di Megas Alexandros (alias Fabio Bonciani)
Le statistiche ci dicono che 4,3 milioni di lavoratori italiani guadagnano meno di 9 euro lordi all’ora, ovvero il limite sotto al quale – secondo la petizione presentata dalle opposizioni (Italia Viva esclusa), per introdurre il salario minimo – non si dovrebbe scendere per legge.
In un paese (l’unico in Europa), dove i salari da 30 anni sono addirittura scesi – all’interno di quella che è una deflazione salariale imposta, che ha portato i lavoratori italiani ad essere drammaticamente precari e disoccupati – possiamo ben comprendere che il tema salari, è senza ombra di dubbio il problema più importante ed impellente da affrontare, se non vogliamo andare incontro ad una esplosione sociale sempre più all’orizzonte.
E’ per questo che la nostra classe politica, si è gettata sul problema come un falco sulla preda; certamente non per amore e rispetto dei lavoratori ma, come suo solito, per accaparrarsi quel consenso elettorale che permette loro di rimanere ben comodamente seduti sulle loro poltrone.
Come ben sappiamo, il salario da una parte misura le condizioni di vita dentro le quali è costretto a vivere il lavoratore e dall’altra il costo del lavoro, che determina in modo inversamente proporzionale i profitti di chi assume.
Il giuoco come potete ben comprendere, non è equo! Ed i soggetti in campo (lavoratori ed imprenditori), sono due player che nell’affrontare questa partita si posizionano su sponde opposte rispetto al terreno di giuoco.
Mentre i lavoratori cercano il lavoro per mangiare, di contro gli imprenditori cercano i lavoratori solo e soltanto se intravedono la possibilità, per loro, di conseguire profitti.
Il problema di fondo però, è che i lavoratori e le loro famiglie, dovendo mangiare ogni giorno, non possono attendere che i tempi e gli interessi degli imprenditori collimino con il loro bisogno principale.
Ecco che la partita appena descritta, risulta perennemente non paritaria, se in campo non entra quel terzo soggetto a cui la dottrina economica conferisce il ruolo di equilibratore in quello che viene definito “mercato del lavoro”.
Solo lo Stato che spende nella moneta che crea, attraverso appunto il suo ruolo di monopolista della valuta, con la quale consente al proprio governo di spendere in deficit per acquisire tutta la forza lavoro che desidera, può rendere equa la partita tra lavoratori ed imprenditori.
Fissare un salario minimo adeguato, al quale un governo è disposto ad assumere chiunque voglia lavorare, non solo permette di raggiungere la piena occupazione, ma anche di fare in modo che si crei la necessaria domanda di beni e servizi affinché le imprese private riducano al minimo o addirittura portino a zero il loro invenduto, evitando così fallimenti a catena ed i conseguenti licenziamenti.
Insomma, sto parlando di quello status ideale di buona economia che ogni governo ha il dovere e tutti i mezzi per perseguire, dove appunto gli imprenditori privati si contendono i lavoratori, offrendo loro salari più alti per accaparrarseli e dove gli studenti sono richiesti al lavoro già prima che questi abbiano terminato il loro percorso di studi.
Compreso come dovrebbero realmente funzionare le cose, è facile identificare il gioco ad inganno, ai danni degli elettori, che la politica tutta sta mettendo in atto sul tema salario minimo. Un “teatrino” che vede da una parte il governo con a fianco Matteo Renzi saldamente contrari alla sua introduzione e dall’altra le opposizioni, apparentemente favorevoli, lottare per un importo di salario minimo nettamente al di sotto di quanto necessiterebbe in rapporto al tenore di vita attuale nel nostro paese.
E’ chiaro come entrambe le posizioni siano totalmente rappresentative del principale desiderio della casta di Potere che conta: mantenere in modo permanente la deflazione salariale in corso, elemento essenziale per restare dentro la gabbia dei cambi fissi del sistema euro.
L’Euro: una moneta senza Stato che sappiamo essere strumento necessario alle nostre élite per il saccheggio del paese ed a mantenere intonsi i loro risparmi, sempre più esclusivi.
Se vogliamo garantire il diritto di ogni lavoratore ad una retribuzione sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa – come la nostra Costituzione comanda – con 9 euro lordi non si va lontano. E vale la pena ricordare che
9 euro lordi corrispondono a poco meno di 7 euro netti.
E’ opinione abbastanza comune, rappresentata dalle analisi di chi effettua studi sul settore, che un valore del salario minimo dignitoso dovrebbe essere pari a euro 1.905 netti mensili (ipotizzando una settimana lavorativa standard di quaranta ore settimanali, tale salario equivale a euro 11 netti all’ora). [1]
Questo valore viene fuori sulla scia della proposta di salario dignitoso nel settore TAC avanzata dall’European Production Focus Group relativamente ai paesi dell’Europa centrale, orientale e sudorientale, a sua volta ispirata all’iniziativa del 2009 dell’Asian Floor Wage Alliance per il continente asiatico.
Non per nulla in terra tedesca, quella dei cd “falchi dell’austerity”, il salario minimo è già da tempo a 12 euro e stanno attualmente discutendo di portarlo a 14 euro per ogni ora lavorativa.
Non sto qui a ricordarvi quanto sia essenziale, per una unione monetaria, avere identità nei prezzi, a partire appunto dal costo del lavoro.
A questo dobbiamo aggiungere che i presenti calcoli, pubblicati nel 2022, oggi sono superati dalla fiammata inflattiva che in due anni ha ulteriormente eroso almeno del 15% i nostri salari già da 30 anni in caduta libera (come già sottolineato, i peggiori d’Europa).
Tutto questo viene fuori analizzando i dati OCSE relativi al periodo 2000-2020, dove emerge come le retribuzioni abbiano subito una contrazione in termini reali nel periodo considerato, determinando un’erosione del potere di acquisto dei lavoratori. Ulteriore preoccupazione è determinata da una dinamica inflattiva tra fine 2021 e inizio 2022 particolarmente sostenuta, spinta dai prezzi dei beni energetici e in misura minore da quella dei beni alimentari. Già nel 2019, Eurostat rilevava per l’Italia un tasso di rischio di povertà lavorativa per i lavoratori di età compresa tra 18-64 anni dell’11,8% ovvero 2,8 punti percentuali al di sopra della media UE-27.
Ma, non solo i numeri evidenziano l’inconsistenza del messaggio a dir poco surrettizio, che tutti i nostri politici lanciano ogni giorno sul tema. Di tutto punto, nelle loro dichiarazioni, si evidenzia anche una totale incompetenza in materia.
La proposta a prima firma Giuseppe Conte sostenuta dal campo largo e dalla Cgil, non convince per tante ragioni, a cominciare dal fatto che prevede uno stanziamento in legge di bilancio. Che è come dire: per fare il salario minimo, alzo le tasse, scrive nella Enews il leader di Italia Viva Matteo Renzi. [2]
Sul fatto che il Senatore fiorentino fosse totalmente assuefatto al dogma del pareggio di bilancio, non avevamo dubbi; ma con queste sue dichiarazioni, oggi cade anche l’ultima speranza per noi italiani che la sua coscienza potesse essere minimamente intaccata, in modo da acconsentire di fare i necessari deficit – creando dei numeri dal nulla –, per concedere una vita dignitosa alle famiglie italiane che soffrono.
Critico anche il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giovanbattista Fazzolari, che in un’intervista a La Verità afferma che quella sul salario minimo “è una proposta molto forte sul piano comunicativo, in pratica un ottimo titolo. Ma le criticità restano. Dal nostro punto di vista, non esiste crescita dei salari senza crescita dell’economia – afferma – Chi pensa che le due cose siano scollegate, tradisce una visione ideologica”. “Negli ultimi dieci anni, cioè durante i governi dei paladini del salario minimo – aggiunge il senatore di Fratelli d’Italia Fazzolari – le retribuzioni italiane sono calate, mentre nel resto d’Europa salivano. Parallelamente, la crescita economica è rimasta prossima allo zero. È surreale che i responsabili di questo dramma scoprano oggi la ricetta miracolosa del salario minimo. Se fosse così semplice alzare i salari per editto, mi chiedo perché non l’abbiano fatto i governi precedenti: quelli che, sempre per editto, avevano già abolito la povertà”. [2-ibidem]
Le parole di Fazzolari, che in teoria dovrebbe anche essere un esperto in materia economica (visti i suoi studi ed un passato nel ruolo di responsabile economico del suo partito), ci lasciano basiti! Affermare che non può esserci crescita dei salari senza crescita economica, è pressoché un controsenso, naturalmente al netto di quello che egli intende per crescita economica.
Se per crescita economica, si intende il concetto diffuso a Bruxelles, che prende a riferimento la crescita del Pil, dobbiamo gioco forza mettere in evidenza un concetto matematico contabile, sul quale non esiste discussione: stipendi più alti in conseguenza di una maggiore spesa del governo, portano ad una maggiore capacità di spesa da parte del settore privato che li percepisce, e quindi ad un incremento del prodotto interno lordo (Pil).
Dunque, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, nell’esprimersi sulle difficoltà che, a parer suo, incontreremmo se volessimo aumentare i salari, propone una equazione letteralmente al contrario:
E’ aumentando i salari che si ottiene la crescita economica e non viceversa!
E’ certo che le due cose siano tra loro collegate, ma a tradire la “visione ideologica”, o per meglio dire quella contabile, è il Senatore di Fratelli d’Italia oggi al governo e non chi vi scrive!
Detto questo non possiamo che essere pienamente d’accordo con Fazzolari, quando indica negli odierni paladini del salario minimo, gli stessi soggetti che per 30 anni hanno contribuito a mettere in atto le devastanti politiche che hanno fatto sì che le retribuzioni calassero senza fine.
“È surreale che i responsabili di questo dramma scoprano oggi la ricetta miracolosa del salario minimo” – dice il braccio destro di Giorgia Meloni – e come dargli torto! A conferma che i nostri politici stanno recitando, Fazzolari ci certifica come per 30 anni, governi ed opposizioni, abbiano condotto abbracciati la devastazione del nostro paese, attraverso la trasversalità che caratterizza il nostro deep state.
di Megas Alexandros
NOTE
[1] (2022) REPORT: Il salario dignitoso è un diritto universale – Campagna Abiti Puliti