tragedie individuali, non un disastro sociale.
In ogni caso, è difficile immaginare la devastazione sociale di una guerra, ma la cultura americana è assolutamente restia ad una sua valutazione concreta. L’immagine collettiva della guerra viene deviata verso scenari fantastici di super-eroi universali o di apocalittici zombi. Il raggio della morte degli alieni potrà anche far saltare in aria l’Empire State Building, ma l’eroe e la sua famiglia (comprendente ora anche un/una teenager di ambigua sessualità e, naturalmente, un cane) sopravviveranno e trionferanno. Cattivi da fumetto, eroi da fumetto, una società da fumetto.
Una delle ragioni di tutto questo, dobbiamo riconoscerlo, è la vittoria dell’ideologia capitalista-libertaria tatcheriana “non c’è nulla come la società”. Congratulazioni, Ayn Rand, adesso non esiste più una società americana. Sono diventati tutti imprenditori che corrono da soli. Tutto questo non serve a formare un gruppo di fratelli e sorelle che possano combattere insieme.
Inoltre, sebbene l’America sia costantemente in guerra, nessuno ne capisce le motivazioni. Questo perché il suo vero scopo non può mai essere reso pubblico e deve essere tenuto nascosto tramite l’uso di concetti elementari, “democrazia”, “la nostra libertà”, ecc. Questo tipo di narrativa può motivare la gente per un certo tempo, ma perde il suo fascino nel momento in cui qualcuno si prende un pugno in faccia.
Se tutti si fermassero solo un attimo (a riflettere), vedrebbero che non c’è nessuno che minaccia di attaccare e distruggere militarmente gli Stati Uniti e, se ci pensassero un po’ di più, capirebbero quanto siano fasulli tutti i discorsi su “democrazia e libertà” e si ricorderebbero di tutte le volte che sono stati ingannati. In giro ormai c’è anche troppa informazione. (E questo è il motivo per cui l’Alto Comando Imperiale vuole tenere sotto controllo Internet). Per chi diavolo sto combattendo? Per cosa diavolo stiamo combattendo? Queste sono le domande che tutti si faranno dopo il (e troppa gente se lo sta chiedendo ora – prima del –) pugno in faccia.
La mancanza di comprensione delle dinamiche sociali e l’assenza di un supporto politico rendono impossibile sostenere un conflitto di grosse dimensioni con perdite notevoli di vite umane; probabilmente “oltremare”, sicuramente in patria. La cultura americana può anche essere superbellicista, quando si tratta dei Seals che vanno in giro a spaccar culi, ma, nel momento in cui inizieranno a saltare in aria le case degli Americani e ci saranno i primi caduti americani, gli “hurrà” diventeranno degli “ahi, ahi” e ci sarà il fuggi fuggi generale.
Gli Americani sono pronti per gli hurrà, Shark Tank e Zombie Apocalypse. Non sono pronti per una guerra.
Tutto quello che hai seminato ti viene restituito
Il “Russiagate”, che era partito abbastanza in sordina durante la campagna presidenziale, come una frecciata dei Democratici ai danni di Donald Trump, è diventato ora una russofobia, un assortimento di armi utilizzate dai vari organi dello stato per colpire tutta una serie di obbiettivi considerati, anche potenzialmente, ostili al militarismo imperiale. Lo stesso Trump, adesso e per tutto il tempo che verrà ritenuto inaffidabile, è tenuto sotto tiro da un procedimento legale di “portata infinita” (il cui scopo più probabile è quello di condannarlo per qualcosa che non ha nulla a che fare con la Russia). La stessa Russia è ora attaccata pesantemente con tutti i mezzi a disposizione dello stato: economici, diplomatici, ideologici e, timidamente, militari. La cosa forse più importante è che gli Americani e gli Europei, specialmente i dissidenti, sono sotto un bombardamento mediatico totale, destinato a bollare tutte le espressioni critiche importanti, tutto quello che “semina divisione”, da Black Lives Matter, alla campagna di Sanders, fino al “ma potrebbero essere state altre nazioni a farlo”, come tradimento in favore dei Russi.
Il clamoroso successo dell’ultima offensiva (mediatica) è determinante nell’aumentare le probabilità che una guerra venga dichiarata e combattuta. Accrescere il rischio di una guerra con una potenza nucleare solo per far dei punti contro Donald Trump o Jill Stein, beh, una cosa così stupida e pericolosa la dovrebbe fare solo chi non la rispetta, non ne ha paura e non è pronto per la guerra.
E’ impossibile prevedere con certezza se, quando, o contro chi inizierà un conflitto importante. Proprio l’impulsività ed il caotico disordine dell’amministrazione Trump che, da un lato aumentano il pericolo di una guerra, dall’altro potrebbero anche contribuire a prevenirlo. John Bolton potrebbe essere licenziato prima di avere il tempo di spuntarsi i baffi. Ma è una pentola a pressione, e la temperatura è aumentata in modo drammatico.
In un precedente articolo, avevo detto che, molto probabilmente, era il Venezuela il primo bersaglio per un attacco militare, proprio perché sarebbe stata una vittoria facile, senza il rischio di un confronto militare con la Russia. Questa rimane ancora una buona possibilità. Come abbiamo visto con la Guerra Irachena N°1 (che ha contribuito all’estinzione della “sindrome vietnamita”) e con la N°2 (che in qualche modo l’ha resuscitata), l’Alto Comando Imperiale ha bisogno di assuefare il pubblico americano ad una vittoria virtualmente senza perdite americane, in modo da indurlo a combattere in una guerra che poi farà male.
Il nuovo gabinetto di guerra potrebbe però non veder l’ora per l’evento principale, l’attacco all’Iran. Trump, Pompeo e Bolton sono dei fanatici propugnatori del cambio di regime in Iran. Possiamo essere certi che l’intesa con l’Iran sul nucleare sarà abolita e tutti si daranno da fare per portare avanti l’accordo segreto, già ratificato fra l’amministrazione Trump ed Israele, per “contrastare il progetto nucleare iraniano, il suo programma missilistico e tutte le altre sua attività che possono costituire una minaccia”, o, come detto espressamente da Trump, per “azzoppare il regime (iraniano) e portarlo al collasso.” (Questo accordo, tra l’altro, è stato negoziato e siglato dal precedente, ed in teoria non così bellicoso, Consigliere alla Sicurezza Nazionale, H. R. McMaster).
Comunque, come ho già detto nel precedente articolo, per attaccare l’Iran, gli Americani devono assicurarsi che la Russia non intervenga, o far chiaramente capire che, se dovesse farlo, (gli Americani) non se ne curerebbero minimamente. Perciò aumenteranno gli atteggiamenti minacciosi, senza escludere le azioni militari di avanscoperta, contro la Russia, sia o no essa il bersaglio preferenziale.
L’assedio è iniziato.
Gli Americani che vogliono continuare a giocare con questo fuoco dovrebbero guardare con rispettosa attenzione il bersaglio che vogliono schiaffeggiare. La Russia non si è vantata, non ha fatto lo spaccone, non ha lanciato minacce, non ha innalzato urla bellicose quando ha inviato le sue truppe in Siria. Quando è stato ritenuto necessario, nel momento in cui gli Stati Uniti avevano manifestato l’intenzione di attaccare l’esercito siriano, lo ha fatto e basta. E, da allora, i giocatori americani di scacchi a 10 dimensioni hanno continuato ad agitarsi, per cercare di comprenderne le implicazioni. Stanno lavorando duro per trovare il giusto mix di minacce, bluff, sanzioni, espulsioni, “taci e vattene!”, insulti, provocazioni militari di confine ed attacchi a “pugno sul naso” per costringerli alla resa. Dovrebbero (invece) ascoltare il loro bersaglio, che non si è ancora stancato di chiedere collaborazione, che ha fatto capire con chiarezza quali saranno le contromisure che il suo paese adotterà (p.e. l’abolizione del Trattato sugli ABM e il dislocamento delle basi ABM nell’Est Europeo), che ha una famiglia e una nazione che hanno subito devastazioni belliche inimmaginabili agli Americani, che, per questo, rispetta, teme la guerra ed è pronto a farla (mentre gli Americani non lo sono), e che non farà il loro gioco.
Jim Kavanagh
Fonte: www.counterpunch.org/
Link: https://www.counterpunch.org/2018/04/02/the-warm-war-russiamania-at-the-boiling-point/
2.04.2018
L’articolo è stato scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da MARKUS